lunedì 21 marzo 2016

Vittoria di Pirro

Leggendo l'ordine d'arrivo del primo Gran Premio della stagione, sembrerebbe che i rapporti di forza nella Formula Uno siano rimasti immutati. Guardando la gara, si capisce che non è esattamente così.

di Federico Principi






La semplice consultazione degli ordini di arrivo (di qualifiche e gara) del Gran Premio di Australia è vivamente sconsigliata a chi, pur con l'intenzione di andare a fondo nelle analisi e nelle opinioni, non sia riuscito a vedere la prima gara della stagione. Potrebbe trarre in inganno sulle dinamiche che potrebbero essere facilmente riconducibili a quei frequenti monologhi Mercedes che hanno caratterizzato le ultime due stagioni, e onestamente hanno stancato forse anche chi tifa Mercedes.

La Formula Uno aveva lasciato il carrozzone sospeso sulle 6 pole position consecutive e le 3 vittorie di fila di Nico Rosberg a fine 2015. Hamilton aveva lamentato difficoltà a guidare con le nuove sospensioni montate dopo il disastroso Gran Premio di Singapore, e ha evidentemente lavorato molto nei test su questo aspetto, risultando il più veloce in tutte (TUTTE) le sessioni cronometrate prima della gara.

Nuove regole, parte 1
Il Gran Premio di Australia è stato il primo (e forse ultimo) appuntamento della Formula Uno con la regola dell'eliminazione continua in qualifica, conservando la consueta separazione in 3 sessioni. Il taglio progressivo - differente da quello "di gruppo" di fine Q1 e Q2 - ha costretto tutti i piloti a scendere immediatamente in pista dopo il semaforo verde della pit lane, per stampare un tempo il prima possibile e mettersi al riparo dalla tagliola precoce.

Le nuove regole della qualifica hanno anche ridotto da 10 a 8 il numero di piloti ammessi alla Q3. Il risultato è che anche i più veloci (Ferrari e soprattutto Mercedes) sono costretti a fare il tempo con le più morbide e prestazionali mescole (super-soft in Australia) tra le 3 differenti, da asciutto, portate dalla Pirelli in ogni weekend. La conseguenza è che la prima parte di gara dei primi 8 in griglia viene obbligatoriamente effettuata proprio con il compound più morbido, con il quale si registra il miglior tempo della Q2.

La nuova regola della tagliola ha però portato a un'orrenda rinuncia collettiva del secondo tentativo in Q3 negli ultimi minuti. Con gli altri 3 eliminati alle spalle, Verstappen ha rinunciato al nuovo tentativo per risparmiare un treno di super-soft per la gara, conscio che nessuno poteva soffiargli la quinta posizione e che al tempo stesso non avrebbe potuto attaccare le Mercedes e le Ferrari. La stessa scelta è stata effettuata proprio da Vettel e Raikkonen: pur essendo entrambi davanti a Rosberg dopo il primo tentativo, i ferraristi hanno pensato che al secondo giro buono le Mercedes avrebbero riallineato entrambi i piloti in prima fila. Le Ferrari sono rimaste ai box tenendo in fresco un treno di super-soft per la gara, usato nel secondo stint.

Parallelo Hamilton-Rosberg nei loro rispettivi migliori giri della qualifica. Hamilton stacca meglio già nella prima curva. 

Nuove regole, parte 2
Le regole della qualifica sono state già abolite poche ore dopo la loro prima sperimentazione, e dal Bahrain tornerà il format utilizzato fino a fine 2015. Non va invece assolutamente modificata la nuova regola sull'utilizzo delle mescole in gara, con la possibilità di scegliere tra 2 differenti compound (o tutti e 3, come ha fatto Rosberg) tra quelli indicati dalla Pirelli.

Lo scorso anno si era giunti in Australia con pneumatici soft e medi. Seguendo le indicazioni emerse dal 2015 (ed evidentemente confermate dalla prima gara del 2016), la comparsa della super-soft in Australia - con l'obbligo di utilizzo da parte delle Mercedes almeno nel primo stint - avrebbe potuto dare una mano alla Ferrari. Le Rosse hanno sempre mostrato di avere un passo gara mediamente molto più vicino a quello delle Mercedes (o addirittura migliore in certi casi) con le gomme più morbide, soffrendo invece con le temperature con pneumatici medi e duri.

È chiaro che tutto diventa più semplice (o paradossalmente forse no) dopo una partenza così.

Dal 2016 cambia anche la regola della procedura manuale della partenza. Il pilota più utilizzare solo una levetta della frizione sul volante. Evidentemente su questo aspetto le Ferrari hanno lavorato meglio durante l'inverno.

Paradossalmente no perché, dopo tutti i discorsi ipotetici in cui la Ferrari avrebbe potuto e dovuto prendere dei rischi per minacciare le Mercedes, i ruoli si sono capovolti. Con le Rosse in potenziale doppietta e Hamilton tappato inesorabilmente da Verstappen, il coltello dalla parte del manico passava proprio alle frecce d'argento.

La prima mossa l'ha fatta Rosberg con il primo pit stop alla conclusione del dodicesimo passaggio. La presenza di Raikkonen alle spalle di Vettel si è quindi rivelata fondamentale: il piccolo tappo effettuato dal finlandese è stato determinante per allontanare di quei tre secondi e mezzo, circa, Rosberg dalla testa della corsa. Il box Ferrari ha quindi capito che la seconda posizione, con l'undercut di Rosberg con gomma nuova, era già persa e nel giro successivo ha chiamato Vettel ai box per proteggere la leadership.

Non solo la strategia è stata tempestiva e corretta, ma anche l'abilità esecutiva dei meccanici è stata fondamentale. Il cronometro della regia internazionale ha registrato in 2,6 secondi il pit stop di Vettel contro i 3 di quello precedente di Rosberg. Quattro decimi fondamentali per tamponare l'emorragia di gap sul giro che il pilota Mercedes aveva dato al ferrarista in quel passaggio. Vettel è uscito dai box e con grande cattiveria nel corpo a corpo ha mantenuto per un soffio la leadership. Un pit stop più lento di due soli decimi avrebbe già pregiudicato tutto.

L'inseguimento alla Ferrari ha stravolto anche i piani di Lewis Hamilton. Ormai lontanissimo, l'inglese ha effettuato un cambio di strategia totalmente impronosticabile alla vigilia. Le scelte dei treni di pneumatici avevano mostrato come Hamilton (dei 4 piloti di vertice) fosse stato l'unico ad aver deciso di portare un unico treno di gomme medie, obbligatorio da scegliere ma non da usare. Hamilton al termine del giro 16 è entrato ai box per montare proprio quel treno di medie - ovviamente mai provate nelle prove libere - dopo che dalle scelte sembrava l'unico sicuramente orientato a coprire tutta la gara con super-soft e soft.

Rosberg, Vettel e Raikkonen avevano invece scelto due treni di medie, anche se poi non hanno avuto modo di provarle nelle libere per colpa della pioggia.

