lunedì 21 novembre 2016

Il treno per il Meisterschale

Tuchel sceglie uomini e sistema adeguati e resta avvinghiato alla battaglia per il primo posto.

di Emanuele Mongiardo






In un’intervista al Guardian pochi giorni prima della finale di Champions del 2013 Klopp aveva rilasciato, tra le altre, un’interessante dichiarazione su Sacchi e sulla sua idea di calcio: «Ai tempi del Mainz guardavamo video di esercitazioni difensive del Milan, con Maldini, Baresi e Albertini che ripetevano per 500 volte gli stessi movimenti senza la palla. Prima di conoscere Sacchi pensavamo che se gli avversari erano più forti, allora avremmo perso. Ma dopo abbiamo capito che con la tattica si può battere qualsiasi squadra»

A distanza di tre anni dalla sconfitta di Wembley il copione della Bundesliga non sembra essere cambiato: il Bayern continua a interpretare il ruolo del cattivo di James Bond e tocca al Borussia Dortmund provare a spodestarlo dal trono. Aldilà delle differenze nei principi di gioco, anche Tuchel come Klopp ha ben assimilato la lezione del vate di Fusignano e affidandosi a un piano gara studiato in ogni minimo dettaglio è riuscito nell'impresa di infliggere al Bayern di Carlo Ancelotti la prima sconfitta in campionato. 

La sfida coi bavaresi rappresentava un crocevia fondamentale per la stagione dei gialloneri, già distanti sei punti dai rivali. Una sconfitta avrebbe compromesso definitivamente il cammino verso il Meisterschale. Tuchel, come un sarto, ha tessuto la formazione su misura del proprio avversario, optando per una difesa a 3 (o a 5, lo aveva già fatto nello scorso campionato). Il terzetto davanti a Burki è composto da Ginter, Sokratis e Bartra. Sulle fasce si affida a due fedelissimi di Klopp, Pisczek e Schmelzer, mentre a centrocampo gli specialisti del pressing di scuola tedesca Gotze e Schurrle vengono preferiti al talento di Mor e Dembele per affiancare Weigl. In avanti accanto ad Aubameyang prende posto Ramos, altro giocatore votato all’aggressione alta dell’avversario. 

Ancelotti invece cavalca le proprie certezze e schiera la formazione migliore possibile, considerando gli acciacchi di Robben e il jet leg di Douglas Costa di ritorno dal Sud America. Lahm, Boateng, Hummels e Alaba presidiano la porta di Neuer. Thiago e Kimmich affiancano Xabi Alonso mentre in avanti Ribery a sinistra e Muller a destra supportano Lewandowski. 



Ruthless aggression

Dalle prime battute si intuisce come le chiavi della partita saranno il recupero palla e la capacità delle due squadre di negare all'avversario un’uscita pulita del pallone dal basso. Entrambe vogliono aggredire il lato forte non appena la palla giunge al terzino. La differenza però sta nell'efficacia con cui viene portato il pressing. 

Il Borussia innanzitutto cerca di sporcare la costruzione bassa sfruttando la struttura posizionale degli avversari: il Bayern inizia l’azione alternativamente con i due centrali o con i due centrali più Alonso. Se lo spagnolo resta a centrocampo, allora gli ospiti adottano il 2-4-2-2, con Kimmich e Ribery che stringono in mezzo e Thiago e Xabi che si allineano. Se l’ex madridista invece si abbassa, allora Kimmich scala dietro per affiancare Thiago. Quando ad impostare vi sono solo i due centrali, Ramos e Aubameyang si alzano su di loro. 




Quando invece Xabi Alonso si abbassa tra Boateng ed Hummels, a seconda del lato una punta va sul centrale di fascia, mentre l’altra copre il basco, schermando così contemporaneamente anche il passaggio sull’altro centrale di fascia. A centrocampo Schurrle e Gotze possono sfruttare i due riferimenti avversari (Alonso-Thiago o Kimmich-Thiago). Non appena il centrale trasmette palla al terzino, tocca a una delle due mezzali attaccare il possessore a seconda del lato, oscurando contemporaneamente la linea di passaggio per il mediano più vicino; l’altra mezzala ovviamente deve stringere nella direzione del pressing. Il Bayern in questo modo è in apnea: il Borussia vuole provare a recuperare il pallone prima possibile nelle zone più alte del campo. 


