La nostra rubrica sui giovani prosegue con il tennis.
Che futuro ha Alexander Zverev? Analisi tecnica sul perché "Sascha", a ragione, dovrebbe scalare i piani più alti della disciplina attualmente dominata da Djokovic.
di Federico Principi
Non è così inusuale che avvenga
che uno sportivo, un tennista in particolar modo, viva una settimana di grazia.
Pervaso da sensazioni estremamente positive, il giocatore in questione si sente
protagonista di un videogioco in prima persona, gestito da un software
elettronico che ad ogni comando premuto risponde con un colpo scientificamente
efficace. Nei casi estremi si assiste al successo nel torneo del crack della settimana, più
realisticamente il gettone finisce la propria corsa di fronte ad un solido top
5. È il caso di Mischa Zverev, protagonista degli Internazionali di Roma nel
2009, issatosi (da perfetto sconosciuto) fino ai quarti di finale.
Il "solido top
5" che il videogame gli ha fronteggiato nella final eight non era certo uno che passasse per caso. Roger Federer,
pur non essendo mai stato un cannibale nella nostra capitale, era decisamente
troppo per Zverev che non aveva più benzina. La sua corsa si fermò lì: dopo due
turni di qualificazione contro Ramirez Hidalgo e un Ferrero decisamente fuori
forma, Zverev si nutrì in un sol boccone del blasone di Berdych, Mathieu e
Simon. Compagini con una qualità ed un'esperienza ampiamente superiori,
spazzati via dalla fiducia-extra accumulata dal russo-tedesco in quella
settimana magica.
Lo Scriba, Gianni
Clerici, profetizzava un certo fastidio che Federer avrebbe potuto subire per
via del "mancinismo" del
suo avversario di quarti di finale. Neanche troppo velato il riferimento alle
difficoltà che lo svizzero per tutto l'arco della carriera ha dovuto affrontare
contro Nadal, molte delle quali mai effettivamente superate. Zverev aveva però un
gioco completamente diverso: dello spagnolo aveva solo la dominanza dell'arto,
che non condivideva neanche nella vita di tutti i giorni, nella quale Rafa
opera prevalentemente con la mano destra. Mischa si lanciava senza paura a
rete, più probabilmente costretto dall'inconsistenza dei suoi fondamentali da
fondocampo, ma non aveva la velocità né la manualità di Llodra o Müller (ma con
i quali condivideva almeno una predilezione naturale dell'arto mancino anche
nell'atto di scrivere su un foglio di carta). Federer di fastidi non ne ebbe
molti: liberatosi da qualche blocco interno che lo aveva costretto a doversi
guadagnare il primo set al tie-break, lo svizzero si allenò con molta fluidità
nel secondo parziale aggiudicandoselo per 6-2. La stessa fluidità aumentò
qualche anno più tardi, quando incontrando di nuovo Zverev in un quarto di
finale (questa volta sull'erba, ad Halle) lo rispedì a casa con una bicicletta.
Ma non era più Mischa il cocco di famiglia.
Apprezzabile la propensione al serve and volley di Mischa Zverev, ma
Federer era davvero di troppe categorie sopra. Anche nel 2013, suo anno
peggiore.
Il fratellino
Già molto prima del
mese antecedente all'irrilevante doppio 6-0 subito da Mischa al cospetto del re
Roger, lo scettro di casa Zverev era già stato tolto al maggiore. La
vittoria del Trofeo Bonfiglio non è garanzia di successo nel tennis degli
adulti, ma non era difficile intravedere nel fratello minore Alexander, classe 1997, le
stimmate del fuoriclasse.
Non lo era, per lo meno
in quella stagione. Perché nel circuito giovanile ITF Alexander si impose per
la prima volta negli Emirati (a Fujairah) nel 2012, vero, ma chi lo seguiva proprio
in Medio Oriente nello stesso periodo ne traccia una personalità determinata ma
parimenti turbabile ed irascibile. Meno talentuoso di quanto si pensi, ma
estremamente più arrivista e dedito a dure sessioni di allenamento di quanto
non lasciasse trasparire il suo linguaggio del corpo, apparentemente mesto e
sornione.
