lunedì 30 marzo 2015

Alexandre Lacazette: falso nueve, vere speranze

Alla scoperta delle avventure dell'ultimo talento nato sulle rive del Rodano. "Avant, Avant, Lion le melhor!"

di Nicolò Vallone







L'appellativo Alexandre le Grand sta attualmente ad indicare due personaggi, uno entrato a far parte della storia mondiale e uno destinato a far parte della storia di una società di calcio. Ma solo a uno dei due si affianca l'appellativo La Gâchette [il grilletto]. A 24 anni, Alessandro Magno guidava il suo esercito nell'assedio della città persiana di Tiro. Alla stessa età (da compiere a maggio) l'Alessandro Magno di Francia, al secolo Alexandre Lacazette, s'impone sulla scena sportiva d'Oltralpe come "giocatore francese del momento" in Ligue 1.

In una collocazione che passa dal generale al particolare, da Nazionale a club, Lacazette è figlio di quel processo di cosmopolitizzazione della Francia calcistica che dai Trésor e i Tigana, passando per i Karembeu e i Thuram, ha sfornato e sforna gli Evra e i Pogba, attirando le ire dei movimenti di estrema destra per i quali "nero è bello" solo come simbologia politica; ed è anche uno dei prodotti più recenti di quella splendida fucina di talenti che è l'Olympique Lyonnais (abbreviato OL e italianizzato Lione), che vanta un settore giovanile secondo solo a quello del Barcellona quanto a numero di giovani lanciati nel professionismo, e al quale va riconosciuto il merito di aver regalato al calcio che conta i vari Giuly, Benzema, Ben Arfa, Remy e altri nomi di livello.

Per introdurre il giocatore di cui stiamo per raccontare la storia, ecco un concentrato delle sue abilità.

Nato in una poco abbiente famiglia guadalupense, il giovane Alexandre cresce in un quartiere della periferia di Lione, Mermoz, tra musica rap, umile e dignitosa educazione di stampo cattolico, poca scuola e tanto calcio. Se la sorte da un lato dispensa ostacoli e ambienti difficili, dall'altra offre doti naturali e ancore di salvezza: in questo caso, la dote è il saperci fare con la palla tra i piedi, l'ancora è il saperci fare con la palla tra i piedi nella città sede dell'OL. Ad impreziosire il tutto e mettere definitivamente il ragazzo nelle condizioni di emergere, l'appoggio incondizionato dei genitori ai sogni di gloria del figlio; anzi, di tutti i figli, visto che anche i fratelli maggiori hanno tentato con vari risultati di fare carriera rincorrendo una sfera di cuoio.

In questa foto Lacazette sembra un superman che fa volare gli avversari che provano ad ostacolarlo.

L'ingresso nella grande famiglia Lione avviene 10 anni fa. Corre l'anno del signore 2005, Alexandre ha 14 anni e il club del carismatico patron Jean-Michel Aulas vive una delle migliori annate di sempre, che si concluderà l'anno successivo con la conquista del quinto campionato consecutivo: è il punto più alto della magnifica parabola che ha visto l'OL dominare la scena transalpina nel primo decennio del Duemila laureandosi campione di Francia per sette volte di fila, dal 2001 al 2008, senza che prima avesse mai vinto il massimo titolo nazionale. Merito di un favoloso mix di progettazione tecnica e oculatezza economica: non a caso, Aulas è uno degli ideatori del Fair Play Finanziario!
Ecco, il 2008. L'anno dell'ultimo trionfo lyonnais. Dopo 3 anni di académie, il non ancora maggiorenne Alexandre inizia ad assaporare il cosiddetto calcio che conta nelle categorie inferiori. Ma non lo fa in prestito presso un'altra società, col rischio magari di non trovare l'ambiente giusto e perdersi per strada. È nel Lione 2, infatti, che il nome Lacazette inizia ad apparire sui tabellini come marcatore in partite tra "pro". Perché nei grandi campionati europei, come noto, i team più blasonati fanno militare nei piani bassi del calcio professionistico la seconda squadra, dove i talenti possono sbocciare come si deve, le riserve tenersi calde e motivate, e le vecchie glorie fare da chioccia non solo in allenamento ma in regolari match ufficiali.


L'esperienza nel Lione 2 dura un paio di stagioni, caratterizzate da 23 reti in 52 presenze, giusto il tempo di far conoscere al pubblico le doti tecniche e atletiche delineate e affinate durante la trafila giovanile. Brevilineo e di tecnica purissima, fini giocate tra le linee e guizzante rapidità palla al piede valgono a Lacazette un posto fisso a ridosso delle punte, da ala o da trequartista a seconda delle necessità. Il gol e l'assist diventano presto elementi ricorrenti nel suo bagaglio e nel suo curriculum: la chiave, oltre alle qualità già citate, è l'ottimo uso del piede debole, il sinistro, che non raggiunge la potenza del destro ma compensa il gap con una precisione da cecchino. Il paragone – pratica rituale per la stampa sportiva di qualsiasi Paese – è con Sylvain Wiltord, che in Italia ricordiamo per aver firmato il pareggio a tempo scaduto nella finale di Euro 2000.


