venerdì 24 giugno 2016

Il capolavoro di LeBron

James e i Cavs scrivono una leggendaria pagina delle Finali NBA.

di Michele Serra







Dopo l’incredibile serie tra Thunder e Warriors, decisamente i playoff NBA non hanno lesinato le sorprese, con la differenza però che, questa volta, sono stati i Golden State Warriors a trovarsi dalla parte sbagliata del miracolo. Prima squadra di sempre a perdere le Finals in vantaggio per 3-1, gli uomini di Steve Kerr hanno assistito da spettatori non paganti ad una delle pagine più leggendarie delle Finali NBA, starring LeBron James.

Due finali
A maggior ragione alla luce dell’ottimo basket espresso nei turni precedenti (ok, il livello era inferiore, ma tant’è), ha sicuramente fatto impressione il modo in cui i Cavs sono scesi in campo nelle prime due partite della serie, completamente disuniti e disorganizzati su entrambi i lati del campo, a livello individuale e di squadra. Nonostante gara 1 sia stata incerta fino a metà terzo quarto, Cleveland ha avuto molti passaggi a vuoto dal punto di vista difensivo e di comunicazione.

Qui vediamo un esempio da gara 1, in situazione di transizione per i Warriors. I Cavs seguono il movimento di Klay Thompson che, come suo solito, attira raddoppi e triple marcature, lasciando tutto solo Ezeli per la schiacciata.


Questo è un esempio estremo, dove ben quattro difensori non comunicano tra loro, ma ci sono tanti altri esempi più ordinari, dove Klay trae in inganno due giocatori permettendo il taglio di un compagno, come vediamo ad esempio qui sotto.


Oltre agli evidenti problemi nella propria metà campo, Cleveland ha dovuto fare in conti con difficoltà altrettanto palesi in quella di Golden State. I Cavs sono una squadra che tende ad affidarsi agli isolamenti, grazie al supremo talento di LeBron e Kyrie (13.8% è la frequenza con cui sono stati utilizzati gli iso da Cleveland in questi playoff). Anche OKC usava in gran parte lo stesso gioco - 13% di isolamento in post-season per loro - ma il loro gioco difensivo era molto più rigoroso. 

Nelle prime due partite, James ha fatto una fatica tremenda ad entrare in ritmo, a causa dei tanti tiri che non entravano e, forse, dell’eccessivo altruismo quando si trattava di mettere in moto i compagni. Il 23 spesso è stato usato come portatore di palla nei pick&roll, spesso coinvolgendo Irving come bloccante, in modo tale avere un mismatch contro Curry e, nel frattempo, tenere lontano da sé Iguodala, autore di un’altra magistrale prova difensiva contro di lui, dopo l’eccellente lavoro contro Durant (ha concesso il 46% dal campo al diretto marcatore, e il 39% da 3 punti). James, però, ha avuto grossi problemi grazie all’ottimo lavoro di altri giocatori, come Barnes o Thompson, a cui lo scorso anno aveva causato ben più di un grattacapo quando si trattava di difendere una penetrazione al ferro di LeBron. Come se non bastasse, il suo jumper, fallato da tutta la stagione, è stato abbondantemente concesso dagli avversari, comprensibilmente più preoccupati delle sue eventuali incursioni in area: il 21% dei suoi jumper sono definiti “open” secondo i criteri di NBA.com, e a ragione: James ha mandato a bersaglio solo il 25% di quelli.

Gara 3 ha sicuramente visto un’inversione di tendenza dal punto dell’aggressività difensiva e della comunicazione tra compagni, fondamentale se si vuole difendere in maniera competente. Molto ha fatto l’ingresso in lineup di Richard Jefferson, che ha giocato una serie difficilmente immaginabile soprattutto nella propria metà campo, vista l’assenza per infortunio di uno spento Love (8.5 punti di media nelle Finali con il 36% dal campo e un inguardabile 26% da 3). La presenza dell’ex Nets ha permesso a Cleveland di poter cambiare più agevolmente sui numerosi blocchi che caratterizzano i set offensivi de Dubs, come vediamo qui sotto.


A questo, va poi aggiunto il grande closeout di Tristan Thompson, che ha giocato diversi eccellenti possessi difensivi contenendo con il suo footwork anche le penetrazioni degli esterni, oltre, chiaramente, ad essere un fattore a rimbalzo, soprattutto offensivo (quasi 4 carambole offensive sulle 10 di media conquistate nelle Finali, con il 38% di rimbalzi contestati presi). Curry è stato al centro dei pensieri dei Cavs, che lo hanno attaccato senza sosta, provandolo molto anche nella propria metà campo. I Cavs hanno tirato con l 71% dal campo nel primo quarto indirizzando la partita verso il proprio binario, come fatto anche in gara 6.

Turning point
Gara 3 è stata la partita spartiacque della serie, prima della quale Cleveland è apparsa letteralmente irriconoscibile, davvero impreparata. Tanti errori difensivi e percentuali bassissime, con tutto il quintetto abbondantemente sotto il 50% dal campo.

Se però dovessimo identificare il vero turning point della serie, quello è arrivato in gara 4, quella del record di squadra stabilito dai Warriors per triple tentate (36) e segnate (17), e cioè la sospensione di Draymond Green. L’ennesima manata sotto la cintura, questa volta ai danni di James, è valsa all’ex Michigan State il quarto fallo tecnico dei playoff, il che corrisponde ad una squalifica di una partita, quella gara 5 vinta con un eroico sforzo da parte di James ed irving, autori di 41 punti a testa (prima volta che accade a livello di Finali con due compagni di squadra a rischio eliminazione). 

Lo stile di gioco offensivo non è cambiato (per dire, Golden State ha ancora una volta passato molto di più il pallone rispetto agli avversari, 296 passaggi totali contro 217). Quel che è cambiato rispetto alle partite precedenti - e che ha portato a farci pensare che fosse solo un exploit - è stata la facilità con cui James ha messo punti su punti grazie ai jumper, che chiaramente sono stati concessi più che volentieri dalla difesa: basti pensare che, nelle quattro partite precedenti, LeBron aveva segnato solo 23 tiri fuori dal pitturato, mentre nella sola gara 5 sono stati 20, come riporta ESPN Stats&Info. Sia i tiri definiti “open” che quelli “wide open” sono stati mandati a bersaglio da LeBron con il 50% dal campo: sarà l’ultima volta che i Warriors accetteranno di farsi battere così dall’ex Heat, i cui tiri aperti caleranno notevolmente, a favore di quelli contestati (13% contro 19%, rispettivamente). 

Per quanto riguarda Kyrie, beh, lasciamo che siano le immagini a parlare: il ragazzo da Duke, che lo scorso anno ha dovuto smaltire la delusione della sconfitta dal letto di ospedale dove recuperava dall’operazione al ginocchio, ha fatto capire perché grande attacco batte grande difesa, con una compilation di crossover, pullup e tiri contestati messi a segno come ben pochi sanno fare. E questa volta, nemmeno il talismano Iguodala ha funzionato (con lui titolare, i Warriors erano imbattuti negli ultimi due anni).


Ancora una volta, in gara 6 a fare la differenza è l’approccio iniziale alla partita, con Cleveland che chiude il primo tempo 31-11 (!), sfruttando i tanti errori al tiro degli ospiti e giocando bene e libera da condizionamenti mentali come mai era riuscita in questa serie. Gli Warriors hanno sbagliato l’impossibile, avendo chiuso con il 40% da 2 e il 38% da 3, frutto però di un’ottima partita di Curry, l’ultimo ad abbandonare la nave anche quando i buoi erano già abbondantemente scappati e il più continuo in attacco durante tutta la partita comunque tutt’altro che perfetta, viste le quattro palle perse (a fronte di un solo assist) e la sensazione che l’attacco dei Warriors fosse inceppato: merito spesso dell’eccellente difesa di Cleveland, che ha costretto gli avversari a tiri forzati e contestati. Non che quelli smarcati siano andati dentro con frequenza, anzi, visto che la percentuale di questi ultimi dice 48% (contro però il 33 dei tiri marcati). 

Draymond Green, complici i problemi alla schiena di Iguodala, è stato sulle piste di James per lunghi tratti di partita, finendo con la lingua per terra nella metà campo offensiva, mentre LeBron metteva a segno una linea statistica senza precedenti nella storia delle Finali: 41-8-11-4-3.