Ramos scherma Alonso, Aubameyang attacca Hummels e Gotze stringe su Thiago; il numero dieci riesce facilmente a recuperare palla. Da notare come Ribery provi ad abbassarsi per ricevere. La difesa a tre però permette al Borussia di mandare uno dei difensori esterni alto a difendere (in questo caso Ginter).



Il Bayern invece varia la struttura del pressing a seconda del lato, sempre con l’obiettivo di stringere il più possibile il campo degli avversari. Se il pallone transita a sinistra, Muller va sul difensore di quel lato (Bartra), Lewandowski marca il difensore centrale (Sokratis), Kimmich esce sul terzino sinistro (Schmelzer) e uno tra Thiago si alza per pressare Weigl, formando una sorta di 4-1-3-2. Anche Ribery stringe sul lato forte e va nella zona di Gotze, mentre Xabi Alonso si alza su Schurrle. 

Quando la palla va al difensore di destra (Ginter), Ribery si alza su di lui, Lewandowski scala su Sokratis e Muller scherma Weigl.




Ma per quasi tutto il primo tempo il pressing del Bayern risulta troppo blando per impensierire il Borussia che spesso non ha difficoltà nell’uscire palla a terra. 


Ribery e Lewandowski pigri in pressione. Il Borussia riesce facilmente a far circolare la palla da un lato all'altro della difesa. Bartra è libero di avanzare e cambiare gioco sul lato scoperto, dove Gotze e Pisczek possono avanzare per via del precedente e vano tentativo di pressare il Dortmund sul lato palla.

Nella propria metà campo i bavaresi difendono invece con un più canonico 4-4-2, con Kimmich e Ribery nel ruolo di esterni. 


Creare gli spazi

Nel tentativo di aggirare le linee avversarie gli uomini chiave della fase offensiva di Tuchel sono senz'altro le due mezzali, scelte oltre che per l’abilità nel pressing anche per la loro capacità di leggere gli spazi e attaccarli. Il Borussia adotta un 3-1-4-2 con i terzini larghi sulla linea laterale quasi all'altezza di Gotze e Schurrle per tenere impegnati Alaba e Lahm, mentre invece le punte giocano vicine per poter combinare una volta ricevuta palla e, soprattutto, per impedire diagonali verso l’esterno a Hummels e Boateng: difatti ai fianchi dei due centrali devono inserirsi Gotze e Schurrle. Come detto, quando il Borussia giunge nella metà campo avversaria i due terzini si posizionano all’altezza delle mezzali. In questo modo Lahm e Alaba sono costretti a uscire alti su di loro. Si crea uno spazio alle loro spalle in cui due giocatori come Gotze e Schurrle possono inserirsi facilmente, sfruttando anche l’incapacità di Thiago e Xabi Alonso di difendere all’indietro. 

La combinazione di pressing alto e inserimenti delle mezzali alle spalle di centrocampisti e terzini determina anche le circostanze dell’1 a 0. Al nono minuto il Bayern è costretto a riciclare il possesso su Hummels. Aubameyang lo attacca, mentre Ramos copre Xabi Alonso in salida lavolpiana. Gotze e Schurrle pressano Thiago e Ribery. Il Dortmund recupera il possesso dapprima col proprio numero dieci, poi, pochi secondi dopo un tentativo di cross sventato da Xabi, è Pisczek a rubare ancora il pallone ad Alaba all’altezza della trequarti avversaria. 

Il Bayern perde palla nella stessa zona per due volte nel giro di dieci secondi.

