Il gruppo pop rock salentino dei Toromeccanica gli ha persino dedicato una canzone: "L'estate di Hubner". Perché se bisogna trovare un'icona per calarsi in una dimensione ormai sparita del nostro calcio e della nostra vita, è a uomini come lui che bisogna rivolgere lo sguardo.
di Nicolò Vallone
542 presenze in 17 anni da professionista, con 244 gol tra
campionati e coppe. Se ci limitiamo al solo campionato di Serie A, 143 presenze
e 74 gol. E tante Marlboro rosse: una ventina al giorno (pare che fumasse anche
nell'intervallo delle partite). Il tutto condito da grappa in abbondanza.
Signore e signori, ecco a voi Dario Hübner, nato nel lontano 1967 nel sobborgo
triestino di Muggia, colui che condivide con un altro idolo degli anni '90-inizio
2000, Igor Protti, l'onore di aver vinto la classifica cannonieri in Serie A, B
e C. Questo dato fornisce un primo assaggio di ciò che ha rappresentato questo
giocatore nell'immaginario calcistico italiano: un bomber "di provincia",
che entra nell'alta borghesia partendo dai ceti più bassi e non se ne
dimentica. E a uno sguardo più approfondito, si delineano vividi i connotati di
un autentico uomo del popolo, personificazione purissima dell'inflazionata
metafora della classe operaia in Paradiso: una vita permeata dalle già citate
sigarette e grappa, vizi di una certa tradizione popolare, ma scandita da
abnegazione e orari regolari, priva delle stravaganze, delle arroganze e della
mondanità a tratti sregolata di altri vip del pallone; e un look da genuino
lavoratore, con quei cespugliosi ricci e quel pizzetto, quasi sempre uguali,
sempre più brizzolati, a contornare un volto solcato da rughe precoci. Anche
perché Hübner un lavoratore vero lo è stato e lo è: da ragazzo, quando lasciò
la scuola dopo aver preso la licenza media e si cimentò nei mestieri di
panettiere, fabbro e imbianchino; e oggi, nel coltivare personalmente l'orto
della sua villetta, dove vive insieme alla moglie e ai due figli, in quel di
Passarera, frazione di Capergnanica, provincia di Cremona, Bassa Padana. In
attesa magari di un nuovo incarico da allenatore, dopo le recenti esperienze in
Eccellenza e Serie D, che nonostante siano finite con esoneri anzitempo gli
hanno permesso di trasmettere a tanti ragazzi i suoi mantra tecnici e comportamentali
che lo hanno guidato nella carriera da calciatore.
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Prima di addentrarci nella sua storia, ecco il protagonista del nostro articolo nelle vesti di allenatore. |
Ecco, l'Hübner calciatore. Non faceva certo eccezione al suo
ritratto personale. La cifra sintetica di ogni sua azione era la concretezza.
Mai un movimento, una finta, un dribbling, un tempo di gioco o uno stop di
troppo. Movimenti ad anticipare, corse sul filo del fuorigioco, progressioni
irraggiungibili a testa bassa, padronanza di entrambi i piedi, potenza ben
canalizzata e indirizzata, ma anche sensibilità di tocco quanto basta... quando
il pallone arrivava verso l'area di rigore, sapeva esattamente cosa fare, e
come farlo, nella maniera più essenziale e incisiva possibile. Nessuna
concessione allo spettacolo; un solo grande obiettivo: gonfiare la rete e
trascinare con sé gioie e dolori delle piazze che era chiamato ad infiammare. Era
uno di quegli attaccanti ormai in via d'estinzione: la deriva tattica del
calcio contemporaneo, fatta di movimenti ultracompatti in linee serrate, con
tutti gli uomini nella metà campo avversaria in fase offensiva e tutti dietro
la linea della palla in fase difensiva, ha rapidamente ammazzato quei profili
tecnici che prevedevano l'area di rigore come unico terreno di caccia,
assottigliando la linea di demarcazione tra prima e seconda punta ed esaltando
i falsi nueve. Il calcio dell'epoca,
forse il più bello di sempre per la sua collocazione mediana tra la rivoluzione
atletica e tattica (leggi "zona") anni '80-'90 e il tatticismo
contemporaneo di cui sopra, lasciava qualche spazio in più sul campo e
concedeva ancora lunghezza alle squadre, permettendo ai giocatori di fantasia
di inventare senza essere raddoppiati a 30 metri dalla propria porta e agli
spietati uomini d'area di dare sfogo alle proprie doti realizzative senza
trovarsi continuamente stretti in una foresta di uomini ed essere costretti a
muoversi come elastici sul terreno di gioco. Ai compagni lui ama ripetere:
"voi datemi la palla lunga, poi ci
penso io...". Con buona pace di schemi e allenatori.
