lunedì 26 giugno 2017

Scampato pericolo

L'Italia di Di Biagio supera la Germania e centra le semifinali

di Emanuele Mongiardo




La partita con la Germania rappresenta per l'Italia di Di Biagio l'ultima spiaggia per evitare di abbandonare anzitempo la Polonia. Un destino beffardo per il CT romano, messo spalle al muro da una sconfitta inaspettata proprio come due anni fa: allora era stata la Svezia a infliggere un sorprendente K.O. agli azzurrini, stavolta è toccato alla Repubblica Ceca. Così come nel 2015 dunque il destino dell'Italia è nelle mani di un'altra squadra: un'eventuale vittoria di Schick e compagni contro la Danimarca costringerebbe la nazionale a superare la Germania con almeno due gol di scarto.

L'Italia insomma è sull'orlo del baratro, vittima di un format estremamente elitario che sembra essere una reazione uguale e contraria (e dunque parimenti sbagliata) alle formule iper inclusive adottate da UEFA e FIFA a partire dagli scorsi Europei di Francia. Di Biagio in conferenza stampa aveva manifestato comunque una certa fiducia nel contesto tattico di Repubblica Ceca-Danimarca, in cui gli uomini di Lavicka avrebbero avuto per la prima volta nel corso del torneo il controllo di pallone e ritmi di gioco.

L'obiettivo degli azzurri dunque è vincere contro i tedeschi, quantomeno per raggiungere la soglia minima di sopravvivenza. Per farlo Di Biagio punta tutto sulla batteria di trequartisti e ali a sua disposizione, sacrificando Petagna che diventa ufficialmente il Thiago Motta della nazionale under 21 in quanto bersaglio numero uno di critica e tifosi. Per il resto giocano i titolarissimi nel consueto 4-3-3, con Gagliardini forse un po' snaturato nel ruolo di vertice basso di centrocampo.

La Germania invece, forte di due sonore vittorie contro Repubblica Ceca e Danimarca, vive una situazione di classifica piuttosto ambigua: rischia l'eliminazione in caso di vittoria dei cechi e contemporanea sconfitta con due gol di scarto, ma in caso di vittoria è certa di incontrare la Spagna di Saul e Asensio. Con la vittoria della Danimarca potrebbe però permettersi un passo falso con gli azzurri, assicurandosi la semifinale contro la meno temibile Inghilterra.

Nel dubbio il CT tedesco Kuntz si affida al suo undici di riferimento: Pollersbeck tra i pali, difesa a quattro con Kempf e Stark centrali di difesa e Gerhardt e Toljan terzini rispettivamente a sinistra e a destra. Dahoud e capitan Arnold compongono il doble pivote in mediana davanti a cui giostrano i trequartisti Gnabry, Meyer e Weiser. La punta è Selke, tecnico e creativo nonostante la stazza imponente alla Mario Gomez.

Si tratta la classica partita in cui entrambe le squadre puntano gli occhi sul campo e le orecchie sulla radiolina o sulle informazioni degli inviati Rai a bordocampo.



German style

Nonostante la posta in palio entrambe le squadre continuano a seguire il proprio spartito. La Germania cerca costantemente di creare superiorità numerica attorno al pallone, risalendo il campo coinvolgendo più uomini possibile nel palleggio. L'Italia invece è meno legata a un gioco di tipo posizionale e prova a sviluppare soprattutto sulle fasce con le combinazioni terzino-mezzala-ala.

Uno dei pochi punti di contatto tra le due squadre è la scelta di pressare alto.