All'uscita dai box il Campione del Mondo aveva addirittura perso altre due posizioni, frutto dei pit stop anticipati di Ricciardo e Sainz che gli hanno guadagnato posizioni, oltre al ritorno di Verstappen. Hamilton era destinato a coprire 41 giri con un unico treno di gomme ma con diverse vetture lente davanti, e che non era riuscito a sorpassare (e nemmeno ad attaccare) nel primo stint. Le Toro Rosso, con power unit Ferrari 2015, hanno raggiunto degli ottimi livelli di velocità di punta e il tracciato non è molto favorevole per i sorpassi nonostante due zone di DRS. Al momento della bandiera rossa, provvidenziale per le Mercedes, Hamilton aveva infatti accumulato un ritardo abissale da Vettel, destinato ad aumentare.

Il clamoroso botto tra Alonso e Gutierrez che ha causato la bandiera rossa.

Al re-start, Rosberg si è presentato a sorpresa anche lui con gomme medie, deciso a percorrere con quel treno i restanti 38 giri. Le Ferrari sono invece rimaste sulle super-soft, obbligate ovviamente ad effettuare un altro pit stop. Che non c'è stato in realtà per lo sfortunato Raikkonen, fermato dal surriscaldamento e susseguente rottura della turbina.

"On fire" nel modo sbagliato.

La mossa delle Mercedes si è rivelata vincente. Vettel, con le super-soft, doveva scavare quel gap necessario per effettuare il pit stop e attaccare la leadership di Rosberg. Il ferrarista è riuscito nell'operazione soltanto nei primi giri dopo il re-start, con la gomma che aveva già percorso 5 giri prima della Safety Car ed era quindi già in fase di degrado.

Il gap sul giro che Vettel dà a Rosberg è troppo poco, con il ferrarista costretto a un'ulteriore sosta.

Vettel, scartata la possibilità di utilizzare la media, ha quindi allungato lo stint per non costringere la gomma soft (da usare nel finale) ad un lavoro esagerato. Ovviamente il ferrarista ha via via assistito alla progressiva riduzione del gap su Rosberg e avrebbe dovuto colmarlo con gomma fresca nel finale.

Dal ventiseiesimo giro in poi il passo gara di Vettel e Rosberg tende sempre più a favorire il pilota Mercedes. Negli ultimi passaggi prima della sosta di Vettel, il margine si assottiglia fino quasi ad annullarsi.

La situazione è perfettamente illustrata dal grafico dei tempi. Prima della Safety Car e della bandiera rossa Vettel con la super-soft stava seminando Rosberg, che aveva la soft. Ricomincia a costruire un gap dopo la ripartenza (con Rosberg stavolta sulle medie) prima dell'inevitabile calo. Dati Forix.

Con la gomma super-soft nel secondo stint Vettel aveva infatti stampato 5 giri veloci, di cui uno prima della Safety Car e ben 4 consecutivi dopo la ripartenza.

Il pit stop di Vettel è arrivato al trentacinquesimo giro. Un problema al fissaggio dell'anteriore sinistra lo ha allungato di circa 3 secondi fino ai 5,6 effettivi. Tutto questo ha portato Vettel all'estremo inseguimento delle due Mercedes con un gap di circa 21 secondi dal leader e di circa 10 da Hamilton, più facilmente raggiungibile.

Il problema al fissaggio dell'anteriore-sinistra. 

La gomma soft nuova, rispetto alle medie già parzialmente degradate dei due Mercedes, ha mostrato la classica parabola delle prestazioni. La spinta extra del pneumatico nuovo ha inizialmente garantito più di un secondo al giro di guadagno su Rosberg e Hamilton, ma la differenza di passo si è appiattita con il passare dei giri rendendo sempre più difficile l'inseguimento alla vittoria.

Nel quarantaquattresimo giro Hamilton addirittura guadagna. In generale Vettel non recupera abbastanza tempo in queste fasi.

Il gap sul giro è tornato a crescere a circa 10 passaggi dal termine, per il prevedibile degrado delle medie dei due Mercedes. Un errore di Hamilton ha consentito a Vettel di avvicinarsi ulteriormente e puntare direttamente la seconda posizione.

Nel giro 50 Vettel guadagna addirittura 1,3 secondi. Al giro 51 arriva l'errore di Hamilton e il gap tra i due in pista scenderà sotto il secondo con Vettel abilitato all'uso del DRS.

Nonostante la doppia zona di DRS, rimaneva comunque difficile per Vettel passare una Mercedes che sembrerebbe essere dotata di 20 cavalli in più, e per giunta in un circuito con rettilinei abbastanza brevi e stretti. Vettel ha forzato la penultima staccata per stare più vicino possibile al Campione del Mondo prima del rettilineo del traguardo, ma con il suo errore ha congelato le posizioni verso una doppietta Mercedes dal sapore completamente diverso da quelle degli scorsi anni.

Col senno del poi
La Mercedes ha ribaltato l'inerzia della corsa montando le inizialmente snobbate (soprattutto da Hamilton) gomme medie. Un rischio che si è clamorosamente presa anche la Haas di Grosjean, sesto al traguardo con zero pit stop, partito con le soft e autore del cambio verso le medie in regime di bandiera rossa.

Le strategie di tutti i piloti. Gomma rossa sta per "super-soft", gialla per "soft", bianca per "media.

Nonostante gli stravolgimenti effettuati sulla vettura, pregi e difetti della Ferrari sembrano essere rimasti identici. Grande passo con le gomme più morbide, tendenziale rifiuto di medie e dure. E ancora una volta la Ferrari ha sofferto le temperature basse della pista e la conseguente difficoltà a scaldare anche gli pneumatici più morbidi.

Dopo pochi giri, per un attimo, scompare il sole e la pista si raffredda. Rosberg stampa il giro record e diventa improvvisamente più veloce di Raikkonen di ben mezzo secondo, per poi essere leggermente riportato a distanza di sicurezza dopo un paio di passaggi (e con il sole che torna a fare capolino).

Anche l'analisi del gap tra Raikkonen e Rosberg, nella prima parte di gara (al giro 12 sale la curva perché Rosberg va ai box), mostra che il distacco non sale mai oltre i 2 secondi ma contemporaneamente non scende mai sotto il secondo, escludendo proprio il giro 5 con pista fredda e giro record di Rosberg. Dati Forix.

In questo senso è stata determinante l'impossibilità di provare le medie nella seconda sessione di prove libere per via della pioggia. Nelle terze libere, le uniche con asfalto completamente asciutto, il tempo a disposizione era di 1 ora soltanto e andavano provati sia i giri da qualifica che i run con le due mescole più morbide. Una FP2 asciutta avrebbe consentito di provare le medie almeno su uno dei due piloti Ferrari, per verificarne prestazioni e durata. Lo scorso anno Rosberg percorse 42 giri con un unico treno di pneumatici medi nuovi.

La Ferrari ha forse sofferto ancora una certa sudditanza nei confronti della Mercedes, pur essendo in testa alla corsa. Se Vettel e Raikkonen avessero marcato a uomo Rosberg, copiando la scelta di mettere le medie, il rischio era quello che il tedesco sarebbe stato costantemente sotto pressione a parità di mescola, e forse sorpassato da Rosberg in pista. L'impossibilità per Hamilton di passare Verstappen nel primo stint avrebbe però dovuto dare manforte alla Ferrari nell'effettuare una scelta di gomma che marcasse a uomo i due piloti Mercedes.