Stranamente già allora la famiglia di origini russe stava riponendo le aspettative sull'adolescente di 15 anni, nonostante il passato da numero 45 ATP del fratellone le cui quotazioni erano però al ribasso. Il quale contribuiva, chissà quanto spontaneamente e quanto invece costretto o spinto dal padre-coach, a svezzare il piccolino: Alexander ha raccontato in una recente intervista quanto spesso suo fratello si fermasse, al termine di un proprio allenamento, a palleggiare ed esercitarlo mentre ancora attraversava le prime fasi dell’adolescenza. Accelerandogli e migliorandogli il processo di crescita, sotto tutti gli aspetti, e ritenendolo ora un motivo fondamentale dei suoi attuali risultati e quindi delle sue aspettative future.
Stranamente già allora la famiglia di origini russe stava riponendo le aspettative sull'adolescente di 15 anni, nonostante il passato da numero 45 ATP del fratellone le cui quotazioni erano però al ribasso. Il quale contribuiva, chissà quanto spontaneamente e quanto invece costretto o spinto dal padre-coach, a svezzare il piccolino: Alexander ha raccontato in una recente intervista quanto spesso suo fratello si fermasse, al termine di un proprio allenamento, a palleggiare ed esercitarlo mentre ancora attraversava le prime fasi dell’adolescenza. Accelerandogli e migliorandogli il processo di crescita, sotto tutti gli aspetti, e ritenendolo ora un motivo fondamentale dei suoi attuali risultati e quindi delle sue aspettative future.
In questo video, ATP World Tour Uncovered ripropone un'intervista doppia, vecchia di quattro anni, ai fratelli. Per poi chiudere il flashback e riportarci ai giorni nostri: entrambi i ragazzi spiegano quanto sia stato importante avere una sorta di sana competizione fraterna che li spinge entrambi al costante progresso.
Agli ordini del papà Alexander senior, buon giocatore e membro della squadra sovietica di Davis ai tempi che furono (nonché marito di una tennista), il giovane “Sascha” si
allenava spesso con il coetaneo russo Andrey Rublev: semi-connazionale e grande
amico, ne condivideva il carattere isterico e "fumantino". Zverev ha
però compiuto un bel salto di qualità sotto questo aspetto: le racchette
volanti sono diminuite, inversamente proporzionali alla quantità di risultati
ottenuti in due anni chiave nella crescita del giovane Alexander. Già nel
Bonfiglio 2013 uscirà vincitore da due partite complicatissime, le ultime due,
dimostrando progressi nel saper reggere pressioni e situazioni intricate.
Tutt'altro che scontato alla modica età di sedici anni e qualcosa, più giovane
vincitore della storia del torneo milanese: trono immediatamente strappato al
nostro fenomeno Quinzi, campione un anno prima, rimasto per ora purtroppo fermo
alla sua dimensione adolescenziale.
Lottatissima la finale del Bonfiglio contro il serbo Laslo Djere.
Qualche immagine dal campo.
Non sempre la precocità
va a spasso con le promesse mantenute, e neanche con una parallela dose di
potenziale inespresso che talvolta non è così elevato come sembra. Zverev non
ne vuole sapere e dopo il Bonfiglio si lancia a caccia di uno Slam Juniores:
sconfitto da Garin in finale a Parigi, perde a New York al terzo set una
contesa che per molti potrebbe rappresentare una rivalità sulla quale tra 10
anni si produrranno film e dvd. Cede in semifinale a Borna Coric, un anno meno giovane di lui ed attualmente più maturo: decisamente differente come visione
del gioco ed impostazione tattica, nonché come tipologia di emozioni
esteriorizzate nell'agonismo. Sascha diventa numero 1 ITF nell'ottobre del
2013, e quando si lancia con successo verso la scalata all'Australian Open 2014
decide che è arrivato il momento di togliersi i pantaloncini corti ed indossare
la cravatta dei grandi.