A quel punto il Bayern si è schiacciato troppo per difendere e il Borussia può consolidare il possesso nella metà campo avversaria avvalendosi del contributo di Bartra e Ginter. Dopo un minuto abbondante di possesso proprio un appoggio di Ginter su Pisczek innesca l’uscita in pressing di Alaba. Alle sue spalle si fionda Gotze che riceve dal terzino polacco. Thiago prova a seguirlo ma senza troppa convinzione, anche perché l’ex compagno riceve parecchio defilato e può solo crossare. 




Ma sul traversone dopo una serie di rimpalli Aubameyang di tacco riesce a servire Schurrle proprio nella zona che Alcantara avrebbe dovuto presidiare se solo non avesse provato a seguire Gotze. L’ex blaugrana allora prova ad andare incontro all'avversario, ma anche Alaba decide di uscire. Così Gotze si trova da solo sul vertice destro dell’area, riceve e confeziona l’assist per l’uno a zero di Aubameyang, su cui Boateng ha la colpa di non scalare. 

Il Bayern prova a rimediare affidandosi alle proprie direttrici offensive. Ancelotti vuole sfondare principalmente per vie centrali sfruttando il movimento incontro di Ribery per innescare una serie di spostamenti difensivi di cui potrebbe approfittare Lewandowski. Mentre l’anno scorso Guardiola imponeva ai suoi esterni di stare larghi e alti per smagliare la difesa avversaria e, in alternativa, inondare l’area di cross, quest’anno il francese in particolare ha maggiori responsabilità con e senza palla. Deve stringere verso il centro, posizionarsi se possibile alle spalle del centrocampo avversario e ricevere nell’half space o comunque costringere il difensore centrale di turno ad alzarsi su di lui. Si crea così un buco nella linea difensiva avversaria in cui può inserirsi Lewandowski. A quel punto tocca ai centrocampisti o ai difensori innescare il polacco. Una situazione che ha generato, per esempio, il momentaneo 2 a 0 contro il Werder Brema alla prima giornata. 

Anche contro il Borussia Ancelotti punta su questo particolare schema. Tuchel con la difesa a tre altissima aveva proprio intenzione di utilizzare i centrali esterni per seguire i movimenti degli avversari negli half spaces e non è raro vedere Ginter seguire Ribery anche fino al centrocampo. In questo modo i fianchi di Weigl non sono più scoperti. Tuttavia questo facilita l’esecuzione dell’imbucata su Lewandowski da parte del Bayern che se riesce a consolidare il possesso può sfruttare i traccianti millimetrici dei propri difensori centrali e di Xabi Alonso. Più volte sul lato sinistro Ribery attira l’uomo e Hummels lancia Lewandowski che si ritrova in situazione di uno contro uno con Sokratis. 




Ginter si alza su Ribery e Lewandowski detta il passaggio alle sue spalle. Il lancio di Hummels è ben calibrato, ma lo stop del polacco è difettoso.



A destra invece Muller sembra spaesato: Ancelotti gli chiede di stazionare a metà tra terzino sinistro e centrale sinistro, probabilmente per permettere a Kimmich di ricevere alle spalle del centrocampo. Ma da quel lato il Bayern è troppo prevedibile e verso la fine del primo tempo Muller e Lewandowski iniziano a scambiare la posizione: il polacco dovrebbe in teoria riprodurre i movimenti incontro di Ribery per creare spazio e permettere al compagno di inserirsi alle spalle della difesa. 



Quando non è possibile tentare il passaggio oltre la linea difensiva, i bavaresi provano a sfondare sulle fasce, arrivando spesso al cross in particolare sulla catena di sinistra (a destra Kimmich non è un esterno di ruolo e Lahm tende a rimanere più basso rispetto ad Alaba anche per aiutare la costruzione). Tuttavia i soli Lewandowski e Muller non bastano ad impensierire i tre centrali difensivi avversari, spesso coadiuvati da Weigl o dal terzino del lato opposto. 



Il Bayern non riesce a creare grosse occasioni; Ancelotti allora invita Thiago e Kimmich ad inserirsi con più frequenza in occasione dei traversoni dalla fascia e impone un pressing più aggressivo e preciso. 