La Ferrari ha tuttavia cercato di scavare un gap prestazionale con mescole più morbide, ma la super-soft nuova aveva già percorso 5 giri prima della Safety Car, perdendo quel surplus di prestazione fondamentale dopo il re-start. Probabilmente anche le simulazioni gara nei test - nelle quali (con serbatoio pieno) Ferrari e Mercedes erano alla pari, ma con serbatoio scarico e gomme medie le Mercedes erano decisamente più veloci - hanno pesato nelle scelte strategiche del Gran Premio di Australia.

Grafico dei tempi in gara con riferimento il tempo medio del vincitore (Rosberg): 
- Come già visto, nel primo stint Rosberg si avvicina a Raikkonen solo in quel frangente di pista fredda citato in precedenza (e con il giro record), segno che a parità di gomma super-soft la Ferrari reggeva perfettamente il ritmo della Mercedes; 
- Nell'ultimo stint Vettel avrebbe forse ripreso Rosberg se non ci fosse stato di mezzo Hamilton. I due Mercedes viaggiavano a ritmo simile, nonostante Hamilton avesse la pressione di Vettel ma avesse in precedenza rovinato le gomme dietro l'ingente traffico. 
- È comunque curioso notare come Rosberg acceleri il passo non appena Ricciardo va ai box, e di conseguenza la strada davanti a Hamilton si sgombra: più difficile capire se il rallentamento finale del tedesco fosse dovuto al degrado (e a quel punto Vettel lo avrebbe raggiunto senza la presenza di Hamilton) o semplice gestione degli ultimi giri. Dati Forix.

Una possibile doppietta Ferrari, che manca clamorosamente da Hockenheim 2010, si è trasformata in un'ennesima doppietta Mercedes. I sacrosanti proclama di Marchionne e Arrivabene alla vigilia del Campionato hanno fatto sì che i ferraristi abbiano ora l'amaro in bocca per un risultato che un anno fa era accolto come un grande inizio. Ma se nel 2015 Vettel arrivò terzo a 34 secondi da Hamilton vincitore, il risultato della prima gara del 2016 è più che indicativo del fatto che la nuova stagione sarà probabilmente molto più combattuta.


Articolo a cura di Federico Principi

mercoledì 16 marzo 2016

SuperScommesse intervista Fuori Dagli Schemi

Siamo stati intervistati da un importante sito di scommesse sportive. Abbiamo parlato del nostro progetto e abbiamo fatto qualche piacevole chiacchiera generale sul calcio attuale. Senza dimenticarci un pronostico per Bayern-Juventus.

di Emanuele Mongiardo e Federico Principi







Buongiorno, come e quando nasce l'idea di creare Fuori dagli Schemi? Perché questo nome?

Emanuele Mongiardo: Fuori Dagli Schemi nasce nel dicembre 2013, inizialmente come pagina Facebook. Il progetto deriva dal bisogno di creare un tipo di analisi lontana dallo stile dei canali dell'informazione tradizionale, ponendosi non tanto in antitesi quanto in modo complementare rispetto ad essi. L'obiettivo era di trattare le varie situazioni ed eventi sportivi in modo analitico, critico e con le competenze che derivano dalla passione e l'attenzione verso gli sport. Il nome è solo la diretta conseguenza di tutti questo. In un primo periodo ci siamo adattati alla piattaforma Facebook, per cui ci limitavamo a postare foto inerenti l’argomento trattato con a fianco il nostro punto di vista. Si trattava comunque di disamine condensate in poche righe ed è per questo che abbiamo deciso di aprire il blog. Ovviamente questo formato cha permesso di dilungarci ed approfondire, ed è stato uno step fondamentale per la crescita della pagina.

Federico Principi: Sono approdato un po' più tardi di Emanuele, in tempo per assistere e contribuire all'espansione di FdS oltre il calcio. Aprirci ad altri sport ci ha chiaramente permesso di diversificare il nostro pubblico e magari avvicinare intenditori di calcio al tennis, o viceversa, in un continuo interscambio che apre nuovi orizzonti ai nostri lettori. Siamo riusciti a creare un prodotto apprezzato da molta gente e questo ci ha reso molto orgogliosi.

Clicca qui per l'intervista completa.

martedì 15 marzo 2016

La volpe dal Sol Levante

Un meraviglioso gol di Okazaki spinge il Leicester verso l'ennesimo successo. Un ulteriore mattoncino a costruire un grande sogno, dopo una partita in realtà piuttosto complicata.

di Federico Principi








Quando pochi giorni fa il Newcastle ha annunciato l'arrivo di Benitez, molti tifosi del Leicester avranno pensato a quel vecchio adagio (indiano? cinese?) secondo cui l'allenatore appena seduto sulla nuova panchina conferisce automaticamente quell'entusiasmo-extra che diventa molto pericoloso per i suoi avversari, e che si affievolisce nel corso delle settimane. Anche se poi magari migliorano i meccanismi col trascorrere delle partite, come accaduto ad esempio alla Roma di Spalletti.

Il Leicester ha assistito nel weekend alla vittoria della sua più diretta inseguitrice (il Tottenham) sul campo dell'Aston Villa e al pareggio di un Manchester City (sempre meno minaccioso) a Norwich. Con una vittoria sul nuovo Newcastle di Benitez - penultimo in classifica ma non certo per colpa dell'allenatore spagnolo - le Foxes avrebbero contemporaneamente mantenuto i preziosissimi 5 punti di vantaggio sul Tottenham e scacciato i Citizens a -12, con una partita in più.


Blocchi mentali
Ranieri ha presentato, in pieno stile sarriano, la solita formazione ormai contenuta in qualche rosario delle chiese anglicane di Leicester. Schmeichel in porta, difesa a 4 con Simpson-Morgan-Huth-Fuchs da destra, centrocampo con Mahrez ala destra, Albrighton omologo a sinistra e Kanté-Drinkwater in mediana, Okazaki teoricamente un pochino alle spalle di Vardy ma in realtà sostanzialmente sulla stessa linea.

Un po' a sorpresa le grafiche televisive della Premier avevano costruito uno schieramento a specchio da parte del Newcastle, che la realtà dei fatti ha poi smentito. Ayoze Perez e Moussa Sissoko erano in realtà molto alti e sulla linea di Wijnaldum in entrambe le fasi, con Mitrovic unica punta e i due mediani Shelvey e Anita più bassi.

Fin dal calcio d'inizio è tutto abbastanza chiaro.

Il Leicester si è presentato al match nelle peggiori condizioni psicologiche possibili, sotto certi aspetti. Affrontare una squadra penultima in classifica avendo tutto da perdere, e con la concreta responsabilità di non dover fallire l'occasione per scacciare i rivali a debita distanza. Prima ancora che da ogni discorso tattico, il match contro il Newcastle ha matrici psicologiche di superiore importanza.

Nei primi minuti l'impostazione del Leicester era veramente difficoltosa e poco fluida. Nonostante il lavoro psicologico che senza dubbio Ranieri ha effettuato, i giocatori in maglia blu sono scesi in campo estremamente contratti. Col passare dei minuti, con l'aiuto sempre più frequente e determinante degli abbassamenti di Kanté, la costruzione bassa delle Foxes è diventata via via più semplificata e ha progressivamente arretrato il primo pressing del Newcastle.

Kanté comincia a prendere per mano il Leicester e le Foxes acquistano fiducia col passare dei minuti.

