di Federico Principi
Ci mancava solo che la
Formula 1 entrasse in un vero e proprio stadio per poter dire di aver varcato
ogni frontiera possibile dello show business. Dai Gran Premi notturni a quelli
al tramonto (Abu Dhabi, start col sole e bandiera a scacchi nell’oscurità), dal
porto di Valencia dell’America’s Cup allo slalom tra gli impianti olimpici di
Sochi, Ecclestone (o chi per lui) si è inventato il passaggio attraverso un
monumentale stadio di baseball a Città del Messico. Copiandolo, con successo, da una vecchia gara di Champ Car americana.
Colpo d'occhio spaventoso.
Una via di mezzo tra
strategia di marketing e passaggio obbligatorio. Lo stadio Foro Sol era stato
costruito nel 1993, esattamente un anno più tardi del temporaneo addio del
Messico alla Formula 1. Circumnavigato dalla Peraltada, la risposta del
paese dei sombreri e dei mariachi
alla nostra Parabolica monzese. In pochi (compreso il sottoscritto che non era
ancora nato) ricordavano lo spaventoso cappottamento di Senna nel 1991,
proprio all’uscita del lungo curvone. Non era tuttavia possibile ampliare la
via di fuga esterna al curvone stesso: non potendo andare contro gli attuali standard
di sicurezza, i vertici della Formula 1 e l’architetto Hermann Tilke hanno ripescato e riadattato la soluzione dello stadio, ancora più spettacolare.
Quella disegnata in fucsia era la vecchia Peraltada. In grigio il passaggio all'interno dello stadio.
Time attack
Il circuito
centramericano è dedicato ai fratelli Rodriguez. Punti di riferimento della
storia dell’automobilismo messicano, un po’ come se noi italiani intitolassimo
una pista di slittino ad Armin Zoeggeler. Il minore, Ricardo, andò incontro al
più ineluttabile ed incontrovertibile destino, quasi scontato per i piloti
della sua epoca: nel 1962 perse la vita proprio nell’autodromo di casa, a soli
vent’anni. Sotto contratto con Ferrari, si accordò per correre per Lotus in
Messico, dove il grande Enzo si rifiutò di gareggiare in quella stagione. Il
tracciato della capitale messicana non valeva per il Mondiale di Formula 1, ma
fu lo stesso fatale per il giovanissimo ed estremamente talentuoso pilota
latino.
Ricardo Rodriguez, con il Cavallino.
Riadattato e
riasfaltato per il suo nuovo corso in Formula 1, i lavori di ammodernamento
erano conclusi soltanto pochi giorni prima delle prove libere. I piloti si sono
trovati di fronte ad un asfalto scivolosissimo, che ha inizialmente reso quasi
ridicola la scelta degli pneumatici da parte di Pirelli. Il compound più duro portato
in Messico, le medie di colore bianco, sembrava un blocco di marmo: il degrado
era praticamente nullo, le gomme scivolavano ed erano difficili da portare in
temperatura. Il tutto amplificato dall’altitudine (2.200 metri) che, attraverso
l’aria rarefatta, rendeva difficile la stabilità aerodinamica e il downforce
delle vetture. La naturale conseguenza è che le strategie in qualifica siano
state molto simili a quelle che vi avevamo descritto nell’analisi del Gran Premio di Sochi.
È chiaro che anche le gomme
soft, in proporzione, presentavano all’incirca le stesse caratteristiche di
adattamento alla pista. La Mercedes ha tentato (riuscendoci) di passare il
taglio della Q1 con le medie, capaci di registrare tempi buoni anche dopo 4-5
passaggi con lo stesso treno di gomme. Il delta di due secondi tra le due
mescole, evidenziato al venerdì e successivamente ridotto il sabato e soprattutto la domenica dopo la
gommatura della pista, imponeva tuttavia di fare il time attack con le soft sia in Q2 che, naturalmente, in Q3.
