sabato 28 maggio 2016

The Wall

All'indomani del ritiro, un racconto e un ritratto di Walter Samuel.

di Nicola Santolini







Una delle cose più belle del calcio è che le emozioni che suscita in tutti noi col tempo diventano ricordi, e anche a distanza di anni, a volte serve davvero poco per farli riaffiorare. Spesso basta un'immagine, il titolo di un articolo, un servizio alla TV per riportare alla mente ricordi anche lontani nel tempo, ma non per questo meno emozionanti. Indubbiamente il ricordo più dolce degli ultimi anni per il tifoso interista è il triplete del 2010: a volte basta fare riferimento a quell'anno, senza nemmeno parlare di calcio, per riportare alla mente del tifoso l'immagine di Diego Milito disteso sul prato di Madrid con gli occhi lucidi dopo aver segnato. Allo stesso modo molti tifosi interisti in questi giorni avranno appreso la notizia del ritiro di Walter Samuel (da due stagioni in Svizzera al Basilea), con il conseguente riaffiorare di ricordi ed emozioni mai del tutto sopiti.

Dei tanti legati all'argentino che mi sono tornati alla mente quello più forte è, curiosamente, legato a una partita poi persa dall'Inter, la semifinale di ritorno a Barcellona. Si tratta di qualcosa che dubito potrò mai dimenticare: Samuel che si rialza e ruggisce, con i glaciali occhi azzurri completamente trasfigurati dalla battaglia, dopo aver fermato in scivolata un certo Lionel Messi. E anche se come detto a conti fatti si trattò di una sconfitta, il tifoso non può che ricordare con gioia quella partita che comunque aprì le porte della finale, ma soprattutto con orgoglio, perché se mai una squadra è stata davvero eroica, quella sera l'Inter indubbiamente lo fu. Una squadra consapevole che avrebbe dovuto giocare una partita di sofferenza, ma che si ritrovò a dover affrontare un vero e proprio assedio dopo la celebre pantomima di Busquets, ritrovandosi a dover resistere in inferiorità numerica a quella che era universalmente riconosciuta come la squadra di calcio più forte del pianeta. Si tratta di una partita in cui, da un certo punto in poi, saltarono completamente tutti gli schemi (Piqué stabilmente in attacco, Eto'o terzino) ed emersero davvero non solo i giocatori, ma anche e soprattutto gli uomini, nella loro più pura forma di gambe, cuore, mente e spirito. E questo è solo il prologo di questo viaggio attraverso la carriera di Walter Samuel, semplicemente “The Wall”.

Le origini
Il 23 marzo 1978 a Firmat, nel cuore dell'Argentina, nasce Walter Lujàn, un nome che ai più non ricorda nulla. Col passare degli anni, a seguito di problemi col padre, il ragazzo deciderà di lasciare il suo cognome, appena in tempo per passare alla storia come Walter Samuel.

Il racconto dell'infanzia di Samuel non è particolarmente originale, ma c'è un piccolo particolare che, a posteriori, risulta interessante: il sogno del giovane Walter era di diventare un calciatore ed un grande attaccante. Dopo aver iniziato a giocare nella squadra della sua città, non ci volle molto prima che il suo talento lo facesse ben presto arretrare al centro della difesa.

La carriera di Samuel prosegue velocemente, e dopo due stagioni al Newell's Old Boys, arriva l'approdo al Boca. Nonostante non abbia ancora vent'anni quando arriva a Buenos Aires, Walter ci mette poco a diventare un pilastro imprescindibile della difesa, e nelle tre stagioni alla Bombonera contribuisce alla conquista di due campionati – uno di Apertura e uno di Clausura - e soprattutto di una Copa Libertadores.

Un giovanissimo Samuel con la maglia "Xeneize"

Samuel è ancora giovane, ma ha già messo in mostra grandi doti tecniche e fisiche, e la grinta del possibile campione: in molti vogliono portarlo in Europa, e la Roma ci riesce, strappandolo al Boca per oltre trenta miliardi di lire. Diventa ben presto un punto fermo della difesa giallorossa, e la sua prima stagione nella capitale è anche quella dell'ultimo Scudetto della Roma. Ed è proprio a Roma che Walter Samuel diventa “The Wall”. Le quattro stagioni in giallorosso sono di altissimo livello, e permettono a Samuel di guadagnarsi il posto fisso anche in nazionale ed emergere come uno dei difensori più interessanti d'Europa. E Walter a volte sembra davvero un muro invalicabile.

Il suo enorme talento difensivo gli permette di ambientarsi in fretta anche nel calcio italiano, così diverso tatticamente da quello argentino, e in cui la fase difensiva è fondamentale. E “talento difensivo” è probabilmente la miglior definizione possibile per descrivere le capacità di Samuel, per spiegare il successo di un giocatore che poteva sembrare normale, ma faceva capire in fretta quanto fosse straordinario. Dal punto di vista strettamente atletico Samuel poteva infatti apparire un difensore nella media: velocità discreta ma non straordinaria, grande forza fisica e ottima elevazione. Ma ancora una volta, in campo non contano solo le gambe, ed è proprio grazie a testa, cuore e spirito che Samuel non è diventato un difensore “nella media”.

Semplicemente "The Wall"

Solidità mentale
Una delle qualità che hanno maggiormente permesso a Samuel di imporsi è la sua eccezionale mentalità difensiva. Come detto si è integrato perfettamente nei tatticismi del calcio italiano, e si è sempre distinto per la sua grande intelligenza in campo: abilissimo in marcatura e nel prendere sempre la decisione migliore, ha fin da subito mostrato anche le doti di leadership necessarie a guidare il compagno di reparto e tutta la difesa.

Samuel però è anche l'esempio lampante di quanto, al di là delle qualità tecniche e fisiche, siano concentrazione e attenzione a fare la differenza quando di mestiere si fa il difensore centrale.

Provando a fare un parallelo con un ragazzo che, nelle speranze di molti, avrebbe dovuto garantire col tempo un adeguato ricambio all'argentino, ovvero Juan Jesus, si scopre che dal punto di vista atletico il brasiliano ha poco da invidiare a Samuel, avendo i due una struttura fisica non troppo diversa, con pochi centimetri e chili di differenza. Jesus può anzi indubbiamente vantare una velocità nettamente superiore anche a quella di un Samuel nel fiore degli anni. Nonostante questo nessuno si sognerebbe mai di paragonare il brasiliano all'argentino. E non si tratta di una questione di esperienza: semplicemente Jesus non è dotato della grande solidità mentale innata in Samuel, e mentre lui condisce le sue partite con svarioni e distrazioni, quelle commesse dall'argentino in anni di carriera probabilmente si contano sulle dita di una mano.

Spirito guerriero
Un'altra peculiarità di Walter Samuel e del suo gioco la individuerei nel suo spirito guerriero. Perché Walter è sempre stato un difensore grintoso e aggressivo, anche duro a volte. E non sempre questo è stato apprezzato quanto meritava. Nel 2004 Samuel si trasferisce al Real Madrid per 25 milioni di euro. Si tratta probabilmente della stagione meno positiva della sua carriera, a parte quelle caratterizzate da particolari infortuni. Ma non certo perché il muro fosse crollato, semplicemente quello non era il suo calcio. Il pubblico del Bernabeu non apprezzò mai veramente il modo di giocare di Samuel. Troppo rozzo, ruvido, aggressivo, quel ragazzo davvero stonava in mezzo ai Galacticos, non era nel suo DNA e non era uno dei "Los buenos" che il pubblico madridista pretende.