A proposito delle fatiche offensive dei Warriors, questo mi sembra il canestro più esemplificativo della serata (dei problemi al tiro, e del talento di Steph)


Nell’ultimo episodio della serie, entrambe le squadre hanno certamente risentito della fatica fisica e mentale, quella per una stagione di quasi 100 partite e delle aspettative dall’una e dall’altra parte: quella delle 73 vittorie e del primo titolo professionistico a Cleveland dal titolo NFL dei Browns nel 1964. La partita ha avuto un ritmo abbastanza lento (93 di pace), sicuramente più congeniale allo stile dei Cavs (proprio 93 di pace nei playoff), che a quello di GS (oltre 100), e negli ultimi minuti entrambe le squadre hanno fatto sciopero di canestri, finendo con un 1-17 complessivo. L’unico tiro mandato a bersaglio è stato quello, decisivo, di Kyrie Irving, dal palleggio con la mano di Curry in faccia, e che passerà alla storia come una delle icone di queste imprevedibili Finals.


Rigorosamente dietro la stoppata di LeBron sul tentativo di layup di Iguodala, LeBron che delle chasedown blocks è il precursore: un gesto tecnico e atletico fuori dalla norma, che può essere interpretato come la rappresentazione concreta di non voler lasciare andare via questo titolo che era perso, ed ora sembrava così vicino.


Ma come non parlare anche della splendida difesa di Love nel penultimo possesso di Golden State, in cui l’ex T’Wolves si è trovato sul cambio contro Curry, riuscendo a rimanere su di lui e contestandogli il tiro, altra azione chiave della partita.

Per quanto riguarda LeBron, chiude con quasi 30 punti, 9 assist e oltre 11 rimbalzi, più 2.6 rubate e 2.3 stoppate, finendo come primo giocatore di squadra in tutte queste categorie statistiche - nonché primo della storia a riuscirci. Se gli hater di LeBron avevano bisogno di qualcosa di grande per essere smentiti, lo hanno decisamente avuto.

Sulle gambe
Così come è stato per Cleveland lo scorso anno, è Golden State che deve leccarsi le ferite pensando agli infortuni patiti nel corso dei playoff, ben sapendo che nello sport è qualcosa con cui, volenti o nolenti, bisogna convivere. In gara 5 Bogut è stato costretto a dire addio al resto delle finali per colpa di un serio infortunio al ginocchio, anche se la sua performance fin lì è stata rivedibile, così come anche quella di Ezeli, detentore del peggior net rating dei suoi nelle 7 partite di finale (oltre il -19).

Kerr però non si è fatto scrupoli e, a differenza di quanto si è soliti fare nei playoff, accorciando le rotazioni, ha pescato a piene mani dalla sua panchina, finendo per dare minuti a James McAdoo, che si è visto raramente nei suoi due anni di militanza NBA, e anche Anderson Varejao, il grande ex, che comunque ha saputo dare una mano quando chiamato in causa, soprattutto coi rimbalzi offensivi, catturando il 16% di quelli disponibili, il migliore della squadra. Iguodala ha avuto problemi alla schiena nelle ultime due partite, Curry ha sicuramente risentito del problema al ginocchio e Green ha trovato il modo di consegnare l’inerzia ai Cavs con la sua stupida espulsione. 

L’attacco pian piano ha perso colpi, finendo col mettere a segno 97.3 punti di media su 100 possessi nelle ultime tre gare della serie (e con una percentuale da 3 non più alta del 38 in questo arco di tempo). Lo slump al tiro di Barnes ha poi reso le cose più difficili. Alla ricerca di un contratto più ricco in quanto free agent, Barnes si presenta ai nastri di partenza del mercato con il fardello di queste pessime Finals, in cui, nelle ultime 3 partite, ha tirato 5-32 dal campo, con 4-20 nei tiri non contestati, il che ha portato Cleveland a nascondere su di lui Tristan Thompson, per lasciargli spazio al tiro e intasare l’area (il famoso trattamento Tony Allen), risultato che ha decisamente pagato. In generale, Golden State è apparsa molto frettolosa nell’esecuzione offensiva, accontentandosi spesso di tiri da tre fuori ritmo e/o contestati e in molti frangenti poco attenta col pallone in mano, problema che i Cavs hanno limato con il passare della serie.

Quel che è certo è che la stagione storica degli Warriors non può essere sminuita né ridotta ad una partita persa, specie contro avversari di questo calibro. E se è vero che per vincere bisogna prima cadere, e tanti sono gli esempi a favore di questa tesi, questa sconfitta è bruciante abbastanza da essere la benzina che alimenterà il fuoco di Golden State nella prossima stagione. 


Articolo a cura di Michele Serra

giovedì 16 giugno 2016

Dominio e speranze


Cosa ci ha insegnato Germania-Ucraina sugli equilibri del girone C


di Emanuele Mongiardo




Dopo un inizio di Europei estremamente equilibrato in ogni partita, Germania-Ucraina sembrava essere la prima gara in cui il risultato avrebbe rispecchiato il delta tecnico tra le due squadra. Invece l’esito è stato incerto fino agli ultimi minuti di recupero, quando Schweinsteiger ha finalizzato il contropiede tedesco per il due a zero finale, sancendo la prima vittoria con più di un gol di scarto dell’intera competizione. La prestazione di domenica sera rende ancora più inscalfibile la leadership della Germania nel girone C e alimenta al tempo stesso le speranze di qualificazione dell’Ucraina che ha dimostrato di possedere individualità di valore aldilà dei più reclamizzati Konoplyanka e Yarmolenko.

Loew, costretto a rinunciare ad Hummels per via di un infortunio al tendine del ginocchio, si affida per dieci undicesimi al blocco mondiale, nella prima competizione ufficiale dal 2004 senza capitan Lahm. Davanti a Neuer la coppia centrale è composta da Mustafi e Boateng. A destra Howedes sembra essere una certezza nelle gerarchie della squadra, mentre a sinistra prende posto Hector. Kroos e Khedira costituiscono la coppia di mediani alle spalle del trio di mezzepunte Muller-Ozil-Draxler. Davanti a loro agisce Gotze nel ruolo di punta centrale.

Anche Fomenko opta per il 4-2-3-1 e si affida ad elementi delle principali società ucraine, per cui manda in campo cinque giocatori dello Shaktar, tre della Dinamo Kiev e tre del Dnipro, se si considera tale anche il sivigliano Konoplyanka. Il portiere titolare è Pyatov; davanti a lui agiscono Kacheridi e Rakitskyi, coadiuvati a destra da Fedetskyi e a sinistra dal capitano Shevchuk. In mediana Stepanenko e Sydorchuk hanno il compito di garantire equilibrio e supporto alla manovra; davanti a loro si muove il trio Yarmolenko-Kovalenko-Konoplyanka, nella cui inventiva sono riposte le speranze ucraine. Zozulya è l’unica punta.



Dominio del campo e fluidità

Già dai primi minuti è facile prevedere l’inerzia della partita: Germania col dominio territoriale e del pallone, Ucraina più attendista nell’attesa di poter sfruttare prima o poi l’estro dei propri trequartisti. Loew fa salire i propri terzini e li costringe a calpestare la linea laterale per controllare il campo in ampiezza. A supporto della coppia centrale Boateng-Mustafi giungono i due mediani, entrambi con un set di movimenti diversi anche per assecondare caratteristiche individuali differenti. Kroos tende a posizionarsi in diagonale esterna rispetto a Mustafi, offrendo sempre lo scarico facile al centrale del Bayern; delle volta rientra anche tra i centrali, sia in mezzo ai due che a lato dell’ex sampdoriano, dettando il passaggio alla difesa a 3 in fase di impostazione. Anche Khedira in alcuni tratti della partita adotta lo stesso atteggiamento del centrocampista del Real Madrid, differenziandosi leggermente per le zone di ricezione bassa, in cui oltre a posizionarsi più esterno rispetto al proprio difensore di riferimento prova anche a muoversi centralmente: davanti a Kroos quando quest’ultimo si posiziona tra i centrali di difesa, o più semplicemente disponendosi in verticale rispetto a Mustafi in situazioni di 2-2-5-1 (o 4-2-3-1 se preferite). Quando tutti e due i mediani decidono di muoversi in diagonale rispetto a Boateng e Mustafi, uno dei trequartisti, solitamente Ozil, può rientrare a centrocampo e facilitare la costruzione. Questo movimento determina il passaggio momentaneo della squadra al 2-3-4-1



L’Ucraina inizialmente prova ad ostacolare la costruzione con un 4-4-2 in fase difensiva, con Kovalenko di fianco a Zozulya. Il compito dei due è pressare Kroos e Khedira. I loro movimenti, così come quelli della linea di centrocampo, sono determinati dalla posizione della sfera. A seconda del lato palla uno dei due va in pressione sul proprio uomo di riferimento, mentre l’altro copre il centro. L’obiettivo di Fomenko è la protezione della zona centrale, per cui accetta di lasciare libertà ad uno dei due esterni. In particolare è fondamentale la coordinazione e la velocità negli scivolamenti dei quattro di centrocampo: devono fronteggiare tre mezzepunte e due esterni, perciò sono sempre in inferiorità numerica. In generale l’Ucraina riesce nel suo obiettivo di evitare lo sfondamento centrale grazie anche alla compattezza delle linee di difesa e centrocampo.