Ed ecco arrivare il 2010, l'anno delle occasioni d'oro per il ragazzo di Mermoz, ormai 19enne dunque (secondo la mentalità europea) pronto per il salto di qualità. La prima squadra, infatti, non più regina incontrastata di Francia, spodestata da realtà emergenti e minacciata dall'imminente e ricca “primavera araba” del Paris Saint-Germain, ha bisogno di nuova linfa a costi contenuti e, dopo aver regalato a questa giovane promessa l'esordio in Ligue 1 già a maggio in una tranquilla partita di fine campionato, gli garantisce un posto fisso in rosa per la stagione seguente. Ma tra una stagione e un'altra c'è di mezzo l'estate, e con essa spesso e volentieri le competizioni tra Nazionali. Lacazette prende parte agli Europei Under19 in maglia bleu. Come compagni di reparto ha Griezmann e Kakuta, ma è lui a segnare il gol decisivo per la vittoria del torneo al minuto 85 della finale contro la Spagna, togliendosi peraltro la soddisfazione di essere capocannoniere della competizione ex aequo con lo spagnolo Pacheco (all'epoca di proprietà del Liverpool, oggi in forza al Betis).
Quale miglior viatico per un inizio di carriera nel Lione? La prima parte del 2010-2011 vede il futuro Alexandre le Grand fare i primi passi (e i primi gol) in campionato sotto la guida del tecnico Claude Puel, che l'8 dicembre regala al suo gioiellino il battesimo europeo. Ultima giornata della fase a gironi di Champions League, un Lione ormai già agli ottavi ospita un Hapoel Tel Aviv alla ricerca quantomeno del terzo posto. Padroni di casa in vantaggio nella ripresa con Lisandro Lopez, leader dell'attacco lyonnais nel mirino della Juventus, sussulto degli ospiti che in 10 minuti ribaltano la situazione (da segnalare il 2-1 di Zahavi con una sforbiciata all'incrocio). L'allenatore francese decide allora di privarsi di Pjanic a centrocampo per inserire un giocatore offensivo: iniettare la sostanza di Kallstrom? No, in una serata in cui si va sotto ma anche con una sconfitta si passa il turno, ci si può permettere di buttare nella mischia l'esordiente Lacazette, che dal canto suo ripaga la fiducia andando a pareggiare nei minuti finali con un'incursione delle sue, finalizzata con freddezza a tu per tu col portiere.

Come vedremo fra poco, anche lui ha il proprio coro personalizzato.

All'annata del grand debut segue il triennio della formazione completa di questo calciatore, gestita magistralmente dal nuovo tecnico Remi Garde, l'uomo giusto per un club sì desideroso di tornare ai fasti di qualche anno prima, ma capace di ragionare con lucidità e realismo: i fondi non ci sono, i giovani sì; da loro si riparte e si lavora con pazienza, sul lungo periodo. Lacazette viene lanciato ma non bruciato, responsabilizzato ma non colpevolizzato. A 20 anni è già titolare: la sua prima stagione da pedina fissa dello scacchiere lyonnais lo porta subito in doppia cifra (10 gol in 43 gare tra campionato, coppe nazionali e Champions) mentre nella successiva le presenze diminuiscono a 37 e i gol addirittura a 4. Ad aumentare è però il calore dei tifosi, che in quella rapida e tecnica ala destra ripongono notevoli speranze e a febbraio 2013, in occasione della sua ennesima convincente prestazione, coniano il coro personalizzato “Alexandre Lacazette, Lacazette, Lacazette...” sulle note della filastrocca “London Bridge is falling down”. A riporre notevoli speranze in lui è anche il CT Didier Deschamps, che dopo averlo visto in azione non solo nel Lione ma anche nelle Nazionali Under20 e Under21 della Francia, lo convoca per quella Maggiore per affrontare due amichevoli a giugno 2013 contro Brasile e Uruguay: arrivano due sconfitte, e per Lacazette ci sono solo spezzoni, ma è la base di un rapporto con la maglia bleu ripreso qualche mese fa e destinato a un avvenire sempre più roseo.
Il “triennio di formazione” arriva a compimento con la stagione 2013-2014. Il sostegno ambientale, la convocazione in Nazionale, la maglia numero 10 sulle spalle, il ringiovanimento della rosa e un miglioramento della prestanza fisica rendono Lacazette molto più sicuro di sé ed autorevole in campo, con conseguenze evidenti su minutaggio e bottino personale: 54 presenze, 22 gol. Un balzo in avanti che porta anche la firma, dietro le quinte, dell'ex bomber e allenatore lyonnais Bernard Lacombe, da parecchi anni fedele consigliere del presidente Aulas e consulente degli attaccanti del Lione, che verso il giovane di Mermoz ha sempre avuto un occhio di riguardo.

Maturazione caratteriale è anche questo: eccolo in un rispettoso ma deciso "vis à vis" con Benoit Tremoulinas.

Con tali ampie premesse, la vita calcistica di Alexandre Lacazette ha bisogno della svolta decisiva. Eccola arrivare l'estate scorsa. Per la stagione 2014-2015 la dirigenza del Lione opta per un cambio in panchina: arriva Hubert Fournier, che ha subito un'intuizione vincente. Bafétimbi Gomis, centravanti della squadra dal 2009, ha infatti rescisso il contratto ed è stato ingaggiato dallo Swansea. L'anno prima se n'era andato Lisandro Lopez: insomma, il nuovo mister si ritrova senza una prima punta titolare, e in devota ottemperanza alla politica societaria e all'evoluzione del suo gioiello, pensa a un cambio tattico nella formazione tipo. Il centravanti non lo chiede alla società, lo pesca in casa propria: Lacazette si sposta al centro dell'attacco, e verrà affiancato da altri due prodotti del vivaio, promossi in prima squadra negli ultimi 3 anni, N'Jie e Fekir (con buona pace di Gourcuff, confinato al ruolo di riserva di lusso)
È la formula giusta! Il Lione dei 3,5 milioni di valore complessivo della rosa disputa un campionato da protagonista, battagliando aspramente col PSG dei quasi 400 milioni di valore complessivo della rosa e col Marsiglia del loco Bielsa. Il trascinatore è l'uomo col 10 sulle spalle, giunto ormai nel pieno dello splendore fisico e mentale (a 23 anni? Sì, se da sempre graviti nell'orbita della tua squadra con la giusta continuità). Al centro dell'attacco, Lacazette riesce a catalizzare la sua potente e guizzante tecnica negli ultimi 20 metri, per arrivare a colpire con precisione spietata: è diventato un efficace finto centravanti, che ama confondere le linee di difesa e centrocampo avversarie venendo a prendersi il pallone 5 metri più indietro rispetto agli altri attaccanti. Dopo 22 giornate di campionato, i gol sono addirittura 21: solo Cristiano Ronaldo in Europa ha fatto meglio di lui! Una parabola vagamente simile a quella di una leggenda del calcio non solo transalpino, ma globale: Thierry Henry, un campionissimo diventato tale anche grazie a un accentramento della propria posizione sul terreno di gioco, e un autentico ispiratore per il nostro Alexandre le Grand, tanto che pare gli abbia fornito preziosi consigli in estate in vista del suo futuro da prima punta.
Come in ogni percorso glorioso che si rispetti, però, s'incontrano degli ostacoli: un infortunio muscolare tiene lontano dai campi Lacazette quasi tutto febbraio, e i suoi compagni faticano, devono rinunciare alla fuga che stavano cominciando a sognare. Però tengono botta: il loro bomber del resto è solo l'astro più fulgido di una costellazione di giovani che galoppa a spron battuto nello zodiaco della Ligue 1, una costellazione formata da stelline come le mezzeali Tolisso e Ferri, il portiere Lopes, capitan Gonalons, la coppia difensiva Umtiti-Koné e quella già citata N'Jie-Fekir... una fresca e frizzante armata che i tifosi hanno ribattezzato "Les enfants du pays", i figli del paese, tutti di Lione, tutti cresciuti e vissuti nell'OL.