Il ritorno del Bayern

Già dalla fine del primo tempo gli ospiti costringono Burki al rinvio lungo. Per limitare i danni e cercare di mantenere più possessi possibile anche con i rinvii lunghi, Tuchel nel secondo tempo cambia la disposizione dei suoi. Si passa dal 5-3-2 al 5-2-3: al momento del lancio del portiere Aubameyang resta tra i centrali, mentre Schurrle e Ramos si alzano sul terzino di riferimento per contendere il pallone di testa (di norma Schurrle su Lahm e Ramos su Alaba, ma vi sono anche degli scambi di lato; si vuole sfruttare il mismatch con Lahm prima e Rafinha poi); Gotze ha il compito di staccarsi dal centrocampo e aggredire la seconda palla, mentre i terzini hanno il compito di schermare il passaggio sul trequartista avversario che occupa l’half space (Ribery o Muller). 


Qui Schurrle non riesce a contendere in tempo il pallone a Lahm, che appoggia su Alonso. Gotze attacca subito lo spagnolo che ritorna dal capitano. Lahm prova a servire Muller nell'half space ma Schmelzer è bravo ad intercettare

In generale nel secondo tempo il Bayern occupa stabilmente la metà campo avversaria e il Borussia si affida alle transizioni, adottando un 5-4-1 in fase di non possesso con Ramos largo a destra e Aubameyang riferimento centrale pronto a scatenarsi in velocità. 

Al minuto 57 Ancelotti inserisce Douglas Costa per Kimmich. Con l’ingresso del brasiliano la catena laterale destra inizia ad avere un’efficienza pari a quella della catena di sinistra. Anche Lahm inizia a sganciarsi di più dalla difesa: rispetto a Kimmich Costa ama anche ricevere larghissimo a destra; a quel punto Lahm può avanzare più facilmente e agire anche da mezzala. Diventa frequente il due contro due con Schurrle e Schmelzer, anche perché ora Lahm, partendo più avanzato e centrale può sfruttare i tagli interno-esterno per sovrapporsi. 

La partita prosegue secondo questo canovaccio fino al novantesimo. Il Borussia vince e Ancelotti incassa la sua prima sconfitta in Bundesliga. La classifica vede ora il Lipsia in testa a tre punti proprio dai bavaresi, mentre i gialloneri mantengono invariato il distacco dal primo posto. A questo punto l’esito del campionato è meno scontato di quanto si potesse pensare un mese fa: il Bayern di Ancelotti non è dominante come quello di Guardiola e di partita in partita gli avversari trovano il modo di metterlo in difficoltà. Il Lipsia è in uno stato di forma smagliante che senz'altro aiuta la buona riuscita dei principi di gioco intenso, verticale e votato al pressing di Hassenhuttl. 

Se il Borussia dovesse riuscire a mantenere un rendimento più costante potrebbe sfruttare questo clima di incertezza per riconquistare il Meisterschale a cinque stagioni di distanza dall’ultima volta.


Articolo a cura di Emanuele Mongiardo

Great Expectations

I Lakers hanno trovato le fondamenta su cui ricostruire.

di Michele Serra























Da  quando nel 2012 Mitch Kupchak ha ipotecato il futuro della franchigia nel nome di un presente fatto di lustrini e paillettes più o meno brillanti, i Los Angeles Lakers hanno via via perso quell’aura mistica che li rendeva LA squadra NBA, quella più riconoscibile in tutto il mondo e immune a qualsiasi processo di ricostruzione. Questo perché non c’era mai stato bisogno di ripartire da zero, ma solo di rinfrescare la squadra - perenne contender ad eccezione di alcune sporadiche annate - in genere pescando tra i free agent: le scelte al draft, quando c’erano, erano piuttosto basse, e non si sono mai tramutate in solidi giocatori di rotazione, mentre la fila per giocarsi il titolo ad Hollywood nella squadra di Shaq, Kobe e Gasol (per rimanere nel nuovo millennio) era motivazione abbastanza grande per attirare l’attenzione dei migliori giocatori disponibili sul mercato anno dopo anno.  