La tattica di tutti i
team, specialmente in Q3, è stata la stessa messa in atto dalla Ferrari a
Sochi: dopo l’out lap, altro giro di riscaldamento circa 4-5 secondi più lento
del tempo migliore e poi attacco al limite a partire dal terzo giro dello
stint. La Mercedes in Russia aveva percorso un solo stint in Q3, con ben 5
giri: out lap; giro di riscaldamento; tempo; altro passaggio di riscaldamento (più
lento di ben 20 secondi); ultimo tentativo per fare il tempo. Le frecce
d’argento hanno stavolta preso una strada differente: consapevoli della loro
forza nell’immediata capacità di scaldare velocemente gli pneumatici e portarli
in temperatura molto presto, dopo l’out lap hanno subito effettuato due
tentativi consecutivi di time attack.
Questo, di Nico Rosberg nel secondo giro buono del primo stint, è quello della pole.
On board con Rosberg per la pole in Messico.
Previsioni disattese
Non era difficile
constatare quanto in pochi si siano realmente sbilanciati sugli esiti finali di
un Gran Premio che rappresenta l’unica novità in calendario rispetto alla
scorsa stagione. I più furbacchioni hanno preso la rincorsa e se ne sono lavati
le mani, alla maniera del miglior Ponzio Pilato. Chi, come il sottoscritto,
aveva invece tentato di azzardare qualche previsione, ha molto probabilmente
preso una bella bastonata. Che inevitabilmente, e lo dico per esperienza
personale, ti invita a non sbottonarti più fino all’ultimo giro di qualsiasi
gara.
I primi e forse più
importanti errori li hanno commessi i meteorologi. Non conosco onestamente le
reali dinamiche su chi sia in realtà addetto alle previsioni del tempo, ma il
Giuliacci messicano ha toppato. Annunciate pioggia sia per la qualifica che,
soprattutto, per la gara della domenica, le temperature si sono invece
progressivamente scaldate nel weekend dopo le uniche, poche, gocce d’acqua cadute
nel venerdì. Il sottoscritto, dopo aver illustrato nell’analisi post-Austin
quanto le Red Bull vadano forte su acqua (e a maggior ragione lo avrebbero
fatto su un tracciato inizialmente già di per sé molto scivoloso come quello dei fratelli
Rodriguez) si era precipitato alla più vicina agenzia di scommesse per puntare
su Ricciardo vincitore del Gran Premio. La quota era molto allettante.
Le Red Bull erano
andate molto forte nelle prove libere, anche su pista asciutta, realizzando molto spesso i migliori parziali assoluti sia nel secondo che nel terzo settore. Lo scorso
venerdì il tracciato era molto scivoloso, riproducendo quasi quelle sensazioni ibride asciutto-bagnato nelle quali Ricciardo era stato il più veloce in gara ad Austin. La gommatura progressiva e il caldo torrido della domenica hanno
ridimensionato le prestazioni della Red Bull in gara: la maneggevolezza del
telaio non era più un fattore così incisivo come su pista con poco grip, la
pioggia non si è vista e anzi ne ha approfittato Bottas, con la sua Williams,
per avvicinare la barriera del suono con le velocità di punta e mettere in fila
Kvyat e Ricciardo, stracciando la mia scommessa. Emblematico il fulmineo
sorpasso del finlandese sul russo alla ripartenza dalla Safety Car, di solo
motore.
I risultati delle prove libere 2, frutto delle simulazioni di qualifica: Red Bull in grande forma su pista scivolosa.
Dicevamo, nelle prime
parti dell’articolo, che la scelta Pirelli di portare soft e medie potesse
essere un clamoroso autogol. Si rischiava di creare una situazione perfino più
imbarazzante rispetto a quella di Sochi 2014, dove Rosberg andò forzatamente a
cambiare la soft al primo giro ma riuscì a terminare senza alcun problema di
degrado la gara con il treno di gomme medie, percorrendo 52 giri. La pista, una
ventina di gradi più calda in gara rispetto al resto del weekend, ha invece
creato qualche problema di degrado termico molto simile a quelli che misero in
ginocchio la Mercedes a Sepang, spianando la strada a Vettel per il suo primo successo in Ferrari.
Le consuete previsioni pre-gara della regia internazionale: nessuno sembrava dubitare che le scelte si sarebbero orientate verso la sosta unica. E invece...