Per avere un'idea semplice e
genuina del calciatore e dell'uomo, ecco una recente intervista a Dario Hübner.
Gli ingredienti principali? Motivazioni e spirito di sacrificio!
Sembra incredibile che un attaccante del genere non sia mai
stato convocato in Nazionale, neppure in amichevole. O meglio: sembra incredibile
agli occhi di chi è assuefatto al calcio italiano odierno, in cui la forte
crisi (tecnica e non) ha intensificato le naturalizzazioni di oriundi e fa sì
che i pur buoni Immobile, Zaza, Pellè ed El Shaarawy si dividano le maglie da
titolare. Centravanti come Dario Hübner, o come Nicola Amoruso, tanto per
citarne un altro che non ha mai ricevuto la chiamata del CT di turno, sono
stati in attività nel periodo aureo di Baggio, Totti, Del Piero, Vieri,
Inzaghi, con uno come Montella a fare la loro riserva. Certi dati quindi non
stupiscono, anzi aumentano la nostalgia verso un'epoca così vicina eppur così
lontana, che si poteva permettere di tenere certi giocatori ai margini del
"calcio che conta". Ma a ben guardare, c'è un altro motivo per cui
Hübner non ha mai vestito l'azzurro. Fermo restando il suo indiscutibile valore,
infatti, stiamo parlando di un uomo che ha conosciuto direttamente la Serie A a
30 anni suonati, e che dunque ha avuto poche chance per mettersi in mostra agli
occhi dei Commissari Tecnici. La ragione di questa esplosione tardiva va
ricercata nelle sue scelte di vita, e ci riporta agli inizi della sua carriera,
sul finire dei roboanti anni '80: mentre gli altri ventenni italiani di simile
caratura calcistica sgomitano nei settori giovanili dei più importanti club
nostrani, guadagnandosi i primi gettoni nelle nazionali Under, Dario si destreggia tra legno, ferro e calcestruzzo, e gioca
a calcio per hobby in Prima Categoria, nella squadra del paese, lontano da
qualsiasi riflettore. Finché un giorno, dal vicino Veneto, arriva in terra
triestina un osservatore della Pievigina, squadra della provincia di Treviso,
che gli fa fare un doppio salto di categoria portandolo nell'ormai scomparsa
Interregionale, campionato che oggi si situerebbe sul livello dell'Eccellenza.
Si tratta ancora di dilettanti, dunque, ma questo primo trasferimento pone
Hübner nell'anticamera del professionismo. Per la prima volta nella sua vita, infatti,
il ragazzo può non lavorare e pensare solo a giocare. Un bottino di 10 gol in
25 partite con la Pievigina gli vale per la stagione 1988-89 la chiamata del
Pergocrema, in C/2: la squadra fatica, lui lotta, sempre presente al centro
dell'attacco, e l'obiettivo salvezza viene raggiunto. della salvezza lo rende
degno
Le convincenti prestazioni al primo anno da pro rendono il giovane centravanti
muggesano degno dell'attenzione di un club della medesima categoria ma più
ambizioso, il Fano. In terra marchigiana si conferma un gran lottatore
dell'area di rigore e con le sue 8 reti contribuisce alla promozione della sua
nuova squadra. La prima annata in C/1 presenta il conto del passaggio di
categoria: i gol segnati sono appena 4, ma il posto da titolare resta ben
saldo. La stagione successiva è quella del boom: grazie anche all'egregio
lavoro in rifinitura di un ventenne Lamberto Zauli, si laurea capocannoniere
del girone B con 14 centri, nonostante il Fano non riesca a salvarsi. È qui che
nasce l'appellativo che lo accompagnerà d'ora in poi: Tatanka, termine usato dagli indiani sioux per indicare il bisonte
e soprannome diffuso tra gli atleti delle discipline di lotta (non ultimo il
pugile Clemente Russo).
Stagione 1991/92, quella del titolo di capocannoniere e della
retrocessione. Chieti-Fano è un concentrato di "calcio che non c'è
più": da una parte espulso Enrico Chiesa, dall'altra gol di Hübner che
devia fortunosamente in rete una punizione calciata da Zauli.