La consacrazione presso la tifoseria è ormai definitiva!

Tornato in azione dopo un lunghissimo mese, La Gâchette è tornato tale. Ma per quanto tempo gonfierà ancora le reti francesi, e soprattutto quelle dello Stade de Gerland? Le sirene lo ammaliano da mezza Europa, Aulas tenta in tutti i modi di blindarlo fin da settembre, quando lo ha convinto a prolungare il contratto fino al 2018, e di recente ha affermato che “Lacazette vale più di Bale”. A un palato nostrano, abituato ai presidenti stile-Zamparini, tale operato sa molto di manovra per incrementare le quotazioni del giocatore per venderlo al prezzo più alto possibile. Ma chi conosce la realtà OL, chi conosce l'attaccamento alla maglia di presidente e giocatori, e chi, meno romanticamente ma più concretamente, conosce i progetti per il nuovo stadio (58000 posti, ricavi stimati intorno ai 70 milioni annui, pronto per l'anno prossimo) non stenta a credere che Aulas abbia non solo la volontà ma anche la possibilità concreta di trattenere il suo top player, e che Lacazette abbia tutti gli stimoli a far durare ancora a lungo il matrimonio col Lione, sulle orme di un idolo di gioventù di un'intera generazione lyonnaise, Sydney Govou.

In attesa degli sviluppi futuri, riviviamo insieme la magica stagione di Lacazette e del suo Lione.

Quel che è certo, alla fine di questa lunga storia ancora incompiuta, è che, Lione o meno, gli Europei di Francia 2016 hanno già trovato un protagonista, al di là dei soliti nomi.


Articolo a cura di Nicolò Vallone

lunedì 23 marzo 2015

Luciano "Lucky" Vietto, el Chico de Balnearia


Sono passati quasi 9 anni da quando Riquelme calciò tra le braccia di Jens Lehmann il rigore che poteva valere la prima, storica, finale di Champions per il piccolo Villareal, club rappresentativo dell’omonima cittadina di cinquantamila anime nel cuore della Comunidad Valenciana. In quegli anni il “sottomarino giallo” rappresentava la favola del calcio europeo: due le vittorie in Coppa Intertoto, due le semifinali di Coppa Uefa/Europa League, diversi gli ottimi piazzamenti in Liga e tante tante gioie nelle notti più prestigiose, quelle di Champions. Memorabili le prestazioni del submarino amarillo contro Inter, Manchester United, Benfica, Rangers e Panathinaikos; indimenticabili le incornate di Arruabarrena, le galoppate sulla fascia dell’argentino Sorin, la geometria di Marcos Senna, la classe cristallina del già citato Riquelme, le incursioni di Santi Cazorla, le pennellate di Pires, i gol della coppia Franco-Forlan e, soprattutto, la sagacia del tecnico Manuel Pellegrini.


Villareal 2005/2006


In seguito all’addio dell’attuale tecnico del Manchester City e all’illusoria stagione 2010/2011 (conclusasi con il raggiungimento del quarto posto in campionato e la conseguente qualificazione per la Champions League), la “magia” sembrava essersi dissolta. Nell’annata 2011/2012 il Villarreal ha stupito tutti in negativo, chiudendo il girone di Coppa con 0 punti a causa delle sei sconfitte contro Napoli, Bayern Monaco e Manchester City, retrocedendo clamorosamente in Segunda Divisiòn. Eppure la rosa a disposizione dei tre allenatori che si sono avvicendati alla guida del club (Garrido, Molina e Lotina) non era poi così malaccio, con i vari Giuseppe Rossi (infortunatosi gravemente nella gara del Bernabeu contro il Real), Borja Valero, Gonzalo Rodriguez, Zapata, Nilmar e Diego Lopez protagonisti di un’annata da dimenticare.

Nella scorsa stagione (la prima in segunda dopo 12 anni) il Villareal è riuscito a chiudere il campionato al secondo posto, tornando immediatamente in Liga grazie principalmente all’arrivo di Marcelino Garcia Toral, nel gennaio 2013, sulla panchina della squadra. L’ex tecnico di Siviglia, Espanyol e Racing (tra le altre), non ha inventato nulla: 4-4-2 vecchia scuola in fase difensiva che diventa un 4-2-3-1 con la squadra in possesso palla e giocatori impegnati nei ruoli che prediligono. L’allenatore spagnolo anche nella massima divisione del campionato iberico sta stupendo tutti, grazie ad una squadra senza fenomeni ma con diversi giocatori d’esperienza e qualche talento mai esploso che nella cittadina valenciana sembra aver trovato il suo habitat naturale. A questa seconda schiera appartiene Giovani Dos Santos, che proprio agli ordini di Toral sembra aver trovato finalmente la tanto agognata continuità: sono già di 10 i gol realizzati in stagione dal messicano, autore anche di 7 assist. Nel fulcro del centrocampo non c’è spazio che per il duo composto da Tomas Pina e Bruno Soriano, capitano della squadra con il vizio del gol (già 5 i centri del regista sin qui). Niente male anche il reparto arretrato, dove troviamo il vero gioiello della squadra: l’argentino Mateo Musacchio (classe ’90), perno del Villareal da ormai 3 anni, sul quale hanno messo gli occhi diversi club italiani. Al suo fianco solitamente viene impiegato l’esperto Dorado, mentre sulle corsie agiscono gli spagnoli Costa (rimpiazzato dall’ex Chievo Jokic in situazioni d’emergenza) e Gaspar. Autore di un’ottima stagione fin qui è anche Sergio Asenjo, portiere di proprietà dell’Atletico Madrid, considerato come uno dei più interessanti prospetti del calcio spagnolo sino a pochi anni fa e degno estremo difensore di una squadra concreta, cinica e ostica che è in piena lotta per un posto in Europa. Il Villareal è tornato.