"Ma dove sono finito?"

Non ha mai avuto l'eleganza di Maldini o la tecnica di Nesta, ma non per questo deve essere considerato strettamente inferiore, semplicemente un difensore diverso. Anche perché sarebbe un errore definire Samuel come un centrale poco dotato tecnicamente. Indubbiamente non si è mai distinto per l'eleganza palla al piede e nel controllo, ma allo stesso tempo si è sempre dimostrato un buon passatore, aiutato anche dalla sopracitata solidità mentale che gli concedeva grande sicurezza, mantenendo sempre la calma anche in situazioni difficili o di pressing.

Inoltre, pur non potendolo definire un vero e proprio regista difensivo, non si limitava solo all'appoggio semplice al compagno vicino o alla soluzione più banale: in particolare negli anni nerazzurri una sua specialità divenne il cambio gioco, col mancino, sulla fascia opposta, generalmente per Maicon. Samuel infatti non ha mai avuto paura di sfoderare il suo sinistro, a volte con aperture e lanci anche piuttosto lunghi, a vantaggio del terzino brasiliano. Ma nonostante questo l'argentino non era a suo agio in un tipo di calcio come quello spagnolo. Uno come lui, che poteva sembrare un difensore italiano tanto era grande la sua abnegazione tattica, l’amore per il corpo a corpo, lo spirito combattente, non poteva sentirsi realizzato in un calcio in cui la prerogativa fosse quella di dare spettacolo e segnare ancora un altro gol, e pazienza se così se ne subiva sempre almeno uno; per questo si sentiva così a suo agio in Serie A, dove cercare di non prendere gol era ancora tra le priorità.

Ho sempre odiato prendere gol, anche in allenamento. Mai abituato all’idea, non ci riesco. Detesto vedere la palla che entra nella mia porta”

Sembra piuttosto naturale che uno che la pensa così non sia mai riuscito ad ambientarsi davvero nella Liga. Dopo una sola stagione in Spagna, Walter decide di ritornare in Serie A, e viene acquistato dall'Inter.

Cuor di leone
Samuel arriva a Milano a 27 anni, nel pieno della sua carriera, e anche se viene da una stagione un po' appannata può considerarsi uno dei migliori difensori d'Europa e può vantare già un discreto palmares. Ma probabilmente nemmeno lui avrebbe mai pensato di vincere così tanto con i nerazzurri e di diventare un giocatore così determinante. Perché all'Inter Samuel non è semplicemente “The Wall”: trova un ambiente ospitale nella grande famiglia interista e argentina della Pinetina, e ne diventa un leader, per quanto spesso silenzioso.

Nei nove anni in nerazzurro Samuel affina ulteriormente le sue capacità, e con sempre più esperienza guadagnata sul campo raggiunge davvero l'apice della sua carriera. Conquista in fretta il cuore dei tifosi di San Siro, e come dargli torto: oltre alla concentrazione, le qualità e la grinta già note, dimostra di aver raggiunto una consapevolezza ed esperienza tali da riuscire a sembrare quasi inossidabile rispetto allo scorrere del tempo, nonostante alcuni infortuni molto gravi al ginocchio. Anche quando la condizione fisica non era eccellente, o il peso degli anni iniziava a gravare sulla rapidità, Samuel con grinta, talento nell'anticipo, abilità nel corpo a corpo e una necessaria dose di durezza, è sempre riuscito a rimanere il muro che tutti conoscevano trovando il modo di sopperire alle fisiologiche mancanze.

Le sue prime stagioni in nerazzurro, complici anche gli eventi ben noti del 2006, sono vincenti - almeno in Italia - ma quando tutti potevano pensare che superati i trent'anni (con tanti campionati vinti in bacheca) la carriera di Samuel potesse aver già raggiunto e superato il punto più alto, ecco che l'Argentino ha ancora qualcosa di importante da dire. La stagione 2009/2010 è davvero monumentale. In quell'anno, complice anche l'arrivo di Lùcio, l'Inter compone quella che si rivelerà, a conti fatti, la coppia centrale più forte del mondo, almeno in quella stagione. L'Inter di Mourinho è una macchina difensivamente eccellente, ma il modo di giocare dei due centrali è qualcosa che esula da semplici logiche tecniche e tattiche, la sublimazione del duello attaccante-difensore in qualcosa di più simile a una tenzone o un incontro di lotta greco-romana. Samuel in particolare si è sempre dimostrato ancora più affidabile e sicuro del comunque ottimo Lùcio, dovendone a volte anche coprire le fughe palla al piede piuttosto estemporanee.


Il riferimento corre di nuovo alla sfida di ritorno a Barcellona: quella sera Samuel fu davvero la personificazione del muro su cui si infrangevano gli attacchi dei vari Messi, Ibrahimovic, Pedro, Iniesta, Xavi, tutti pronti a sfidare l'argentino in duelli che puntualmente li vedevano uscire sconfitti. Inutile dire che poi anche in finale a Madrid il muro si erse di nuovo anche davanti al Bayern Monaco, per conquistare anche quella Champions League e quel Triplete che hanno trasformato una carriera vincente come era quella di Samuel, in una straordinaria.

Sogni di bambino
Anche se non è un aspetto fondamentale per un difensore centrale, Samuel può vantare un discreto score in carriera, con più di 30 gol segnati, con un exploit alla Roma di cinque reti realizzate in un solo campionato. Walter è un ottimo esempio di difensore talmente abile da sfruttare le sue conoscenze per avere la meglio dei suoi colleghi: difficile da marcare sui calci piazzati, forte fisicamente e dotato di grande elevazione, è facile intuire che la maggior parte dei suoi gol siano arrivati grazie al gioco aereo. Ma uno in particolare esula da questa logica:


In un freddo pomeriggio di gennaio, a pochi minuti dalla fine, l'Inter sta perdendo a San Siro per 3 a 2 contro il Siena. Al minuto 43 del secondo tempo i nerazzurri agguantano il pareggio con Sneijder; per i più la partita potrebbe concludersi così, ma l'Inter di quella stagione è davvero una squadra che ci crede fino in fondo. Già da diversi minuti Samuel staziona stabilmente davanti, non solo sui calci piazzati. Ed ecco che al 93' succede l'incredibile: Lucio la gioca per Arnautovic che la spizza per Milito, palla al limite per Pandev che di prima la mette per Samuel. La ricezione è sul filo del fuorigioco, la girata repentina e il tiro un sinistro preciso, teso, da attaccante vero. Un gesto così naturale, istintivo, pulito, da far pensare che forse in quel momento lo spirito del giovane Walter Lujàn avesse preso il sopravvento. Samuel che esulta correndo senza maglia sotto la curva, come nei suoi sogni di bambino, è una delle tante belle pagine di storia scritte grazie a lui.