Il fallimento dell’esperienza Nash-Howard-Kobe, e la sfilza di infortuni patiti da quest’ultimo hanno accelerato il declino di una squadra crollata inesorabilmente nell’arco di tre stagioni. Se non altro, la protezione delle scelte coinvolte nelle trade per il play dei Suns e il centro dei Magic è servita da paracadute, tanto che la sofferenza della franchigia e della fan base non possono essere considerate vane. Tra prime e seconde scelte, Kupchak e la dirigenza paiono aver trovato finalmente i giocatori su cui impostare il nuovo corso agli ordini di Luke Walton, emergente coach tornato alla base - dove aveva giocato fino al 2012 - dopo due anni di apprendistato alla corte di Steve Kerr e dei Warriors, con cui si è laureato campione NBA. 

La squadra ha iniziato la stagione con un record di 7-5 e finalmente inizia a vedersi la luce in fondo a quel tunnel fatto di scelte dirigenziali sciagurate, figlie di una programmazione inesistente e di una visione fin troppo antica della NBA, che dal 2010 - anno dell’ultimo titolo di LA - ad oggi è cambiata incredibilmente, lasciando a piedi chi non aveva il coraggio di seguirla. 


Top player

Posto che il tempo per capire quanto un giocatore giovane possa valere tra i pro è piuttosto lungo, chi sembra davvero aver fatto svoltare la squadra da subito è proprio Walton. Una volta ingaggiato, da lui nessuno si sarebbe aspettato neanche lontanamente dei risultati concreti in termini di vittorie e sconfitte, in questa stagione. L’obiettivo era, ed è tutt’ora, quello di creare una nuova cultura grazie alle idee maturate a Golden State e di portarle in uno spogliatoio precedentemente dominato da un’ex stella che non si rassegnava all’idea di aver perso il tocco magico e da un allenatore ormai fuori moda per la NBA attuale e che per giunta non sapeva minimamente rapportarsi con i giovani. 

I giocatori sono entusiasti di coach Walton (che ogni tanto li sfida in partitella o in uno contro uno in allenamento) e dei suoi metodi di lavoro, e farebbero di tutto per lui, come ha dichiarato Lou Williams, uno di quelli che ha maggiormente beneficiato della cura Walton. 

un punto di vista puramente tattico, l’ex giocatore dei Lakers vuole tanto movimento del pallone e dei giocatori off-the ball, per tenere la difesa sulle spine e cercare di costruire tiri aperti e/o in ritmo. La squadra produce tanti punti (107 di Off.Rating, buono per il decimo posto nella Lega), ma c’è ancora tanto lavoro da fare, chiaramente, a partire dalla questione dei passaggi. Walton ha recentemente dichiarato di voler arrivare a circa 300 a partita, quanti se ne facevano agli Warriors. I Lakers ad oggi mettono a referto 285 passaggi a partita, 26esimi in questa classifica. Di contro, sono 12esimi per percentuale di isolamenti giocati a partita, situazione in cui sono però i migliori della Lega, con 1.13 punti per possesso, segno che c’è parecchio da fare in termini di costruzione del gioco, ma gli uomini con punti nelle mani non mancano. E allora quali sono i punti di forza nell’attacco dei gialloviola? Innanzitutto, la velocità di esecuzione. Sono quarti per possessi a partita (102.8, contro i 97.9 dello scorso anno, sedicesimi), e sono molto efficaci in transizione (1.15 punti, top 10, e 66.4% di efg , terzi). Ma soprattutto quest’anno tutti i giocatori sono attivi lontano dalla palla, in particolar modo con i cosiddetti pin-down, i blocchi portati lontano dalla palla, che sono uno dei cardini dell’attacco di Golden State, e non solo (e infatti sono 10.4 gli screen assist a partita, decimi in questa classifica)

Tutti i giocatori sono coinvolti, e ad essere liberati per la conclusione possono anche essere protagonisti inaspettati, tipo Mozgov, che qui riceve il blocco da Nick Young e segna il piazzato.