Nonostante le stesse
frecce d’argento abbiano mostrato proprio in Messico di aver compiuto enormi
progressi nel contenere il degrado termico, a metà gara i vertici del team
hanno provveduto ad una sosta extra. Gli uomini di Wolff non erano sicuri di
arrivare competitivi a fine corsa con i rispettivi treni di pneumatici a
mescola media, montati al ventisettesimo passaggio a Rosberg e due giri più
tardi al compagno inglese. Quest’ultimo in particolare si è mostrato piuttosto
riluttante nell’effettuare la seconda sosta, anch’essa con due giri di ritardo:
le gomme erano in buono stato e la possibilità di arrivare in fondo c’era. Il
suo ingegnere di pista ha però insistito con durezza, giustamente, che quello
di fermarsi per la seconda volta fosse un ordine di squadra impartito ad
entrambi i piloti. Come in qualche singolo caso capitato a Vettel negli anni d'oro in Red Bull, la sosta extra era assolutamente priva di rischi: il gap da Kvyat era
sufficiente per far rientrare di nuovo entrambe le Mercedes in testa, pronte a
giocarsi comunque la vittoria in solitaria.
Al momento esatto in cui Rosberg entra per la seconda sosta, il
vantaggio su Kvyat è quantificato in 31.6 rassicuranti secondi. Per il pit stop se ne perdevano all'incirca venticinque.
A posteriori è
risultata quindi corretta la titubanza dei tecnici Pirelli nello sbilanciarsi
sulla scelta dei compound, preferendo una soluzione di mezzo. Se fossero stati
compiuti dei test in pista antecedenti alle prove libere, e se le valutazioni
fossero state effettuate a seguito di detti ipotetici test, la scelta più ovvia
sarebbe virata verso le super-soft. Con un anno di ritardo si sarebbe perfino
rischiata l’ultra-soft, che sarà in vigore la prossima stagione. Il Gran Premio
del Messico è invece risultato, col senno del poi, piuttosto impegnativo per le
coperture, con strategie meno scontate rispetto ad altre gare come Canada, Austria o Silverstone (esclusa la pioggia).
Rimpianti
I lettori più attenti, che sono arrivati fin qua, hanno notato l'accostamento a Sepang che abbiamo proposto per la gara messicana in materia di degrado termico. Vale la pena chiedersi, a questo punto, che fine abbia fatto in Messico il vincitore del Gran Premio della Malesia. Sebastian Vettel ha in realtà terminato la propria corsa contro le barriere di protezione: mai come in questo weekend, escludendo il caso particolare di Singapore, il tedesco pareva minacciare le Mercedes nelle simulazioni di gara.
Nelle FP2 Vettel aveva percorso un pauroso stint con le gomme medie, sconfessando quanti pensavano che sarebbe stata la soft la gomma da gara. Sembrava addirittura il favorito per la vittoria dopo la qualifica conclusa a soli tre decimi dalla pole di Rosberg. La partenza dal lato pulito della pista avrebbe garantito molto grip e Nico non è quasi mai scattato bene dopo il cambio di procedura, effettuato dalla Federazione a partire dal Belgio.
Già dopo poche curve la corsa di Vettel pareva invece compromessa: racchiuso a sandwich dalle Red Bull, subisce un leggero ma fatale contatto con l'ala anteriore di Ricciardo delle cui responsabilità è difficile dibattere, e che la Federazione classifica (direi giustamente) come incidente di gara. La foratura della posteriore destra costringe Vettel ai box, scegliendo di montare le medie.
Coprire settanta giri con un solo treno di pneumatici bianchi non pareva possibile: con un'altra sosta da effettuare e un gap ormai marcato, Vettel doveva ridimensionare le proprie ambizioni. Il podio sembrava definitivamente pregiudicato e la prospettiva di correre semplicemente per qualche punto non sarebbe stata stimolante, non fosse che la Safety Car sarebbe potuta venire incontro al tedesco della Ferrari annullando i distacchi.
Dall'on board di Ricciardo si vede tutto: la partenza imprecisa di Vettel e il contatto tra l'ala dell'australiano e la posteriore destra del ferrarista. Ricciardo è stato tradito da una perdita di aderenza in curva, che lo ha fatto sovrasterzare andando a toccare la gomma di Seb.