Vietto con la maglia del Villareal


Il vero acquisto di quest'anno però ha un nome e cognome: Luciano Vietto, classe 1993, nato a Balnearia, nella provincia di Cordòba, in Argentina. Non ha avuto bisogno di quel tempo di adattamento che spesso hanno i giovani giocatori che intraprendono il lungo viaggio dall'America all'Europa. Costato 6 milioni di euro anche se nell'ultimo anno al Racing ha giocato poco. Le sue credenziali di promessa le aveva già fatte uscire fuori un anno prima e ora, a Villareal, le sta consolidando. I suoi primi 3 gol nella Primera Divisiòn Argentina li ha fatti nella stessa partita. Con il numero 36 e la sfrontatezza dell'età, il primo è un "golazo", per dirla alla spagnola, che merita esser visto su YouTube. Un'opera d'arte.




"Pochi minuti prima della partita mi hanno detto che sarei stato titolare", ha raccontato succesivamente la nuova stella dopo la partita contro il San Martin. Tre gol nella sua prima partita in Primera come titolare. Neppure il più ottimista poteva immaginare un tale debutto. "Sognava con un gol, ma tre è qualcosa di incredibile", ha confessato con la stessa timidezza con cui è arrivato da Balnearia, Còrdoba.
Il grande passo verso il calcio che conta se lo è guadagnato una mattina quando Diego, "El Cholo", Simeone, prima dell'inizio dell'Apertura 2011, rimase senza parola, "è veloce, si muove per tutto l'attacco, tira con i due piedi e, soprattutto, tira nei quattro pali", fu questa la spiegazione del Cholo al suo staff quando decise di farlo salire in prima squadra.




Il suo arrivo al "Sottomarino Giallo" è stato carico di pressione per il giovane argentino, avrebbe lotatto con Uche, Giovani Dos Santos, Gerard Moreno e Joel Campbell. 5 per 3 posti, ma Vietto è riuscito a dare all'allenatore 10 motivi in 20 partite per essere titolare e altri 5 in Europa League. Tra questi, gol all'Atletico Madrid e al Barcellona. Nel Camp Nou il suo gol non servì per prendere punti, anche se si portò a casa una foto con Lionel Messi, quella volta rivali e chissà se un giorno compagni di squadra.


Sicuramente uno dei gol più belli realizzati fino ad ora in Liga è quello realizzato al Vicente Calderòn contro l'Atletico Madrid. Si possono vedere tutte le qualità del giovane argentino, la velocità e la sterzata col peso tutte sulle ginocchia che inganna e manda fuori gioco Godìn, non proprio il primo arrivato, sono le caratteristiche principali del "Enano". Il centrale rimane assolutamente paralizzato quando Vietto cambia il movimento del corpo e affronta Moyà con la sicurezza dei grandi e davanti ad un Calderòn pienissimo non sbaglia. Vietto ha l'istinto del killer.
Con le squadre lunghe e l'Atletico Madrid sbilanciato in avanti che ovviamente in casa tentava il tutto per tutto, la velocità di Vietto lo ha sorpreso e il Calderòn ha vissuto la sua prima sconfitta della stagione.




Un altro dei più gol sicuramente l'ha realizzato a Sevilla, nel Sanchez Pizjuàn, un altro dei campi più difficili. Il gioco del Villareal sicuramente lo aiuta nella sua crescita personale. Nel video possiamo vedere benissimo come Vietto inizi l'azione e la segua durante tutto il suo svolgimento. L'assist di Cani è sicuramente di scuola Villareal ma se Vietto non avesse seguito l'azione quell'assist sarebbe stato vano, mentre invece Luciano ci crede, si inserisce in mezzo ai due difensori centrali e conclude davanti a Beto con un pallonetto. Un vero e proprio "golazo" come lo chiamano in Spagna. Sicuramente tutta l'azione dovrebbe essere studiata nei suoi particolari. Dal passaggio in mezzo di Trigueros, all'assist di Cani di prima alla definizione magistrale di Vietto. Questo è il calcio spagnolo.





Il Villareal potrebbe ripetere con il giovanissimo Vietto la scommessa che, a suo tempo, fece con Giuseppe Rossi. Un calciatore, sconosciuto a suo tempo, quando lo acquistò il Villareal e che finì per esplodere proprio nella Liga spagnola. Sette stagioni dopo, l'attaccante argentino comincia a riscrivere le pagine che aveva firmato "Il bambino" nel Madrigal. In quegli anni, e dopo l'addio di Forlàn, il Villareal fece la sua più grande scommessa della stagione per un giovane attaccante italiano di 20 anni. Il presidente Roig non ci pensò un attimo a pagare 10 milioni per un giovane calciatore senza spazio in quel Manchester United.




