Guidare la Nazionale italiana di calcio, per Antonio Conte, si è ben presto trasformata da nuova sfida stimolante a missione quasi impossibile. Vediamo perché.
di AER
di AER
Verso la fine dell'anno scorso, metà novembre del 2014, suonarono pesanti e allarmanti le dichiarazione di Antonio Conte, commissario tecnico della Nazionale. Conte si lamentava – un vero e proprio sfogo in realtà – della situazione della Nazionale italiana. La sua critica coinvolgeva tutti gli aspetti della gestione della Nazionale, dai principi generali come la quantità di tempo dedicato al lavoro con gli atleti a quelli più specifici come i valori umani e le dinamiche sociali all'interno della selezione azzurra.
Il calcio italiano, perfettamente identificato nella sua Nazionale, stava e sta attraversando un difficile momento storico e culturale. Cerchiamo di riassumere e analizzare i
problemi sottolineati da Conte alla luce degli ultimi avvenimenti e
delle ultime prestazioni.
Pochi potenziali azzurri nei principali club italiani
I principali club italiani, per valore storico e
tecnico, non riescono, per necessità o per scelta, a
puntare su calciatori italiani. La stessa Juventus, da sempre massimo
serbatoio per la Nazionale, sta innegabilmente perdendo questa
caratteristica considerando che consegna al c.t. cinque elementi di
caratura tecnica sufficiente per una Nazionale competitiva: Buffon,
Bonucci, Barzagli, Marchisio e Pirlo con tre/quinti di questi ormai
francamente in fase calante a causa di un'età non più giovanissima. Inter e Milan sono
praticamente nulle in questo. Personalmente ho qualche speranza di
poter vedere Santon in azzurro in corrispondenza di una sua crescita
a livello di esperienza nel club nonostante la sua inspiegabile
sparizione dai titolari dell'Inter nell'ultima parte di stagione.
È emblematico che uno dei migliori terzini del campionato italiano, Darmian, non sia stato preso in considerazione né dalla Juventus, né dal Milan, né dall'Inter, né dalla Roma e né dal Napoli (le prime 5 "potenze economiche" della serie A). Sarebbe da evitare un caso simile a quello di Verratti, con le dovute proporzioni legate al differente valore tecnico tra i due.
È emblematico che uno dei migliori terzini del campionato italiano, Darmian, non sia stato preso in considerazione né dalla Juventus, né dal Milan, né dall'Inter, né dalla Roma e né dal Napoli (le prime 5 "potenze economiche" della serie A). Sarebbe da evitare un caso simile a quello di Verratti, con le dovute proporzioni legate al differente valore tecnico tra i due.
Scarsa organizzazione a livello tecnico e strutturale
I tempi e gli spazi per poter lavorare
con la Nazionale non esistono. Non è che non esistono perché c'è
qualcuno o qualcosa che si oppone alla loro organizzazione,
semplicemente il nostro calcio appartiene alla "religione
dell'improvvisazione e dell'arte dell'arrangiarsi". Lavorare con continuità a livello
tecnico e tattico con la Nazionale è qualcosa di troppo
rivoluzionario per il nostro calcio: pura utopia nei calendari affollati e caotici. In nessuna
Nazionale si vede qualcosa del genere ma è tutto compensato da un
lavoro di programmazione e di sviluppo applicato a tutto il corso
delle Nazionali giovanili. Sarebbe interessante guardare i dati sui
giocatori che esordiscono in Nazionale maggiore senza aver fatto
tutta la trafila delle selezioni nazionali giovanili. Sono pronto a
scommettere che la tendenza in Italia sia significativamente anomala
rispetto al resto del Mondo e soprattutto a Spagna e Germania, ideali
modelli di Nazionali vincenti dell'era moderna/contemporanea.
Mentalità dei calciatori di basso livello
Legato all'assenza di concetti quali "programmazione", "sviluppo" e "organizzazione" c'è il
problema di mentalità dei calciatori. Questa problematica è
costituita dall'intreccio di vari "microproblemi" che sommati
rischiano di diventare un pesante handicap per un progetto ambizioso
e vincente.
Prima di tutto andiamo a considerare la "mentalità individuale" dei calciatori. Ad esempio: Zaza e
Immobile, gli attaccanti più utilizzati della gestione Conte, hanno
mai giocato per vincere veramente? La migliore stagione di Immobile è
stata a Torino - obiettivo salvezza e poi quello che viene
(qualificazione per l'Europa League) è tutto guadagnato – mentre
Zaza è il punto di riferimento offensivo di una squadra di media
classifica. Certo, è un discorso incompleto e all'apparenza debole
direte voi, ma prima di andare a valutare il valore tecnico dei
calciatori c'è da considerare che questi due atleti, come altri
punti fermi della Nazionale attuale, non abbiano fatto lo step
mentale decisivo, che prescinde dalle qualità tecnico-tattiche, per
essere un valore aggiunto per una Nazionale di calcio - quella
italiana – tradizionalmente vincente o almeno competitiva.
C'è poi da considerare un problema di "mentalità collettiva" che deriva dal fattore ambientale cioè
dalla Serie A. Il campionato italiano è poco "allenante". Non solo dal punto di vista degli avversari ma anche
dal punto di vista interno. I calciatori sono poco stimolati a
reagire a variazioni tecniche e tattiche, non si tende a mettere in
discussione un principio di gioco o uno schema. Spesso la differenza
tra vari moduli di gioco, in Italia, è rappresentata soltanto dalla
diversa posizione in campo. Le differenze, per esempio, tra un 4-4-2
e 4-3-3 sono profondissime a livello di interpretazioni e decisioni
individuali, a livello di movimenti collettivi, a livello di punti di
riferimento, a livello di spazio e di tempo. Nello stesso modulo,
poi, ci sono tantissime sfumature legate al tipo di giocatori e ai
principi di gioco specifici. Non è un caso che le due più grandi
potenze europee, Spagna e Germania (rappresentate dalla filosofia del Barcellona e dal precisissimo sistema delle
Nazionali giovanili tedesco, rispettivamente), siano trainate da
un'organizzazione che si fonda sull'allenamento dell' "intelligenza
tattica" che si identifica e si esprime nella capacità di fare le
scelte giuste durante i 90'. Per essere decisivi in Nazionale c'è
bisogno proprio di questo: saper adattare le proprie qualità al
resto della squadra. Non c'è il tempo e lo spazio per costruire
un'intesa con i compagni basata sul continuo e giornaliero
allenamento.
"In
questo momento - sottolineava Conte - l'Italia fa fatica a sfornare
talenti, e quelli che escono non hanno la giusta mentalità. Dobbiamo
capire che viviamo un difficile ricambio generazionale e dobbiamo
tornare ad essere umili, ad apprezzare l'importanza della fatica e
del lavoro, necessari per diventare campioni. Se ci riusciremo, ci
sono le premesse per crescere: altrimenti, sarà questo sarà solo
l'inizio della fine".
Il
lavoro e la fatica citati da Conte sono il simbolo di quella voglia
di migliorarsi, di mettersi in discussione. Questi concetti
coinvolgono tutto il movimento, non solo i calciatori che sono la
parte più mediatica, immediata e visibile del sistema che c'è
dietro di loro.
Dove crediamo di andare con due partite vinte una con il braccio e l'altra con un rigore insistente. Una squadra che non ha schemi di attacco che lascia tutto all'improvvisazione di giocatori mediocri che credono di saper giocare .
RispondiEliminaNessuno gioca di prima e non sanno che siano le verticalizzazioni ma solo il giro palla.facciamo ridere.questo dovete scrivere a meno che non facciate parte del coro degli utili idioti