Se il Fano retrocede, il bisonte
avanza. È il 1992 e il 25enne Dario Hübner è pronto a farsi conoscere ai piani
alti. Passa al Cesena, in Serie B, dove trascorre 5 anni sempre in doppia cifra
giocandosi anche la promozione nel 1994 in uno sfortunato spareggio contro il
Padova. Anni nei quali la sua popolarità cresce e i rimpianti pure: sono tanti
i treni su cui lui non sale, spesso per scelte di cuore, talvolta per colpa di
altri. Addirittura nell'estate del 1996 sfiora l'Inter: la quarta stagione
cesenate si è appena conclusa con il titolo di capocannoniere cadetto, e il
club di Moratti negozia con la società romagnola uno scambio Delvecchio- Hübner,
ma il giovane attaccante nerazzurro rifiuta il trasferimento (qualche mese dopo
andrà alla Roma a costruirsi una carriera ricca di soddisfazioni) e Tatanka
resta in provincia. L'occasione della vita finalmente arriva all'età di 30
anni, quando si trasferisce al Brescia neopromosso in Serie A. Non è una
grande, ma è un grande esordio...
Un bisonte ancora agile e
scattante nei 5 anni a Cesena. Minuto 2:36 : occhio alla rovesciata...
31 agosto 1997. Il mondo calcistico è scosso dall'arrivo
all'Inter di Luiz Nazario de Lima in arte Ronaldo. Il mondo è sconvolto dalla
morte della Principessa Diana, una donna che partendo dalla nobiltà ha
conquistato tutte le classi sociali. Quella notte Dario, come tante altre
persone, è rimasto incollato al televisore fino a notte fonda per seguire gli
aggiornamenti relativi al tragico incidente, nonostante la mattina dopo la
sveglia fosse puntata poco dopo l'alba. Il suo piccolo Brescia, infatti, deve
disputare la prima giornata di Serie A a San Siro, contro i nerazzurri allenati
da Simoni, quella stessa squadra alla quale l sorte lo stava per destinare
l'anno prima: per tutti, è l'esordio del Fenomeno in Italia; per i più esperti,
anche l'esordio assoluto nel massimo campionato, di un anziano ma ancora valido
bisonte di provincia desideroso di farsi conoscere ai piani alti. E quale
miglior palcoscenico della Scala del calcio? Il risultato finale è di 2-1 per
l'Inter, ma Ronaldo e compagni, per portare a casa i primi 3 punti stagionali,
devono rimontare l'iniziale vantaggio a sorpresa del Brescia, firmato Dario
Hübner: le pochissime ore di sonno non scompongono un lavoratore come lui, che
con tutta la naturalezza del mondo si fa dare il pallone spalle alla porta,
tiene a bada Galante che lo marca da dietro e in un microsecondo scarica un
sinistraccio sotto la traversa che gela difensore, portiere (un certo Pagliuca)
e stadio. All'esordio in Serie A, Tatanka è andato a segno in trasferta contro
l'Inter, ricevendo un assist al bacio da un centrocampista assai promettente,
molto più giovane di lui: Andrea Pirlo, ≪il più forte con cui abbia mai giocato≫. Parola di Hübner, uno che
3 anni dopo avrebbe giocato insieme a Baggio.
Al minuto 1:42 tutta l'Italia calcistica fa la conoscenza di
Tatanka.
Il battesimo con gol a San Siro e la tripletta siglata alla
seconda giornata nel 3-3 interno contro la Sampdoria fanno bene sperare, ma la
stagione si rivela complicata per il Brescia: Hübner è top scorer della squadra
con 16 centri, ma il campionato termina con la retrocessione. Le rondinelle tornano subito in Serie B, ma il bomber non
abbandona la barca, aiutandola invece a risalire la corrente. Le stagioni
'98-'99 e '99-2000 vedono un Tatanka in grande spolvero, capace di segnare in
entrambi i campionati cadetti 21 reti: buona la seconda, si torna in Serie A.
Dell'organico bresciano fa parte anche l'esperto difensore Filippo Galli, ormai
a fine carriera, recentemente indicato da Hübner come ≪il migliore, sia dal punto di vista
umano che professionale≫.
Serie B 1999/2000, ultima giornata: una doppietta del bisonte nei primi 25 minuti regala al
Brescia una nuova promozione. Si possono apprezzare due perfetti movimenti ad attaccare la profondità
e un pregevole pallonetto.
Il terzo
millennio inizia col botto per il nuovo Brescia formato Serie A: in panchina
arriva Mazzone, in attacco il Divin Codino, in Coppa Italia l'eliminazione
della Juventus grazie proprio a una doppietta di Hübner al Delle Alpi,
in campionato uno storico settimo posto, che in quegli anni è sinonimo di
Intertoto. Manco a dirlo, Tatanka realizza il proprio record personale in A,
con 17 sigilli all'attivo. Tuttavia, i primi segni della vecchiaia si fanno
sentire: le primavere sono ormai 34, e mister Carletto inizia talvolta a
preferirgli il giovane albanese Tare. Ma non tutto è perduto: prima di iniziare
la parabola discendente c'è ancora tempo per lasciare il segno; basta una
realtà che possa dargli la giusta fiducia...