Fallo alla Samuel
"Quando un attaccante ti vuole umiliare con dribbling,veroniche e slalom, fagli sentire lo spessore dei tacchetti sullo stinco"

Dopo la vittoria del Triplete, come se improvvisamente avesse guardato la data di nascita sulla carta d'identità, Samuel pare tornare a essere umano e diventare repentinamente molto più simile a un difensore ultratrentenne. Qualcosa pare spegnersi in lui, e anche a causa di sempre più frequenti problemi fisici, millantati eredi e un naturale recupero sempre più lento dagli sforzi, nelle ultime quattro stagioni in nerazzurro il numero di presenze cala drasticamente, anche se la qualità rimane mediamente buona, e innegabilmente la sua assenza si fa sentire.

E proprio in queste ultime stagioni, complice anche l'avanzare degli anni, diventa sempre più una costante quello che molti definiscono il “fallo alla Samuel”. Quell'intervento sempre dopo due o tre minuti dall'inizio, duro, autoritario e spesso da dietro, per far capire al centravanti avversario con chi si avrebbe avuto a che fare quel giorno. Molto spesso nemmeno necessario per evitare un pericolo o fermare un'azione, ma importante anche solo a livello psicologico per mantenere tale l'aura di forza e sacralità che sempre meno accompagnava Samuel.

Il muro che non crolla
Al termine della stagione 2013/14, con quello che doveva essere il grande cambio generazionale dell'Inter, Walter segue i compagni e connazionali Zanetti, Cambiasso e Milito e lascia i nerazzurri con un toccante saluto collettivo. Forse un po' dispiaciuto per la mancata possibilità di giocare un altro anno a Milano, ma senza una lamentela, come nel suo stile, Samuel lascia l'Inter.

L'addio dello zoccolo duro argentino.


Essendo però ancora convinto di poter giocare e di sentirsi bene fisicamente, tra le numerose offerte ricevute, Samuel decide di accasarsi al Basilea. Nuovamente però diversi problemi fisici limitano ulteriormente il numero di presenze che può reggere, e anche se il contratto gli è stato rinnovato anche per la stagione appena conclusa, le apparizioni in campo sono state 28 nella sua esperienza svizzera. Walter Samuel, conscio di aver ormai raggiunto i limiti del suo fisico, decide quindi di ritirarsi ufficialmente.

In passato ha dichiarato di voler intraprendere la carriera da allenatore una volta appesi gli scarpini al chiodo, e contrariamente a quanto ci si aspetterebbe da un ex difensore, ha aggiunto che gli piacerebbe proporre un calcio votato all'attacco e molto offensivo. Un finale che avrebbe qualcosa di quasi poetico per uno che da bambino si faceva chiamare Walter Lujàn e sognava di fare l'attaccante, e poi è passato alla storia come Walter Samuel, semplicemente “The Wall”.


Articolo a cura di Nicola Santolini

venerdì 27 maggio 2016

Mr Dependable


Come e perchè Aaron Cresswell è diventato il miglior terzino d'Inghilterra

di Emanuele Mongiardo



La mia affinità elettiva nei confronti di Aaron Cresswell si è elevata dal mero stadio tecnico tattico a quello umano/affettivo durante gli ultimi test pre Euro 2016. Hodgson, parole sue, ha sfruttato le amichevoli con Germania e Olanda come accumulatore di esperienza per giovani in rampa di lancio o comunque per giocatori non abituati a palcoscenici internazionali. Ecco spiegata la presenza di Drinkwater in luogo di Carrick nonché la mancata convocazione di Leighton Baines, sicuramente il miglior terzino sinistro inglese del post Ashley Cole per rendimento e caratteristiche. L’assenza durante la prima parte di stagione del capitano dell’Everton per via di un’operazione alla caviglia ha creato una situazione di stallo nelle gerarchie di Hodgson per quel che riguarda il ruolo di terzino sinistro, costringendo la nazionale inglese ad un’incertezza comunque meno soffocante di quella che attanaglia Antonio Conte con gli azzurri: se nel caso dell’Italia la crisi nasce per difetto, col solo Antonelli titolare nel proprio club tra i papabili, l’indecisione di Roy deriva invece da una certa sovrabbondanza nello slot di laterale difensivo sinistro: Rose, Bertrand, Gibbs e Cresswell, senza contare gli infortunati Shaw e Gomez. Come detto, Hodgson ha preferito tastare ulteriori possibilità, come testimoniano le convocazioni di Danny Rose e Ryan Bertrand. A questo punto va in atto il paradosso che ha trasformato il mio apprezzamento per Aaron Cresswell quasi in compassione: Bertrand non può raggiungere la nazionale per via di un acciaccio; Roy vorrebbe convocare Gibbs che però è negli Stati Uniti col permesso dell’Arsenal. Ci sarebbe Cresswell, forse il miglior terzino per rendimento della Premier in una delle squadre rivelazione del 2015-16. Invece no, l’ex tecnico dell’Inter preferisce puntare su Rose sia contro i tedeschi che contro gli olandesi. 




Spulciando su Internet vi sono vari reclami, di tifosi hammers e non, per quel che riguarda la presenza del nativo di Liverpool in nazionale. Nel sottobosco di Google è possibile risalire a decine di articoli, un numero tale da far quasi concorrenza ai plebisciti pro Cassano online durante la seconda gestione Lippi. E se anche l’Inghilterra, come l’Italia, partorisce biennalmente orde di aspiranti CT, in questo caso l’opinione popolare non sembra così lontana dalla verità. Quella stessa verità secondo la quale la FA avrebbe usato Hodgson per rattoppare il mancato ingaggio del più oneroso Redknapp sulla panchina dei tre leoni, causando tutt’oggi il malcontento dell’opinione pubblica (p.s., secondo il buon Harry, Cresswell è il miglior terzino d’Inghilterra). Si ha come il sentore che, tra le mani di un condottiero più deciso dell’impacciato Roy, la nazionale potrebbe esplodere definitivamente, grazie anche alla miglior nidiata di talenti degli ultimi anni.

Sono certo che, in caso di mancata convocazione, Aaron la prenderà con filosofia, forse nella sua vita calcistica ha subito delusioni peggiori. Come nel 2004, quando a quindici anni il Liverpool gli annuncia di averlo estromesso dalle proprie giovanili perché ritenuto inadeguato fisicamente. «A Liverpool ero nello stesso gruppo di Martin Kelly. Sentirsi dire di dover abbandonare la squadra mi ha spezzato il cuore». Aveva iniziato da centrocampista centrale, ma proprio durante l’anno dell’esclusione si era trasferito sulla corsia mancina come terzino. E’ da lì che è ripartito, per conquistare il proprio posto nel mondo del calcio. Decide di guadare il Mersey e mettere il fiume tra sé e il proprio passato. Entra nelle giovanili del Tranmere Rovers, con cui esordisce in prima squadra nel novembre del 2008 in League One. Colleziona 70 presenze in tre stagioni, condite  da 5 gol e 5 assist. Le buone prestazioni con la maglia dei Rovers gli valgono l’interesse dell’Ipswich Town, club di metà classifica in Championship, l’anticamera della Premier League. L’offerta è impossibile da declinare, così si trasferisce nel sud della Gran Bretagna. Si impone da subito come titolare: è irrinunciabile, solo sei gare di campionato saltate in tre stagioni. Ciò che salta all’occhio è la facilità di calcio nei cross, sulle palle da fermo e in generale nei passaggi, sia alti che rasoterra, da cui deriva una certa predisposizione all’assist: nel 2013-14 ne serve addirittura 14. 