In questo pezzo Alfredo Giacobbe aveva magistralmente illustrato i punti cardine del 4-2-3-1 napoletano di Benitez, impossibile da replicare sotto la stessa forma (per motivi tecnici e ambientali) al Real Madrid. Il tecnico madrileno è arrivato da pochi giorni e non è chiaro cosa abbia già dato (poco) e cosa debba ancora dare alla sua nuova squadra. Il pressing passivo e di attesa, con difesa compatta alle spalle, è già una qualità che il suo primo Newcastle ha mostrato, ma l'impostazione dell'azione e l'uscita dal pressing del Leicester hanno raggiunto livelli drammatici nel primo tempo.

Se Benitez a Napoli era abituato ad iniziare l'azione dal basso attraverso l'abbassamento dei mediani e la salita di entrambi i terzini, il Newcastle non ha praticamente iniziato una singola azione in tutto il primo tempo del match di Leicester. I mediani rimanevano a volte alti e passivi e la quantità di lanci lunghi è stata esorbitante, anche in situazioni di (raro) comodo possesso. Spesso il Newcastle cercava anche le sponde dagli esterni oltre che da Mitrovic, e almeno l'abilità con i piedi del portiere Elliott è emersa in questo (sinceramente triste) contesto. Il più grande problema nasceva però dal fatto che sfidare il Leicester sulle palle alte, contro due centrali lenti ma fortissimi fisicamente come Huth e Morgan, diventava un'impresa.

Anche in una rara occasione in cui Shelvey si è abbassato per agevolare l'impostazione, il Newcastle è comunque ricorso all'ennesimo lancio lungo.

Il Leicester ha annusato l'incapacità del Newcastle di gestire il possesso basso e nel primo tempo, soprattutto quando il risultato era ancora inchiodato sullo 0-0, ha attaccato molto alto i primi portatori di palla del Newcastle accorciando il campo. Una situazione tattica facilitata dalla consapevolezza di avere un portiere come Schmeichel alle spalle, estremamente abile a leggere le situazioni di gioco ed eventualmente uscire fuori area, chiudendo la profondità lasciata scoperta dalla linea difensiva alta.


La completa assenza di impostazione dell'azione da parte del Newcastle ha consentito di lievitare il dato del possesso palla da parte del Leicester che verso il diciannovesimo minuto era già attestato al 62%. Nonostante questo, per trovare la via del gol le Foxes hanno avuto bisogno di un'azione un po' casuale e sulla quale hanno fatto valere la propria proverbiale abilità nelle palle aeree. Vardy sul secondo palo ha rimesso in mezzo un cross di Albrighton e Okazaki è stato un fulmine a coordinarsi in acrobazia per la spettacolare rovesciata vincente.


Gli stessi blocchi mentali che attanagliavano il Leicester nei primissimi minuti di gioco, e che sono riaffiorati nelle ultime tremebonde fasi della partita, il Newcastle li ha subiti in forma diversa e praticamente per tutto l'arco del match. I Magpies, pur sapendo che il Leicester è praticamente impenetrabile sulle palle alte, hanno insistito per tutto il primo tempo in un atteggiamento tattico francamente sconcertante, frutto dell'insicurezza accumulata lungo un frustrante campionato. Il tutto nonostante una risorsa tecnica e tattica straordinaria come Wijnaldum che - con i suoi movimenti in continua creazione di linee di passaggio in zone pericolose - andava sfruttato in ben altro modo per fare da apriscatole ad una difesa piuttosto lenta di gambe.


Calcio inglese D.O.C.
Il Leicester di Ranieri è il perfetto incontro tra i dettami classici del calcio inglese e di quello italiano. L'allenatore romano ha portato in Premier quella sana propensione alla ripartenza tanto cara alla nostra storia, esasperando il calcio verticale, diretto e fisico di Oltremanica.

In questo contesto si incastra perfettamente quello che è probabilmente il giocatore tatticamente più importante delle Foxes. Se la classe di Mahrez e i numeri e l'aggressività di Vardy si prendono più facilmente le copertine, Kanté è invece probabilmente il nome più presente sugli appunti tattici di chiunque segua un match del Leicester. Contro il Newcastle il mediano francese è stato il migliore in campo e ha tappato qualche crepa creata da una linea difensiva per una volta non sempre perfettamente reattiva negli scivolamenti e nelle uscite.

Kanté è stato probabilmente il primo a svegliare la squadra nei primi minuti, prendendo in mano la responsabilità dell'impostazione e rilassando progressivamente i suoi compagni. Nel calcio diretto e verticale del Leicester hanno inoltre un'importanza fondamentale le seconde palle, sia sulle sponde che su eventuali rimpalli. Kanté - soprattutto nel primo tempo quando aveva più forza fisica per accorciare in avanti - è venuto a prendersi praticamente ogni singola seconda palla in qualsiasi zona di campo, mostrando una lettura del gioco e una prontezza mentale impressionanti. 

Nel secondo tempo Kanté (come tutti i suoi compagni) ha arretrato il proprio raggio di azione, non per questo risultando meno determinante. In almeno un paio di transizioni difensive il francese ha chiuso la profondità lasciata scoperta dalle uscite dei suoi compagni, e che senza i suoi tempestivi interventi sarebbe stata sfruttata più produttivamente da un Newcastle molto più in palla nella ripresa.

Kanté (sopra) copre la profondità lasciata scoperta da Fuchs, attratto dall'uno-due dei giocatori del Newcastle. Sotto, invece, impedisce un'altra triangolazione ai Magpies con Huth che era uscito liberando molto campo potenzialmente pericoloso.

Benitez avrà invece di che lavorare per estirpare l'ossessiva ricerca delle palle lunghe alle sponde che il Newcastle ha palesato soprattutto nel primo tempo, per trasformare una squadra simil-Stoke City di Peter Crouch in una formazione dal possesso più ragionato e con quei tatticismi che da sempre monopolizzano i pensieri dell'allenatore madrileno. Anche se il tempo stringe e c'è da conquistare una salvezza in poche giornate.


Inversione dei ruoli
Il Newcastle dovrà rivedere qualcosa del suo secondo tempo contro il Leicester e ripartire da lì, con più fluidità e sicurezza. Anche le scelte di formazione, a posteriori, avrebbero potuto essere diverse alla luce dei cambi effettuati.

Il Leicester nella ripresa è andato ancora un po' in confusione nell'uscita della palla, soffrendo la pressione più alta dei Magpies che dovevano forzatamente aggredire i primi portatori di palla delle Foxes per recuperare il risultato.

Il Newcastle nella ripresa alza il pressing e si aiuta con la linea laterale per braccare Mahrez, rendendo impossibile l'uscita palla a terra del Leicester.

Probabilmente catechizzati a dovere nell'intervallo, gli uomini di Benitez hanno riveduto e corretto i meccanismi del loro primo tempo e sono passati attraverso fasi di possesso più lunghe, con più coraggio. Anche il primo cambio del tecnico del Newcastle ha facilitato la circolazione del pallone: Benitez ha tolto un mediano (Anita) per inserire un esterno destro molto veloce (Townsend), spostando Perez alle spalle di Mitrovic e arretrando Wijnaldum sulla linea mediana di Shelvey. La qualità dell'olandese è stata determinante per migliorare il possesso, e anche lo stesso Shelvey si è preso maggiori responsabilità in impostazione. Come diretta conseguenza il Leicester - un po' perché le energie fisiche non sono inesauribili, un po' perché pressare alto stava diventando complicato con un Newcastle più efficace nell'uscita della palla - è progressivamente arretrato.