Di Biagio in fase di non possesso sistema i suoi in un 4-1-4-1 con Bernardeschi prima punta. Inizialmente il trequartista della Fiorentina copre il centro per intervenire su un eventuale passaggio a Dahoud o Arnold. Sui mediani tedeschi si orientano le mezzali azzurre. Chiesa e Berardi devono invece attaccare il terzino di riferimento quando in possesso. Il passaggio da centrale a terzino rappresenta nelle prime fasi di gioco il momento in cui l'Italia scatena il pressing. L'ala del lato palla attacca il terzino mentre Bernardeschi si fionda sul centrale più vicino per escluderlo dal possesso. Contemporaneamente Pellegrini e Benassi attaccano il doble pivote avversario.

le linee azzurre indicano le direttrici del pressing italiano

Può accadere però che il pressing non sia eseguito con tempi perfetti e allora Bernardeschi resti tagliato fuori perché c'è stato il passaggio da un difensore all'altro. E' una situazione pericolosa perché sia Stark che Kempf, come quasi tutti i centrali tedeschi di ultima generazione d'altronde, sono dotati di ottimi piedi e visione di gioco e possono innescare Meyer o una delle due ali rientranti verso il centro. Di Biagio rimedia autorizzando una delle due mezzali a seconda del lato palla ad abbandonare il mediano di riferimento per uscire in pressione sul difensore in possesso, sempre cercando di oscurare la traccia verso i due centrocampisti avversari.



Dahoud e Arnold provano a uscire dalla zona d'ombra disponendosi in verticale o in diagonale l'uno rispetto all'altro. Il primo in particolare riesce quasi sempre a creare col movimento una linea di passaggio pulita per il difensore, eseguendo nei casi più estremi anche la salida lavolpiana. Quando il centrocampista del Moenchengladbach entra in possesso la prima opzione è la sventagliata su una delle due ali, di solito Gnabry, con licenza di puntare il terzino.

Si tratta di uno sviluppo estremamente diretto che confida innanzitutto nel talento sopra la media dei suoi interpreti, ma è comunque di un piano B da adottare quando ogni linea di passaggio verso il centro è otturata. Il vero intento della Germania è infatti occupare gli half space ai lati di Gagliardini per poi attaccare frontalmente la porta di Donnarumma. In questo senso è fondamentale il contributo di Meyer, una minaccia costante col suo movimento orizzontale ai fianchi del centrocampista dell'Inter.

Meyer e Selke tra l'altro tornano spesso utili in fase di possesso quando l'Italia indirizza la prima costruzione della difesa sulla fascia. A quel punto i due si allargano con movimenti incontro interno-esterno verso il lato palla, raggiungendo zone basse di campo in cui Caldara e Rugani preferiscono non addentrarsi. Rappresentano quindi un'opzione di passaggio libera: i difensori centrali non vogliono seguirli, i terzini sono impegnati con le ali, gli uomini in pressing hanno ciascuno un avversario di riferimento.


Barreca controlla Weiser, Pellegrini e Chiesa seguono Dahoud e Toljan. Bernardeschi esce in pressione su Stark. Selke viene incontro, riceve il lancio e appoggia per Dahoud che cambia gioco su Gnabry come se fosse la giocata più semplice del mondo

Per raggiungere la trequarti palla a terra e costringere l'Italia a difendere all'indietro la Germania sfrutta anche i movimenti dei due mediani. Si è detto di come Dahoud e Arnold si dispongano in maniera asimmetrica per cercare una zona di luce in cui offrire un appoggio ai compagni. Di solito il primo si propone ai difensori, mentre il centrocampista del Wolfsburg si alza. Può capitare che questi decida di andare oltre allineandosi con Meyer e determinando il passaggio momentaneo dal 4-2-3-1 al 4-3-3. Le due mezzali allora occupano lo spazio ai lati di Gagliardini dietro Pellegrini e Benassi, che devono restare più avanzati per poter eventualmente uscire in pressione sui difensori. Stark e Kempf però, come detto, hanno buone doti di distribuzione e riescono spesso a innescare Meyer e Arnold. A quel punto però la Germania non riesce a sfondare perché l'Italia è brava a ricompattarsi e a difendere la propria area di rigore.

il triangolo di centrocampo tedesco con Meyer e Arnold alle spalle delle mezzali avversarie e ai lati di Gagliardini. Qui Dahoud raggiunge Meyer con un laser pass

