lunedì 12 ottobre 2015

Il futuro: Alexander Zverev

La nostra rubrica sui giovani prosegue con il tennis.
Che futuro ha Alexander Zverev? Analisi tecnica sul perché "Sascha", a ragione, dovrebbe scalare i piani più alti della disciplina attualmente dominata da Djokovic.

di Federico Principi






Non è così inusuale che avvenga che uno sportivo, un tennista in particolar modo, viva una settimana di grazia. Pervaso da sensazioni estremamente positive, il giocatore in questione si sente protagonista di un videogioco in prima persona, gestito da un software elettronico che ad ogni comando premuto risponde con un colpo scientificamente efficace. Nei casi estremi si assiste al successo nel torneo del crack della settimana, più realisticamente il gettone finisce la propria corsa di fronte ad un solido top 5. È il caso di Mischa Zverev, protagonista degli Internazionali di Roma nel 2009, issatosi (da perfetto sconosciuto) fino ai quarti di finale.

Il "solido top 5" che il videogame gli ha fronteggiato nella final eight non era certo uno che passasse per caso. Roger Federer, pur non essendo mai stato un cannibale nella nostra capitale, era decisamente troppo per Zverev che non aveva più benzina. La sua corsa si fermò lì: dopo due turni di qualificazione contro Ramirez Hidalgo e un Ferrero decisamente fuori forma, Zverev si nutrì in un sol boccone del blasone di Berdych, Mathieu e Simon. Compagini con una qualità ed un'esperienza ampiamente superiori, spazzati via dalla fiducia-extra accumulata dal russo-tedesco in quella settimana magica.

Lo Scriba, Gianni Clerici, profetizzava un certo fastidio che Federer avrebbe potuto subire per via del "mancinismo" del suo avversario di quarti di finale. Neanche troppo velato il riferimento alle difficoltà che lo svizzero per tutto l'arco della carriera ha dovuto affrontare contro Nadal, molte delle quali mai effettivamente superate. Zverev aveva però un gioco completamente diverso: dello spagnolo aveva solo la dominanza dell'arto, che non condivideva neanche nella vita di tutti i giorni, nella quale Rafa opera prevalentemente con la mano destra. Mischa si lanciava senza paura a rete, più probabilmente costretto dall'inconsistenza dei suoi fondamentali da fondocampo, ma non aveva la velocità né la manualità di Llodra o Müller (ma con i quali condivideva almeno una predilezione naturale dell'arto mancino anche nell'atto di scrivere su un foglio di carta). Federer di fastidi non ne ebbe molti: liberatosi da qualche blocco interno che lo aveva costretto a doversi guadagnare il primo set al tie-break, lo svizzero si allenò con molta fluidità nel secondo parziale aggiudicandoselo per 6-2. La stessa fluidità aumentò qualche anno più tardi, quando incontrando di nuovo Zverev in un quarto di finale (questa volta sull'erba, ad Halle) lo rispedì a casa con una bicicletta. Ma non era più Mischa il cocco di famiglia.

Apprezzabile la propensione al serve and volley di Mischa Zverev, ma Federer era davvero di troppe categorie sopra. Anche nel 2013, suo anno peggiore.


Il fratellino
Già molto prima del mese antecedente all'irrilevante doppio 6-0 subito da Mischa al cospetto del re Roger, lo scettro di casa Zverev era già stato tolto al maggiore. La vittoria del Trofeo Bonfiglio non è garanzia di successo nel tennis degli adulti, ma non era difficile intravedere nel fratello minore Alexander, classe 1997, le stimmate del fuoriclasse.

Non lo era, per lo meno in quella stagione. Perché nel circuito giovanile ITF Alexander si impose per la prima volta negli Emirati (a Fujairah) nel 2012, vero, ma chi lo seguiva proprio in Medio Oriente nello stesso periodo ne traccia una personalità determinata ma parimenti turbabile ed irascibile. Meno talentuoso di quanto si pensi, ma estremamente più arrivista e dedito a dure sessioni di allenamento di quanto non lasciasse trasparire il suo linguaggio del corpo, apparentemente mesto e sornione.