Il suo passaggio per il Racing di Avellaneda gli è servito per crescere nella èlite professionale e ora il Villareal proverà a tenerlo nella sua rosa per i prossimi 5 anni. Ma i suoi gol e le sue giocate sono già arrivate alle grandi d'Europa. Prima della partita tra Barcellona e Villareal, semifinale di Coppa del Re, in Can Barça si è spostata l'attenzione verso il nome di Luciano Vietto. Motivi ce ne sono parecchi, a partire da una ammirazione del giovane ragazzo di Cordoba verso Leo Messi. Ci troviamo davanti ad un giocatore che è chiamato ad essere uno degli attaccanti più forti nel panorama calcistico dei prossimi anni. Attaccante con moltissima qualità e sfrontatezza, che si muove bene nello spazio, ma sa anche quando concludere la giocata. Anche se il fisico non lo aiuta, sa giocare bene di spalle e lo abbiamo visto anche segnare di testa nella penultima giornata. Un giocatore che potrebbe adattarsi perfettamente in questo Barcellona come alternativa a Luis Suarez.
Non si può immaginare quale sia il tetto di Luciano Vietto come calciatore. I suoi numeri - 20 gol e 8 assist questa stagione- indicano che finirà facilmente la stagione con più di 25 gol, nel suo primo anno in Europa. Una cifra incredibile per un ragazzo di 21 anni che non si può nemmeno definire un "9" di razza. Nello staff del Villareal credono che il ragazzo deve ancora migliorare sotto molti aspetti. C'è un enorme spazio di miglioramento.
Per il momento saranno rumori, ma come dice il proverbio spagnolo, "cuando rio suena agua lleva", quando ci sono sospetti, qualcosa succederà.



domenica 22 marzo 2015

I 6 classici più importanti degli ultimi anni


C'è chi dice che il mondo intero si fermi per 90 minuti, c'è chi dice che Barcellona e Real Madrid non siano solo le due squadre di calcio più influenti su questo pianeta ma incarnino due filosofie opposte, due universi paralleli che ogni tanto si scontrano e qualcosa succede. Barcellona - Real Madrid, ontologicamente, è l'esaltazione della dicotomia calcistica mondiale. Blaugrana e Blancos come Hegel e Kant, Coppi e Bartali, Fellini e Visconti, Usa e Urss, Apple e Microsoft, Beatles e Rolling Stones, yin e yang, caffè e tè.
<<L'uomo saggio impara molte cose dai suoi nemici>> diceva Aristofane ed è indubbio che l'altissima competizione tra i due club abbia contribuito a scavare il solco che divide questi due pianeti calcistici dalla maggior parte degli altri top team europei.

Vi presentiamo i 6 Barcellona–Real Madrid più importanti degli ultimi anni.





El Clásico: más que un partido! (castigliano, Madrid)
El Clasìc: mes que un partit! (catalano, Barcellona)


Real Madrid - Barcellona 0-3 19/11/2005


E' il 19 novembre 2005 quando al Bernabeu si gioca Real Madrid-Barcellona. Il Barcellona è quello di Frank Rijkaard che alla fine della stagione alzerà la coppa dalle grandi orecchie nel cielo di Parigi. Questa partita è passata alla storia, anzi alla leggenda, come la consacrazione definitiva di un talento straordinario: Ronaldinho. Il brasiliano gioca forse la miglior partita della sua carriera, sigla un gol meraviglioso, seguito da un altro fotocopia del primo. Anche i tifosi del Real si alzano in piedi ad applaudire. Il match si conclude con il risultato di 0-3 a favore del Barcellona, ma il tabellino francamente sembra non importare a nessuno. Ecco la forza di Ronaldinho.










Il Gaucho, però, è più di un semplice grande campione del calcio. Non è solo un funambolo tutto samba e dribbling, non è solo un'artista, non è solo un atleta capace delle più potenti ed estetiche progressioni palla al piede mai viste in un rettangolo verde. Ronaldinho è la mistificazione del calcio brasiliano, la perfetta unione di tutti i pregi e tutti i difetti del calcio verdeoro incarnata in 181 cm e 80 kg (incerto) di puro e sopraffino talento calcistico. 
<<E' l'unico giocatore che ho visto sorridere dopo aver colpito un palo in una semifinale di Champions League>>  dirà qualcuno. <<Pagherei il biglietto solo per vedere Ronaldinho che fa il raccattapalle>> dirà qualcun'altro.
Invece Josè Altafini, nella telecronaca di quel classico su Sky, dirà con quel suo tono di voce a metà tra l'entusiasmo di un bambino e l'estasi di un monaco tibetano: <<Ronaldinho è il messia, ha riportato il calcio sulla terra>>. Ecco, sulla copertina del manuale del calcio, amici, c'è lui: Ronaldinho, al Bernabeu, in una sera qualsiasi di un 19 novembre qualsiasi. Quando c'è Ronaldinho tutto il resto, francamente, sembra non importare a nessuno.


Barcellona - Real Madrid 5-0 29/11/2010

E' il primo classico sulla panchina madridista per Jose Mourinho ed è forse la sua sconfitta più “pesante” e difficile da digerire.
Dal punto di vista catalano il match rappresenta l'idealizzazione di un modello calcistico che affonda le sue radici nel contesto sociale, politico e popolare.
Il Barcellona è una squadra che appartiene alla metafisica e che arriva a sfiorare il divino. Il Real Madrid di Mourinho, per quanto forte e modernissimo, è una squadra troppo lineare. Citando Sandro Modeo “Sembra di vedere un corpo solido contro un corpo liquido, una squadra molto forte (anche fisicamente) che cerca di piantare dei chiodi nell'acqua.”
La manita chiude il cerchio con la storia blaugrana: da quella del Barcellona del Cruijff giocatore nel '74 a questa di Guardiola allenatore nel 2010 passando per quella del '94 del Cruijff allenatore e Guardiola giocatore. E' la giostra della vita del calcio catalano, è il ciclo del calcio totale.