Oltre i limiti

Sin dal percorso di qualificazione, passando per l'esordio vincente con la Danimarca, l'Italia di Di Biagio non ha mai entusiasmato per fluidità nella costruzione e nella definizione. Non è casuale che il gol non sia figlio di un possesso ragionato o di una rapida combinazione tra gli attaccanti, bensì di una fase di pressione alta molto ben applicata. Alla mezz'ora del primo tempo gli azzurri ostacolano una rimessa dal fondo tedesca: Bernardeschi copre Dahoud che si propone, Chiesa e Berardi controllano i terzini. Le mezzali partono più arretrate, pronte poi come al solito a scattare sui mediani. Stark riceve dal portiere, allora Chiesa abbandona Toljan per pressare il centrale che a quel punto va da Dahoud; il giocatore di origine Siriana è pressato da Bernardeschi e alle sue spalle da Pellegrini che in tackle recupera palla e spalanca la porta al proprio numero dieci. Col gol dell'uno a zero l'Italia viene a capo di una situazione estremamente complicata, grazie anche alla contemporanea vittoria danese.



Difatti l'Italia, così come la Germania, con le proprie trame non riesce a impensierire Pollersbeck. Da allievo di Zeman Di Biagio vuole costruire principalmente sulle fasce, coinvolgendo terzino, mezzala e ala. I tre giocatori sono in continua rotazione e si scambiano spesso la posizione. Il miglior interprete di queste giocate, forse anche perché abituato ad eseguirne di simili con Di Francesco, è Berardi: l'ala di Cariati legge bene i movimenti di mezzala e terzino ed è eccellente nella protezione di palla spalle alla porta. La sua assenza potrebbe essere più pesante del previsto contro i terzini della Rojita, non proprio irreprensibili quando si tratta di orientarsi sull'uomo.

Esistono dunque degli schemi creati per le catene laterali che però vengono eseguiti in maniera acritica dai giocatori, senza capire quando è conveniente provarli e quando occorre invece tornare indietro e avanzare in un altro modo. Un'interpretazione che li rende ripetitivi e per questo facili da leggere per gli avversari.



Se si riesce a mantenere il possesso in fascia un'opzione importante è lo scarico su Gagliardini che cambia gioco sul lato debole, sfruttando le scalate del 4-4-2 tedesco in fase di non possesso. A questo punto l'ala che riceve può decidere di puntare il diretto marcatore o premiare la sovrapposizione del terzino.

Anche quando con un passaggio dalla difesa (ottima prestazione di Rugani e Caldara anche in fase di costruzione) si innescano centralmente le mezzali, si cerca subito l'appoggio su Berardi e Chiesa che possono, ancora una volta, rientrare o servire i terzini sulla corsa.

Spesso l'Italia giunge al cross, portando in area stabilmente Pellegrini, Benassi e l'ala del lato debole. In questo contesto l'impatto di Bernardeschi sulla fase di possesso purtroppo è minimo. Innanzitutto perché la ricezione tra le linee è diversa da quella tipica della Fiorentina di Sousa: con i viola Federico rientra dalla fascia e riceve spesso in movimento, orientando con lo stop conduzione e posizione del corpo; qui invece deve abbassarsi e giocare spalle alla porta, situazione in cui può migliorare sensibilmente ma che spesso lo porta a commettere errori tecnici per via della pressione e dell'impatto fisico del difensore. In più giocando da attaccante centrale non viene coinvolto nelle interazioni laterali che caratterizzano il gioco dell'Italia. Certo, l'ex crotonese ha pressato per tutta la partita e ha siglato il gol vittoria, ma il suo schieramento da prima punta in luogo di Petagna non ha garantito alcun vantaggio tattico.