Stranamente già allora la famiglia di origini russe stava riponendo le aspettative sull'adolescente di 15 anni, nonostante il passato da numero 45 ATP del fratellone le cui quotazioni erano però al ribasso. Il quale contribuiva, chissà quanto spontaneamente e quanto invece costretto o spinto dal padre-coach, a svezzare il piccolino: Alexander ha raccontato in una recente intervista quanto spesso suo fratello si fermasse, al termine di un proprio allenamento, a palleggiare ed esercitarlo mentre ancora attraversava le prime fasi dell’adolescenza. Accelerandogli e migliorandogli il processo di crescita, sotto tutti gli aspetti, e ritenendolo ora un motivo fondamentale dei suoi attuali risultati e quindi delle sue aspettative future.


In questo video, ATP World Tour Uncovered ripropone un'intervista doppia, vecchia di quattro anni, ai fratelli. Per poi chiudere il flashback e riportarci ai giorni nostri: entrambi i ragazzi spiegano quanto sia stato importante avere una sorta di sana competizione fraterna che li spinge entrambi al costante progresso.

Agli ordini del papà Alexander senior, buon giocatore e membro della squadra sovietica di Davis ai tempi che furono (nonché marito di una tennista), il giovane “Sascha” si allenava spesso con il coetaneo russo Andrey Rublev: semi-connazionale e grande amico, ne condivideva il carattere isterico e "fumantino". Zverev ha però compiuto un bel salto di qualità sotto questo aspetto: le racchette volanti sono diminuite, inversamente proporzionali alla quantità di risultati ottenuti in due anni chiave nella crescita del giovane Alexander. Già nel Bonfiglio 2013 uscirà vincitore da due partite complicatissime, le ultime due, dimostrando progressi nel saper reggere pressioni e situazioni intricate. Tutt'altro che scontato alla modica età di sedici anni e qualcosa, più giovane vincitore della storia del torneo milanese: trono immediatamente strappato al nostro fenomeno Quinzi, campione un anno prima, rimasto per ora purtroppo fermo alla sua dimensione adolescenziale.

Lottatissima la finale del Bonfiglio contro il serbo Laslo Djere. Qualche immagine dal campo.

Non sempre la precocità va a spasso con le promesse mantenute, e neanche con una parallela dose di potenziale inespresso che talvolta non è così elevato come sembra. Zverev non ne vuole sapere e dopo il Bonfiglio si lancia a caccia di uno Slam Juniores: sconfitto da Garin in finale a Parigi, perde a New York al terzo set una contesa che per molti potrebbe rappresentare una rivalità sulla quale tra 10 anni si produrranno film e dvd. Cede in semifinale a Borna Coric, un anno meno giovane di lui ed attualmente più maturo: decisamente differente come visione del gioco ed impostazione tattica, nonché come tipologia di emozioni esteriorizzate nell'agonismo. Sascha diventa numero 1 ITF nell'ottobre del 2013, e quando si lancia con successo verso la scalata all'Australian Open 2014 decide che è arrivato il momento di togliersi i pantaloncini corti ed indossare la cravatta dei grandi.


Le vertigini del successo
Gli avrà probabilmente spiegato suo fratello Mischa che cosa significhi sentire la massima fiducia possibile, in se stesso e nei propri colpi, nel corso di un intero torneo. Estromettendo favoriti a ripetizione, con la scioltezza dell'underdog ma con anche i brividi tipici delle prime volte: quando ti trema la terra sotto i piedi nei punti importanti, perché a certi livelli di gioco non ne sei ancora abituato.