Una volta risalito il campo fino alla propria trequarti le soluzioni per i tedeschi sono due: allargare il gioco sfruttando il posizionamento di Howedes ed Hector, oppure innescare in verticale le mezzepunte, sempre molto vicine tra di loro per provare a combinare. Proprio la necessità di sfruttare la capacità associativa di Muller, Ozil e Draxler evidenzia un pregio della disposizione diagonale dei mediani. Jerome Boateng negli anni con Guardiola è diventato uno dei migliori playmaker difensivi al mondo, in grado di giocare con precisione sia sul corto che sul lungo. Il movimento di Khedira gli apre lo spazio per verticalizzare direttamente sui trequartisti senza passare per la mediana.



Sempre un altro compito del centrale di origine ghanese è il cambio gioco, fondamentale affinato ulteriormente al Bayern soprattutto in quest’ultima stagione grazie alla presenza di due riferimenti esterni fissi. La differenza principale tra gli esterni del club e quelli della nazionale è la loro funzione all’interno del sistema, figlia della tecnica individuale. Ovviamente Howedes ed Hector non sono Douglas Costa e Robben, ma hanno il compito di allargare il campo e fornire l’opzione in più in fase di possesso. Inoltre lo schieramento dell’Ucraina, col quattro 4 VS 5 a centrocampo in favore dei campioni del mondo asseconda l’indole di Boateng ed accresce l’importanza dei due esterni.

Nel progressivo avvicinamento alla porta della Germania è interessante notare gli interscambi continui tra trequartisti, esterni e Khedira. Il centrocampista della Juventus accompagna l’azione fino alle sue fasi conclusive. Detto della sua tendenza a diversificare la ricezione rispetto a Kroos nella prima costruzione, non è raro vederlo occupare già dall’inizio della manovra un posto sulla trequarti, magari invitando Ozil a giocare da mediano in coppia con Kroos. Per quel che riguarda gli uomini di fascia, le caratteristiche incidono sulle scelte. Howedes è un centrale difensivo adattato, ma nonostante ciò garantisce presenza costante sulla corsia, arrivando anche al cross. Tuttavia non ha quella rapidità nei movimenti che gli permette di saltare l’uomo né, senza la palla, di non concedere punti di riferimento agli avversari: a sinistra non è raro invece vedere Hector scambiare la posizione con Draxler, in un’occasione addirittura il giocatore dell’Amburgo sfiora anche il gol nell’area piccola.

Le mezzepunte, non hanno mai una posizione fissa e la loro vicinanza, come detto, favorisce il dialogo. Ai tre trequartisti di partenza va aggiunto Gotze, che da copione non agisce da punta classica ma viene incontro a giocare, entrando anch’egli nelle rotazioni continue in fase offensiva e muovendosi perlopiù sul centrosinistra. Motivo per il quale forse manca un riferimento verticale al fraseggio corto tra gli uomini di fantasia dei tedeschi che parecchie volte hanno dovuto appoggiare sugli esterni o ritornare dai centrocampisti riciclando il possesso, situazione comunque ideale per una squadra paziente come la Germania che possiede risorse alternative come cross e tiri dalla distanza.



Kroos uber alles

Il possesso continuato ha evidenziato ancora una volta l’intelligenza e il talento di Toni Kroos, per distacco mvp del match e miglior centrocampista della prima giornata di Euro 2016, forse anche più di Iniesta. L’influsso del centrocampista del Real si è esteso lungo tutta la superficie dello Stade Pierre Mauroy di Lille, toccando picchi celestiali in occasione del lancio in profondità a Khedira (unico vero inserimento alle spalle della difesa in tutta la prestazione della Germania, dovuto comunque a un’ uscita di Rakistkyi dalla propria zona di competenza) e dell’assist a Mustafi. Nella costruzione bassa la prima opzione per i difensori è sempre lui. Pretende il pallone e indirizza il possesso. Lo accompagna in ogni sua fase, in difesa, a centrocampo e a ridosso dell’area avversaria. Quando la squadra sbilancia uomini e possesso sul lato sinistro del campo non disdegna neanche la ricezione esterna, proponendosi come appoggio ai propri uomini di fascia quasi come fosse un terzino.



Puntualmente, oltre alla solita autorità nell’amministrazione della palla, non fa mancare il suo apporto neanche nella finalizzazione, sfruttando spesso il tiro da fuori. Quando giunge al limite dell’area, come detto, la Germania ha difficoltà a penetrare palla al piede per via dell’occupazione centrale degli ucraini, perciò rigioca il pallone sull’esterno confidando nei cross. Per rendersi più pericolosi, al momento del traversone i tedeschi portano più uomini possibile in area, per sopperire alla mancanza di veri e propri arieti. L’Ucraina giocoforza è costretta anch’essa a disporre più uomini in area, lasciando scoperta la zona compresa tra i sedici e i venti metri. Di questa libertà possono approfittare soprattutto i mediani con conclusioni dalla distanza: considerando solo i tiri in porta Kroos ne effettua due da fuori area al termine della partita, Khedira uno, tutti disinnescati da Pyatov.







Inibizione del talento

L’Ucraina dal canto suo punta molto sulle individualità per provare a ribaltare i pronostici. In fase offensiva il 4-2-3-1 diventa 4-1-3-2, con Kovalenko di fianco a Zozulya in attacco e Sydorchuk che si alza sulla linea dei trequartisti. Quest’ultimo è stato probabilmente il migliore della sua squadra, muovendosi sempre in avanti e cercando di supportare la fase offensiva nella zona del pallone, oltre a deliziare la platea con una serie di tunnel su Hector e Mustafi. L’inizio azione è affidati ai piedi di Rakistkyi, piacevole sopresa in questo inizio di Europeo, in cui si è dimostrato uno dei migliori difensori nell’impostazione dal basso. Contemporaneamente a sinistra Shevchuk segue l’azione, cogliendo quasi sempre impreparati i terzini tedeschi sul lato debole. Ci si attendeva molto da Yarmolenko e Konoplyanka, la cui prestazione offensiva ha però risentito del carico di lavoro difensivo assegnatogli dall’allenatore. In situazioni di possesso consolidato cercano di stringere verso il centro, in modo da formare la linea a tre assieme a Sydorchuk alle spalle dei due attaccanti; nelle transizioni offensive provano a sfruttare l’uno contro uno per rientrare sul piede forte, ma i terzini avversari sono sempre bravi a negare il lato interno e a costringerli a cercare il fondo.

Situazione di possesso consolidato: Rakitsky imposta dal basso. Sydorchuk si alza e Stepanenko resta in mediana. Entrambi i terzini avanzano fino a centrocampo permettendo alle ali di accentrarsi (qui Yarmolenko e Sydorchuk scambiano la posizione). Kovalenko più avanti rispetto ai trequartisti. Di fianco a lui, fuori inquadratura, c’è Zozulya

In fase di non possesso agiscono sempre molto bassi, mantenendo costante  la compattezza con la difesa. Neanche il passaggio in alcuni tratti della partita al centrocampo a 3 sgrava i due dai loro compiti senza palla: verso la fine del primo tempo, nel momento di maggior fiducia, Fomenko prova ad accentuare il pressing alzando Zozulya sui centrali di difesa e accoppiando Sydorchuk a Kovalenko nella pressione sui mediani tedeschi. Serve a poco però, perché la Germania aggira quasi sempre agevolmente i tentativi di recupero palla avversari, anche grazie alla posizione di Konoplyanka e Yarmolenko, troppo bassi anche nel passaggio al 4-5-1.