Tutti i giocatori sembrano aver beneficiato dell’arrivo di Walton, in primis Julius Randle. Fin dall’arrivo dell’ex assistente degli Warriors, in tanti hanno iniziato ad azzardare paragoni tra lui e Draymond Green, cresciuto esponenzialmente dai primi anni di NBA e diventato un’arma totale su entrambi i lati del campo. In attesa di capire che tipo di giocatore diventerà Randle, va detto che l’ex Kentucky ha tutto per diventare una vera point forward, capace - dopo un rimbalzo difensivo preso - di dare via al contropiede, concludendo a canestro o servendo un compagno. In questo inizio di stagione, Randle ha già mostrato di saper fare entrambe le cose, ed anche a difesa schierata le sue letture sono notevoli, come si vede in questo passaggio schiacciato a terra per Russell.




Non è un caso che Randle sia secondo in squadra per numero di passaggi a partita effettuati (43.2) ed assist a partita (3.8), dietro solo a Russell. Un difetto del numero 30 di LA - che nel frattempo ha anche dimostrato di poter essere un difensore competente nonostante gli orrori mostrati lo scorso anno - è la sua mancanza di confidenza con la mano destra. Quando si butta a testa bassa in penetrazione, il difensore sa che concluderà a sinistra; altrimenti, piuttosto che tirare con la mano debole, Randle si prenderà un tiro scoordinato con la amata mancina, precludendosi però la possibilità di segnare, come vediamo qui sotto.




Il ragazzo di Dallas comunque tira con un eccellente 78% al ferro, mentre il resto del suo gioco offensivo latita ancora. Ma su questo, così come sullo scarso uso della mano destra, ci sarà tempo di lavorarci. 

La stagione di D’Angelo Russell, invece, procede ancora per alti e bassi. Il ragazzo ha tantissimo talento offensivo, la partita contro i Nets ne è stata una riprova, ma ancora non convince in termini di letture, e a volte è fin troppo aggressivo nel cercare un tiro quando altre soluzioni sarebbero preferibili.
Tra i giocatori con almeno 50 possessi giocati col p&r, Russell ha la media punti per possesso più bassa (0.59), e nel 21.8% dei casi perde palla: solo 5 giocatori, tra quelli coi requisiti di cui sopra, hanno fatto peggio. 
Russell, come detto, ha comunque del talento innato, che gli permettono di fare cose come questa:






e questa, con l’unica differenza che questo è un tiro mal consigliato, perché preso senza grosso ritmo e senza nessun giocatore a rimbalzo. Per fortuna di LA è andato a bersaglio, ma la sostanza non cambia.





In difesa, invece, il lavoro da fare per renderlo un giocatore presentabile è ancora lungo. Off the ball si distrae facilmente, e a volte è fin troppo aggressivo nei raddoppi dal lato debole, che i Lakers portano con buona frequenza contro attaccanti di un certo livello (si è visto per esempio contro Paul George, Boogie Cousins, Brook Lopez ed Anthony Davis, addirittura triplicato). 

Da segnalare anche un sorprendente Nick Young, che tira con il 57% di Efg (Effective Field Goal %, la statistica che riunisce tiro da 2 e da 3, attribuendo più valore a quest’ultimo), miglior dato in carriera. Inserito nel sistema di Walton, Young è un attaccante più controllato e molto più efficace, perché si risparmia conclusioni affrettate ed è diventato uno tiratore da spot-up (il 58% delle sue conclusioni sono arrivate senza aver messo il pallone per terra) e il maggior movimento di palla della squadra gli libera più spazi per il tiro (il 39.5% dei suoi tiri sono definiti “open” da NBA.com, contro il 34 dello scorso anno). Ancora più incredibile è lo sforzo che sta facendo nell’altra metà campo: ad un passo dal taglio, l’ex Wizards è stato convinto da Walton ad impegnarsi maggiormente in difesa se avesse voluto mantenere il posto in squadra. Questa transizione lo ha portato a diventare un titolare più che affidabile (anche se la sua utilità a lungo termine è da vedere).