Le vertigini del successo
Gli avrà probabilmente
spiegato suo fratello Mischa che cosa significhi sentire la massima fiducia
possibile, in se stesso e nei propri colpi, nel corso di un intero torneo.
Estromettendo favoriti a ripetizione, con la scioltezza dell'underdog ma con anche i brividi tipici delle
prime volte: quando ti trema la terra sotto i piedi nei punti importanti,
perché a certi livelli di gioco non ne sei ancora abituato.
Lo avrete visto in
diretta TV forse per la prima volta, nelle sue vesti adulte (17 anni, ma già
stabilmente nel circuito ATP), durante la cavalcata del torneo di Amburgo
nell'estate del 2014. Non molto differente, per la verità, di quella del
fratellone che vi abbiamo narrato nell'introduzione. Il piccolo Sascha ha fatto
strage e nella sua trappola sono caduti Haase, Youzhny, Giraldo e Kamke in
rispettivo ordine cronologico: quattro top 100 in fila a 17 anni, una
scorpacciata di punti (e soldi) ma soprattutto esperienza e consapevolezza.
Poco importa che il credito sia prevedibilmente terminato prima di scendere in
campo contro il martello Ferrer, che poi si farà soffiare il titolo da un
indemoniato Leo Mayer. Il suo torneo Zverev lo aveva già vinto.
Con questa magia si procura due set point contro Kamke nei quarti di finale.
I veri specialisti lo
avevano in realtà scrutato con attenzione poche settimane prima. Solo a
giornalisti o viscerali appassionati è concesso prestare attenzione ai
Challenger che si disputano nelle seconde settimane degli Slam, in realtà
popolosi di fauna con un certo pedigree. Quando Alex Zverev sconfigge Kamke
(due su due, vedi Amburgo) per 6-4 7-6 al primo turno a Braunschweig, sono in
pochi a farci caso. È invece quella la prima vera singola affermazione del
diciassettenne a livello ATP, contro un connazionale che gravitava alla
posizione 87 delle classifiche mondiali. Quella vittoria spalanca i chakra del
brufoloso adolescente, che in una frazione di secondo trova la convinzione e
l'autostima per elevare il proprio livello di gioco: ne fanno le spese Souza
(il brasiliano), Golubev e Mathieu, lo stesso che fu battuto da Mischa a Roma
2009. Tre mastini, anche a livello Challenger, che non impediscono al giovane
Alexander di imporsi nel primo grande torneo della sua carriera tennisticamente
ancora puerile.
Allo scanner
Alexander Zverev si
presenta come uno sbarbatello di un metro e 98 centimetri per 86 chili.
Decisamente aumentati negli ultimi due anni, tra crescita naturale dell’ultima
fase puberale e duri allenamenti del papà Alexander senior. Tutto lascerebbe
supporre di essere in presenza del classico bombardiere nuova generazione:
servizio e dritto bazooka, strategie aggressive, qualche vezzo tendente alla benedizione
a rete in seguito ai pesanti fondamentali, anche direttamente dopo il servizio.
Ma non è esattamente così.
Nel corso degli anni i
parametri fisici collegati alle strategie dei giocatori si sono naturalmente ed
inevitabilmente modificati. Così non risulta più scandaloso che un Murray, che
misura 1,91, sia giustamente considerato un regolarista tendente al passivismo:
Ivanisevic, di soli due centimetri più alto, era per tutti il classico gigante
spara-ace.
Nonostante le sue
misure, che soltanto dieci anni fa potevano apparire da capogiro, Alex Zverev
non è propriamente un bombardiere. Il suo piano naturale non prevede, e
potrebbe sembrare strano, lo sfondamento prepotente dell’avversario con i primi
tre, massimo quattro colpi. Tutt’altro: la posizione in campo tenuta
istintivamente dal tedeschino, scientificamente confermata soprattutto nei
punti in risposta, è piuttosto arretrata, quantificabile nell’ordine di circa
un metro (mediamente) a ritroso rispetto alla linea di fondocampo. Quella che
molti, per intenderci, criticavano in Raonic (due centimetri più basso di
Zverev) sulla risposta alla seconda palla dell’avversario, additandone la colpa
al vecchio coach Galo Blanco, colpevole di voler trapiantare il suo vecchio
atteggiamento tattico al giovane canadese che in realtà ha e già aveva ben
altri connotati.