Cresswell ha raggiunto l’obiettivo minimo, la permanenza tra i professionisti. E’ il miglior terzino della Serie B inglese, la Premier non era così vicina dai tempi delle giovanili del Liverpool, nonostante ad Ipswich ottenga solo un nono posto come miglior piazzamento. Così nell’estate del 2014, mentre Candreva e Darmian regalano a Baines una delle serate peggiori della sua carriera, il West Ham ingaggia Cresswell per poco meno di cinque milioni di euro, di cui un 20% va a rimpinguare le casse del Tranmere Rovers, retrocesso in League Two e destinato per la stagione successiva alla National League. Anche in Premier Aaron si impone, non salta neanche un minuto, è inossidabile: Sam Allardyce, suo primo allenatore ad Upton Park, lo ribattezza Mr. Dependable, “Mr. Affidabilità”. A novembre arriva anche il primo gol, frutto di una taglio interno senza palla con cui soprende la difesa del Newcastle. 




A fine stagione gli Hammers raggiungono il sesto posto valido per i play off di Europa League, miglior piazzamento per la squadra dal lontano 1998-99. A fine anno, come di consueto, avviene la consegna ad opera della società dei West Ham Awards. Cresswell riceve il titolo di miglior acquisto dell’anno e di miglior giocatore della squadra durante la stagione. Mica poco per uno scarto dell’academy del Liverpool.



E questo Aaron non lo ha dimenticato: per ottenere il massimo ha dovuto prima rinunciarvi, una sorta di negazione di se stessi per giungere alla propria affermazione. Ha dovuto disimparare ciò che aveva imparato e forse si tratta ancora di una ferita marchiata a fuoco sulla pelle, come dimostrano le sue parole di biasimo a tratti nonniste nei confronti dei più giovani. «A Tranmere facevamo di tutto. Ai tempi delle giovanili pulivo corridoi,  scarpe e spazzavo a terra. Se qualcuno della prima squadra mi chiedeva di fare qualcosa io la facevo. Pulire le scarpe ai giocatori più grandi aiuta a mantenere i piedi per terra. Molti club inglesi hanno speso soldi per comprare ragazzi da oltremanica e non penso che i giovani delle squadre di Premier puliscano le proprie scarpe.  Io tutt’oggi me le pulisco da solo […] negli anni ho imparato che l’esperienza si acquisisce con le partite. Ad Ipswich in tre stagioni ne ho giocate circa centocinquanta. Ad alcuni ragazzi di oggi quello che manca è proprio l’esperienza». 

Anche sotto la guida di Slaven Bilic Cresswell si conferma giocatore imprescindibile. E’ come se in Italia Archimede Morleo (e resto del parere che a livello di piede lo sia) fosse diventato un terzino sinistro da nazionale (sono quasi convinto che Bruno Martella l’anno prossima possa aspirare a tale scalata). Non c’è l’epica della classe operaia che aleggia intorno a Jamie Vardy, ma la risalita di Cresswell è la rivincita di un certo tipo di interpretazione del ruolo, fatta di piedi buoni e intelligenza nei movimenti e nella gestione della palla, contro il modello di terzino ipercinetico e poco razionale tipico del calcio inglese. L’esplosione di Cresswell, se vogliamo, è un ulteriore sintomo della crisi del football d’oltremanica.

La differenza tra Cresswell ed il resto dei suoi colleghi intesi come terzini, sia di destra che di sinistra, emerge innanzitutto a livello muscolare: pur condividendone approssimativamente l’altezza non possiede né i quadricipiti di Clyne né la tracotanza garantita dalla larghezza del torace di Danny Rose. Si tratta di un terzino alto un metro e settanta per 67 chili di peso. Ovviamente il gap fisico si riverbera anche a livello di esplosività e corsa: non ha la capacità di scattare da fermo e lasciare sul posto il diretto marcatore, così come in allungo probabilmente non reggerebbe il confronto spalla a spalla con un avversario più aitante. Un altro aspetto deficitario proprio a causa della struttura fisica è la protezione del pallone: pur facendo perno sul proprio bacino l’aura protettiva di Cresswell sulla sfera non sembra così insormontabile. Ma come diceva Word in una canzone di Fabri Fibra ai tempi di UdM, la natura aggiusta i conti con la tecnica, ed è questo il paradosso che rende un giocatore non esattamente da Premier League il miglior terzino della NBA del calcio.

Sono convinto che se Guardiola a Manchester fosse costretto ad ingaggiare solo giocatori nati in terra d’Albione, uno dei primi acquisti sarebbe Aaron Cresswell. D’altronde, volendo scovare qualche parallelismo, si tratta di un calciatore che, seppur in giovane età, ha intrapreso un percorso con direzione uguale e verso opposto a quello di Lahm durante parte della gestione del tecnico catalano: centrocampista mutato in terzino l’inglese, terzino trasferito in mediana il tedesco. Soprattutto Cresswell si adatterebbe al ruolo di falso terzino. Sia chiaro, il movimento a rientrare verso il centro in fase di possesso non è un’opzione così esplorata nel contesto di gioco del West Ham. Tuttavia una serie di movimenti e scelte nelle giocate lasciano intendere che Cresswell sia limitato dal sistema di gioco elementare e alle volte approssimativo degli hammers e probabilmente sarebbe adatto ad un contesto di possesso palla e gioco posizionale. Non ama sostare sulla fascia, preferisce muoversi nella parte sinistra del campo sia in verticale che in orizzontale, a seconda di dove può essere più utile alla squadra e sempre in riferimento ai compagni, soprattutto quando si tratta di rapportarsi alla posizione di Lanzini e Payet. 



Il francese in particolare, com’è giusto che sia, è il catalizzatore della manovra e per caratteristiche ama spaziare e ricevere palla anche molto defilato per poi rientrare e smistare assist o tentare la conclusione. Uno dei temi più ricorrenti per quel che riguarda la squadra di Bilic è proprio la ricezione sulla fascia dell’ex trequartista del Marsiglia. Se avviene nella propria trequarti, ovviamente Cresswell si muove verso il centro per fornire un’opzione di passaggio al compagno. Quando invece questo tipo di sviluppo si manifesta a ridosso dell’area avversaria diventa automatica la sovrapposizione sia esterna che interna del terzino. 





E’ comunque una situazione di gioco non sfruttata a dovere da Bilic, che concede ampia autonomia ai propri uomini in fase offensiva: e come detto, Payet ama rientrare per calciare o per cercare l’assist sul lato opposto, piuttosto che premiare la sovrapposizione del compagno.