Qui l'uomo più avanzato (cerchiato) è Vardy, esattamente sulla linea di centrocampo. Una situazione piuttosto frequente nel secondo tempo.

Come nel secondo tempo contro il Watford, Ranieri è successivamente passato al triplo trequartista sostituendo Okazaki. La differenza sostanziale sta nel fatto che contro la squadra dei Pozzo il Leicester doveva ancora guadagnarsi il vantaggio, contro il Newcastle la preoccupazione principale era quella di difenderlo. Ranieri al minuto 64 ha inserito l'ala mancina Schlupp, spostando Albrighton a destra e Mahrez alle spalle di Vardy. Il tutto nonostante Okazaki sia generalmente più efficace del talentuoso marocchino in fase di non possesso a schermare l'impostazione centrale avversaria, ma il match-winner giapponese non era più reattivo come al solito. L'idea del tecnico italiano era allora probabilmente quella di migliorare le fasi di possesso che si stavano progressivamente accorciando, consolidandolo con un giocatore (Mahrez, appunto) estremamente abile tecnicamente e che, anche quando gioca sull'esterno, ama ricevere il pallone tra le linee. Il marocchino avrebbe dovuto essere uno sfogo centrale sicuro all'impostazione delle Foxes, ma l'ansia per il vantaggio di misura e per la progressiva aggressione del Newcastle non ha permesso tutto questo.

Ranieri ha quindi ridisegnato il suo 4-4-2 al minuto 75 con l'ingresso della boa Ulloa al posto di Albrighton, spostando di nuovo Mahrez a destra. Conscio che negli ultimi minuti sarebbe stato difficile uscire palla a terra, il tecnico romano ha efficacemente inserito la classica punta dell'ultimo quarto d'ora pronta a raccogliere i lanci lunghi e distribuire le proprie sponde verso gli esterni o verso Vardy, che ama invece venire molto incontro sui lanci o (se ha la possibilità) attaccare la profondità palla a terra in contropiede.

Per una volta però il Leicester si è dimostrato vulnerabile in situazioni di difesa bassa, e soltanto la scarsa convinzione nei propri mezzi (maturata nel corso della stagione) dei giocatori del Newcastle e qualche tempestivo ripiegamento hanno permesso alle Foxes di conservare il pesantissimo risultato.

L'ingresso di Townsend ha moltiplicato le azioni pericolose nate dalla catena di destra del Newcastle. In questo caso è Mahrez ad essere in ritardo in copertura su Moussa Sissoko, sul lato debole. Soltanto un intervento miracoloso (e dubbio dal punto di vista regolamentare) dei centrali impedirà ai Magpies di pareggiare.

Il Leicester non ha sicuramente giocato la migliore partita della stagione. In questo senso pesa sicuramente il fatto di avere una squadra composta da giocatori digiuni da vittorie di titoli nazionali (ad eccezione di Huth, che giocò comunque 23 partite complessivamente in due campionati vinti con il Chelsea) e con lo stesso allenatore che si trova in una situazione probabilmente inedita, già scottato da quel famigerato Roma-Sampdoria di ormai sei anni fa. Il percorso tattico è stato efficacemente compiuto lungo la pre-season fino a proseguire a stagione inoltrata: ora si tratta esclusivamente di isolare la mente dai giocatori da un possibile risultato probabilmente irripetibile, trasformando la pressione in energia positiva. Fondamentale per cogliere quello che si sta profilando come uno dei più clamorosi risultati della storia dello sport.


Articolo a cura di Federico Principi


martedì 8 marzo 2016

Variazioni Jazz

A Utah sanno cosa significhi costruire il futuro. Ecco perché i tifosi sono tornati a sperare.

di Michele Serra







Degli Utah Jazz che, sotto la guida di Tyrone Corbin, hanno fatto i playoff per l’ultima volta nella storia della franchigia - stagione 2011-12, quella del lockout - sono rimasti ben pochi giocatori, solo Gordon Hayward (all’epoca un sophomore), Alec Burks (rookie) e Derrick Favors, arrivato l’anno prima via trade dai Nets, da cui era stato scelto con la terza chiamata assoluta al draft 2010, e ancora ben lontano dall’essere quello che è oggi, un ottimo titolare NBA. In quell’estate si era insediato il nuovo GM della squadra, Dennis Lindsey, proveniente, neanche a dirlo, dai San Antonio Spurs, squadra a cui si guarda sempre con un occhio di riguardo quando si tratta di prendere decisioni sulla scelta di GM, soprattutto, e allenatori.

Dopo il secondo anno consecutivo senza playoff, nonostante un record di 43-39, ecco le pulizie generali operate dal nuovo GM, intenzionato a modificare il core della squadra abbandonando i veterani, lasciando andare i vari Al Jefferson e Paul Millsap, troppo buoni per poter ricostruire ma non abbastanza per puntare in alto, e ricominciando da capo.

Il processo di ricostruzione è arrivato ad una svolta nella trade deadline dello scorso anno, quando Enes Kanter è stato spedito ad Oklahoma City, cambio che ha privato i Jazz di un ottimo scorer in post ma anche di un pessimo difensore, e che ha favorito l’ingresso in lineup di Rudy Gobert, che ha caratteristiche totalmente opposte: con il focus ora sulla difesa, la squadra - dopo le 19 W in 55 partite pre ASG - ne ha vinte 19 delle successive 27 finendo con un record più che decoroso di 38-44.

Da qui sono ripartiti i Jazz di coach Quin Snyder, ex assistente di Messina al CSKA Mosca, pur con qualche difficoltà. La cosa che più salta all’occhio, soprattutto in questa epoca di basket NBA, è la statistica riguardante il pace, ossia il numero di possessi per 48 minuti, in cui Utah è ampiamente ultima con 93.2 possessi a partita, a due punti dalla coppia Miami-Cleveland. Mentre tutti cercano di spingere sull’acceleratore, Utah abbassa il ritmo, il che non vuol certo dire che sia un male: si fa con quello che si ha a disposizione, e comunque i Jazz sono in buona compagnia, visto che tra le squadre “più lente” ci sono anche Spurs e Cavs. La squadra di Snyder ha tutto l’interesse a tenere un ritmo basso, essendo priva di un go-to-guy in grado di trasformare ogni partita in uno scontro a fuoco, ma all’occorrenza ha due/tre giocatori in grado di rivestirne il ruolo, pur non essendo certo stelle di prima grandezza per età o semplicemente valore tecnico.

Questo è anche dovuto ad un quintetto che, pur risultando efficace nella somma delle sue parti, cozza un po’ con quella che è l’idea generale del basket NBA moderno, cioè campo aperto, spaziature e tiri da tre (e i Jazz sono 19esimi per conclusioni tentate da oltre l’arco, con 23 a partita). Certamente molto dipende dal fatto di avere due giocatori interni come Favors e Gobert, con quest’ultimo in particolare che non ha ancora sviluppato un credibile gioco offensivo, venendo le sue conclusioni quasi esclusivamente nel pitturato (o schiacciando o con un movimento in semigancio con cui sta prendendo confidenza), Questo chiaramente limita il gioco offensivo di Utah in generale, come possiamo vedere ad esempio nella foto qui sotto, relativa alla partita con Portland: Ed Davis - e Miles Plumlee prima di lui - sta a debita distanza dal francese intasando l’area e impedendo tagli o conclusioni facili vicine a canestro.