Notare la posizione di Hector che costringe Yarmolenko a rimanere basso



Unica volta in cui una delle due ali ucraine (Yarmolenko) alza il pressing e aiuta Sydorchuk nella pressione su Kroos che perde palla

Chiaramente la risalita del campo per i due è più difficile e difatti l’Ucraina, con i propri fuoriclasse non nelle migliori condizioni, non è riuscita a proporre una controffensiva organizzata.


Altro unicum della partita dell’Ucraina: qui la squadra di Fomenko mostra il proprio potenziale piano offensive: ancora Rakitskyi ad impostare. Zozulya si muove in profondità e costringe la difesa a seguirlo, allungando la distanza col centrocampo. Nello spazio tra le due linee si infila Kovalenko che riceve e può duettare con Konoplyanka vicino a lui. Dopodichè apre su Shevchuk, ma il passaggio viene intercettato



Di necessità virtù

Le migliori occasioni sono nate anche da errori della Germania, come il rinvio di testa impreciso di Boateng nell’occasione che ha poi portato allo stesso salvataggio del centrale del Bayern. In fase difensiva comunque i tedeschi hanno dimostrato di possedere delle lacune, soprattutto nelle catene laterali.

In questo caso si crea un buco sulla catena sinistra. Shevchuk scatta alle spalle di Muller ed ha tutta la corsia libera perché Howedes è preoccupato della presenza di Kovalenko e Konoplyanka (fuori inquadratura) nella sua zona di competenza. Il lancio di Rakitskyi, al solito, è millimetrico e Shevchuk può arrivare a crossare indisturbato

I problemi sono strutturali, come il rischio di farsi prendere alle spalle dei difensori centrali sia in profondità che lateralmente. Una situazione ricorrente anche sui calci d’angolo, in cui la zona tedesca ha sofferto la presenza costante di un giocatore ucraino sul secondo palo alle spalle del blocco centrale.

A Loew non resta che difendere in avanti e in questo senso conta molto sul pressing alto, in modo tale da recuperare istantaneamente il pallone o da costringere gli avversari a lanci imprecisi. I tedeschi adottano un 4-4-2 in fase di non possesso che ha il pregio di schermare tutti gli avversari. In particolare decisivo diventa Gotze, primo protagonista della fase difensiva: pressa sempre il portatore di palla in modo da schermare anche il passaggio in orizzontale. Accanto a lui si muove Ozil che va sull’uomo più vicino. Per il resto, sfruttando anche il modulo ucraino, gli accoppiamenti sono abbastanza prevedibili: Muller e Draxler sui terzini, Hector ed Howedes sulle ali. Kroos e Khedira prendono in consegna i mediani avversari e li seguono quando si abbassano per ricevere palla, ragion per cui spesso il 4-4-2 tedesco diventa 4-1-3-2.

Gotze va in pressione sul portiere e contemporaneamente taglia fuori Rakistkyi. Ozil va su Kacheridi. Khedira si alza su Stepanenko



Prospettive qualificazione

L’Ucraina ha pagato l'atteggiamento eccessivamente rispettevole nei confronti di un avversario di caratura superiore, sacrificando i propri uomini migliori. A livello di singoli forse è superiore alla Polonia e il derby di Martedì sarà il match decisivo per il secondo posto nel girone C. Yarmolenko e Konoplyanka non dovranno sacrificarsi così tanto in fase di ripiego e potranno sfruttare la loro abilità nell’uno contro uno, mentre Kovalenko e Sydorchuk avranno più possibilità di muoversi e ricevere tra le linee. Aldilà di intrecci storico-culturali, anche da un punto di visto prettamente tecnico-tattico Ucraina-Polonia è uno scontro da non perdere.


Dopo le prova titubanti della Francia e la vittoria per forza d’inerzia della Spagna, la Germania sembra essere la favorita vera dell’Europeo. E’ da verificare se riuscirà a migliorare il proprio rendimento offensivo per vie centrali, magari trovando un’alternativa a Gotze che non sia per forza l’inserimento di Mario Gomez (Schurrle?). I difetti comunque non mancano, come le disattenzioni nella copertura dello spazio alle spalle della difesa e delle catene laterali che lasciano ben sperare anche noi italiani: in un ipotetico quarto di finale El Shaarawy e Candreva potrebbero risultare decisivi, così come i movimenti di Eder in riferimento a Pellè e gli inserimenti senza palla delle mezzali.


Articolo a cura di Emanuele Mongiardo

martedì 14 giugno 2016

Le difficoltà del muretto

Lewis Hamilton spintona Rosberg e vince in Canada una gara stravolta dalle controverse decisioni del box della Ferrari.

di Federico Principi







Dopo la spettacolare gara di Montecarlo avevo parlato di sentenza definitiva di addio al Mondiale per la Ferrari. La Renault con soli 3 gettoni aveva portato su Ricciardo e Magnussen un aggiornamento che fruttava un aumento di ben 35 cavalli di potenza, e con gli ancora 21 gettoni da spendere (contro i soli 6 di Ferrari) e la dimostrazione monegasca di un telaio più efficace di quello della SF16-H, anche la Red Bull poteva considerarsi una spina nel fianco nei confronti della Ferrari, con Mercedes ormai inarrivabile.

Frecce canadesi
La Ferrari si è a sua volta presentata in Canada spendendo 2 gettoni per modificare il compressore, mentre delle modifiche al turbo sono state fatte passare "gratis" dalla FIA per questioni di affidabilità. Generalmente è proprio la pista canadese ad essere la più indicata (prima di fine agosto e primi di settembre con Spa e Monza) per effettuare modifiche per potenziare le power unit: con il suo lunghissimo rettilineo prima del traguardo il tracciato intitolato a Gilles Villeneuve nelle ultime due stagioni aveva sempre favorito tutti quei team che indossavano la power unit Mercedes, regina delle velocità di punta.

Stavolta con i nuovi aggiornamenti, e probabilmente con assetto un po' più scarico di altri rivali, i ferraristi in qualifica hanno registrato le velocità di punta più elevate escludendo le sempre imprendibili Williams. Vettel ha addirittura fatto meglio della Manor di Wehrlein che di solito è la vettura più veloce in assoluto (ovviamente motorizzata Mercedes).

Il risultato delle modifiche Ferrari è che Vettel ha fatto la differenza sulle Red Bull non tanto nel primo e nel secondo, quanto soprattutto nel terzo settore, quello composto quasi esclusivamente dal lungo rettilineo. Non è un caso che in quel tratto Bottas in Q3 avesse il quarto miglior parziale dietro le Mercedes e lo stesso Vettel.

Il risultato di questi progressi è la miglior prestazione in assoluto in qualifica della Ferrari nell'era ibrida, se si esclude il caso particolare di Singapore dello scorso anno. Vettel ha concluso la Q3 a meno di 2 decimi dalla pole di Hamilton, che ha fatto due giri praticamente identici (nel secondo era più lento di circa 90 millesimi rispetto al primo) e che ha quindi stirato veramente al limite la sua Mercedes. Il clamoroso miglioramento di Vettel da Q2 a Q3 potrebbe addirittura far pensare che la potenza extra per la qualifica, il famoso "bottoncino magico", sia ormai in dotazione anche della Ferrari e che quindi la Mercedes non abbia più questo vantaggio che le garantiva automaticamente circa 2-3 decimi di ulteriore margine.

Le Mercedes di solito aumentano la potenza già in Q2. In Canada hanno migliorato i tempi della Q3 entrambe di 2 decimi rispetto alla Q2. Il miglioramento di 8 decimi di Vettel lascia pensare che non ci sia solo di mezzo una guida più aggressiva e una pista più gommata, ma anche un aumento di boost di potenza.

