venerdì 14 aprile 2017

MVP! MVP!

Perché Russel Westbrook dovrebbe essere il miglior giocatore della stagione NBA.

di Michele Serra







Doverosa premessa prima di iniziare. Abbiamo assistito alla campagna per l’MVP probabilmente più avvincente di sempre, con quattro candidati in lizza, tutti meritevoli per varie ragioni. Chiunque, tra Westbrook, Harden, Leonard e LeBron debba vincere il premio, sarà comunque meritato, perché l’impatto che hanno per le loro squadre è enorme, ampiamente riconosciuto e testimoniato dalle cifre. Qui, però, ci sbilanciamo dalla parte di Russel Westbrook argomentando sui perché, secondo noi, il premio di MVP stagionale debba essere consegnato a lui.

Siamo tutti testimoni 
Lo slogan fu inventato per un altro personaggio, ma per Westbrook possiamo fare un’eccezione. Il numero 0 dei Thunder ha finito la stagione in tripla doppia di media (31.6 punti, 10.7 rimbalzi e 10.4 assist), 55 anni dopo Oscar Robertson, unico - prima di oggi - a riuscirci. A differenza di Big O, però, Westbrook ha un minutaggio ben più accettabile: 34.8 minuti in campo a partita, contro gli oltre 44 di Robertson. La NBA dell’epoca, inoltre, si giocava ad un ritmo molto più alto, gonfiando le cifre. I Cincinnati Royals di Robertson, per esempio, avevano un pace (possessi medi a partita) di quasi 125: questi Thunder si fermano invece a 100, pur rimanendo nella top 10 di questa classifica. Westbrook però ha fatto registrare uno lo usage rate più alto di sempre: 41.8%.

Dopo essere stato lasciato solo sulla nave dal co-capitano Durant, ci si aspettava che Russ giocasse questa stagione con le marce altissime, un po’ perchè il peso di una squadra senza troppo talento complessivo sarebbe caduto necessariamente sulle sue larghe spalle; un po’ per semplice rabbia, quella che l’ex UCLA ha sempre messo in abbondanza nel suo gioco, ma che, alla luce degli eventi estivi, non può che essere cresciuta. Lui dice di non giocare arrabbiato, ma di essere solo concentrato. Ha detto anche di non essere interessato alle cifre di Big O, ma ci permettiamo di non credergli. L’affermazione che più si sente quando vengono snocciolati i numeri dell’ex UCLA è “accumula cifre solo per se stesso”. Niente di più sbagliato, visto che il record dei Thunder quando Westbrook va in tripla doppia è 32-9 (praticamente due terzi delle vittorie di squadra).

Westbrook è il primo giocatore della storia NBA ad aver messo a segno una tripla doppia senza errori dal campo (contro Philadelphia) e ad aver fatto registrare in singola stagione due serie da sette triple doppie consecutive.

È il primo giocatore nella storia NBA (tra i giocatori con almeno 25 minuti di media) per Box Plus Minus - “una stima dei punti su 100 possessi a cui un giocatore ha contribuito, paragonato ad un giocatore medio x in una squadra media y”, per usare le definizione di Basketball Reference - con 15.7.

I Thunder sono 17esimi per offensive rating, con 105 punti su 100 possessi; senza Westbrook, però, il dato crolla a 97.4, cifra che, su base stagionale, li metterebbe all’ultimissimo posto nella Lega.

Quel che potrebbe fare la differenza per il numero 0 nella corsa all’MVP è il suo rendimento nel clutch, cioè nei momenti cruciali delle partite, quando il punteggio è in bilico. Tra i giocatori che hanno tentato almeno un tiro negli ultimi 3 minuti di partita (con una differenza di punteggio di massimo 3 punti), Westbrook è primo nella Lega con 3.4 punti segnati, praticamente uno in più del secondo in classifica, DeRozan. Tra l’altro, in questa situazione ha uno usage rate spaventoso, del 73%, e che chiaramente inficia la sua efficienza: tira solo con il 48% di effective field goal (la statistica che tiene conto della differenza tra tiri da due e da tre, assegnando un punto in più a questi ultimi). Solo nelle ultime settimane abbiamo avuto prova della sua abilità nel chiudere (o prolungare) le partite quando conta. Pensiamo al recentissimo tiro da tre con cui ha vinto la partita a Denver, spegnendo i sogni di playoff dei Nuggets. O quello contro Orlando, fuori equilibrio contro due giocatori dopo una feroce rimonta guidata da lui stesso con 28 punti nel solo quarto periodo.


Critiche (in)evitabili
Quando imprese del genere vengono realizzate da giocatori che non militano in squadre di vertice, la prima accusa che gli si rivolge è, come detto, quella di accumulare cifre senza curarsi troppo del contesto di squadra: nel caso di Westbrook stiamo parlando ovviamente di rimbalzi, in particolare, e assist.