Anche sui campi veloci di Wimbledon, Zverev non rinuncia a prendersi un
bel po' di spazio per colpire.
Zverev non ha la
tendenza (difficilmente è una precisa scelta) ad avanzare ed attaccare la palla
neanche qualora riesca, da dietro la linea di fondo, a sfoderare un colpo
profondo sul quale l'avversario accorci leggermente: quell'aggressività di
mangiarsi più campo possibile non sembra essere insita nell'animo del tedesco.
Che non è certo un regolarista, ma potrebbe sicuramente avanzare il proprio
raggio di azione soprattutto in relazione al colpo appena giocato, preferendo
quindi attualmente restare in una posizione apparentemente più comfortevole ma
evidenziando un minimo di passività tattica. La lettura dello scambio parrebbe
quindi essere un suo limite: ampiamente perdonabile alla sua tenera età e
sicuramente da affrontare, ma da non sottovalutare.
Un elemento tutt’altro
che trascurabile, che va in apparenza a minacciare quella credenza secondo cui
un giovane giocatore, dopo aver sviluppato un repertorio completo fino
all’adolescenza, va a specializzarsi in un tipo più o meno definito di tennis a
seconda (principalmente) delle proprie caratteristiche fisiche, che ne
determinano successivamente il piano tattico ma anche la stessa meccanica dei
colpi. In questo senso un ragazzo di quasi due metri non potrebbe tenere un
atteggiamento apparentemente rinunciatario, essendo ovviamente meno predisposto
all’efficacia della propria fase difensiva per via delle lunghe leve, che inevitabilmente rallentano la velocità di
gambe e di piedi necessarie per contenere la palla dell’avversario.
Andando tuttavia in
profondità, si scopre quanto alcune altre caratteristiche fondamentali di
Zverev siano funzionali alla sua posizione in campo. Spicca immediatamente
all’occhio il suo principale pregio: la straordinaria capacità di timing sul
rovescio. Nonostante non abbia le misure adatte per essere un contrattaccante,
alla stregua di un Coric (per prendere come pietra di paragone un ragazzo della
sua generazione), Alexander ha una capacità quasi unica di appoggiarsi
perfettamente con il colpo bimane alla velocità dell’avversario. Non è quindi
raro assistere a situazioni nelle quali Alex si gira leggermente sul rovescio
quando riceve palle centrali con un discreto peso.
I pregi di questa
naturale caratteristica tecnica sono notevoli. Innanzitutto, nonostante la
posizione non esattamente in prossimità della linea di fondo, è molto difficile
sfondare Zverev dalla parte del suo rovescio: questo accade tanto in fase di
risposta, quanto nei momenti in cui si trova in situazione di parità o perfino
di svantaggio nell’ambito dell’inerzia dello scambio. Essendo di solito il lato
del rovescio dell’avversario il principale obiettivo della maggioranza dei
giocatori (se si esclude un ipotetico confronto contro Paire, che difatti è
mancino naturale, o pochissimi altri) attraverso cui aprirsi poi il campo,
questa strategia si complica e non poco al cospetto di Zverev. Appoggiandosi
perfettamente, Alex riesce anche a compensare perfettamente la velocità non
elevatissima del suo braccio: intendiamoci, non è certo un ragazzo con il
gomito ingessato, ma andando a confrontare la sua biomeccanica a quella dei
suoi giovanissimi rivali australiani (Kyrgios e Kokkinakis su tutti,
chiaramente) quello di Zverev risulta un movimento meno strappato e più
“composto”, con un’accelerazione del braccio e una frustata sulla palla
decisamente inferiori.
Il braccio di Nick Kyrgios è un bazooka. Zverev non è allo stesso livello di accelerazione.