Gara di scacchi
Sebastian Vettel non voleva proprio farsi mancare nulla in questo weekend. Dopo la qualifica si era gasato dicendo di guidare una "macchina grandiosa", chissà cosa avrà pensato quando in partenza (nonostante il pochissimo spazio tra la linea dello start e la prima staccata) ha immediatamente scartato entrambe le Mercedes e preso in tutta tranquillità la testa della corsa. Ancor più consolidata dal fatto che Rosberg ha provato a stare all'interno di curva 2 ma Hamilton lo ha mandato troppo all'interno, sull'erba: anziché accontentarsi di accodarsi al Campione del Mondo e pensare a proteggere la terza posizione, Rosberg si è ritrovato in decima posizione in una gara già compromessa.

Lo start completo, con Rosberg risucchiato nel traffico.

Con le procedure 2016, con una sola levetta della frizione sul volante, Hamilton non ha ancora azzeccato una partenza. Dall'on board di Vettel si vede come il ferrarista tolga gli adesivi dalle Mercedes e passi in testa assolutamente indisturbato alle prime due curve.

Con Rosberg ormai tagliato fuori (dopo 8 giri aveva già 17,8 secondi di ritardo da Vettel), le due Red Bull in terza e quarta posizione (rispettivamente con Verstappen e Ricciardo) che non tenevano il passo dei primi due, così come Raikkonen che non riusciva ad attaccarle, la lotta per la vittoria sembrava nelle prime fasi essere destinata a un corpo a corpo fisico tra Vettel e Hamilton fino alla bandiera a scacchi. Le successive circostanze, con le decisioni del muretto Ferrari, l'hanno invece trasformata in una gara tattica.

Vettel aveva preso un po' di spazio da Hamilton durante il primo giro, anche approfittando della bagarre tra le due Mercedes: all'ultima curva è però andato lungo, è dovuto passare dietro al paletto come previsto dal direttore di corsa Charlie Whiting e nel primo passaggio sulla linea del traguardo aveva solo 2 decimi di vantaggio su Hamilton, avendo perso 1,8 secondi nel terzo intertempo per colpa di quell'errore. Al secondo giro Vettel ha di nuovo guadagnato 1 secondo, successivamente l'inglese si è avvicinato a tiro DRS ma al giro 7 Vettel si è definitivamente portato a distanza di sicurezza da Hamilton, evitando che l'inglese potesse puntarlo sul lunghissimo rettilineo del terzo settore con l'ala aperta.

Al giro 5 e al giro 6 Hamilton ha potuto aprire l'ala, ma non è riuscito ad attaccare Vettel. Dal giro 7 in poi il ferrarista si è messo a distanza di sicurezza.

Il ritiro di Button alla conclusione del suo nono passaggio ha costretto Charlie Whiting a neutralizzare la gara con la sempre più utilizzata finestra di Virtual Safety Car. Le Ferrari non se lo sono fatte ripetere due volte e sono immediatamente rientrate ai box insieme per le rispettive soste, sfruttando la lentezza delle altre vetture in pista. Kimi Raikkonen ha poi spiegato a fine gara che la strategia a due soste era già stata decisa prima del via, e ovviamente con la Virtual Safety Car il tempo perso sarebbe stato molto inferiore.

In realtà la sosta è avvenuta nel momento esatto in cui la finestra di Virtual Safety Car si era appena chiusa. Mentre Vettel stava per entrare sulla piazzola, la gara riprendeva il suo regolare svolgimento. All'uscita dai box il tedesco riuscirà comunque a stare davanti alla velocissima e insuperabile Williams di Bottas, in quarta posizione dietro alle due Red Bull, più lente sul passo gara e con una power unit di potenza inferiore, entrambe superate infatti senza troppi problemi. Vettel prima della sosta aveva poco più di 1 secondo di vantaggio su Hamilton, all'uscita registrava 11,3 secondi di ritardo: i secondi persi erano stati circa 12,5 contro i circa 18-19 che regolarmente si perdono in una sosta in condizioni normali.

La grafica televisiva aiuta a comprendere meglio certe delicate situazioni. La finestra di Virtual Safety Car finisce esattamente in questo momento, appena scompare la scritta "Virtual Safety Car ending" vicino al conteggio dei giri in alto a sinistra, e Hamilton ricomincia a spingere mentre Vettel deve ancora effettuare il cambio gomme. Se la finestra si fosse protratta per qualche istante in più, Vettel avrebbe perso ancora meno tempo nella prima sosta e avrebbe potuto puntare con molta più decisione alla vittoria finale.

Entrambe le Ferrari hanno montato le super-soft nuove. Soltanto Button e Haryanto in partenza e Perez nel secondo stint (con un treno invece usato) hanno utilizzato lo stesso compound di gomma. Gli penumatici rossi avrebbero dovuto essere sacrificati in Canada: l'ultra-soft era necessaria per i tempi in qualifica, la soft avrebbe garantito gli stint lunghi da gara con le giuste prestazioni. 

Renault e Haas addirittura non hanno portato alcun treno di super-soft in Canada. In generale soprattutto i top team hanno puntato su ultra-soft e soft.

La Ferrari, orientata invece sulle due soste, ha intuito che le condizioni fredde della pista potessero essere favorevoli per un buon stint costante con la gomma super-soft, oltretutto nuova. Ha potuto effettuare questa scelta anche perché è stato uno dei pochi team ad avere set di gomme super-soft disponibili per la gara.

Haas, Toro Rosso, Renault e soprattutto Red Bull non avevano questa opzione per la gara. Force India aveva solo un treno usato.

La gomma rossa, per chi era orientato sulle due soste, era infatti una scelta assolutamente giusta con pista fredda. Guardando il grafico dei tempi si capisce come nelle prime fasi di gara la parabola dei tempi medi sul giro tenda a scendere per chi usava la ultra-soft (prestazionale ma soggetta a degrado) e rimanga invece costante nello stint di Vettel in cui il ferrarista usa la super-soft.

Nelle fasi iniziali, fino a metà gara, i tempi di tutti e 5 i piloti in grafica calano mentre sono sull'ultra-soft nel primo stint. Dopo la parentesi di Virtual Safety Car, Vettel esce dai box con la super-soft nuova che gli permette di percorrere 26 giri a un ritmo assolutamente costante e lineare (fino alla caduta che rappresenta la seconda e ultima sosta). Dati Forix.

Con la gomma nuova Vettel, liberatosi facilmente delle Red Bull, rimontava su Hamilton da quegli 11,3 secondi che aveva di ritardo dopo l'uscita dalla prima sosta. L'inglese era costretto a prolungare lo stint con la ultra-soft usata, con la caduta delle prestazioni che è perfettamente visibile nel grafico soprastante. Con quel treno di gomme l'inglese si è presentato ai box al giro 24: prima della sua sosta Vettel aveva ridotto il suo margine a una manciata di secondi ed entrambi avevano ancora una sola sosta da effettuare. Il corpo a corpo decisivo si preannunciava sempre più vicino.

Al giro 17 (sopra) Vettel si libera finalmente anche di Verstappen e da lì ricomincia a recuperare ancora il terreno perso da Hamilton. Nel giro precedente alla sosta dell'inglese Vettel ha via via recuperato tempo fino a ridurre il ritardo a 5,8 secondi.

L'obiettivo di Vettel era ovviamente quello di recuperare di nuovo terreno con la gomma soft nel finale. La sfida diretta a Hamilton con il più duro dei 3 compound portati in Canada dalla Pirelli non sarebbe stata effettuata ad armi pari: Hamilton si era fermato al giro 24, mentre Vettel passa definitivamente alla soft nel giro 37, dopo aver perso un po' di tempo in quei 13 giri in cui l'inglese era su una gomma più dura ma nuova. Dopo essere uscito dai box Hamilton era a 13 secondi netti da Vettel. Il giro prima della seconda sosta del ferrarista Hamilton aveva ridotto il gap a 9,9 secondi.

Con 13 giri in meno e con gomme relativamente dure, Vettel poteva così percorrere i restanti 33 passaggi spingendo praticamente ogni giro come fosse in qualifica, mentre Hamilton avrebbe dovuto rivolgere un occhio al degrado. Vettel nel primo giro dopo l'uscita dai box aveva un ritardo di 7,8 secondi: ha recuperato sensibilmente nei primi passaggi con la gomma soft ma la sua curva di guadagno su Hamilton si è avvicinata sempre di più al pareggio di ritmo gara. Il duello a distanza tendeva ad appiattirsi sempre di più nelle prestazioni: il corpo a corpo atteso col fiato sospeso sembrava ormai scongiurato in favore di una vittoria di Hamilton abbastanza in solitaria.