Da più parti si è letto di come i compagni di squadra agevolino particolarmente l’accumulo di questi dati, ad esempio togliendosi di torno mentre Westbrook insegue un rimbalzo difensivo non contestato. Partiamo col dire che sì, c’è un fondo di verità nella cosa, ma è anche una conseguenza delle caratteristiche tecniche dei giocatori dei Thunder, dei lunghi in particolare. Gibson e Adams sono eccellenti rimbalzisti, abili nel tagliafuori, che eseguono in maniera tale da (anche) permettere a Westbrook di gettarsi sulle carambole difensive senza doversi curare degli avversari.

Westbrook ha circa 15 occasioni di rimbalzo a partita, primissimo tra gli esterni, ma l’80% dei rimbalzi da lui catturati è uncontested, cioè senza disturbo degli avversari (in totale, sono 8.5 a partita di questo tipo, primo nella Lega). Come ha sottolineato Royce Young in un suo recente pezzo, il motivo per cui le squadre tendono a lasciare che siano i Thunder a catturare i rimbalzi difensivi si spiega con la necessità di evitare transizione per quanto possibile, situazioni di gioco che OKC usa parecchio (16.4% dei suoi possessi) pur senza eccellere (1.08 punti per possesso, 17esima a pari merito con altre cinque squadre), ma in cui Westbrook è primo per punti di media, 6.8. Il tutto in maniera molto veloce: i Thunder impiegano 11.6 secondi di media per concludere un’azione dopo aver catturato un rimbalzo difensivo, sesti nella Lega (come riportato da Inpredictable).

Quello che però dovrebbe farci capire perché per lui le statistiche non sono un’ossessione, come lo è invece la vittoria, è il conto dei rimbalzi offensivi e soprattutto il modo in cui li cattura, spesso in situazioni molto difficili (stiamo pur sempre parlando di un giocatore di 193 generosi cm contro atleti alti anche 20 cm più di lui).

A volte Westbrook usa la furbizia, come qui, in cui spinge leggermente Murray per toglierlo di mezzo durante la lotta a rimbalzo:


...o qui, dove rientra in campo apposta per strappare un rimbalzo da una selva di braccia:


Per quanto riguarda invece gli assist, si tratta di una cifra ben più difficile da far quadrare, poiché dipende non solamente dal giocatore che si libera della palla, ma soprattutto dai giocatori che la ricevono e quel che ne fanno. OKC è la squadra che tira peggio da tre in NBA (32.7%), e quindi Westbrook deve cercare di apparecchiare al meglio la tavola per i tiri dei compagni. Pur non essendo un mostro di efficienza anche in situazioni di pick and roll (10.6 punti ma solo 0.89 per possesso con il 46% di efg, 71esimo percentile in NBA), il play usa spesso questa situazione di gioco (35%) per iniziare l’azione.

Non è infrequente vedere OKC giocare quello che si chiama “Spain pick and roll”, così definito perchè usato abbondantemente dalla nazionale spagnola di basket: uno screen che vede coinvolto anche un terzo giocatore, che blocca l’uomo del bloccante.

Qui l’esempio base, con Westbrook che lo utilizza per servire Adams, che colpisce con il floater dal pitturato che è ormai diventato il suo marchio di fabbrica (e anche uno dei tiri a più alta percentuale per i Thunder):


Da qui, poi, Westbrook può usare il pick and roll per andare al ferro:


...o servire un compagno, che finta il blocco (si chiama slip screen) e si posiziona oltre l’arco per colpire da tre:


Certamente, il nostro candidato MVP sa come gestirsi nell’arco di una partita, e non è un caso che le sue cifre in termini di assist raggiungano il punto più basso nel quarto quarto (1.9 a partita nell’ultimo periodo), mentre la media punti si alza (10). Prima cerca di mettere in ritmo i compagni, poi, quando c’è da vincere la partita, sale in cattedra da protagonista.

Tra l’altro, a testimonianza del lavoro svolto da Russell, c’è da notare come le percentuali al tiro di tutti i suoi compagni migliorino quando serviti da lui (tra quelli a cui ha riservato almeno il 4% dei suoi passaggi). In questa immagine ci sono le percentuali al tiro dei giocatori dei Thunder in stagione:


...mentre qui la percentuale tenuta quando serviti da Westbrook:


In conclusione, il discorso circa la candidatura del numero 0 per l’MVP è molto semplice. Westbrook non è il giocatore con il record di squadra migliore (anzi, negli ultimi 30 anni nessuna squadra al di sotto del terzo posto nella propria conference ha fatto vincere tale premio ad un proprio giocatore), né è quello più efficiente. Però è quello più determinante per le sorti della propria squadra, alla pari di LeBron, e autore di una stagione storica. Votarlo vorrebbe dire, in un certo senso, far parte di questa storia. Why not? 


Articolo a cura di Michele Serra