Il Barcellona esalta tutte le proprie caratteristiche generali e specifiche. Spazialmente nel campo si dispone in 20/30 metri di lunghezza, ma pronto a coprire tutta la larghezza del terreno di gioco, con la linea difensiva a metà campo per sfruttare il fuorigioco all'occorrenza. Le fasi di possesso e non possesso si specchiano l'una nell'altra senza mai scucirsi e scollegarsi.
Tutti i gol vengono da dinamiche di gioco esaltanti. Il terzo ed il quarto sono esemplificativi della costante ed ossessiva ricerca della profondità: grandi tagli di Villa su filtranti laser di Messi.
Leo è illegale quando parte con il suo sinistro dalla fascia destra per poi accentrarsi tranciando la trequarti con assist straordinari per i tagli a tutta velocità e con i tempi giusti dei suoi compagni.


Il primo gol di Xavi, invece, esalta la caratteristica dei catalani meno sottolineata ed elogiata: il coraggio. Non basta essere i più forti come squadra, non basta aver il migliore allenatore, non basta avere il calciatore più forte, bisogna avere il coraggio per giocare in quel modo! Ecco che Xavi imposta poco prima della mediana smarcandosi da un avversario e smistando verso un compagno libero, poi lo ritroviamo a centrocampo quando dà il ritmo con un tocco di prima alla transizione blaugrana per giungere infine in area a controllare il pallone (in modo fortunato oppure sfiorando la fisica, dipende dai punti di vista) e a scavalcare Casillas con un pallonetto. Calcio totale fa rima con coraggio.


Real Madrid - Barcellona 3-1 25/10/2014

Doveva essere il Classico di Suarez, che tornava in campo dopo la squalifica di 4 mesi, invece è il classico dei campioni d'Europa che mettono il vestito da transizioni supersoniche delle grandi serate e fanno una figura sfavillante di fronte ad un Barcellona pieno di possibilità e potenzialità ma poco concreto, troppo leggero. Gli ospiti galleggiano nell'aria e il Madrid affonda le sue lame affilate negli spazi lasciati dagli impacciati blaugrana.
Messi e compagni vivono ancora una profonda crisi d'identità a metà tra il ricordo di una squadra e di una chimica di squadra - imbattibili ma ormai inesistenti - e tra il progetto di un nuovo percorso tecnico-tattico. Soprattutto, fatto inusuale da anni, il Barcellona inizia questo classico da sfavorito.




Luis Enrique tiene Suarez e Neymar molto larghi e mostra al mondo ufficialmente il suo progetto di far arretrare Messi in fase di possesso palla per concedergli più palloni e allo stesso tempo permettendo agli altri due di aggredire lo spazio libero.
Il Barcellona passa in vantaggio ed è merito di una bellissima combinazione dei tre davanti: Suarez largo a destra cambia gioco per Neymar che taglia verso l'interno del campo, movimento a liberare spazio di Messi, finta del brasiliano e pallone nell'angolino.
La partita però cambia e il Barcellona si riscopre incapace di difendersi dalle mortifere ripartenze del Madrid. Segnano Ronaldo su rigore, provocato da un fallo di mano di Pique dopo una tambureggiante azione di Marcelo, Pepe di testa tutto solo sugli sviluppi di un calcio d'angolo e Benzema.
Ecco, il gol di Benzema merita un piccolo discorso a parte, non per il gol in sé o per lo splendido contropiede o per la bellezza e l'armonia nel vedere le maglie bianche avanzare negli spazi larghi della difesa di un Barcellona ormai completamente privo del precario e rarefatto equilibrio custodito durante la partita. Il nocciolo della questione è l'assist, semplicemente perfetto: è un passo di bambuco, è il colpo de "El Diez" dei Cafeteros, quel "Khames" che aveva fatto innamorare gli amanti del calcio di mezzo mondo ai mondiali brasiliani e che adesso, con quel tocco in profondità delicato ma allo stesso tempo deciso, si è preso il Bernabeu.



Real Madrid - Barcellona 0-2 27/04/2011
<<Si decide stasera, con il terzo atto della trilogia, la sfida infinita tra...>>. Sono sicuro che molti di voi avranno riconosciuto questa ormai celeberrima introduzione. Naturalmente si tratta del proemio di Arsenal-Liverpool, Champions League 2008, pronunciato da Massimo Marianella in una delle più deliranti telecronache del giornalismo sportivo italiano. Se però si parla di trilogia nel calcio, l’unica in grado di competere con i vari Guerre Stellari, The Bourne, Il Padrino, è quella andata in atto nell’aprile 2011 tra Real Madrid e Barcellona, un thriller degno del miglior Quentin Tarantino. E giacchè l’ho invocato, proprio in onore del regista di Pulp Fiction, non vi racconterò delle sfide in ordine cronologico.



27 aprile 2011, Santiago Bernabeu. Tensione palpabile nella semifinale di Champions tra merengues e culè. E’ periodo di piena egemonia blaugrana, non sembra esserci nessuno in grado di ostacolare Guardiola e soci, anche perché tale livello di perfezione non è umanamente osteggiabile. Il Messi del 2011 è ineffabile per la ragione umana, è quella cosa in sé non ascrivibile ad alcuna categoria fenomenica. Xavi gioca a ritmi e tocchi da futsal in un campo da calcio e il motore immobile è Guardiola; probabilmente nei prossimi anni distingueranno la storia del calcio in a.G e d.G.. Sulla sponda opposta Mourinho cerca di instillare nei suoi la solita sindrome da accerchiamento, un’ arma a doppio taglio, vana senza una sottomissione totale della volontà dei singoli (ed un Cristiano Ronaldo in questa posizione non ce lo vedo proprio). I blancos si sovraccaricano di energia negativa, in alcuni frangenti del match Pepe marca a uomo Messi. La strategia inizialmente paga, la parità si perpetua nonostante lo sbilanciamento difensivo dei padroni di casa. Ma a mezz’ora dal termine, un accidioso fummo offusca la mente di Pepe, che interviene in gioco pericoloso su Dani Alves. Per alcuni l’espulsione è d’obbligo, per altri meno, ma Stark opta per il rosso. Guardiola coglie l’attimo fuggente, inserisce Afellay (quanto era forte nel 2011?!) e da lì in poi la partita ha un nome e un cognome: Lionel Messi. Dapprima sfrutta una scorribanda dell’olandese per insaccare di piatto, poi dipinge un capolavoro tipico solo di chi nasce in Argentina, più precisamente a Rosario o a Lanùs. Il post partita invece, è entrato nell’immaginario collettivo come una delle più grandi parate di culo dello sport, solo Jose Mourinho avrebbe potuto. Porquè?
La vendetta è un piatto che va servito freddo, Guardiola ha saputo redimersi. Già, perché una settimana prima il Real aveva soffiato la Coppa del Re ai catalani.