Dal giro 43 al giro 47 (sopra) il ritmo di Vettel poteva ancora far pensare che avrebbe potuto agguantare con i denti la scia di Hamilton negli ultimi giri. Dopo il giro 50 (sotto) si capisce che il ritmo dei due battistrada è ormai troppo simile e i giri restanti sono troppo pochi per colmare quel gap.

La rincorsa di Vettel si ferma al giro 56 quando all'ultima chicane commette lo stesso errore del primo giro e perde 1,4 secondi solo in quel passaggio. Al giro 61, con il gap rimasto più o meno invariato a 5,5 secondi, Vettel commette per la terza volta lo stesso errore e perde un altro secondo abbondante. La gara strategica sofisticata, da campionato endurance, e la battaglia con Hamilton a distanza se le aggiudica il Campione del Mondo, che con il quinto posto di Rosberg (frenato nella sua rimonta dal re delle staccate Verstappen, che con la sua difesa ha forzato l'errore del tedesco) accorcia incredibilmente a soli 9 punti il divario in Classifica Piloti.

Strategia Ferrari: perché non era sbagliata
La comodità del senno del poi ha spinto una pletora di persone a compattarsi al grido di "la Ferrari è incapace nelle strategie". A molti è parso lampante che puntare su due soste fosse chiaramente la strategia scorretta, soprattutto per il fatto che nelle fasi iniziali con la ultra-soft Vettel aveva un ritmo praticamente pari a quello di Hamilton con la ultra-soft.

In realtà non è esattamente così ragionando a priori e bisogna aggiungere alcuni elementi. Innanzitutto Hamilton inseguiva Vettel a poco più di un secondo di distacco ed essendogli alle spalle questo gli poteva consentire di anticipare la sosta (se anche Vettel avesse puntato su una sosta unica), cogliendo di sorpresa un Vettel già transitato oltre la pit lane e quindi costretto a percorrere un ulteriore giro con ultra-soft degradata, subendo l'undercut di Hamilton e probabilmente il suo sorpasso ai box. A quel punto siamo tutti sicuri che a parità di gomma soft Vettel avrebbe potuto passare Hamilton in pista?

A questo va aggiunta la considerazione, ormai ripetuta all'infinito, che la Ferrari sia ancora meno efficace della Mercedes sul passo gara con le gomme relativamente più dure. Vettel aveva 13 giri in meno di Hamilton sulla soft (e sono veramente tanti) ma nonostante tutto l'inglese manteneva il tedesco a distanza di sicurezza e anzi negli ultimi 15 giri ha mostrato un passo a lui sempre più favorevole. Guardando il grafico dei tempi è infatti interessante notare come Hamilton sia stato molto attento a non spingere soprattutto nei primi giri, conservando la gomma per le fasi finali di gara dove ancora effettuava i migliori parziali personali (così come Bottas) e dove avrebbe avuto bisogno di tutta l'efficienza possibile per difendersi da un eventuale attacco fisico di Vettel negli ultimi giri.

Il grafico dei tempi a partire dalla sosta di Hamilton. L'inglese spinge via via sempre di più e l'impennata della prestazione arriva addirittura a partire dal giro 66.

Le circostanze e qualche errore personale non hanno poi aiutato la corsa di Vettel. Nel primo stint il ritmo dei due era identico e l'errore al primo giro gli è costato 1,8 secondi. La finestra di Virtual Safety Car si è conclusa mentre Vettel aveva già imboccato la pit lane ma doveva ancora fare la sosta, e se fosse durata qualche secondo in più il tedesco avrebbe limato ulteriormente il proprio tempo perso ai box. Prima dell'errore al giro 56, quindi, nel passaggio precedente Vettel aveva un ritardo di 4,3 secondi che senza le circostanze precedenti poteva essere sicuramente inferiore o addirittura nullo.

Gli uomini Ferrari erano tutti d'accordo sul fatto che nessuno si aspettasse che la gomma soft di Hamilton sarebbe durata così a lungo. I giri percorsi sono stati ben 46, mentre l'anno scorso erano stati 41 con lo stesso compound, e con una pista più fredda rispetto al 2015 c'era forse da aspettarsi che le circostanze si sarebbero più o meno ripetute. Forse è stato più sorprendente vedere la gomma ultra-soft durare per 24 giri: ulteriore dimostrazione dopo Montecarlo (in cui Hamilton ha fatto durare all'infinito sia la wet su pista ormai asciutta, sia l'ultra-soft per 47 giri) che il Campione del Mondo, famoso mangia-gomme a inizio carriera, sia estremamente maturato sotto questo profilo.

Sopra, le strategie in Canada 2016, con Hamilton con 46 giri sulla soft. Sotto quelle del 2015: Ricciardo con la stessa gomma aveva percorso 47 passaggi, Maldonado addirittura 53.

Al Gran Premio di Australia la Ferrari aveva deciso di non copiare la strategia di Rosberg di mettere la media in regime di bandiera rossa e andare fino in fondo, temendo il confronto diretto con la gomma più dura. La scelta era costata la vittoria a Vettel: anche se il passo gara di Rosberg sarebbe probabilmente stato migliore, le occasioni di sorpasso a Melbourne sono veramente limitate (vedere Hamilton dietro le Toro Rosso per quasi tutta la gara) e oltretutto il tedesco della Mercedes non è uno specialista del corpo a corpo. Se la Ferrari avesse invece ricalcato le strategie Mercedes in Canada, il forte sospetto è che Hamilton, con le gomme soft a parità di durata rispetto a Vettel, avrebbe probabilmente puntato e sorpassato il tedesco nel lungo rettilineo prima dell'ultima chicane, nonostante gli aggiornamenti Ferrari. 

Tentare una via diversa, facilitata dalla Virtual Safety Car, era una strada forse più possibile verso quella vittoria che sembra comunque non voler arrivare mai.  


Articolo a cura di Federico Principi

lunedì 13 giugno 2016

Cosa aspettarsi da Italia-Belgio

Abbiamo rivisto l'ultima amichevole tra Italia e Belgio per capire cosa potrà succedere nella loro sfida agli Europei.

di Federico Principi







L'ultima volta che Italia e Belgio si sono scontrate nelle fasi finali di una manifestazione ufficiale fu proprio nella fase ai gironi di un Campionato Europeo. Era il 2000, il Belgio organizzava gli Europei in coabitazione con l'Olanda e gli Azzurri andarono fino in fondo, alla finale, condannati ai supplementari da un gol di Wiltord al novantaquattresimo e successivamente alla sconfitta dal golden goal di Trezeguet.

Fu proprio quella manifestazione - più dei Mondiali del 2002 dove i belgi uscirono dignitosamente agli ottavi contro il Brasile delle 7 vittorie su 7 partite - a incoraggiare quella rivoluzione interna alla Federazione belga di cui tanta retorica è andata sprecata. In sintesi, il direttore tecnico Michel Sablon aveva preso in mano un progetto decennale con l'obiettivo di arrivare ai Mondiali 2014 con il miglior gruppo mondiale di giovani talenti, impostando in tutti i club l'utilizzo del 4-3-3 e arrivando più gradualmente al calcio 11 contro 11 nelle fasce di età giovanili.

Con più di 10 anni ormai trascorsi il Belgio ha sicuramente prodotto nel frattempo alcuni tra i migliori giovani al mondo. Il commissario tecnico Wilmots - giocatore di quella generazione che fece scaturire le decisioni federali - ha anche lui inizialmente ricalcato il modello del 4-3-3 per poi virare invece più frequentemente sul 4-2-3-1 nell'ultimo biennio. E proprio nell'amichevole di novembre contro l'Italia il selezionatore belga ha schierato - davanti al portiere di riserva Mignolet e alla linea a 4 composta (da destra) da Cavanda, Alderweireld, Lombaerts e Vertonghen - una mediana a due elementi con Witsel e Nainggolan (scartato ai Mondiali in Brasile) e una trequarti che traboccava talento, con Carrasco, De Bruyne e Hazard dietro alla punta Lukaku. 