Contributi inaspettti

Buona parte del merito per questo inizio oltre le aspettative, però, va ascritto sorprendentemente alla panchina. La second unit dei Lakers segna 50 punti a partita, tranquillamente il miglior dato della Lega, con un net rating di 18.9. Lou Williams sembra tornato ai livelli di due anni fa, quando si è laureato sesto uomo dell’anno. Anche in quanto veterano del gruppo, Williams ha preso in mano il secondo quintetto di LA garantendo punti veloci in più modi e facendo registrare massimi in carriera per punti (15.6), efg% (52.9) e percentuale da 3 (39.3%), il tutto in soli 22 minuti di utilizzo a partita. É anche un eccellente giocatore di pick and roll, con i suoi 0.95 punti per possesso - davanti a top del ruolo come Kyrie, Westbrook e John Wall. Discorso simile va fatto per Jordan Clarkson. Il ragazzo da San Antonio ha firmato un contratto da 50 milioni in 4 anni, in estate, ma nonostante ciò ha saputo reinventarsi come sesto uomo, approfittando delle sue eccellenti doti offensive. La sua zona di campo preferita sembra essere il mid-range (tira 19-36 in quest’area), quella che ormai è diventata terreno minato nella NBA attuale, mentre la percentuale da 3 (31%) e al ferro (51, sotto la media di Lega, fissata al 54) dimostrano che, anche in questo caso, ci sono ampi margini di miglioramento, non solo in termini percentuali, ma anche nella selezione di tiro.

Quello che rende tale la second unit dei Lakers è anche il lavoro svolto nella metà campo difensiva. Deng e Mozgov non hanno ancora dato molto da questo punto di vista. Mozgov concede il 47% al ferro su 12 tentativi a partita, non esattamente dati da rim protector; l’ex Bulls invece concede al diretto marcatore il 50% dal campo, e anche in attacco latita (36% di efg). Al contrario, tutti gli elementi del secondo quintetto hanno un buonissimo def.rating (ampiamente sotto il 100 eccetto Clarkson) e la squadra sta avendo minuti di qualità da Brandon Ingram, Larry Nance Jr. e Tarik Black. Ingram, che pure sta comprensibilmente faticando nella metà campo offensiva, ha braccia lunghissime per intromettersi sulle linee di passaggio e disturbare i tiri; Nance, pur non essendo molto alto, ha grande atletismo e mobilità che gli consentono di cambiare sui blocchi e rimanere con i piccoli avversari, mentre Tarik Black, pur se anch’egli non molto alto, garantisce difesa del ferro (42% concesso agli avversari su poco meno di 8 tentativi a partita), rimbalzi (13 di media per 36 minuti) ed è titolare del miglior def.rating di squadra tra i giocatori con almeno 100 minuti in campo (94.3). 

Qui, un esempio di quanto detto sopra, con Indiana che muove il pallone senza trovare un tiro comodo, grazie al movimento continuo e ai raddoppi portati con puntualità da tutti i membri del quintetto.





Anche qui, ci sono tante cose da sistemare, come la comunicazione tra compagni che più volte manca, specie in transizione, dove LA concede 1.15 punti per possesso (quinti a parimerito con altre tre squadre), con il 67% di efg (terzi). Qui vediamo come, in tutta tranquillità, concedano un tiro spalancato ai Pelicans sul finire dl quarto, tiro per loro fortuna sbagliato. A voi capire perché abbiano lasciato Solomon Hill completamente indisturbato.





Molte di queste mancanze sono dettate da inesperienza, errori di gioventù e semplice necessità di assimilare i dettami di Walton. Pensare che una squadra così giovane possa mantenere un livello di rendimento così sorprendente forse è troppo: adesso l’importante è far crescere bene le nuove leve, e per contare vittorie e sconfitte ci sarà tempo.
Se i Lakers sapranno continuare su questa falsariga, però, questo momento potrebbe essere più vicino di quanto ci si potesse aspettare. 


Articolo a cura di Michele Serra