Real Madrid - Barcellona 1-0 20/04/2011
20 aprile 2011, Mestalla. Dopo il pareggio in campionato per 1 a 1 al Bernabeu, La Comunidad Valenciana ospita la finale dell’ex Copa del Generalisimo. Mourinho adotta un 4-3-3 che permette di pressare il centrocampo blaugrana e di innescare Ronaldo nelle transizioni offensive. Proprio il portoghese sciorinerà una delle migliori prestazioni della sua carriera. 



Il sistema dei blancos imbriglia il fraseggio di Xavi e Iniesta ed ammansisce Pedro e Villa privi di rifornimenti: uno dei tanti capolavori tattici del mago di Setubal. La partita è comunque godibile ed equilibrata, perché nonostante l’ingolfamento di ogni linea di passaggio, Messi pratica un altro sport ed è limitato solo dal rude trattamento di Pepe e sodali. Cristiano più prosaicamente divora l’erba davanti a sé, è indiavolato, vede la porta da qualsiasi posizione. I supplementari sono la soluzione più ovvia. Il canovaccio è il medesimo, fino a quando al 103’ i polmoni di Adriano vanno in riserva. CR7 si fionda verso l’area avversaria, dove puntuale scarta il cioccolatino confezionato da Di Maria: un colpo di testa imparabile, come quelli infallibili di Virtua Striker. Finisce così, Real campione, unica consolazione in una stagione irradiata dello stordente bagliore rosso e blu. Ma le peripezie non sono ancora terminate, ed un episodio inconsueto nei festeggiamenti diventa il paradigma dell’annata madridista, pervasa in generale da un senso di impotenza nei confronti dei rivali e del destino: sul pullman scoperto, la coppa scivola dalle mani di Sergio Ramos, frantumandosi in mille pezzi. Non c’è pace neanche nella vittoria per la squadra di Florentino Perez.




Dopo l’amara sconfitta, la redazione di Eurosport scriveva questo a proposito di Guardiola:« C’è qualcosa che non va nello sguardo e negli atteggiamenti dell’allenatore del Barcellona. Una mancanza di serenità che si trasmette in modo decisivo agli uomini in campo. Nessun cambio nei 90 minuti che mettono in luce quelli che potrebbero essere strappi ormai netti. L’era Pep sembra davvero ai titoli di coda». Non sapevano che da lì a un mese avrebbero assistito ad uno spettacolo abbacinante, il cui sipario sarebbe calato solo con la traversa di Messi al Camp Nou contro il Chelsea l’anno successivo.


Real Madrid - Barcellona 2-6 2/05/2009

Quelle stagioni a cavallo tra 2008 e 2012 sono state irripetibili, ma probabilmente non le avremmo vissute senza Real Madrid Barcellona del 2 maggio 2009. Siamo di nuovo al vecchio stadio Chamartin. E’ il primo anno di gestione Guardiola, quando all’inizio il centrale titolare era Gabri Milito, Messi non era centravanti ed Henry continuava a spiegare calcio. Dopo la sconfitta per 2 a 0 nel Clasico dell’andata, il Real inanella diciassette risultati utili consecutivi, con un solo pareggio. Tanto basta per giungere al nuovo scontro diretto con soli quattro punti di svantaggio a cinque giornate dal termine.



Prima abbiamo parlato di Marianella, ma così come il buon massimo appartiene alla Premier e viceversa, anche Trevisani trasuda Liga da ogni poro. Per quanto Stefano Borghi sia altrettanto capace (sublime quando si tratta di Sud America), il campionato spagnolo DEVE essere materia di Riccardo, così come quello inglese dovrebbe tornare a Marianella. Altrimenti dovrebbero diminuire la tariffa mensile di Sky.


I pronostici sembrano sovvertiti definitivamente quando Higuain porta in vantaggio i blancos. Ma da lì in poi divampa l’incendio blaugrana, 3 a 1 e risultato ribaltato nel primo tempo (Henry, Puyol, Messi). Gli ospiti continuano ad ordire le solite trame di gioco, ma Ramos li sorprende di testa per il 3 a 2. E’ l’unica fiammella di speranza nella disastrosa gara del madridista, che più tardi si dimentica completamente di Henry e gli concede il 4-2. Il 5 a 2 lo segna Messi, ma ci sarebbe da scrivere un manuale sulla protezione di palla e relativa capacità di smarcamento di Xavi. Piquè mette il punto esclamativo, 6 a 2, centesimo gol in Liga del Barcellona, proiettato ormai verso la polemica semifinale di Champions a Stamford Bridge e con un vantaggio di sette punti sulla seconda in campionato. La domenica successiva il Real, perdendo col Villarreal, sancirà la vittoria matematica degli azulgrana in Liga e spianerà la strada a Guardiola verso il triplete.           


venerdì 13 marzo 2015

Perdere aiuta a perdere, sbagliare aiuta a sbagliare


È già tutto finito? Il sipario sull'avventura dell'Inter in Europa League è già stato calato?


Le perplessità e la confusione dipinte sul volto di Roberto Mancini

Eppure l'inizio era stato uno di quelli profetici che faceva pensare ad una grande impresa.
Mancini schiera un ottimo 4-3-3, l'Inter difende bene e contrattacca. Le fasce laterali sono la chiave del buon primo tempo della squadra neroazzurra. La catena di destra D'Ambrosio - Shaqiri funziona molto bene nella fase di non possesso soprattutto per merito dello svizzero, sempre ordinato e concentrato. Discorso diverso sull'altro lato del campo dove Palacio fatica a mantenere la giusta posizione rimanendo spesso troppo alto: il posizionamento errato dell'argentino tiene Vieirinha, uno dei principali pericoli avversari, un po' più basso però comporta enormi difficoltà per Santon che si trova sempre in inferiorità numerica e, preoccupato dallo spazio davanti a lui e facendosi attirare verso quel vuoto, perde un paio di volte Caligiuri bravo a tagliare alle sue spalle.