L'Italia dal canto suo si era presentata con un modulo che con ogni probabilità non rivedremo agli Europei in Francia. Il 4-2-4 (trasformabile in 4-4-2) - che tanto ricorda i primi trascorsi di Conte da allenatore di Bari e Siena - era composto da Buffon tra i pali, Darmian-Bonucci-Chiellini-De Sciglio in difesa (da destra), Marchisio e Parolo in mediana con Florenzi ala destra, Candreva omologo sulla fascia opposta ed Eder e Pellè in attacco.

Il Belgio in possesso
Il Belgio è una squadra dai piedi buoni costruita principalmente per fare possesso. Fin dal portiere (nel primo tempo al minuto 10 si nota una situazione in cui Mignolet non butta via la palla da una posizione complicatissima), che gioca quasi sempre corto per costruire l'azione a terra, la squadra di Wilmots imposta la partita attraverso il palleggio.

L'Italia era schierata con due punte che non andavano in pressione diretta sui due centrali del Belgio - Alderweireld e Lombaerts - ma preferivano schermare le rispettive tracciature verso Witsel e Nainggolan, lasciando i centrali liberi palla al piede. Il 3-5-2 che probabilmente schiererà Conte nel match di esordio agli Europei non dovrebbe modificare questa situazione di gioco. 

Pellè ed Eder controllano le linee di passaggio rispettivamente verso Witsel e Nainggolan, costringendo Lombaerts ad appoggiarsi innocuamente al compagno di difesa Alderweireld (fuori inquadratura).

Witsel era molto passivo e molto raramente si abbassava per avere una ricezione comoda ma mai a comporre una linea a 3 in salida lavolpiana che evitasse il 2 contro 2 creato dalle punte azzurre. Nainggolan, che non ha le qualità tecniche per essere la principale fonte del gioco in un doble pivote, raramente riceveva il pallone per farlo uscire. L'atteggiamento di Witsel, mai coinvolto in una salida lavolpiana, era anche funzionale alla strategia del Belgio di lasciare i terzini poco più alti dei difensori centrali (che rimanevano vicini) per avere anche l'opzione di uscire lateralmente.

Un'istantanea che è stata una rarità. Witsel qui si abbassa a formare quasi una linea a 3 con i due centrali che si aprono più del solito, Cavanda si alza un po' di più ma rimane comunque in zona (l'Inghilterra quando fa la salida lavolpiana con Dier alza invece tantissimo i terzini Walker e Rose, come nel Tottenham). Le due punte azzurre in questo caso controllano inizialmente Witsel, successivamente Eder esce diretto su Alderweireld e Pellè rimane a uomo su Witsel, che sarà così impossibilitato a ricevere il pallone.

Il Belgio, che pure è una squadra di talento, ha mostrato problemi in fase di possesso. Innanzitutto Witsel, molto preciso nel controllo e nella protezione del pallone, raramente è stato capace di prendersi la responsabilità di un passaggio rischioso in verticale (ad esempio sbaglia un filtrante al secondo minuto della ripresa) e non poteva così facilitare la ricezione di uno dei 3 trequartisti tra le due linee dell'Italia, più vicine a formare un 4-4-2 in fase di non possesso.

Nainggolan (ma la stessa cosa vale anche per Fellaini, se Wilmots deciderà di farlo giocare in Francia) e lo stesso Witsel non sono sempre molto precisi nei passaggi lunghi e nei cambi di gioco, e così il passaggio da un fronte all'altro della trequarti (da Hazard a Carrasco o viceversa) era piuttosto complicato da effettuare, e sarebbe invece una soluzione da sfruttare per il Belgio che abitualmente schiera i suoi esterni alti entrambi vicini alle rispettive linee laterali. Un'ipotetica soluzione a questo problema per Euro 2016 avrebbe potuto essere la presenza nella rosa dei convocati di Youri Tielemans. In questo pezzo Angelo Ricciardi dice di lui: "Non è un argomento impossibile da sostenere che Youri Tielemans sia già adesso il miglior calciatore del mondo nel fondamentale del passaggio lungo (o lancio lungo)".

La presenza dei terzini bassi in costruzione era importante per consolidare il possesso ma al tempo stesso poneva il problema su come uscire lateralmente. L'Italia, come detto, schierava un modulo più simile al 4-4-2 nelle situazioni di non possesso e in questo modo il trequartista belga del lato palla (Carrasco quando la palla era nei piedi di Cavanda, Hazard quando Vertonghen era in possesso) era spesso costretto a ricevere palla spalle alla porta e braccato dal terzino azzurro, sempre se gli fosse arrivato il pallone lungolinea che eventualmente era quasi sempre schermato dall'esterno alto dell'Italia. Le ali belghe erano anche consapevoli del fatto che appoggiarsi eventualmente a un mediano per cambiare fronte non sempre sarebbe stata una soluzione facilmente effettuabile. In alternativa l'esterno alto effettuava un contro-movimento per tagliare alle spalle del terzino italiano, obbligando però chi in possesso del pallone ad un lancio molto preciso e difficile.

Il Belgio a volte scaricava il gioco sulla fascia ma l'Italia era pronta a caricare molto bene di uomini il lato palla. Florenzi è reattivo e scivola bene sull'esterno chiudendo la linea di passaggio da Vertonghen ad Hazard che è spalle alla porta con il fiato sul collo di Darmian. Il trequartista del Chelsea, per liberarsi da questa gabbia, tenterà un contro-movimento in profondità ma il lancio di Vertonghen sarà impreciso. L'Italia recupererà il pallone.

Per favorire la risalita del pallone il Belgio aveva adottato una situazione di gioco che probabilmente riproporrà ai Campionati Europei. Accadeva saltuariamente che un trequartista, De Bruyne in particolar modo (raramente Hazard), si abbassasse per ricevere centralmente e puntare le maglie della squadra azzurra schierata. In questo modo il Belgio ammetteva abbastanza pubblicamente che il pallone non riuscisse quasi mai ad arrivare tra le linee ai 3 trequartisti (soprattutto centralmente) per creare occasioni da gol e che per facilitare la circolazione ci fosse bisogno dell'abbassamento di un ulteriore uomo. 

De Bruyne (che non a caso alcuni reporter schierano mezzala in un ipotetico 4-3-3 nei loro schemi di formazione) riceveva il pallone prima di affrontare la seconda linea dell'Italia e in questo modo il Belgio tentava sia di creare superiorità numerica nelle zone centrali (l'Italia aveva due soli mediani, in Francia con un eventuale probabile 3-5-2 ne avrebbe tre), sia si assicurava un consolidamento del possesso e che il pallone arrivasse ad un giocatore che riuscisse finalmente a prendersi più responsabilità sia nel puntare l'uomo che nei passaggi filtranti più rischiosi.

L'abbassamento di De Bruyne provocava anche scompensi alla linea mediana dell'Italia. I 4 centrocampisti della fase di non possesso in questo caso si stringono per creare densità nelle zone centrali dopo che De Bruyne ha aumentato la presenza belga a centrocampo, ma lasciano scoperta la fascia a Vertonghen che darà una mano ad Hazard (fuori inquadratura) a puntare Darmian, che in qualche modo se la caverà.

L'Italia in possesso
Con Conte orientato sul 3-5-2 per gli Europei - con il 3-4-3 come modulo di riserva e il 4-2-4 forse definitivamente accantonato - la costruzione bassa della Nazionale Italiana sarà giocoforza diversa da quella dell'amichevole di Bruxelles.

Fabio Barcellona ha recentemente scritto che "la responsabilità della costruzione bassa è di 4 giocatori: i terzini e i centrali nei moduli a 4 difensori, il rombo costituito dai 3 difensori e dal mediano (o da un altro centrocampista) nei moduli che prevedono una linea arretrata a 3". Nell'amichevole di novembre l'Italia, schierata con il 4-2-4, teneva anch'essa i terzini praticamente all'altezza dei centrali per dare sfogo anche laterale all'impostazione.

Alla costruzione bassa della Nazionale partecipa - così come nella Juventus - anche un Buffon sempre più abituato a non buttare il pallone anche in situazioni difficili. Contro il Belgio, oltre a tenere i terzini vicini ai due centrali (Bonucci è fuori inquadratura), si abbassava spesso anche uno dei due mediani: in questo caso in appoggio c'è Parolo ma era più frequente vedere Marchisio in quella posizione.

