Una storia di tenacia, di forza di volontà, di ossessione, di sfida continua verso i propri limiti. Una storia di calcio di una verticalità folle, geometrico ma fantasioso.
La storia di Luis Enrique Martínez García, semplicemente Luis Enrique.
di Santiago Tedeschi
La storia di Luis Enrique Martínez García, semplicemente Luis Enrique.
di Santiago Tedeschi
"Dormire per terra, con le pietre che ti si conficcano nel corpo, sopportare le bufere, che ti cada la tenda durante la notte, fare i tuoi bisogni davanti a tutti e vedere come lo fanno anche gli altri, mangiare poco, passare freddo e caldo in un breve spazio di tempo, sopportare il russare e tenere sempre con sé acqua è parte del viaggio della Maratona delle Sabbie e ti assicuro che sarà parte di un ricordo indimenticabile della tua vita".
Questa è l’idea di divertimento che ha Luis
Enrique. Senza dubbio è un uomo particolare. Il triathlon, la maratona,
Ironman: sono le sue passioni. Prove sportive che richiedono un livello
ossessivo di forza di volontà. “Quanto mi fa star bene mettere in agenda gli
allenamenti” scriveva nella sua pagina web. Si tratta di un uomo a cui piace
annotare minuziosamente la sua sofferenza ermetica, familiare e sportiva fino
al punto da farci pensare che possiede qualcosa del semplicistico
auto-assorbimento dell’atleta. (Non hanno i grandi allenatori una visione
paternalistica, esperta e più ampia della vita?).
Fece parte dell’ultima
generazione del calcio "asturiano" (odio eterno al calcio moderno). Debuttò con
lo Sporting nel 1989, era un promettente attaccante centrale che cominciò con
rovesciate, ma finì con lo scalare la sua posizione. Nel Real Madrid, tra alti
e bassi, finì per giocare terzino. Dopo 5 anni nella capitale spagnola contraddistinti
da una grande professionalità, lo acquistò il Barcellona. La storia è famosa.
Otto stagioni dove migliorò e finì per diventare una stella. Arrivò fino ai 20
gol in una stagione e finì nel centrocampo della squadra di Van Gaal, buono, ma
incompreso. Prima, con Robson, brillò nell’anno della Coppa del Re e della
Recopa insieme a Ronaldo.
Luis Enrique e la sua "verticalità". |
Luis Enrique e il naso rotto, Luis Enrique e il sangue. |
Luis Enrique e il Triathlon. |
Con la stampa ha un rapporto molto
equilibrato. A Barcellona ancora non ha sofferto critiche, ma a Roma la
pressione lo ha ferito. "Tranquilli, un giorno in meno e poi non mi vedrete",
arrivò a dirgli. Chi l’ha visto in conferenza stampa racconta di un uomo
cordiale, tranquillo, ma duro se vuole, tagliente.
Luis Enrique e Federico Buffa.
Luis Enrique è protagonista di uno degli episodi più controversi del rapporto non felicissimo tra Federico Buffa e il "giornalismo calcistico" volgare. Si narra che questa intervista fu la causa del suo allontanamento da Sky Calcio Show.
Luis Enrique debuttò mentre Pep Guardiola construiva la storia blaugrana. Nel Barcellona B, filiale della prima squadra, arrivò in Segunda (la nostra Serie B) e finì terzo, record per quella squadra. Nell'aria c’era una suggestione logica che, forse proprio per quella coincidenza e per essere un maniaco del triathlon, Luis Enrique sarebbe finito per essere il sostituto di Guardiola. Ma Luis Enrique non cadde nelle mani del cruyyfismo, non cadde nella mani del tiqui-taca. Dopo il Barça B, andò a Roma. Lì passò un anno difficile. Cominciò scegliendosi casa in un quartiere laziale, sfortunato, e oltretutto litigò con tutti quando decise di mettere in panchina Totti, simbolo di Roma. Con il tempo, il capitano riconobbe il lavoro di Luis Enrique, ma in uno dei primi allenamenti entrò a Trigoria con una maglietta dove si poteva leggere: "Basta!". All'esperienza romana e romanista deve la fama di avere una mano dura con le stelle. Arrivare a Roma e come prima cosa mettere in panchina Totti dimostra coraggio, ma forse mancanza di quello che si potrebbe chiamare "gestione del tempo".