Quel che toglie nella propria metà offensiva, però, Gobert lo restituisce con gli interessi nella propria: cifre alla mano è il migliore in NBA per percentuale concessa al ferro agli avversari, con solo il 40%. Chiaramente, la sua altezza e l’apertura alare da pterodattilo sconsigliano la conclusione agli avversari e in generale facilitano la stoppata (2.4 di media in stagione, secondo in NBA dietro - con buon margine - al solo Whiteside). Qui sotto, un esempio del perché Gobert è così efficace: contesta la penetrazione a Lillard, che cerca all’ultimo uno scarico per evitare la stoppata, che poi puntualmente arriva, su Plumlee.


Dicevamo che Gobert e Favors sono due lunghi molto interni: il primo deve ancora modellare del tutto il suo gioco, mentre il secondo, pur essendosi preso 182 tiri dal mid-range in stagione, li ha convertiti solo con il 37%. Ecco quindi che nell’economia della squadra risulta importantissimo lo sviluppo di un giocatore come Trey Lyles. Il rookie da Kentucky sta vivendo una stagione da sali-scendi dal punto di vista del minutaggio, che si chiaramente alzato nel periodo in cui Utah era priva di Gobert prima e Favors poi. Il suo mese migliore dal punto di vista delle cifre è stato gennaio, quando è rimasto in campo per 25 minuti di media segnando 9 punti - con 5 rimbalzi - con il 47.5% dal campo, il 46% ma solo il 54% ai liberi (nonostante abbia picchi vicini al 90% a dicembre e febbraio). Vista la direzione che ormai ha preso la lega, e viste le caratteristiche del front court di Utah, Lyles può essere fondamentale per la squadra di Snyder, essendo un “2.08” per più di 100 kg capace di allargare il campo con il tiro da 3, andare a rimbalzo, mettere palla per terra e con un IQ cestistico elevato, e quindi un giocatore perfetto per stare in campo con uno tra Gobert e Favors da un punto di vista offensivo e soprattutto difensivo, elemento del gioco di Lyles che ancora decisamente manca.

Chi invece sta decisamente sorprendendo è Rodney Hood, secondo anno da Duke. L’assenza di Exum e Burks gli ha garantito un minutaggio decisamente ampio, oltre 31 minuti di media a partita, che sta sfruttando alla grande. Se il premio di MIP non fosse già prenotato (vedi alla voce “McCollum, CJ”), Hood sarebbe sicuramente un candidato più che credibile, con i suoi 15 punti ottenuti con il 42% dal campo, il 37% da 3 e l’87% abbondante ai liberi, tutte voci statistiche migliorate rispetto a quelle dello scorso anno.


Si sono già sprecati i paragoni con lui, uno dei più frequenti dei quali è quello con Harden, anche se decisamente prematuro. Un po’ perché Harden è ancora di un altro pianeta, un po’ perché, all’età di Hood (23 anni), Harden era già stato selezionato per l’All Star Game al suo quarto anno nella lega, mentre per Hood è ancora il secondo, e di chiamate per la partita delle stelle ancora neanche l’ombra. Non si può comunque fare a meno di notare uno skill-set molto interessante e simile, in un qualche modo, a quello del suo illustre collega, a partire dalla mano prediletta, quella mancina, per continuare con una buona abilità a finire al ferro - con il 63%, attualmente migliore di quella del Barba, 60% - e soprattutto il jumper, dalla media o da tre, visto che i tiri definiti “pull up” costituiscono il 40% del suo gioco offensivo. Qui, ad esempio, vediamo la facilità con cui manda al bar Danny Green, difensore nettamente sopra la media, concludendo poi con la tripla.

Stupisce di più, probabilmente, la sua abilità nel pick and roll, fondamentale in cui Harden dimostra grande creatività ed efficacia. Il giocatore dei Jazz è quindicesimo in NBA per punti segnati da p&r tra i giocatori con almeno 200 possessi giocati in questa situazione, con 0.90, davanti, tra gli altri, ai vari Westbrook, Lowry e Conley. Qui, ad esempio, lo vediamo concludere magistralmente un p&r con Trevor Booker con un passaggio schiacciato a terra a due mani. Tutto questo anche quando condivide il campo con Raul Neto e Trey Burke, rispettivamente titolare e backup nel ruolo di PG, in attesa di riavere indietro Exum. Hood mette a segno 5.4 potenziali assist a partita, secondo solo a Gordon Hayward e davanti ai sopracitati compagni.



Attualmente, infatti, è proprio questo il ruolo in cui Utah appare più vulnerabile, tra l’infortunio occorso all’australiano e le opzione non esattamente esaltanti. Burke non sta mantenendo le promesse dopo una eccellente carriera collegiale, e oggi è un attaccante che non eccelle in nulla, ma che almeno pare aver trovato una propria dimensione come sesto uomo, visto che un terzo dei punti della second unit viene proprio da lui (Utah 21esima per punti segnati dalla panchina, con 33.6). Neto, invece, pur non rappresentando una soluzione a lungo termine, sta pian piano inserendosi nel contesto NBA, come dimostrano la sua media punti - raddoppiata da ottobre/novembre ad oggi - e anche la sua percentuale da 3 punti, salita al 56% nel mese di febbraio. Adesso anche lui ha fatto un passo indietro per lasciare spazio a Shelvin Mack, che ha avuto un buon inizio in maglia Jazz dopo essere arrivato da Atlanta alla deadline, ma la sensazione è che almeno uno - probabilmente Burke - possa essere ceduto durante la off-season una volta rientrato Exum. Certo, ci vorrà cautela vista la serietà dell’infortunio, ma l’età è dalla sua, e lo staff punta molto su questo ragazzo estremamente grezzo ma dalle doti fisiche interessantissime, dall’alto dei suoi 198 cm e della sua abilità difensiva (lo scorso anno, con lui in campo i Jazz subivano 5 punti in meno rispetto a quando sedeva in panchina), che potrà tornare particolarmente utile contro le grandi PG che popolano la lega. Dopo alcuni anni nel limbo, i Jazz pare abbiano trovato il coach e il core giusto per poter tornare ad essere rilevanti.


Articolo a cura di Michele Serra

mercoledì 2 marzo 2016

Alien

Otto gol per descrivere un androide.

di Emanuele Mongiardo





Martedì contro la Juve Robben ha siglato l’ennesimo gol à la Robben: cavalcata orizzontale da destra verso sinistra e palla sul secondo palo a mezz’altezza. La stessa identica giocata da circa dieci anni: risultare immarcabile nonostante la prevedibilità del gesto è prerogativa di pochi fuoriclasse. Robben rientra in quella categoria di calciatori verso cui mi sento in dovere di dire grazie: vi sono state notti in cui qualcosa di superiore si è impossessato di lui, in cui ha seguito il richiamo di una missione charismatica ed ha deciso di abbacinare tutti noi con giocate inimmaginabili. Chi non ha sentito il bisogno di abbracciarlo, quasi commosso, dopo la partita dello scorso mondiale contro la Spagna? Chi non si è alzato in piedi ad applaudire dopo il gol a Manchester nel 2010? Qui ho provato a classificare gli otto gol che meglio ne racchiudono l’essenza.