La naturalezza del
rovescio gli permette inoltre di nascondere molto bene la direzione del colpo:
con una velocissima e leggera modifica dell’orientamento del piatto corde al
momento dell’impatto, riesce all’ultimo istante a cambiare traiettoria alla
palla. Sorprendendo l’avversario, che non sempre riesce a leggere in anticipo
le intenzioni del tedesco: soprattutto quando Zverev gioca un lungolinea a
sorpresa, è possibile vedere come l'avversario aveva lasciato sguarnita quella
parte di campo aspettandosi un classico rovescio in diagonale.
Minuto 37:00: Zverev gioca un bel rovescio in diagonale e sulla palla
successiva cambia immediatamente in lungolinea. Il secondo colpo esce di
pochissimi centimetri ma era perfettamente eseguito oltre che ben nascosto. Molto
meglio gli era riuscito lo stesso schema al minuto 10:42
Zverev taglia molto
meglio l’angolo nella ricerca della palla con il suo fondamentale bimane.
Riesce, attraverso appoggi semplici e ben eseguiti, ad andare efficacemente incontro alla palla in diagonale, salendo armonicamente con il peso del corpo. Questo gli consente di gestire ottimamente con il proprio rovescio la pesantezza dei colpi dell'avversario,
tanto nelle velocità quanto nelle rotazioni con palle che saltano in alto.
Non c'è in Zverev la
stessa sicurezza o confidenza dalla parte destra: il dritto, dei due, è il
colpo che in situazioni complicate tende ad abbandonarlo per primo. Quando
viene pressato da quel lato, il tedesco non sempre (ed anzi quasi mai) riesce
ad andare incontro alla palla, tagliando l'angolo, ma preferisce (o forse è
costretto per mancanza di fiducia cieca nella ricerca del colpo) prendersi un
po' di spazio, aspettando la palla e caricandola efficacemente ma da una posizione più lontana
anziché aggredirla ed appoggiarsi. L'impatto che Zverev produce sul dritto è
più arretrato rispetto all'altro fondamentale: non solo per quanto riguarda la
posizione in campo da cui parte il colpo, ma anche in riferimento alla
posizione della palla rispetto al corpo. Alexander colpisce di rovescio
entrando prima con la testa della racchetta e impattando più davanti di quanto
non faccia con il dritto.
Questa tendenza ad una
leggera passività nell'approccio al dritto impedisce sostanzialmente a Zverev
di ribaltare lo scambio nel momento in cui l'avversario riesce a premere in
quella zona, prendendosi il comando del gioco. In questo modo, soprattutto
sui campi veloci, Zverev difficilmente riesce a procedere in una transizione
dello scambio attraverso, ad esempio, un dritto in corsa: diminuisce gli errori
ma non riesce più a prendere il controllo del punto, costretto ad una fase
difensiva che raramente può consentirgli di portare a casa il 15.
Minuto 5:44: dopo due rovesci in cui va bene incontro alla palla,
Zverev viene pressato sul dritto e arretra vistosamente: accorcia e perde
inevitabilmente il punto.
Avrete tuttavia notato
un dato apparentemente singolare: ci si aspetta da un ragazzo alto un metro e
98 che ottenga il massimo nelle superfici veloci, difendendosi più o meno
efficacemente in quelle più lente. Per Alexander non è così: i migliori
risultati del tedesco a livello ATP sono su terra battuta. Non mi spingo
certamente ad affermare che l'argilla rossa sia la sua superficie preferita o
per lo meno quella che più gli si addice in senso assoluto, ma di certo la sua
tendenza ad attendere la palla in una posizione leggermente arretrata (senza
scadere nel passivismo o nel regolarismo) gli consente di controllare gli
scambi più tranquillamente sulla terra, cercando immediatamente accelerazioni
incisive o addirittura definitive nel momento in cui riesce a guadagnare campo
costringendo l'avversario ad accorciare.
Statistiche prese da "tennislive.net". La percentuale maggiore di incontri vinti, costante in ogni stagione, è sulla terra battuta ("clay" per i neofiti).