L'obiettivo del gioco di Conte, sempre stando alla precisa ricostruzione di Fabio Barcellona, è quello di "dilatare le distanze verticali tra le linee con una circolazione palla tra i difensori paziente, che invita gli avversari al pressing, con l'obiettivo di creare spazi proprio alle spalle della prima linea di pressione". Il Belgio è proprio una squadra che tende molto al pressing e poco al ripiegamento e l'Italia poteva (e forse potrà anche a Lione) eseguire il piano tattico a cui tende.

Il Belgio partiva con uno schieramento di pressing con De Bruyne e Lukaku sulla stessa linea e con gli esterni Carrasco e Hazard leggermente più bassi. Non avendo l'Italia riferimenti bassi centrali (un mediano non sempre si abbassava) escluso Buffon, l'impostazione degli Azzurri doveva quasi sempre forzatamente decentrarsi leggermente. 

Nel momento in cui veniva effettuato un appoggio verso un centrale o un terzino azzurro, il Belgio organizzava immediatamente l'aggressione con riferimento all'uomo. Lo stesso Nainggolan - che con Spalletti ha ricoperto qualsiasi posizione esclusa quella di mediano nel doble pivote - abbandonava la sua teorica posizione a protezione della difesa (nella quale lasciava il solo Witsel) per seguire l'eventuale abbassamento di un mediano azzurro vicino alla linea dei difensori, dimostrando così la sua tendenza a difendere più spesso in avanti. Ma nonostante questa pressione l'Italia è uscita spesso da questa situazione con un preciso passaggio verticale.

Il Belgio attacca immediatamente la traslazione del gioco dell'Italia verso un lato. Nainggolan sale altissimo su Parolo. Eppure De Sciglio troverà Eder con un pulito laser-pass verticale.

L'idea di base di Conte di "dilatare le distanze verticali" del Belgio era così perfettamente riuscita. La squadra di Wilmots aggrediva con i 4 elementi offensivi più Nainggolan la costruzione dell'Italia, a cui a volte si accompagnava a sua volta l'aggressione di un terzino belga verso l'ala azzurra del lato palla, in modo da non dargli l'opportunità di ricevere uno scarico facile. Il Belgio lasciava ampi spazi centralmente, si allungava e a protezione della porta di Mignolet rimanevano molto spesso soltanto Witsel e 3 difensori.

Cavanda esce su Candreva e alimenta il pressing del Belgio, così come il solito Nainggolan su Parolo. Witsel rimane a protezione insieme agli altri 3 difensori: il Belgio è spaccato in due, con ampi spazi vuoti lasciati a centrocampo. Marchisio è lasciato libero da Witsel, riceverà comodamente la palla e avvierà un'azione pericolosa. 

Proprio da una situazione come questa era nato il gol dell'Italia dopo poco più di 2 minuti. Sul pressing belga (da una rimessa laterale per gli Azzurri) un lancio di Chiellini aveva trovato la sponda di Pellè. Gli ampi spazi centrali avevano consentito a Candreva di raccogliere facilmente la seconda palla e lanciare immediatamente Florenzi sul lato opposto: sul suo cross Pellè era riuscito a liberarsi della marcatura di Alderweireld, costringendo Mignolet a una miracolosa respinta sulla quale Cavanda non aveva seguito Candreva. Facile il tap-in a porta sguarnita.

Arrivederci a Lione
Le dinamiche del match di esordio di Italia e Belgio a Euro 2016 saranno senza dubbio differenti. Le modifiche più rilevanti saranno apportate da Conte, che non ha intenzione di rinunciare al blocco juventino della linea difensiva a 3 e, dopo aver sperimentato il 3-4-3 a partire dall'amichevole contro la Spagna, sembra orientato a riproporre il 3-5-2 compatto che tante soddisfazioni gli ha regalato ai tempi della Juventus.

La costruzione del gioco sarà in questo modo trasformata dalla linea a 4 al rombo i cui vertici alto (De Rossi) e basso (Bonucci) avranno le maggiori responsabilità. La circolazione della palla sarà più accentrata, anche per la presenza di altri due centrali di centrocampo (le probabili formazioni dicono che saranno Parolo e Giaccherini), e il Belgio in questo modo avrà meno riferimenti per far scatenare il pressing in prossimità della linea laterale.

L'esclusione di Jorginho dai convocati rappresenta forse una poco celata intenzione di Conte di difendere spesso bassi a protezione, sfruttando i meccanismi codificati della difesa juventina che ormai da 5 anni lavora in blocco. Sempre le probabili formazioni danno Candreva (a destra) e Darmian (a sinistra) come esterni di centrocampo, ed è facile ipotizzare che in fase di non possesso la Nazionale azzurra faccia scivolare il terzino dello United sulla linea dei 3 juventini con la contemporanea traslazione di Barzagli a terzino destro, come già accaduto molto frequentemente alla Juve di Allegri in questa stagione. 

Vedere anche Candreva abbassato a terzino in una linea a 5 potrebbe essere soltanto una soluzione di ripiego e di emergenza, anche perché il laziale è un uomo fondamentale per le ripartenze e schiacciarlo sulla linea difensiva complicherebbe non poco la risalita del pallone. L'Italia potrà così schierarsi in fase di non possesso con una sorta di 4-4-2 con Candreva e Giaccherini esterni più alti e De Rossi e Parolo al centro, ricalcando molti dei meccanismi difensivi già mostrati nell'amichevole di novembre e che avevano funzionato, limitando il talento e la circolazione palla dei belgi. Le due punte saranno ancora una volta Eder e Pellè e anche loro saranno chiamati a svolgere gli stessi compiti in entrambe le fasi rispetto alla partita di Bruxelles.

Wilmots a sua volta cambierà alcuni uomini in difesa (Courtois tornerà in porta, Lombaerts infortunato sarà sostituito da Vermaelen, Cavanda sarà sostituito da Denayer che sposterà probabilmente Alderweireld sul lato destro) ma non ne cambierà la struttura, e anzi avrà più protezione garantita da uno tra Denayer o più probabilmente Alderweireld sulla zona destra al posto del fallace Cavanda. 

Alcuni schemi di probabili formazioni danno lo stesso assetto offensivo - rispetto all'amichevole di novembre - dalla mediana in su (con la sola modifica di Mertens al posto di Carrasco), altri invece inseriscono Fellaini trequartista centrale con De Bruyne spostato a destra e sia Mertens che Carrasco in panchina. Se si dovesse verificare questo secondo caso la struttura del Belgio sarebbe modificata: in fase di non possesso la squadra di Wilmots avrebbe Fellaini come punto di riferimento in marcatura sul regista più avanzato dell'Italia (De Rossi), più mordace rispetto ad Hazard o De Bruyne; in fase di possesso il Belgio dovrebbe però rinunciare agli abbassamenti di uno tra Hazard e soprattutto De Bruyne e la circolazione palla sarebbe differente, come già visto nell'amichevole in Portogallo (ultima partita con Witsel, Nainggolan e Fellaini contemporaneamente titolari).

Contro il Portogallo (che marcava spesso a uomo Witsel) il Belgio ha spesso utilizzato degli interessanti schemi di rotazione dei 3 centrocampisti (tutti e 3 nel corso della partita si sono ritrovati a fare il vertice basso) per cercare di facilitare l'uscita del pallone e sfuggire alle marcature portoghesi sui portatori di palla. L'assenza da questi schemi di un leader tecnico come Hazard o De Bruyne ha però pesato sulla capacità di innescare l'azione, risultata spesso farraginosa e bloccata.

La possibile fluidità dell'Italia potrebbe quindi essere un'arma importante anche per arginare questi ipotetici passaggi del Belgio da una mediana a due elementi in una a tre vertici. Lo scivolamento di Darmian potrebbe essere effettuabile solo dopo l'innesco dell'azione offensiva da parte del Belgio, per non lasciare subito Parolo e De Rossi in inferiorità numerica sui 3 centrocampisti belgi come lo stesso Parolo e Marchisio erano a volte ridotti nell'amichevole di Bruxelles.

La prima partita del girone sarà subito un test dall'impatto difficile, ma lo sarà per entrambe le Nazionali. E la retorica sullo scarso talento della squadra azzurra, contrapposta ai belgi iper-talentuosi e che vorrebbe l'Italia come vittima sacrificale già designata, non è detto che non subisca una secca smentita.


Articolo a cura di Federico Principi