Verosimilmente contro la Spagna il nove atalantino tornerà titolare, con Bernardeschi dirottato nella sua comfort zone. L'ingresso di Petagna permetterà di appoggiarsi a lui anche con i lanci, situazione alle volte utile per una squadra con difficoltà nella risalita palleggiata del campo. Senza dimenticare che nel contesto delle nazionali under 21 il centravanti orobico ha dimostrato di saper sfruttare a proprio vantaggio il contatto con difensori acerbi che si lasciano aggirare dal suo uso del fisico.


pensateci due volte prima di dire che Petagna è scarso


La Rojita è la nazionale con più talento in questo Europeo. Tuttavia è una squadra che talvota preferisce lasciare il pallone tra i piedi di avversari anche inferiori come la Macedonia. Proprio il match con la nazionale slava ha palesato le difficoltà della Spagna nel difendere posizionalmente; i macedoni hanno raggiunto più volte la trequarti col possesso palla e la difesa ha sofferto particolarmente i tagli delle ali tra terzino e centrale. Se l'Italia non ama sviluppare il possesso palla per attaccare gli spazi di mezzo, può comunque contare sui movimenti in profondità dei propri esterni.

Dal punto di vista difensivo sarà importante non lasciare troppo solo Gagliardini a centrocampo; contro la Germania le corse all'indietro hanno permesso di isterilire le ricezioni di Meyer di fianco al nostro numero diciotto, ma contro Asensio potrebbe non bastare. Per non rinunciare alla pressione delle mezzali, si potrebbero invitare Caldara o Rugani a uscire in maniera aggressiva, quando possibile, sull'avversario tra le linee.


Sarà bene concentrare la produzione sulla fascia destra, anche perché a sinistra un giocatore che punta molto sull'atletismo in conduzione come Chiesa potrebbe andare in difficoltà con un difensore altrettanto rapido quale Bellerin. Da tenere d'occhio il duello tra Bernardeschi e uno tra Jonny Castro e Gaya, spesso lacunosi dal punto di vista difensivo. Sulla nostra destra tra l'altro agisce di solito anche un centrocampista poco propenso a difendere come Suarez senza dimenticare che Asensio potrebbe essere sgravato di qualche compito difensivo. Attaccare con costanza la loro catena sinistra potrebbe essere un dettaglio decisivo, in una partita in cui piccoli accorgimenti potrebbero fare la differenza.



di Emanuele Mongiardo

venerdì 16 giugno 2017

Assistere alla storia

Qualche considerazione sulla serie finale tra Warriors e Cavs.

di Michele Serra (
@ElTrenza93)






Le Finali NBA 2017 tra Cavs e Warriors dovevano servire per consolare gli appassionati del Gioco rimasti delusi da questi playoff, senza molte partite davvero divertenti e, soprattutto, nessuna sorpresa: si può dire che siano riuscite nel loro intento. Il risultato finale di 4-1 da parte di Golden State, che vince il suo secondo titolo in tre stagioni, dopo la cocente delusione dello scorso anno, racconta solo in parte il film di queste Finals. Il livello del basket giocato è stato davvero alto, il migliore che la NBA attuale potesse offrire, e a giocarsi l’anello sono state le due squadre che ci si attendeva ad inizio stagione, quando non si aspettava altro che di capire chi sarebbe uscita vincitrice dal terzo capitolo di questa saga che, ancora una volta, non ha deluso le aspettative.

Un inizio traumatico
Le prime due gare della serie sono state un bagno di sangue per i Cavs, che hanno sbattuto la faccia contro Golden State come se non avessero nemmeno avuto modo di studiare i loro avversari. Benché si potesse, a buon diritto, pensare il contrario, i Cavs hanno deciso di giocare allo stesso gioco dei californiani, cercando di correre e di attaccare a ritmo alto, colpendo con le transizioni offensive. 