Tutt’oggi è difficile recitare un undici titolare fisso del West Ham. Una delle situazioni più interessanti proposte dal tecnico croato è il 3-4-2-1 in stile Paulo Sousa col quadrato magico a centrocampo, adottato nel pareggio casalingo per 3 a 3 contro l’Arsenal. In particolare Cresswell ha dimostrato, a dispetto del fisico, di possedere una capacità polmonare tale da permettergli di coprire tutta la fascia e allinearsi alla difesa per passare a 4 in fase di non possesso. Il vantaggio garantito da questo modulo è una maggiore libertà di movimento nella propria porzione di campo. Spesso i londinesi cercano la costruzione sulla fascia, meglio se a sinistra, per le sopracitate caratteristiche di Payet. Inoltre il dinamismo di giocatori tecnicamente e tatticamente agli antipodi come Noble e Lanzini li porta spesso a muoversi verso la corsia di sinistra, congestionando di fatto l’habitat naturale di Cresswell. Questa nuova disposizione, con Payet e Lanzini vertici alti del quadrilatero di centrocampo, gli ha permesso di avere il controllo totale del versante sinistro ed ha esaltato ulteriormente la sua caratteristica migliore: il cross.





Non credo di esagerare inserendolo nell’élite del calcio mondiale per quanto riguarda questo fondamentale. Cresswell è un AK-47, non si inceppa mai ed è funzionale da qualsiasi posizione e in qualsiasi condizione. Riesce a rendere insidiosi anche traversoni all’apparenza scontati da distanze considerevoli. Imprime una traiettoria al pallone che lo catapulta sempre nel nucleo di maggior pericolo dell’area e la parabola non entra mai nella sfera di influenza del portiere. Ha raggiunto un livello d’efficienza tale da riuscire a crossare perfettamente anche da fermo. In generale poi, l’indice di efficacia aumenta ulteriormente se il destinatario delle sue sciabolate si chiama Andy Carroll.

 
 
Pennellare un cross col minor spazio possibile

Altro tratto peculiare del carattere associativo di Cresswell è il gioco in verticale, anche con palloni filtranti. Ciò che lo contraddistingue è una visione di gioco sopra la media per il ruolo. E’ quasi sempre il primo uomo di riferimento durante la costruzione bassa. In questo senso è una scelta quasi obbligata: nessuno dei centrali a disposizione, Ogbonna, Reid, Collins o Tomkins, dispone di piedi e letture all’altezza. Per questo Adrian preferisce appoggiarsi sul proprio terzino sinistro. 





Anche in questo caso il sistema del West Ham e le scelte di Bilic risultano limitanti per Cresswell: la coppia di centrocampo Noble-Kouyate non offre molto aldilà del dinamismo e difficilmente uno dei due si propone in appoggio; è una situazione che pregiudica anche un eventuale riciclo del possesso con i difensori, poiché esporrebbe la retroguardia al pressing avversario, costringendola a lanciare nel vuoto. A questo punto resta l’opzione di passaggio più ovvia, la palla lunga per la punta, anche spalle alla porta: lungolinea quando l’attaccante è Sakho, verso l’area se il titolare è Carroll. E pur essendo un’opzione forzata, Cresswell riesce a sopraffare la banalità anche nell’esecuzione dei lanci, grazie ad una sensibilità del sinistro, sia con l’interno che con l’esterno, che lo ha portato ad effettuare una media di 1,1 passaggi chiave a partita (dati WhoScored), secondo tra i terzini solo a Kolarov che però ha nove presenze in meno dell’ex Ipswich Town.

 
Il lancio che genera il fallo su Antonio per il rigore del 2 a 0

Trasformazione da AK47 in Katana per tagliare il pallone con l’esterno

Il piede caldo potrebbe essere anche un’arma sui calci piazzati, difatti il dato dei 14 assist firmati due stagioni fa è “falsato” dal fatto che punizioni e angoli fossero appannaggio del terzino di Liverpool. A Londra, purtroppo per lui, da quest’anno c’è Dimitri Payet ad occuparsi delle palle da fermo; ciononostante l’anno scorso Aaron ha avuto modo di dimostrare la propria abilità contro lo Stoke City, castigando Begovic con un interno sinistro a giro sul secondo palo.





Ma la troppa confidenza col piede forte può essere un’arma a doppio taglio, specie se porta a trascurare quasi totalmente il destro. Difatti Cresswell cerca di utilizzare il meno possibile il piede debole, confermando quel luogo comune secondo cui un destrorso può diventare più facilmente ambidestro rispetto ad un mancino. Forzare la giocata col sinistro mette a nudo tutte le difficoltà di Cresswell nell’orientarsi col piede sbagliato. In alcune occasioni, quando riceve palla dal portiere ed è pressato con le spalle alla porta, anche se l’avversario lo attacca sul lato esterno preferisce rischiare e spostarsi la palla sul piede forte pur di non usare il destro. Un’incapacità strutturale che genera per esempio il primo gol siglato dal Bournemouth contro gli hammers nel pirotecnico 3 a 4 dello scorso agosto.





Anche in occasione di questo errore si noti come il divario fisico col diretto marcatore faccia la differenza. E bisogna tenere presente questo deficit anche quando si prova ad analizzare Cresswell dal punto di vista prettamente difensivo. Probabilmente nell’uno contro uno avrebbe difficoltà a coprire lo spazio dietro di sé, per questo prova a giocare sempre d’anticipo quando l’attaccante di riferimento è ancora spalle alla porta. In questo senso è libero di seguire il proprio uomo anche all’interno del campo o in zone più avanzate, perché sia Noble che Lanzini riescono ad offrire adeguata copertura, senza contare che alle sue spalle agisce un difensore rapido come Ogbonna. Questa ricerca esasperata dell’anticipo, quasi come fosse una scorciatoia per conquistare il pallone ed evitare di confrontarsi con le proprie lacune, ne ha impedito il miglioramento in altri fondamentali difensivi, come per esempio il tackle: sembra sempre impacciato quando si tratta di affondarlo ed oltre a non possedere la coordinazione necessaria, pare non abbia sviluppato sufficiente tempistica per questo tipo di intervento.

 
Aldilà degli esiti, notare come durante la scivolata ritiri le gambe per paura di commettere fallo da rigore

Tempistica che invece padroneggia in fase offensiva, sia nelle sovrapposizioni, sempre puntuali, sia nei dribbling. Non ha l’abilità nello slalom di Marcelo, né il controllo nello stretto di un giocatore come Bernat. Per questo nell’uno contro uno in fase di possesso ha bisogno di alcune condizioni ideali per superare l’avversario: è bravissimo ad intuire quando il difensore è abbastanza sbilanciato da poterlo saltare col cambio di direzione. Anche in questo caso la tecnica ed una buona capacità di osservazione restituiscono ciò che la natura non ha concesso.