Un ragazzo che sfiora i
due metri non può certamente possedere un servizio poco incisivo. È fisicamente
impossibile, anche fosse in possesso di una tecnica mediocre, non riuscire a
sfruttare quel piedistallo che madre natura ti ha concesso per vedere molto più
grande degli altri il rettangolo di battuta del campo avversario. Zverev non fa
eccezione: fin dai tempi delle prime turbe adolescenziali il suo servizio si
faceva sentire. A livello ATP, tuttavia, le cose si fanno un po’ più
complicate: la gente risponde e con una certa continuità. Per quanto il colpo
di inizio gioco proposto da Zverev non sia certo scadente, le sue velocità non
sono quelle da power unit Mercedes di frecce come Raonic o Karlovic. Non è
infatti perfettamente bilanciato nella spinta verticale, rimanendo leggermente arretrato
con il busto e non riuscendo quindi a esplodere ottimamente in avanti, scaricando
totalmente il peso del corpo e producendo massima energia sulla palla. Non si tratta certo di un
servizio mediocre, tutt’altro, ma senza subbio il tedesco ha qualche margine
tecnico di miglioramento per sfruttare appieno i suoi centimetri e diventare
devastante in battuta.
Sopra, "slowmo" della battuta di Zverev.
Sotto, Raonic. Il canadese viene da tutti definito un super-gigante, ma
in realtà è due centimetri più basso del tedesco. Riesce tuttavia a scaricare nettamente meglio il peso in avanti, producendo una resa al servizio ai
vertici del circuito ATP, sicuramente superiore a quella di Zverev.
Alla fine resta sempre estremamente valido il concetto (e non è un luogo comune) secondo cui la personalità generale si riflette direttamente sulle scelte in campo. Pur essendo sicuramente molto determinato e in taluni casi irascibile, Zverev ha poco a che vedere con la spocchia: il suo gioco ne risente, positivamente o meno a seconda dei singoli casi, risultando più attendista e riflessivo rispetto a soggetti decisamente più istintivi ed estroversi, spacca-partite come Kyrgios o Janowicz. Il carattere più misurato di Sascha e quello gangsta dell'australiano sono dipinti dalle loro racchette, prima ancora che dalle espressioni dei volti e dai body language.
Il futuro
Alexander Zverev è un
sicuro prospetto. Come tutti i suoi coetanei, però, ha bisogno di quei piccoli
salti di qualità necessari per diventare grande. Non solo anagraficamente, ma
soprattutto come punto di riferimento del movimento tennistico mondiale e come
uno di quelli da battere, tra qualche anno.
Ci sono alcuni aspetti
del suo gioco che vanno semplicemente consolidati, e sui quali Zverev ha
necessità soltanto di acquisire quella consapevolezza che lo condurrebbe alla
sicurezza di essere uno dei migliori al mondo in un determinato settore del
gioco. Il modo in cui ricerca la palla di rovescio è sicuramente naturale ed
efficace, già sufficiente per farlo stare al passo dei top player. Semmai va
migliorato il back, merce in ogni caso rara soprattutto nel tennis del futuro,
che gli rimane un po’ alto e sicuramente poco fastidioso per l’avversario.
Il grande punto di
svolta della carriera di Zverev dovrà sicuramente essere l’alta percentuale di
turni di servizio mantenuti. Per quanto sia agile e sufficientemente efficace
in fase di risposta, il tedesco resta sempre un gigante di due metri che
difficilmente potrà basare il suo gioco sulla ribattuta. Soprattutto, visto il
fatto che nel tennis acquisiscono sempre più importanza i primi due colpi del
gioco (servizio e risposta), Sascha dovrà maturare automatismi e sicurezze nei
turni di servizio, per potersi poi prendere qualche comodo rischio in
ribattuta. Per intenderci, la sua percentuale di game vinti al servizio dovrà
superare l’85%: solo così potrà ambire ad essere un pluri-vincitore Slam.