Luis Enrique e Francesco Totti. |
Dopo Roma e quell’anno correndo
arriva a Vigo. Il Celta arriva ottavo. Una buona stagione mentre il Barça
passava per l’anno di transizione del Tata Martino.
Prima di arrivare a Barcellona
Luis Enrique postò una foto sul Mortirolo. Conosce bene le più alte montagne.
Ma non sappiamo come si comporterà nella scalata alla montagna calcistica più
alta. Nelle sue dichiarazione cerca constantemente il termine medio, l’equilibrio,
fugge dagli estremi: "L’elogio debilita. Se mi elogiano, mia moglie mi rimette subito con i piedi per terra quando torno a casa". Luis Enrique è già completamente culè. Metodo,
miglioramento e sacrificio. Mentalità Ironman.
Una cosa sembra piuttosto chiara. Nella sua carriera come allenatore non è ancora riuscito a mostrare un calcio all'altezza del tifoso culè. Avere carattere, essere ossessivo, non significa essere Guardiola. Pep fu il mister del cardigan perfettamente in ordine, mentre Luis Enrique ha portato una "ribellione serena" a Can Barça. Gli manca trasmettere la sua idea di calcio verticale, la capacità che le sue squadre attacchino sinfonicamente. Dopo esser riuscito a trovare un equilibrio con il doppio centrocampista con Rakitic e Busquets gli manca il difficile: la scienza o l’arte dell’attacco, quel segreto che da Cruyff in poi possiede solamente il Barcellona.
Il gioco del Barcellona questa
stagione forse ci ha messo un po’ a definirsi, ma finalmente possiamo
rappresentare chiaramente un analisi tattica globale e minuziosa del Barcellona
di Luis Enrique.
Luis Enrique e Pep Guardiola pt.1. |
Luis Enrique e Pep Guardiola pt.2. |
Ci
sono sicuramente situazioni tattiche che possiamo studiare e analizzare,
soprattutto estrapolandole dalle ultime partite del Barcellona.
La prima è senza dubbio la
sicurezza difensiva. Una rapida transizione offensiva necessita sempre di un’attenzione
maniacale dei centrali difensivi. Il Barcellona è riuscito a cambiare un suo
deficit difensivo, provocato dai laterali/ale grazie alla formazione di un
triangolo quasi impenetrabile ai cui vertici ci sono i due centrali e il
portiere. Piquè e Mascherano sono la miglior difesa del campionato, come coppia
combinano alla perfezione. Lo spagnolo sta tornando ai suoi massimi livelli con
l’aiuto dell’argentino, onnipresente e vero pilastro difensivo della squadra.
Uscita della palla dalla zona iniziale, sempre in maniera collettiva: centrali che si allargano, laterali aperti, e centrocampista che facilita l'uscita pulita con l'appoggio. |
Il terzo fondamento serve per chiudere il cerchio ed è quello della pressione immediata dopo la perdita della palla, questo è il principale metodo difensivo blaugrana. Luis Enrique per riuscire a mascherare in una maniera quasi perfetta gli errori tattici ha costruito un piano di pressione: quando la squadra perde il pallone in posizione offensiva, automaticamente si produce una pressione asfissiante sull'uscita della difesa rivale, provocando così errori nella squadra avversaria. (Primo gol di Messi contro il Bayern docet.)
Con tutto questo si crea una nuova era a Barcellona, un gioco con il quale Luis Enrique ha stabilito il record di vittorie dopo 50 panchine. A fine stagione l’allenatore asturiano aspira ancora alle competizioni più importanti, ma in testa ha sicuramente un unico obiettivo: tornare ad essere ambiziosi e regnare in Europa. Non avrà vinto titoli importanti, ma una cosa la sa fare bene, scalare le montagne più alte.
Articolo a cura di Santiago Tedeschi
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