Quello che però contraddistingue i Warriors dalle altre squadre è il saper giocare a ritmo alto (quasi 103 di pace nei playoff, secondi solo ai Blazers), senza perdere troppi palloni (13.6 palle perse nei playoff: 11esimi, ma imparagonabili a squadre come Utah, Memphis e Milwaukee che giocano a ritmi molto più lenti). Da questo punto di vista, gara 1 è stato un massacro, con i Cavs che commesso ben 20 turnover a fronte dei 4 (record all-time in una gara di finale) di Golden State. I palloni persi da Cleveland hanno fruttato agli avversari ben 21 punti, arrivati anche a causa di una difesa Cavs tragica in transizione (la squadra di Lue è quarta nei playoff per punti subiti da questa situazione di gioco, e prima per punti totali concessi). Quello che si è visto è la totale mancanza di comunicazione tra i giocatori, una mancanza di urgenza, in un certo senso (colmata, sì, con l’avanzare della serie, ma mai sparita del tutto), e, soprattutto, il terrore a concedere un centimetro di spazio ai tiratori Warriors.


Questo è il caso più lampante, ma ce ne sono anche altri, soprattutto nelle prime due gare. Durant cattura il rimbalzo difensivo, Supera la metà campo e davanti si trova Irving che fa segno a LeBron di rimanere su Curry, salvo poi finire anch’egli per spostarsi, forse per raddoppiare Curry, forse perchè temeva ci fosse qualcun altro tiratore appostato, o forse non sa nemmeno lui il perchè: fatto sta che viene concessa un’autostrada per il canestro a KD. Cose come questa si sono viste sempre più raramente, non fosse altro perchè Cleveland ha tagliato il numero di palle perse, che invece è salito tra i giocatori di Golden State, che a volte ha il difetto di piacersi troppo e di tentare giocate ad effetto quando non ce ne sarebbe il bisogno. In gara 2, i Cavs hanno sfruttato alla grande le palle perse di Golden State - 20 - fino a che sono rimasti in partita. Di queste 20, però, solo 7 sono arrivate nel secondo tempo, quando i Warriors hanno preso il largo.

In gara 1 abbiamo assistito ad un vero e proprio show difensivo di Klay Thompson e Draymond Green che, pur avendo combinato un tragico 6-28 dal campo, hanno giocato una magistrale partita difensiva. Thompson ha concesso un solo canestro - su 12 tentativi - ai giocatori che si è trovato a marcare. Nonostante il rendimento sotto la media messo in mostra nei playoff, Thompson attira sempre le attenzioni delle difese con i suoi movimenti senza palla: stiamo parlando pur sempre di uno dei migliori tiratori NBA, che ha finito la serie con il 42.5% da 3. Qui un esempio di quanto appena detto:


sul taglio del numero 11, LeBron e JR Smith non comunicano, non sarà l’ultima volta, e si mettono sulle sue tracce, lasciando però Durant indisturbato a ricevere e a tirare, per un gioco da quattro punti.

Green, invece, ha messo in mostra le sue qualità da safety NFL gravitando al centro dell’area e spostandosi, con velocità e abilità nelle letture, nel punto in cui si muoveva il pallone.


Qui l’ex Michgan State è fermo in mezzo all’area in attesa dell’entrata di LeBron. L’aiuto di Green sulla penetrazione sconsiglia a James di attaccare il ferro, preferendo scaricare sul perimetro, dove però c’è appostato Thompson, che recupera il pallone e fa ripartire il contropiede, finito senza alcun disturbo della difesa. In gara 1, Green si è permesso più volte di lasciare anche il proprio marcatore designato, molto spesso Love, per pattugliare l’area. Se la difesa di Green è stata all’altezza del giocatore, lo stesso non si può dire dell’apporto offensivo, che si è rivelato spesso un punto a favore per gli avversari. Cleveland non ha mai rispettato il tiro di Dray, che lo ha mandato a bersaglio nella serie con un misero 28% (7-25), e solo il 30% nelle triple non contestate (esattamente 4 a partita). Il numero 23 dei Dubs ha dato l’impressione di essere anche molto nervoso; ha commesso 4.4 falli a partita rimanendo in campo per 35 minuti di media, e limitando allo stesso tempo la presenza in campo della Super Death Lineup, cioè il quintetto senza centri dei Warriors. Questo anche per i problemi al tiro di un altro Warrior, cioè Iguodala, che, con alle spalle anche un problema fisico patito contro gli Spurs in finale di Conference, ha mandato a bersaglio il tiro da 3 con il 33% (su 3 tentativi a partita), pur mettendo in mostra la solita, eccellente difesa su LeBron, che marcava per esonerare Durant da compiti difensivi quando in campo assieme, ma anche su Kyrie.