Lo avrete visto in diretta TV forse per la prima volta, nelle sue vesti adulte (17 anni, ma già stabilmente nel circuito ATP), durante la cavalcata del torneo di Amburgo nell'estate del 2014. Non molto differente, per la verità, di quella del fratellone che vi abbiamo narrato nell'introduzione. Il piccolo Sascha ha fatto strage e nella sua trappola sono caduti Haase, Youzhny, Giraldo e Kamke in rispettivo ordine cronologico: quattro top 100 in fila a 17 anni, una scorpacciata di punti (e soldi) ma soprattutto esperienza e consapevolezza. Poco importa che il credito sia prevedibilmente terminato prima di scendere in campo contro il martello Ferrer, che poi si farà soffiare il titolo da un indemoniato Leo Mayer. Il suo torneo Zverev lo aveva già vinto.

Con questa magia si procura due set point contro Kamke nei quarti di finale.

I veri specialisti lo avevano in realtà scrutato con attenzione poche settimane prima. Solo a giornalisti o viscerali appassionati è concesso prestare attenzione ai Challenger che si disputano nelle seconde settimane degli Slam, in realtà popolosi di fauna con un certo pedigree. Quando Alex Zverev sconfigge Kamke (due su due, vedi Amburgo) per 6-4 7-6 al primo turno a Braunschweig, sono in pochi a farci caso. È invece quella la prima vera singola affermazione del diciassettenne a livello ATP, contro un connazionale che gravitava alla posizione 87 delle classifiche mondiali. Quella vittoria spalanca i chakra del brufoloso adolescente, che in una frazione di secondo trova la convinzione e l'autostima per elevare il proprio livello di gioco: ne fanno le spese Souza (il brasiliano), Golubev e Mathieu, lo stesso che fu battuto da Mischa a Roma 2009. Tre mastini, anche a livello Challenger, che non impediscono al giovane Alexander di imporsi nel primo grande torneo della sua carriera tennisticamente ancora puerile.


Allo scanner
Alexander Zverev si presenta come uno sbarbatello di un metro e 98 centimetri per 86 chili. Decisamente aumentati negli ultimi due anni, tra crescita naturale dell’ultima fase puberale e duri allenamenti del papà Alexander senior. Tutto lascerebbe supporre di essere in presenza del classico bombardiere nuova generazione: servizio e dritto bazooka, strategie aggressive, qualche vezzo tendente alla benedizione a rete in seguito ai pesanti fondamentali, anche direttamente dopo il servizio. Ma non è esattamente così.

Nel corso degli anni i parametri fisici collegati alle strategie dei giocatori si sono naturalmente ed inevitabilmente modificati. Così non risulta più scandaloso che un Murray, che misura 1,91, sia giustamente considerato un regolarista tendente al passivismo: Ivanisevic, di soli due centimetri più alto, era per tutti il classico gigante spara-ace.

Nonostante le sue misure, che soltanto dieci anni fa potevano apparire da capogiro, Alex Zverev non è propriamente un bombardiere. Il suo piano naturale non prevede, e potrebbe sembrare strano, lo sfondamento prepotente dell’avversario con i primi tre, massimo quattro colpi. Tutt’altro: la posizione in campo tenuta istintivamente dal tedeschino, scientificamente confermata soprattutto nei punti in risposta, è piuttosto arretrata, quantificabile nell’ordine di circa un metro (mediamente) a ritroso rispetto alla linea di fondocampo. Quella che molti, per intenderci, criticavano in Raonic (due centimetri più basso di Zverev) sulla risposta alla seconda palla dell’avversario, additandone la colpa al vecchio coach Galo Blanco, colpevole di voler trapiantare il suo vecchio atteggiamento tattico al giovane canadese che in realtà ha e già aveva ben altri connotati.

Anche sui campi veloci di Wimbledon, Zverev non rinuncia a prendersi un bel po' di spazio per colpire.

Zverev non ha la tendenza (difficilmente è una precisa scelta) ad avanzare ed attaccare la palla neanche qualora riesca, da dietro la linea di fondo, a sfoderare un colpo profondo sul quale l'avversario accorci leggermente: quell'aggressività di mangiarsi più campo possibile non sembra essere insita nell'animo del tedesco. Che non è certo un regolarista, ma potrebbe sicuramente avanzare il proprio raggio di azione soprattutto in relazione al colpo appena giocato, preferendo quindi attualmente restare in una posizione apparentemente più comfortevole ma evidenziando un minimo di passività tattica. La lettura dello scambio parrebbe quindi essere un suo limite: ampiamente perdonabile alla sua tenera età e sicuramente da affrontare, ma da non sottovalutare.