Perfetta elusione del fuorigioco, mirino in
canna e meno tocchi possibile: uno dei tanti dispiaceri di Ancelotti alla guida
della Juve riporta il timbro del bisonte.
Il bisonte trova
ancora un neopromossa sul proprio cammino: nell'estate del 2001 il Piacenza
sborsa 6 miliardi di lire per aggiudicarsi le sue prestazioni. A correre e
costruire per lui ci sono Di Francesco, Lamacchi, Matuzalem e capitan Volpi, ad
assisterlo in attacco Poggi e Caccia (con un giovanissimo Amauri a scalpitare).
Le sue performance vanno oltre ogni rosea previsione: 24 gol, a pari merito con
Trezeguet, 2 in più di Vieri, 4 più di Vaio, 8 più di Del Piero, 10 più di Shevchenko.
Sebbene in questo caso si tratti di ex
aequo, il 35enne Dario Hübner agguanta il sogno del trittico di classifiche
cannonieri vinte, dopo quelle del '92 col Fano in C/1 e del '96 col Cesena in B.
Memorabile le ultime due reti stagionali: è il fatidico 5 maggio 2002 e mentre
il bomber francese porta avanti la Juventus in quel di Udine, ponendo le basi
per un clamoroso scudetto, Tatanka lo raggiunge in vetta siglando una doppietta
nel 3-0 con cui il Piacenza si aggiudica un vero e proprio spareggio-salvezza
contro il Verona. La carriera dell'operaio in Paradiso ha raggiunto il suo
acme.
Catalogo di un repertorio: tutte le reti del 35enne Hübner
nella splendida Serie A 2001-2002 che lo vede capocannoniere con Trezeguet.
A sancire come una sentenza l'inizio della parabola
discendente del bisonte ci pensa il
CT azzurro Trapattoni, che non lo convoca per i Mondiali nippocoreani
nonostante sia l'attaccante italiano ad aver segnato di più nel campionato
appena concluso: troppo anziano, troppo lontano dalle realtà calcistiche più
blasonate. A parziale consolazione, giunge la meritata soddisfazione (breve ma
intensa) di vestire la maglia di una grande: il Milan lo prende in prestito per
disputare una tournée estiva di 3 partite negli USA. Assaporata l'emozione di
indossare il rossonero, si torna in provincia per una nuova annata di Serie A.
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Foto ufficiale prima della partenza della tournée americana col Milan. |
La stagione 2002-2003 è amara per i colori piacentini:
terzultimo posto e retrocessione. Hübner ne fa 14 e diventa il giocatore più
prolifico nella storia del club emiliano in Serie A. È il "canto del cigno":
la stagione successiva è l'ultima nel massimo campionato, con appena 3 reti tra
Ancona e Perugia. Segue un'annata a Mantova, in C/1, dove ritrova l'ex compagno
di reparto Poggi: 7 volte a segno in 23 presenze, contribuendo tra l'altro alla
promozione in Serie B. Siamo nel 2005 e Tatanka, non riuscendo più ad essere
titolare e andare in doppia cifra, decide di abbandonare il professionismo alla
veneranda età di 38 anni.
Variegata rassegna di
reti segnate da Hübner nelle categorie del calcio professionistico.
Tornato in una dimensione che fisiologicamente procede più a
rilento rispetto alle evoluzioni del calcio mainstream,
nella quale la sua crescente staticità può trovare compensazione più che
sufficiente nell'abilità realizzativa, Hübner ritrova ruolini di marcia a lui
consoni: 18 centri in Serie D nel 2005-2006 tra Chiari e Rodengo Saiano, poi 58
gol in 3 anni in Eccellenza. Curioso quanto avvenuto nel 2007, nel bel mezzo di
quest'ultima esperienza: aver stipulato con l'Orsa Corte Franca un contratto da
professionista gli costa 6 mesi di squalifica, durante i quali si mantiene in
forma giocando in oratorio; al ritorno in campo, segna 20 gol in 17 partite e
salva la squadra. Tutto questo a 41 anni suonati!
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Sigaretta, birra e alta montagna. Il saluto di Tatanka. |
Il giocatore del popolo gonfia le reti dei dilettanti lombardi fino al 2011: le ultime due stagioni si snodano tra Castel Mella (Prima Categoria) e Cavenago (Promozione). Poi si può dedicare alla gestione di un bar a Crema, poi venduto, e ai primi passi da allenatore. Ma soprattutto, all'orto di casa sua e alla famiglia.
Articolo a cura di Nicolò Vallone