MVP 
Ad uccidere le velleità di vittoria dei Cavs in gara 2 è stato Kevin Durant, schierato in un’inedita posizione di centro (ruolo che in stagione aveva coperto solo per 8 minuti). L’MVP delle Finali ha la stazza per poter giocare da 5; ma se in stagione regolare si preferisce evitargli il logorio fisico che battagliare contro uomini di 130 chili comporta, in Finale, vuoi per la frequente mancanza di centri in campo, Kerr ha deciso di dargli una chance, con risultati eccellenti. Durant ha finito la serie con 35.2 punti, 8.2 rimbalzi, 5.4 assist con il 64% di effective field goal (la statistica che tiene conto del maggior valore del tiro da tre punti), finendo per essere anche il quarto giocatore di sempre a segnare almeno 30 punti nelle prime cinque gare di una Finale (dopo Elgin Baylor, Rick Barry, Jordan e Shaq). Cleveland gli ha alternato tre giocatori in marcatura. LeBron se n’è preso carico in tutta gara 1, mentre nelle successive uscite si è deciso di dargli un po’ di riposo delegando la marcatura anche a Shumpert e Richard Jefferson. L’ex Knicks ha atletismo e fisico, ma rende all’avversario quasi 15 cm, e in attacco è stato tragico, costantemente ignorato dalla difesa (che infatti metteva Curry sulle sue tracce). Jefferson, invece, merita due parole più avanti.

Quando si vede KD giocare, l’occhio si sofferma chiaramente sulla bellezza del suo gioco offensivo, così naturale ed efficace. Ma la verità è che l’ex OKC è anche un eccellente difensore in grado di marcare praticamente tutti e 5 i ruoli, accompagnando gli esterni al ferro, curandosi del miglior giocatore avversario o fungendo da rim protector con le sue lunghissime braccia. Ecco un paio di esempi da gara 2.


Qui Cleveland cerca il mismatch con Curry su un p&r, cosa che ha fatto durante tutto l’arco della serie (ed anche nelle scorse Finals). McGee è costretto a passare su LeBron lasciando il proprio marcatore, Frye, che taglia a canestro, dove però trova Durant, che lo stoppa e guadagna il possesso del pallone.


In quest’altro caso, invece, stoppa Love in un 1-contro-1 spalle a canestro, si catapulta in attacco, dove supera James in palleggio e conclude con un circus shot nonostante la difesa di Love e il ritorno di James. Per l’impatto avuto su entrambe le metà campo e l’efficienza del suo gioco, Durant è, meritatamente, l’MVP delle Finals 2017.

Senza voler nulla togliere a Curry, però, che ha giocato una serie strepitosa, dopo quella, sottotono, dello scorso anno. Steph, finalmente sano dopo i guai al ginocchio dello scorso anno, ha giocato playoff e Finali strepitose, terminando queste ultime con medie di quasi 27 punti, 8 rimbalzi e 9.4 assist, steccando solo una gara, la quarta, guarda caso persa da Golden State. I Cavs sono “storicamente” una squadra contro cui il due volte MVP faticava parecchio, per via dell’incredibile dispendio fisico su entrambi i lati del campo. In attacco, i difensori avversari hanno cercato in tutti i modi di rendergli difficile ogni singola ricezione mettendogli le mani addosso e raddoppiandolo sui p&r alti (mossa, questa, che si è vista meno rispetto allo scorso anno, e comunque soprattutto nell’ultimo capitolo della serie, quando Golden State ha deciso di affidarsi soprattutto alle capacità di Steph di giocarlo). Anche in difesa è stato inserito in qualsiasi pick and roll, sia che a portare palla fosse Kyrie o LeBron, per cercare di creare mismatch favorevoli. Solo la presenza di Durant, di questo Durant, gli ha tolto un premio di MVP che avrebbe certamente meritato. Chi aveva sminuito lui e il suo gioco dopo gli scorsi playoff, dovrebbe avere avuto svariati argomenti per rivedere la propria tesi (che comunque era errata di partenza, chiariamo).