Coprire settanta giri con un solo treno di pneumatici bianchi non pareva possibile: con un'altra sosta da effettuare e un gap ormai marcato, Vettel doveva ridimensionare le proprie ambizioni. Il podio sembrava definitivamente pregiudicato e la prospettiva di correre semplicemente per qualche punto non sarebbe stata stimolante, non fosse che la Safety Car sarebbe potuta venire incontro al tedesco della Ferrari annullando i distacchi.
Vettel è all'ultimo posto ad oltre cinquanta secondi dai battistrada Mercedes. Ma attenzione...
Notato già qualcosa di strano? Con le gomme medie nuove Vettel stampa immediatamente il giro record. Più veloce delle Mercedes che hanno soft nuove, e che almeno nei primi giri (si degradano prima, ma non certo dopo quattro passaggi) avrebbero garantito un potenziale di velocità superiore. Ulteriore dimostrazione di quanto Sebastian avesse il passo per correre per la vittoria, giocandosela magari con una partenza migliore o una strategia differente. Favorito inoltre dal caldo, costante condizione climatica di tutte e tre le vittorie del suo 2015.
Dodici giri completati e Vettel ha mantenuto lo stesso identico gap dalla coppia Mercedes, rispetto alle battute iniziali.
Qualcuno, ancora più attento, avrà notato un altro particolare: il gap di cinquanta secondi è in realtà restringibile a circa venticinque effettivi, considerata la sosta in più effettuata. Qualche riga sopra avevamo analizzato la seconda sosta dei piloti Mercedes, resa possibile dal vantaggio accumulato su Kvyat, il più diretto inseguitore in quel momento. In quel caso i secondi di ritardo del russo erano oltre trentuno, a parità di soste compiute: segno che, nonostante la foratura, Vettel poteva clamorosamente giocarsi ugualmente il podio senza i suoi due errori in curva 7. Anche perché poi tutti, in seguito, sono rientrati nuovamente ai box, ad esclusione del solito Perez.
La prova del nove l'abbiamo avuta nel momento in cui Sebastian è rientrato in pista a seguito del suo secondo cambio gomme. I meccanici Ferrari non sono riusciti ad impedire il doppiaggio nel momento esatto dell'ingresso in pista e Vettel si è accodato a Rosberg, davanti ad Hamilton. Creando una situazione ambigua simile a Hockenheim 2012 (Hamilton doppiato in mezzo ad Alonso primo e Vettel secondo e sugli stessi tempi), resa ancor più difficile da interpretare dai tempi sul giro: Seb si è dimostrato immediatamente competitivo al pari delle frecce d'argento, le bandiere blu non sventolavano e nel primo giro pieno dopo la seconda sosta era addirittura più veloce sia di Lewis che di Nico.
Restare in scia
Quello che non è riuscito a compiere Rosberg su Hamilton, nel Campionato del Mondo. Quello che, meccanicamente, era estremamente complicato fare su una pista a 2.200 metri di altitudine. L'aria rarefatta crea condizioni di scarsa resistenza all'avanzamento: le velocità sono elevatissime, la stabilità in curva è a rischio.
Aprire un capitolo sulla sfida agli autovelox rischierebbe di allungare chilometricamente l'analisi. Basti solo sapere che Maldonado, in gara, ha raggiunto i 366 km/h: nonostante il limitato afflusso di benzina, le cifre sono da capogiro e non osiamo immaginare cosa succederà a partire dal 2017, dove si annuncia che le vetture solcheranno il confine dei mille cavalli. Il basso carico aerodinamico era però soprattutto un problema, specialmente quando si seguiva da vicino un'altra vettura. Problema avuto da Hamilton, che con un pizzico di ego lo ha fatto notare, e da Vettel che ha perso molti secondi cacciando Maldonado a distanza ridotta.