8 – Robben vs Barcellona



                                       
Il 2012/13 è forse la stagione più difficile della carriera di Robben, non sempre titolare nelle gerarchie di Heynckes nonostante sarà lui a Wembley ad ammutolire il Borussia di Klopp e tutti gli hipster a loro seguito. Il primo maggio il Bayern si presenta al Camp Nou per il ritorno delle semifinali di Champions League. Dopo il 4 a 0 dell’Allianz Arena il Barcellona è svuotato di qualsiasi speranza; Messi rientrante da un infortunio si accomoda in panchina. Il nome sulla lapide blaugrana lo incide Robben a due minuti dall’inizio del secondo tempo: il Barcellona è sbilanciato in pressione alta sul centro destra, l’olandese attacca il lato debole. Alaba lo premia con un lancio in diagonale di cinquanta metri . Arjen può addirittura concedere un rimbalzo al pallone per poi addomesticarlo di petto. Punta Adriano con la solita andatura: spalle inarcate, braccia quasi aderenti al corpo, avambraccio sinistro largo, movimento frenetico del busto mentre conduce il pallone con l’esterno collo del sinistro. Tre tocchi, poi sterzata verso l’interno e gol a mezz’altezza sul secondo palo, il solito menu. Il segreto è in quell’istante tra la preparazione del tiro e il tiro stesso: Robben sposta il pallone per impedire al campo magnetico di Adriano di fagocitarlo, ma allo stesso tempo la sua velocità gli permette di effettuare un passo laterale intermedio e calciare quasi in concomitanza col ritorno di Song   


7 – Robben vs Newcastle







Questo gol siglato in Carling Cup nel novembre del 2004 è forse un dejà vu, un glitch causato da Matrix stesso, che ha proiettato nel nostro mondo immagini di un universo parallelo in cui Robben ha continuato ad arare la fascia sinistra e non ha mai giocato da esterno a piede invertito. Difatti l’olandese ha trascorso i primi anni di carriera sulla corsia mancina e questo gol è un saggio delle sue doti da “ala classica”: riceve palla largo sulla linea laterale all’altezza della mediana e può convergere verso il centro. Qualche metro fuori dall’area decide di accelerare per sfruttare lo spazio alle spalle del difensore: con uno scatto di circa dieci metri incenerisce il povero Titus Bramble e di piatto beffa Given sul secondo palo. Se non avesse deciso di cambiare fascia, magari oggi avremmo qualche nostalgico di Giggs e dei tornanti da cross dal fondo in meno



6 – Robben vs Schalke 04





Forse è il gol paradigma di Robben e della sua essenza. E’ stato tacciato di evanescenza nei momenti decisivi, ma è soltanto un luogo comune. Sembra invece esaltarsi quando si tratta di mortificare avversari ormai prossimi ad un risultato insperato (vedi Borussia Dortmund). Semifinale di Coppa di Germania, secondo tempo supplementare. Persiste lo zero a zero tra Schalke e Bayern quando Robben diventa uomo bionico e inizia a flirtare con la riga bianca della rimessa laterale: semina due avversari con uno scatto di trenta metri, calpesta rigorosamente la linea di bordo campo, sembra impossibilitato a poggiare i piedi al di fuori di essa, un po’ come un equilibrista costretto a camminare sulla corda tesa per restare in vita. Si ricongiunge con la sfera e con un balzo da freerunner evita la scivolata di Westermann. E’ quasi sul fondo, può solo rientrare sul sinistro, per il difensore è matematico. Ma la velocità d’esecuzione della sterzata elude la marcatura: la sua abilità nella torsione del busto rende impercettibile la linea di demarcazione tra corsa rettilinea e cambio di direzione obliquo, per cui vi è continuità nel movimento. A questo punto, al solito, Robben sposta il pallone in modo da guadagnare un altro metro di spazio per la conclusione grazie alla corsa laterale; il risultato, ça va sans dire, è una saetta sul secondo palo, imprendibile anche per Neuer


5 - Robben vs Villarreal





Qui siamo di fronte al tipico gol da PES 2009, con l’ala a piede invertito capace di tagliare orizzontalmente le linee avversarie e scaricare sotto l’incrocio del secondo palo. In questa gemma vi è il concorso sia di Higuain che della sorte. Lassana Diarra cambia gioco verso destra su Robben, che con un perfetto controllo del corpo riesce contemporaneamente a stoppare ed orientare la conduzione di palla. A questo punto, dopo i canonici tre tocchi, è libero di incrociare lo sguardo del proprio marcatore, ma questa volte preferisce mantenere una certa distanza. Decide di sterzare quasi subito, c’è qualche metro tra lui e il vertice dell’area. Nel frattempo Higuain abbozza un movimento in profondità alle spalle del proprio difensore, che quindi è costretto ad abbassarsi per oscurarne la linea di passaggio: un potenziale ostacolo in meno nella gincana dell’olandese. Dopo la prima sterzata anche Marcos Senna prova a sbarrargli la strada ma sfortunatamente scivola. Arjen effettua un altro piccolo cambio di direzione alla propria sinistra, propedeutico alla preparazione della stilettata sotto l’incrocio del secondo palo. In tutti questi gol fotocopia è sbalorditivo l’atteggiamento da uomo bionico di Robben: guadagna potenza di pari passo con la propria avanzata, un accumulatore di energia cinetica da convertire poi nel tiro


4 - Robben vs Spagna



C’è il sigillo finale di Robben nella partita forse più iconica degli scorsi mondiali. Il tramonto della Roja inizia al 42’, quando David Silva, imbeccato da Iniesta, spreca davanti a Cillesen. Da lì in poi parte lo show oranje, con Arjen, Sneijder e van Persie in versione deluxe. Sul 4 a 1 la Spagna è sbilanciata in avanti, con la linea difensiva oltre la metà campo. Al 79’, dopo un recupero palla olandese, Sneijder individua un corridoio tra Sergio Ramos e Jordi Alba, ben oltre la linea mediana. Telepaticamente lo percepisce anche Robben che, quando il proprio gemello riceve palla, è già pronto per la ricezione. Wesley disegna un filtrante impossibile da intercettare per i difensori spagnoli, costringendoli al duello in velocità in campo aperto contro il compagno. Nonostante Sergio Ramos abbia un paio di metri di vantaggio, Robben lo surclassa e si avventa sul pallone.  Il controllo a seguire sembra fuori misura, ma l’indecisione di Casillas in uscita fa la differenza. L’olandese giunge in tempo sulla sfera ed effettua quasi una piroetta per rientrare, disorientando il portiere che rimane a terra; a questo punto Sergio Ramos ha preferito abbandonare il duello per difendere la linea di porta, mentre Casillas è in posizione inadeguata per murare l’avversario. Arjen inusualmente preferisce incrociare sul primo palo.