Troppo tardi
Dopo la vittoria in gara 4, sul web si è tornato a scherzare sul famigerato “Warriors blew a 3-1 lead”, ignorando il fatto che questa volta il vantaggio era arrivato fino al 3-0, che mai nessuna squadra è stata capace di rimontare un deficit simile in Finale NBA e che sì, questi Warriors sono decisamente più forti di quelli dello scorso anno, con KD e Steph sano.

Va dato merito alla squadra di Lue di essersela giocata a viso aperto, di aver tenuto la serie competitiva più di quanto dica il risultato e di aver fatto aggiustamenti per raddrizzarla dopo le prime due, disastrose uscite. Come era ampiamente prevedibile, la difesa di Cleveland ha faticato terribilmente, soprattutto lontano dalla palla e nella comunicazione dei blocchi e dei cambi da effettuare. Cose come quelle di gara 1, che abbiamo visto sopra, non sono più capitate (o comunque in maniera molto più sporadica), ma le amnesie difensive non sono mai mancate. I Warriors hanno ripagato Cleveland della stessa moneta, individuando Kevin Love come anello debole della loro difesa, attaccandolo ripetutamente. L’ex Minnesota ha avuto un atteggiamento troppo passivo, in alcuni casi, rimanendo troppo basso (come a difendere l’area da una penetrazione) e lasciando spazio al tiratore. In altri casi, si decideva per non intrappolare Curry sul p&r, lasciando il numero 30 faccia a faccia con Love, che veniva sistematicamente portato al ferro per un canestro facile.


Qui un esempio di mancanza di comunicazione, con Love e Shumpert protagonisti. I due Cavs raddoppiano Durant su un pick and roll dimenticandosi completamente Green: nessuno dei loro compagni ruota in mezzo all’area e il 23 schiaccia comodamente. Come detto, questi episodi si sono verificati varie volte, nella serie, a maggior ragione quando non c’era James sul terreno di gioco. LeBron ha avuto, com’era prevedibile, un minutaggio altissimo, e ogni qual volta si prendeva un minuto di pausa, Cleveland era totalmente incapace di tener testa ai Dubs. Con il Prescelto in panchina, Cleveland ha avuto un net rating di -13.8, nettamente il peggiore di squadra. Richard Jefferson, che lo generalmente prendeva il sui posto, è totalmente incapace di prendersi un tiro da solo, e in generale ha faticato terribilmente a trovare il canestro: tutti i suo tiri sono stati open o wide open secondo i criteri di NBA.com, e di questi ultimi non ne ha mandato a bersaglio neppure uno (su 0.8 tentativi a partita). Al contrario, l’ex università di Arizona si è ritagliato un ruolo come passatore sui pick and roll, in cui è stato particolarmente coinvolto sopratutto in gara 4, quando marcato da JaVale McGee (altro giocatore spesso inserito su pick and roll per la sua incapacità a tenere le penetrazioni uno-contro-uno).


Quando gli è stato chiesto quando avesse sviluppato questa caratteristica del suo gioco, Jefferson è stato molto onesto, rispondendo “in realtà ho iniziato a farlo solo da un paio di giorni”.