A 27 anni Cresswell è nel pieno della propria carriera: anche quest’anno si è riconfermato Mr. Dependable, saltando solo il match di dicembre contro il Southampton. Sembra stia bene a Londra, ha firmato un prolungamento del contratto per altri 5 anni e si appresta a confrontarsi con l’Europa la prossima stagione. Pare che la scorsa estate abbia addirittura rifiutato offerte da parte di Manchester United e Chelsea. Ma per quanto possa essere gratificante affermarsi in Premier League dopo anni di gavetta e sacrifici, Boleyn Ground, e dalla prossima stagione il nuovo Stadio Olimpico, sembrano restrittivi per uno dei migliori calciatori inglesi del momento. Il Guardian qualche giorno fa riportava l’interesse del Liverpool per il suo ex canterano. Sarebbe la chiusura definitiva del cerchio oltre che un ulteriore upgrade per la sua carriera. Mi piace comunque ipotizzare che Guardiola già lo apprezzi ed intenda portarlo con sé all’Etihad Stadium. Potrebbe diventare il nuovo Lahm, o potrebbe agire da falso centrale difensivo alla Alaba, data l’abilità a verticalizzare e a muoversi in avanti; meglio ancora, se Guardiola volesse improntare i Citizens sul modello del Bayern sarebbe una perfetta macchina da cross. 

Il 2016 probabilmente verrà catalogato come l’anno delle rivincite: mentre quella di Jamie Vardy è una favola innanzitutto di riscatto sociale, quella di Cresswell è una stupenda storia di redenzione calcistica. Tra i 26 preconvocati di Hodgson non figurano né Cresswell né Baines, gli unici terzini di sinistra chiamati in causa sono Bertrand e Rose. Una scelta che, in coerenza con lo spirito della Premier, sembra premiare velocità e aitanza. Se nel caso di Rose si tratta di una scelta comprensibile, alla luce dell’ottima stagione del difensore del Tottenham, quella di Bertrand non è una convocazione altrettanto meritata, specie se l’Inghilterra dovesse avere problemi nella costruzione bassa.           

Le sliding doors non sono mancate nella carriera di Cresswell. Lui è stato bravo ad aprire quelle necessarie per riprendersi un posto tra i grandi. Chissà cosa sarebbe successo se non lo avessero scartato a quindici anni: magari a Basilea lo scorso 18 maggio ci sarebbe stato lui al posto di Moreno e avrebbe costretto Coke e Mariano ad una partita più difensiva. O forse avrebbe commesso gli stessi errori del collega spagnolo, beccandosi il doppio degli insulti.

Nei giorni scorsi sui tabloid è apparsa un’altra potenziale sliding door: si parlava di un interesse di Guardiola per il terzino del West Ham; di riflesso, sono apparse anche notizie riguardanti un ritocco dell’ingaggio. Certo, se Cresswell approdasse alla corte di un allenatore in grado di massimizzare il potenziale dei propri giocatori, potrebbe diventare senza discussioni il miglior terzino d’Inghilterra oltre che uno dei migliori d’Europa. A quel punto credo che Roy avrebbe dei rimorsi e concederebbe subito un’opportunità ad Aaron. Ma per ora si tratta di fantacalcio; in ogni caso si prospetta una stagione di ulteriore crescita grazie all’ingresso in Europa League, preliminari permettendo. Di certo Slaven Bilic non ha dubbi sull’uomo a cui affidare la propria corsia mancina.



Articolo a cura di Emanuele Mongiardo

mercoledì 4 maggio 2016

Dominio perpetuo

La Mercedes alza l'asticella e domina il Gran Premio di Russia più di quanto abbia fatto nei precedenti.

di Federico Principi







Il primo episodio che mi viene in mente pensando alla storia del Gran Premio di Russia (tre sole edizioni) è Rosberg che, nel 2014, attacca Hamilton alla prima curva bloccando però in maniera pesante entrambe le ruote anteriori. Il tedesco rientrerà ai box al primo giro per sostituire subito gli pneumatici soft danneggiati dal flatspot, sostituendoli con un treno di medie destinato a percorrere i restanti 52 giri senza alcun problema di degrado, uno stint senza precedenti per lunghezza in Formula Uno.

Nonostante tutto, Rosberg finì comodamente secondo.

Gomme di marmo
In quell'edizione la Pirelli non si è sbilanciata, evitando di portare la super-soft che invece ha giustamente obbligato ad usare nel 2015. Per questa stagione - con la nascita della nuova mescola ultra-soft - quello di Sochi avrebbe dovuto essere lo scenario perfetto per inaugurarla, con una pista estremamente dolce sulle gomme sia per conformazione (tante curve a 90 gradi e un solo curvone lungo, verso sinistra), sia per la consistenza liscia dell'asfalto. Quando la Pirelli aveva tuttavia dovuto deliberare le scelte delle tre mescole per i primi Gran Premi, la ultra-soft non era ancora stata provata nei test ed è stata quindi evitata, nuovamente con eccessiva precauzione.

Il prevedibile risultato è che la media è stata giustamente scartata da tutti nelle scelte iniziali (un set da portare, ma non da utilizzare, era obbligatorio). L'ultra-soft avrebbe mescolato molto di più le carte e messo in difficoltà gli strateghi.

Ulteriore testimonianza dell'inutilità della media è stato l'interminabile stint in simulazione gara del venerdì di Ricciardo, con gomme soft. Dopo oltre 20 giri su quella gomma i tempi andavano perfino migliorandosi (cosa che non accade mai dopo tutti quei giri), con un degrado praticamente nullo e una macchina sempre più scarica di benzina che permetteva il progressivo miglioramento.

Le gomme soft hanno ben 30 giri di vita. Nonostante il run sia lungo 20 giri, Ricciardo nel finale migliora progressivamente i tempi e scende costantemente sotto l'1:43. Il degrado è inesistente.

Con una pista così poco severa sulle gomme, lo scorso anno in qualifica tutti i piloti di vertice hanno registrato il tempo buono al secondo giro completo dopo l'uscita dai box, prendendosi un ulteriore giro di riscaldamento per le super-soft che (pur essendo le più morbide in assoluto) erano comunque difficili da mandare in temperatura. Le Mercedes in Q3 avevano percorso addirittura un lungo stint con un secondo tentativo buono al quarto giro completo dopo l'uscita dai box; con le super-soft ormai molto calde, macchina scarica di benzina che avrebbe dovuto permettere di migliorare il primo tempo e un giro centrale di raffreddamento per ricaricare al massimo le batterie dell'ERS. 

Nel 2015 in Q3 a Sochi soltanto le Force India avevano effettuato il time attack al primo giro buono. Ferrari, Mercedes e Williams avevano scelto la strada del giro di riscaldamento supplementare (il "fucsia" di Rosberg nel primo settore si riferisce al time attack che è appena partito, dopo aver fatto segnare un lento 1:46.620 di riscaldamento).

Come nel 2015, Ferrari e Mercedes hanno replicato le loro strategie: Raikkonen e Vettel, a differenza di Rosberg (Hamilton è stato bloccato da un problema elettrico), hanno percorso due stint inframmezzati da un veloce pit stop, nei quali il tempo buono sarebbe arrivato dopo un giro e mezzo di riscaldamento (eccezione di Vettel per il primo tentativo, con il tempo fatto registrare subito).

Solo Vettel e Perez (di nuovo dopo il 2015, evidentemente la Force India non ha problemi a mandare subito in temperatura le gomme) cercano il tempo al primo giro completo in Q3, mentre tutti gli altri si prendono un ulteriore passaggio per scaldare ancora le super-soft. Vettel nel secondo stint della Q3 seguirà a sua volta la tattica di scaldare le gomme per un giro supplementare.