p.s. Oltre al gol, per chi non lo ricordasse, all’86’ c’è l’ennesimo contropiede olandese in cui Casillas respinge una conclusione ravvicinata di Wijnaldum. Piqué prova a spazzare ma la parabola del pallone discende al limite dell’area. Robben si avventa sul potenziale punto di caduta e quando la sfera raggiunge l’altezza adatta calcia in corsa, al volo di collo pieno sul primo palo: una conclusione da tiro al piattello neutralizzata da Casillas


3 - Robben vs Francia





C’è una certa malizia in questo gol, nella consapevolezza di sfruttare la statura atipica di Gregory Coupet. Robben entra nel secondo tempo, sul parziale di 1 a 0 per gli olandesi. Il suo ingresso sposta definitivamente l’ago della bilancia dalla parte degli oranje. Firma l’assist a van Persie nel contropiede del 2 a 0 e si occupa personalmente di timbrare il terzo gol. Sneijder riceve palla sulla trequarti e prima di controllare il pallone ha già visualizzato lo scatto di Robben alle spalle del terzino. Non ha bisogno neanche di alzare la testa dopo essersi girato: filtrante rasoterra tra Sagnol e Thuram col collo del piede, indice di una sensibilità riservata a pochi eletti. A questo punto il centrale francese copre l’interno, concedendo solo il fondo all’avversario. Ma con una velocità d’esecuzione impercettibile, Robben sposta il pallone di poco sulla propria sinistra, apparecchiando per la conclusione che supera in altezza Coupet e termina sotto la traversa sul primo palo. Mi piace pensare che nella sua mente Robben abbia invertito la prospettiva, in modo da immaginarsi fronte alla porta per poter scaricare, come al solito, sotto l’incrocio del secondo palo


2 – Robben vs Fiorentina





Qui la capacità di mortificare avversari prossimi ad un risultato insperato tocca lo zenit. Il 2009/10 è forse la stagione migliore di Robben: l’uomo di cristallo non regge più, il Real Madrid lo scarica al Bayern Monaco. Ma con van Gaal ed il suo 4-2-4 Arjen entra definitivamente nell’olimpo del calcio mondiale, risultando addirittura onnipotente in alcuni frangenti. Il pericolante impianto difensivo costringe i bavaresi ad una costante apnea, specie in Europa, dove conquistano gli ottavi solo all’ultima giornata della fase a gironi in casa della Juventus. E anche durante ottavi di finale, contro la Fiorentina, ai tedeschi non resta che aggrapparsi al proprio numero 10. Dopo il 2 a 1 patito in Baviera, i viola mettono alle corde il Bayern al Franchi. Al 63’ Jovetic ha appena siglato il 3 a 1, smorzando le velleità bavaresi dopo il gol di van Bommel. I toscani ormai vedono il traguardo, sostanzialmente hanno concesso un unico tiro (quello del gol) ed ogni contropiede mette in forte imbarazzo van Buyten e Badstuber. Passa un minuto, giusto il tempo di tornare a centrocampo. Robben riceve a destra, davanti a lui c’è Vargas; non lo punta, preferisce rientrare da subito per cercare nuove prospettive. E’ spontaneo in queste situazioni chiedersi quando il cervello del calciatore elabori la possibilità di ignorare i compagni e creare dal nulla un gol. Considerando la trance agonistica del Robben 2009/10, è lecito pensare che, subito dopo il gol di Jovetic, Arjen abbia già pianificato quella conclusione come unica soluzione per rimettere la testa avanti. Quando Cristiano Zanetti prova flebilmente ad ostacolarlo, lo salta procedendo ancora in orizzontale. Ragionando secondo una concezione spazio-temporale comune, probabilmente decide di calciare in questo momento: è rientrato centralmente, ha guadagnato spazio sufficiente per costruire il tiro. La disinvoltura con cui Robben procede dall’esterno verso l’interno, col solito passo da uomo bionico e accumulatore di energia cinetica, illude sul reale coefficiente di difficoltà del gesto. Quel tiro sotto l’incrocio sembra lo sbocco naturale dell’azione, ma si tratta pur sempre di una conclusione da quasi trenta metri. Non c’è la poetica del gol alla Del Piero, Robben conferma anche con il tiro la sua apparente natura di androide: la gamba resta rigida al momento del rilascio, è un calcio di collo pieno diretto all’incrocio, un colpo di pistola laser senza parabola, rettilineo e mortifero.


1 – Robben vs Manchester United



E’ singolare come il suo miglior gol non sia il solito tiro all’incrocio post serpentina orizzontale. E se la bellezza è un concetto relativo, la difficoltà nell’esecuzione del gesto è un parametro più oggettivo e questo sicuramente rende la rete ad Old Trafford speciale nel novero delle gemme firmate Arjen Robben. Dopo aver eliminato la Fiorentina, il Bayern pesca il Manchester United. E’ il primo anno post Cristiano Ronaldo per gli inglesi; Ferguson non ha rivoluzionato la rosa, sostanzialmente l’unico neo acquisto è Antonio Valencia. Nonostante la cessione di CR7 i Red devils godono di una solidità tattica e soprattutto mentale in cui l’arma in più è il miglior Rooney di sempre. I tedeschi sorprendentemente vincono 2 a 1 la partita d’andata all’Allianz Arena, in cui il numero dieci inglese è costretto ad uscire con le stampelle per una distorsione alla caviglia. Ferguson riesce comunque a recuperare il suo uomo migliore per la gara di ritorno. Il primo tempo di Manchester è un incubo per i bavaresi: Rooney strabilia con una prestazione a tutto campo, Nani vive una delle serate migliori della sua carriera. Verso la fine dei primi 45 minuti il risultato è di 3 a 0 per i padroni di casa, ma al 43’ il gol di Olic rinfonde vita nei tedeschi. Il secondo tempo scorre, il Bayern attacca senza troppa convinzione nonostante l’espulsione di Rafael da Silva. Ad un quarto d’ora dal termine Vidic devia in calcio d’angolo un tiro di Robben. Le torri salgono, vi sono undici uomini in area. Arjen si apposta sul centro destra, in prossimità del semicerchio dell’area di rigore. E’ totalmente smarcato. Ribery lo nota e scodella verso di lui; il lancio non è preciso sui piedi del compagno. Robben ha già intuito la traiettoria della parabola e inizia a coordinarsi con piccoli passetti laterali. L’unico avversario che sembra aver compreso le reale finalità dello schema è Carrick, che si lancia in una corsa disperata verso l’olandese. Ma quando tenta di intervenire è troppo tardi: la torsione del busto è perfetta, così come il movimento della gamba. Robben taglia il pallone d’esterno collo, è impossibile non spararla in curva con questa conclusione. Ma l’impatto con la sfera è talmente perfetto da insaccarsi quasi rasoterra sul secondo palo. 3 a 2: il Bayern ancora una volta l’ha spuntata quando Arjen ha deciso di vincere la partita


A 32 anni Robben continua ad essere determinante per le sorti di quella che forse, ad oggi, è la squadra più forte al mondo. Sarà un peccato non poterlo ammirare nuovamente in Oranje agli Europei in Francia. Ma chi lo ama, ha la consapevolezza di dover godere al massimo di ogni singola prestazione. Purtroppo, un giorno, anche l’uomo bionico potrebbe arrugginirsi; ma fino ad allora sarà un piacere restare estasiati da uno dei più forti giocatori della nostra epoca.