Avere LeBron in forma è l’unico modo che hanno i Cavs di giocarsela davvero, e non è un caso che, nei secondi tempi delle prime tre gare, il 23 abbia tirato meno o peggio rispetto al primo tempo, magari tentando maggiormente il tiro da fuori anziché andare a canestro per punti più facili, sperando di riempire di falli i giocatori di Golden State. In gara 3 LeBron e Kyrie si sono accesi per 78 punti combinati, mentre Love ha chiuso con soli 9 punti e un -11 di plus/minus. Peccato che il minutaggio dei due (45 e 44 minuti, rispettivamente) li abbia fatti arrivare in apnea a fine partita. Negli ultimi tre minuti, complice una buona difesa dei Warriors, i Cavs hanno subito un parziale di 11-0, tra distrazioni e semplice bravura degli avversari, condensata nel canestro del sorpasso da parte di Durant in faccia a James. Per Cleveland ci sono stati 16 punti di JR Smith, che ha cominciato le Finali con due partite di ritardo. Nelle ultime tre gare ha tirato 17/27 da 3 (63%) contro il 25% delle prime due (1/4). Love, come detto, ha chiuso con soli nove punti ma anche 13 rimbalzi e 6 palle rubate. La serie di Love è stata in chiaroscuro. Offensivamente, non è mai riuscito a mettere insieme due partite buone consecutive (in gara 5 ha giocato poco per problemi di falli, in una partita in cui gli arbitri non facevano passare il minimo contatto). In difesa, i suoi difetti nella marcatura del pick and roll sono stati spesso esposti, ma ha avuto modo di rendersi utile in altri modi. Coi rimbalzi, ad esempio, uno dei suoi punti di forza. La sua rebounding% è la più alta tra i Cavs (18.9), e dei suoi 10.4 rimbalzi di media, il 32% è contestato. Ha anche fatto registrare 2.8 deviazioni e 2.4 palle vaganti catturate a partita, mostrando voglia di lottare su ogni pallone.

Chi invece ha deluso parecchio è stato senza dubbio Tristan Thompson, vero e proprio fattore X nella vittoria dell’anello lo scorso anno, fantasma in questa serie, perlomeno nelle prime tre gare. Bisogna dire che Pachulia, nei minuti in cui è rimasto in campo, ha svolto un ottimo lavoro contro di lui nel tagliafuori, ma non si può spiegare solo con questo il rendimento insufficiente del lungo canadese. Thompson (che ha fatto registrare nemmeno 6 rimbalzi di media a partita) è entrato nella serie nelle ultime due gare, dando ai Cavs possessi extra con la sua presenza a rimbalzo offensivo e anche una inaspettata mano come scorer (15 punti in gara 5): pochissime volte abbiamo visto TT attaccare il tabellone con questa aggressività, regalando nuove opportunità offensive ai suoi.


Ultimo, ma non meno importante, Kyrie Irving. L’ex Duke ha subito per tutta la serie l’eccellente difesa di Klay Thompson, a cui a preso le misure dopo averlo sofferto particolarmente nelle prime due gare, segnando 38, 40 e 26 punti nelle ultime tre partite della serie in tutti i modi possibili: in acrobazia al ferro, dal mid-range e anche da 3 (ma solo 2-13 in gara 2 e 3, per una percentuale complessiva nella serie del 42%).


Difficile rimproverare qualcosa ai Cavs. Certo, gli errori difensivi ci sono stati, e anche parecchi, come si era già notato nelle altre serie playoff della Eastern Conference. Se LeBron è il giocatore più forte del mondo, Durant ha giocato esattamente al suo livello, e la potenza di fuoco dell’attacco di Golden State non ha lasciato a Cleveland la possibilità di giocarsela  (con armi che, peraltro, né i Cavs né nessun altra squadra attualmente in NBA possono dire di avere). Difficile prevedere se i Warriors domineranno la Lega senza possibilità di appello nei prossimi 4-5 anni - in fondo pensiamo a quanto i campioni 2016 siano andati vicini a pareggiare la serie, non fosse stato per gli ultimi tre minuti di gara 3.

Di sicuro, le altre 29 squadre dovranno escogitare qualcosa di nuovo e finora imprevedibile, o affidarsi unicamente alla fortuna. 



Articolo a cura di Michele Serra