Era facile notare come perfino in rettilineo, tranne casi di concreti tentativi di sorpasso, i piloti si spostassero con l'intenzione di evitare la scia della vettura davanti. A quelle altitudini è estremamente difficile raffreddare la componentistica: la distanza ravvicinata con un avversario rischiava di surriscaldare ogni singola parte meccanica. Rosberg era andato clamorosamente in fiamme al venerdì con i freni posteriori, e i tecnici Red Bull avevano delle perplessità sulle possibilità di concludere la gara per lo stesso tipo di problema, eventuale. Che non si è ripetuto in gara per il tedesco, né verificato su nessun'altra monoposto.
Vettel, quattordicesimo e doppiato, gira tre decimi più forte della coppia Mercedes.
Il rimpianto per la mancata occasione aumenta, non solo per le prestazioni medie sul giro ma anche per le condizioni climatiche. Nonostante l'asfalto scivoloso e la difficoltà che abitualmente la Ferrari ha nel portare in temperatura gli pneumatici più duri (mescole media e soprattutto hard), il caldo messicano consentiva a Vettel di spingere immediatamente senza aspettare un paio di passaggi per scaldare la gomma, come dimostrato dalla grafica qui sopra. Pochi ricordano infatti che Seb vinse in Malesia un Gran Premio che prevedeva l'utilizzo delle gomme hard, le peggiori per il telaio Ferrari. Le temperature tropicali permisero tuttavia a Vettel e Raikkonen di far immediatamente lavorare gli pneumatici alla giusta temperatura di utilizzo: lo stesso si è verificato a Città del Messico. Il tutto vanificato da incidenti subiti da entrambi i piloti, e di differente natura.
Sopra, l'errore fatale a Vettel.
Sotto, il botto Raikkonen-Bottas, the revenge. A Sochi ci aveva rimesso le penne principalmente il pilota Williams. Non sembra però una vera e propria vendetta: Kimi gira molto presto la macchina, con Valtteri già dentro che cerca di evitare il contatto, bloccando l'anteriore destra. Giusto non prendere provvedimenti.
Restare in scia
Quello che non è riuscito a compiere Rosberg su Hamilton, nel Campionato del Mondo. Quello che, meccanicamente, era estremamente complicato fare su una pista a 2.200 metri di altitudine. L'aria rarefatta crea condizioni di scarsa resistenza all'avanzamento: le velocità sono elevatissime, la stabilità in curva è a rischio.
Aprire un capitolo sulla sfida agli autovelox rischierebbe di allungare chilometricamente l'analisi. Basti solo sapere che Maldonado, in gara, ha raggiunto i 366 km/h: nonostante il limitato afflusso di benzina, le cifre sono da capogiro e non osiamo immaginare cosa succederà a partire dal 2017, dove si annuncia che le vetture solcheranno il confine dei mille cavalli. Il basso carico aerodinamico era però soprattutto un problema, specialmente quando si seguiva da vicino un'altra vettura. Problema avuto da Hamilton, che con un pizzico di ego lo ha fatto notare, e da Vettel che ha perso molti secondi cacciando Maldonado a distanza ridotta.
Era facile notare come perfino in rettilineo, tranne casi di concreti tentativi di sorpasso, i piloti si spostassero con l'intenzione di evitare la scia della vettura davanti. A quelle altitudini è estremamente difficile raffreddare la componentistica: la distanza ravvicinata con un avversario rischiava di surriscaldare ogni singola parte meccanica. Rosberg era andato clamorosamente in fiamme al venerdì con i freni posteriori, e i tecnici Red Bull avevano delle perplessità sulle possibilità di concludere la gara per lo stesso tipo di problema, eventuale. Che non si è ripetuto in gara per il tedesco, né verificato su nessun'altra monoposto.
Clamoroso e pericoloso surriscaldamento (vero e proprio principio d'incendio) dei freni posteriori di Rosberg nelle prove libere.
Niente di tutto ciò: Rosberg ha festeggiato il successo dopo oltre quattro mesi di astinenza e tanti, troppi errori misti a problemi tecnici. Il Mondiale se ne era ormai andato ma era fondamentale recuperare autostima, alla maniera del Valentino Rossi di fine 2014. Soprattutto abbracciando il pubblico più bello e più caldo della Formula 1: il parco chiuso e il podio in mezzo allo stadio, una suggestione senza fine. Che Rosberg si è voluto godere in tutta la sua pienezza.
Articolo a cura di Federico Principi
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