Rosberg, a seguito dell'abbandono di Hamilton in Q3, si è sentito talmente onnipotente che nel secondo tentativo ha commesso un grosso errore, ininfluente dopo aver già registrato un tempo imbattibile per tutti. Ben più grave l'errore di Raikkonen all'ultima curva, che gli è costato la prima fila ai danni di Bottas, con Vettel costretto alla settima posizione (secondo in qualifica, ma penalizzato di 5 posizioni per la sostituzione del cambio). Gli uomini Ferrari hanno giustamente scelto di scontare la penalità in Russia (con il cambio danneggiato nel contatto al via con Raikkonen in Cina) per evitare di doverlo fare in piste come Spagna o soprattutto Montecarlo, dove effettuare sorpassi è un'operazione molto più complessa.

La prima parte di gara
Con gomme così relativamente dure, la strategia più naturale sarebbe stata quella con un'unica sosta. La partenza avrebbe così rivestito un'importanza ancora più elevata del solito: con strategie così bloccate, uno dei momenti più propizi a guadagnare posizioni sarebbe stato proprio quello del via.

Raikkonen ha guadagnato la posizione su Bottas, ma il vero caos si è scatenato alle spalle. Kvyat - dopo le polemiche con Vettel in Cina e le voci che lo vorrebbero allontanato in favore di Verstappen dalla prossima stagione - ha letteralmente perso la testa: il russo ha tamponato Vettel da dietro, da molto lontano, mentre il tedesco stava sorpassando in modo regolare Ricciardo, e lo ha tamponato una seconda volta nel lungo curvone successivo verso sinistra in maniera più che imbarazzante, causandone il ritiro. Le giustificazioni del russo stavolta non sembrano reggere.

Tra l'altro, la manovra di Kvyat ha danneggiato anche la gara del compagno Ricciardo.

La Safety Car è entrata immediatamente in pista e la Red Bull ha giocato una carta totalmente impronosticabile e assolutamente sbagliata: la gomma media. L'obiettivo chiaro era quello di sfruttare la neutralizzazione della vettura di sicurezza e percorrere tutto il resto della gara con la gomma più dura e senza problemi di degrado, ma le prestazioni della media in un tracciato così erano veramente scadenti, soprattutto alla luce dello stint di Ricciardo con le soft nelle libere citato in precedenza. L'australiano si è poi pentito, tornando sulla soft: il tutto nonostante, come visto sopra, la Red Bull è stata la vettura (insieme alla Haas di Grosjean e Gutierrez) che ha portato più treni di super-soft, ben 10 sui 13 totali. 

Le strategie di tutti i piloti. Ricciardo, tornando sulla soft nel finale, ha parzialmente limitato i danni: molto peggio è andata a Kvyat e Gutierrez, mai a proprio agio con la media.

Raikkonen ha avuto come al solito problemi con la ripartenza dalla Safety Car: come da fotocopia dello scorso anno il finlandese ha faticato enormemente a scaldare le gomme ed è stato immediatamente risorpassato da Bottas. Con un altro piccolo errore in un successivo corpo a corpo con il connazionale, Raikkonen ha perso un'ulteriore posizione a vantaggio del rimontante Hamilton, stavolta aggressivo nei duelli. Si è formato un trenino a 3 per la lotta alla seconda posizione, con il Campione del Mondo impossibilitato a sorpassare la freccia bianca Williams, sempre molto scarica di aerodinamica e velocissima in rettilineo.

La Williams aveva mostrato un ottimo passo gara nelle simulazioni del venerdì (anche se con meno benzina delle rivali). Nelle prime fasi di gara Bottas tappava sia Hamilton che Raikkonen ma non era così distante dal ritmo di Rosberg. La super-soft di Bottas è però calata molto prima rispetto a Ferrari e Mercedes, fedele alla tendenza della Williams di degradare molto in anticipo le gomme rispetto alle rivali (compresa la Red Bull).

Simulazioni gara delle prove libere in Cina. Con pressoché identico numero di giri percorsi sulla gomma (super-soft) e di giri percorsi nello stint, la Williams (sopra) è nettamente meno costante della più guidabile Red Bull, che è meno severa sugli pneumatici.

Quando Bottas è andato ai box al sedicesimo giro, Hamilton si è concesso un giro in più per due motivi: in primo luogo perché l'undercut (difensivo nel caso di Bottas) su questa pista (dove il degrado è nullo e anzi è più difficile andare forte nei primi giri con le gomme che rimangono fredde) sarebbe stato molto difficile per Bottas. In secondo luogo perché con il GPS avevano calcolato bene la sosta del finlandese, rientrato appena davanti a Grosjean: Hamilton e Raikkonen sarebbero finiti dietro al francese della Haas se avessero seguito Bottas in pit lane.

Nonostante un giro a pista libera con gomma soft nuova per Bottas, e nonostante la sosta del finlandese sia durata mezzo secondo in meno di quella del Campione del Mondo (2,7 contro 3,2 secondi) l'undercut è paradossalmente riuscito a Hamilton che si è fermato nel giro successivo. Raikkonen, ai box ben 4 giri dopo Bottas, riuscirà anche lui a passare il connazionale attraverso la strategia. Il finlandese stava registrando giri record personali a ripetizione, e se Hamilton non avesse passato Alonso all'interno del ventesimo giro nel rettilineo posteriore, il ferrarista avrebbe potuto addirittura soffiare la posizione anche al Campione del Mondo.

Secondo atto
Cominciava così una seconda parte di gara, molto differente. Rosberg, Hamilton e Raikkonen ancora distanziati come in Bahrain, con questi ultimi due stavolta a posizioni invertite.

Il gap tra Rosberg e Hamilton creato da Bottas nel primo stint, nel momento esatto della sosta del pilota Williams. Il finlandese ha accusato un violento degrado negli ultimi passaggi con la super-soft: in soli 3 giri ha contribuito ad allargare il gap tra le due Mercedes di ben 4,7 secondi, scavando un solco di oltre 13 secondi.

Il leader della corsa e del Mondiale vedeva il proprio margine su Hamilton assottigliarsi in corrispondenza dei propri doppiaggi, ma non è esattamente chiaro se fosse dovuto soltanto al corpo a corpo con vetture più lente. 

Rosberg non ha ancora raggiunto il gruppetto dei doppiati, ma il ritmo di Hamilton con le soft è già costantemente migliore.

Quel che è certo è che non appena è stato comunicato a Hamilton il rischio di avere un problema sulla pressione dell'acqua (solo sulla sua vettura), il Campione del Mondo ha alzato il piede dall'acceleratore e il gap da Rosberg si è riportato a distanza di sicurezza.

Sopra, il distacco tra Rosberg e Hamilton si è clamorosamente ridotto a poco più di 7 secondi quando arriva il team radio all'inglese per annunciargli dei problemi. Da lì in poi Hamilton perderà terreno nei confronti dei due più diretti rivali.

Kimi Raikkonen soffriva tantissimo il confronto con le Mercedes con le gomme soft, ennesima conferma delle difficoltà della Ferrari con pneumatici relativamente più duri (la soft a Sochi era veramente di marmo). Il finlandese si è riavvicinato a Hamilton solo dopo quella comunicazione radio all'inglese, ma l'accelerazione finale di Rosberg ha suggellato la netta superiorità Mercedes anche e soprattutto con questo tipo di mescola. 