Nonostante questo l'Inter riesce a coprire abbastanza bene il campo in ampiezza ovviando al problema intrinseco del rombo che Mancini schiera abitualmente in campionato.
Nel primo tempo l'Inter riesce ad alternare con profitto un accenno di pressing offensivo efficace, come nel caso del gol di Palacio, ad una buona difesa di posizione non concedendo praticamente niente ai tedeschi prima del gol di Naldo che arriva in un momento di apparente controllo neroazzurro.
Tutto cambia ad inizio ripresa. Il Wolfsburg esce più convinto dagli spogliatoi e alza ritmo e baricentro. L'Inter dimostra limiti di gestione del possesso palla a centrocampo ( Medel e Guarin) e sbaglia qualche pallone in uscita (cancro del gioco neroazzuro): tutto questo, però, senza subire troppo.
Ad anticipare il possibile adattamento al nuovo tipo di partita, però, c'è un cambiamento tattico inaspettato. Ecco che “sale in cattedra” Roberto Mancini con uno dei suoi acclamati bigliettini: 3-4-1-2, Vidic per Hernanes. Il tanto inedito quanto fragile modulo regala completamente le fasce agli avversari, fa arretrare ancora di più la squadra, che adesso conta su 5 difensori più Medel, impedendo una circolazione di palla nella zona centrale del campo e condannando l'Inter a difendere all'interno della propria area. Il risultato è una formazione spezzata in due (con i tre davanti che escono dalla partita), nulla sulle fasce e disorganizzata centralmente.
Sarebbe bastato un cambio di uomini e non di modulo, inserendo un centrocampista fresco in grado di dare energia in mezzo al campo migliorando sia le coperture che il possesso palla.

Hecking arricchisce la partita con la mossa che sembra decisiva ma che sfrutta soltanto gli errori dell'Inter: fuori Schurrle e dentro Trash con Vieirinha alto a destra e Caligiuri che si sposta sull'altro versante.
Prima della doppietta di De Bruyne, giocatore dall'essenzialità e dall'energia molto importanti, Palacio fa in tempo a divorarsi una rete già fatta. La faccia di Palacio è il ritratto dell'Inter. La faccia di chi vorrebbe ma non può. La faccia di chi si impegna ma non basta. I limiti che oscurano le possibilità.

Palacio dopo la grande occasione sprecata

Ai limiti tecnici individuali dei calciatori si aggiunge la scelta folle di un allenatore che rinnega una delle decisioni migliori prese da quando è tornato all'Inter (4-3-3 di partenza) per abbracciare un 3-4-1-2 che diventa inesorabilmente un 5-2-0 in fase di non possesso e che profuma di suicidio tattico.

La strada per la creazione di una cultura vincente è lunghissima e in salita, un'altra possibile occasione di crescita è stata sprecata. Brutte notizie insomma.

giovedì 12 marzo 2015

I 6 gol più belli del Sassuolo fino a questo punto del campionato

Quando nel calcio si parla di gioco da provinciale, si intende una squadra (in genere piccola) che ne affronta un'altra (in genere più forte) giocando tutta la partita chiusa dietro in attesa di affondare il colpo. È già da tempo che le squadre piccole riescono a strappare non pochi punti alle "big". Prendiamo in considerazione una "provinciale" che ha sorpreso per il suo gioco: il Sassuolo. È una squadra che non rinuncia mai a giocare e spesso lo fa alla grande. Se osservate Di Francesco nel corso della partita, lo vedrete nervoso quando la squadra commette imprecisioni difensive, ma soprattutto lo vedrete infuriarsi a seguito di errori di impostazione, segno che il suo obbiettivo principale è insegnare alla squadra la costruzione dell'azione e a fare goal. In questa ideale classifica raccogliamo i 6 gol più belli del campionato disputato dal Sassuolo.



1) Zaza vs Milan



Goal che si commenta da solo. Tiro al volo su un cross da calcio d'angolo, Zaza impatta perfettamente di piatto il pallone, portiere che nulla può fare. Goal probabilmente viziato da un blocco falloso contro la difesa del Milan, ma il gesto tecnico è super.




2) Zaza vs Inter



A rendere grande questo goal è il coeficiente di difficoltà: dopo un'azione basata su scambi rapidi rasoterra a sinistra, arriva un cross basso ma a palla rimbalzante per Zaza che in un attimo e in fazzoletto stoppa, si gira e tira (e che tiro) prima che il non incolpevole Vidic possa fermarlo. 




3) Sansone vs Milan 



Strepitosa palla di Berardi sul movimento in area di Sansone che stoppa di petto e segna. La parte più bella di questo goal è sicuramente lo stop perfetto di Sansone in velocità in uno spazio piuttosto stretto, perchè c'era il rischio di un'uscita del portiere. 




4) Taider vs Parma



E' giusto acclamare Pogba quando segna grandi goal dalla distanza (e c'è da dire che lo fa spesso), così come è giusto sottolineare lo stop con cui Taider si aggiusta la palla dopo un traversone respinto e il gran tiro di potenza da fuori area sotto l'incrocio. 



5) Zaza vs Juventus


La cosa più interessante di questo goal è la rapidità di gioco. Vrsaljko crossa sul secondo palo, Longhi fa da sponda per Zaza che tira di prima trovando la respinta di Bonucci, di nuovo Longhi crossa rasoterra di prima intenzione per Zaza che subito la mette dentro. 




6) Zaza vs Cagliari 



Berardi da destra pennella sul secondo palo per Zaza che, seguito male dal marcatore, segna al volo di sinistro.