Per fare questo non
basta ovviamente migliorare semplicemente la tecnica del servizio, anzi. L’arte
del vincere un turno di battuta è molto più complessa di quanto possa essere
uno scarno tiro al piccione con bordate al servizio a medie orarie vicine a
quelle del circuito di Monza. Zverev avrà bisogno di essere molto più
aggressivo con i primi due-tre colpi all’uscita dal servizio, tentando di non
perdere mai l’iniziativa e accelerando nei momenti opportuni. Si deve insomma intuire
dalle dinamiche del punto, senza bisogno di vedere nel tabellone del punteggio,
che è proprio Zverev il giocatore a servire in quel momento. Molto facile a
dirsi, ma necessario, perché il ragazzino ha palesato una certa diffidenza di
fronte alla scelta di comandare immediatamente lo scambio. Ma a quanto pare, da
incontri più recenti, ci sta lavorando.
Minuto 5:06: Zverev dovrebbe più spesso martellare in questo modo.
Ne avevamo parlato
sopra e va ribadito: Zverev ha bisogno di progredire nella lettura degli scambi.
Dalla posizione leggermente arretrata in cui si trova può sicuramente caricare
con più tranquillità di spin e di profondità la palla. Se riesce però a giocare
un bel colpo profondo che costringe l’avversario a perdere un po’ di campo, non
sempre Zverev ha la prontezza per fare immediatamente due passi avanti e
prendere di prepotenza in mano lo scambio, preferendo invece continuare a palleggiare.
Soprattutto con il dritto, come detto prima, fa molta più fatica a tagliare
l’angolo e venire incontro alla palla, generando velocità e rubando il tempo
all’avversario. Preferisce quindi troppo spesso restare in posizione di attesa.
Dopo il secondo dritto in diagonale di Coric, Zverev deve attaccare in
avanti quella palla e colpire il dritto lungolinea in anticipo, anziché
aspettare di nuovo la palla in posizione innocua per il croato.
La struttura muscolare di Sascha non dovrà essere modificata in maniera rilevante per quanto concerne il peso, attualmente di 86 chilogrammi e già abbastanza sufficiente. Le lunghe leve consentono fisicamente di sprigionare già un'adeguata forza sulla palla, senza necessità di sviluppare una muscolatura prorompente. Anzi, in quel caso sarebbe alto il rischio di "staticizzare" gli arti, perdendo la necessaria mobilità di tutto il corpo che già da quell'altezza non può essere ottimale come per un collega di 10-15 centimetri più basso.
A vederlo così di sfuggita Zverev tradisce un animo abbastanza irrequieto dietro ad una maschera da scolaretto secchioncello al quale mancano solo gli occhiali. Non era così infrequente (e ancora oggi accade) vederlo invece lanciare con disprezzo la racchetta, schifato dal suo colpo o dalla sua prestazione. Negli atteggiamenti il ragazzo è inequivocabilmente migliorato ma non guarito, e avrà bisogno di tutta la sua positività e la sua pazienza per rubare la scena via via a sempre più colleghi. In una disciplina così ferrea dal punto di vista dell'equilibrio mentale, sarà per Zverev fondamentale limitare sempre di più quei frangenti di insofferenza, che ad altissimi livelli possono condizionare intere partite anche se circoscritti ad un periodo molto limitato nell'arco del match. Perfino se racchiusi in pochissimi punti-chiave.
Resta in ogni caso viva e più che giustificata la speranza della Germania di riportare a casa qualche trofeo Slam, che manca da Parigi 1999 e dal colpo di coda della Graf sulla crisi isterica della Hingis. Stich e soprattutto Becker e von Cramm (eroe sportivo dell'epoca nazista ma che con il regime nulla aveva a che fare, anzi) saranno invece i modelli ai quali Zverev dovrà fare riferimento. Sfruttando il suo enorme potenziale e riportando in alto un movimento nazionale che ha bisogno di figure di spicco. E lui ha tutta l'intenzione di volerlo diventare.
Articolo a cura di Federico Principi
Nessun commento:
Posta un commento