Grafico dei tempi in gara in Bahrain (riferimento il tempo medio del vincitore, Rosberg). Nel primo stint i tre piloti di testa non sono comparabili (Raikkonen e Hamilton erano nel traffico). Il parallelo Rosberg-Raikkonen è interessantissimo: nel secondo e nel quarto stint (delimitati dalle cadute, che rappresentano le soste ai box) Rosberg guadagna qualcosa in più, mentre nel terzo le prestazioni sono pressoché uguali. Dove Rosberg guadagna entrambi sono sulle soft, mentre nella terza parte di gara sono su super-soft: è evidente quanto la Ferrari regga il confronto con le gomme più morbide, pagando qualcosa con le più dure. Dati Forix.

Nel frattempo Massa stava tenendo il ritmo di Raikkonen, ma la differenza di gestione delle gomme è estremamente diversa tra Ferrari e Williams: mentre Raikkonen accelerava negli ultimi passaggi, il brasiliano rientrava ai box negli ultimi giri dopo un brusco calo di prestazione, simile a quello di Bottas nel primo stint.

Grafico tempi in gara di Sochi (riferimento il tempo medio di Rosberg). Il tedesco alza il livello del proprio ritmo verso la metà di ogni stint (impennata finale verso il giro veloce). Tra il trentunesimo e il trentacinquesimo giro Rosberg rallenta in concomitanza con i doppiaggi e Hamilton ne approfitta, ma l'inglese rallenterà dopo la comunicazione del problema tecnico (al giro 37). Fino a quel momento Raikkonen non regge assolutamente il ritmo di Hamilton con gomme soft. Si notano anche le Williams: Bottas rimane un po' a contatto con Rosberg fino al decimo giro ma poi non lo segue più, e Massa è sui tempi di Raikkonen con le soft per una ventina di giri, prima di crollare. Dati Forix.

Rosberg si è aggiudicato la quarta corsa su quattro del 2016, la settima consecutiva, con statistiche che scomodano le stagioni trionfali di Michael Schumacher o del Mondiale di Mansell nel 1992. Il giro veloce lo ha fatto segnare al penultimo passaggio, e nell'ultimo giro ha fatto registrare il record assoluto nel settore centrale. Anche negli ultimi passaggi con la gomma super-soft il tedesco stava costantemente aggiornando il record sul giro: unito al fatto che lo stesso Raikkonen migliorava i propri parziali a ridosso della sosta, è evidente quanto quello di Sochi sia stato un appuntamento caratterizzato dal degrado nullo, e forse per questo motivo dovrebbe restare un'eccezione. 

Giro record al penultimo passaggio con migliori parziali assoluti nel primo e terzo settore.

L'addio al Mondiale?
Già con il problema elettrico, e la successiva sostituzione del cambio con 5 posizioni di penalità in partenza, Vettel sapeva che il suo Gran Premio di Russia sarebbe stato difficile. È diventato impossibile per colpa di uno scriteriato Kvyat. Raikkonen ha raggiunto il podio ma il ritardo in classifica piloti da Rosberg è ora di 57 punti per il finlandese e addirittura 67 per Vettel. In classifica costruttori la Ferrari paga 81 lunghezze dalla Mercedes. Un gap apparentemente incolmabile in entrambe le graduatorie.

Prima del Gran Premio di Russia era lecito chiedersi se i problemi di "clipping" accusati dalla Ferrari sia in Bahrain che in Cina - sottolineati da Cristiano Sponton e Alfonso di Filippo - si sarebbero ripetuti, e se lo fossero stati se si sarebbero accentuati. La Rossa ha infatti mostrato la tendenza a preservare (in gara) energia elettrica, attraverso mappature specifiche, a fine rettilineo per utilizzarne più del solito in trazione per avere un'erogazione più immediata, disturbata altrimenti dall'eccessivo turbo lag prodotto da una turbina eccessivamente grande sul motore termico 2016. In Russia ci sono moltissime curve in cui è richiesta trazione e due rettilinei lunghi (il primo in particolare), dove la Ferrari avrebbe dovuto "tagliare" velocità di punta.

Sopra, il grosso clipping che la Ferrari subisce in Bahrain (Raikkonen in foto) è mitigato in una pista con meno trazione e più percorrenza come quella della Cina (Vettel, al centro). Sotto: anche la Red Bull soffriva di clipping in Bahrain. Senza staccare il piede dall'acceleratore, la mappatura taglia potenza elettrica a fine rettilineo per distribuirla in erogazione in uscita di curva, compensando le difficoltà delle power unit Ferrari e Renault negli sforzi di trazione. Immagini "Funo analisi tecnica".

La Ferrari in questo senso ha opportunamente speso 3 dei 9 gettoni rimanenti per aggiornare la power unit con interventi alla camera di combustione, con successiva forte riduzione del fenomeno del clipping. Nonostante Vettel sia già giunto alla terza unità sulle 5 previste dal regolamento per coprire tutta la stagione, lo stesso Cristiano Sponton ha prospettato un interessante schema di rotazione nell'utilizzo delle power unit nel corso dei weekend tale da non eccedere oltre la quinta, fino a fine stagione, evitando la famigerata penalizzazione di 10 posizioni in griglia.

I problemi tecnici già pesano sul bilancio in classifica: il ritiro prematuro in Bahrain di Vettel e quello in Australia di Raikkonen hanno allontanato le Rosse in classifica, ma il doppio problema all'ERS di Hamilton nelle qualifiche di Cina e Russia denota una certa pressione in casa Mercedes e una conseguente insospettabile fragilità.

Rispetto al 2015, la Ferrari in qualifica ha ridotto in 3 dei 4 appuntamenti il proprio gap dalla Mercedes, cresciuto solo in Bahrain di poco più di un decimo. Non si può certo dire che a Maranello non abbiano compiuto progressi durante l'inverno, alla luce del successo sfiorato in Australia e del fatto che nei tre luoghi del delitto (Malesia, Ungheria, Singapore), dove la Ferrari aveva vinto lo scorso anno, il Mondiale non sia ancora transitato. In Russia però la durezza relativa degli pneumatici troppo elevata e la superiorità Mercedes nel recupero di energia erano ingestibili per una Ferrari ormai già tagliata fuori nella lotta al Mondiale.

Rosberg prosegue nel suo momento magico e ancora una volta è l'unico ad avere un weekend completamente pulito: Vettel e Hamilton per sfortuna e Raikkonen per deconcentrazione si sono estraniati dalla lotta per la vittoria già nei primi giri. Con Hamilton lontano 43 punti da Rosberg in classifica piloti, il tedesco della Mercedes è ormai il naturale favorito al titolo mondiale. Hamilton è però l'unico a disporre dello stesso mezzo meccanico, ancora superiore agli altri: la fame che lo ha sempre contraddistinto sarà necessaria per sovvertire una legge storica che ha sempre consegnato il Mondiale a chi vince tutte le prime 4 gare. Soprattutto in una stagione mai così lunga, con 21 Gran Premi totali.


Articolo a cura di Federico Principi