Un elemento tutt’altro che trascurabile, che va in apparenza a minacciare quella credenza secondo cui un giovane giocatore, dopo aver sviluppato un repertorio completo fino all’adolescenza, va a specializzarsi in un tipo più o meno definito di tennis a seconda (principalmente) delle proprie caratteristiche fisiche, che ne determinano successivamente il piano tattico ma anche la stessa meccanica dei colpi. In questo senso un ragazzo di quasi due metri non potrebbe tenere un atteggiamento apparentemente rinunciatario, essendo ovviamente meno predisposto all’efficacia della propria fase difensiva per via delle lunghe leve, che  inevitabilmente rallentano la velocità di gambe e di piedi necessarie per contenere la palla dell’avversario.

Andando tuttavia in profondità, si scopre quanto alcune altre caratteristiche fondamentali di Zverev siano funzionali alla sua posizione in campo. Spicca immediatamente all’occhio il suo principale pregio: la straordinaria capacità di timing sul rovescio. Nonostante non abbia le misure adatte per essere un contrattaccante, alla stregua di un Coric (per prendere come pietra di paragone un ragazzo della sua generazione), Alexander ha una capacità quasi unica di appoggiarsi perfettamente con il colpo bimane alla velocità dell’avversario. Non è quindi raro assistere a situazioni nelle quali Alex si gira leggermente sul rovescio quando riceve palle centrali con un discreto peso.


I pregi di questa naturale caratteristica tecnica sono notevoli. Innanzitutto, nonostante la posizione non esattamente in prossimità della linea di fondo, è molto difficile sfondare Zverev dalla parte del suo rovescio: questo accade tanto in fase di risposta, quanto nei momenti in cui si trova in situazione di parità o perfino di svantaggio nell’ambito dell’inerzia dello scambio. Essendo di solito il lato del rovescio dell’avversario il principale obiettivo della maggioranza dei giocatori (se si esclude un ipotetico confronto contro Paire, che difatti è mancino naturale, o pochissimi altri) attraverso cui aprirsi poi il campo, questa strategia si complica e non poco al cospetto di Zverev. Appoggiandosi perfettamente, Alex riesce anche a compensare perfettamente la velocità non elevatissima del suo braccio: intendiamoci, non è certo un ragazzo con il gomito ingessato, ma andando a confrontare la sua biomeccanica a quella dei suoi giovanissimi rivali australiani (Kyrgios e Kokkinakis su tutti, chiaramente) quello di Zverev risulta un movimento meno strappato e più “composto”, con un’accelerazione del braccio e una frustata sulla palla decisamente inferiori.

Il braccio di Nick Kyrgios è un bazooka. Zverev non è allo stesso livello di accelerazione.

La naturalezza del rovescio gli permette inoltre di nascondere molto bene la direzione del colpo: con una velocissima e leggera modifica dell’orientamento del piatto corde al momento dell’impatto, riesce all’ultimo istante a cambiare traiettoria alla palla. Sorprendendo l’avversario, che non sempre riesce a leggere in anticipo le intenzioni del tedesco: soprattutto quando Zverev gioca un lungolinea a sorpresa, è possibile vedere come l'avversario aveva lasciato sguarnita quella parte di campo aspettandosi un classico rovescio in diagonale.

Minuto 37:00: Zverev gioca un bel rovescio in diagonale e sulla palla successiva cambia immediatamente in lungolinea. Il secondo colpo esce di pochissimi centimetri ma era perfettamente eseguito oltre che ben nascosto. Molto meglio gli era riuscito lo stesso schema al minuto 10:42

Zverev taglia molto meglio l’angolo nella ricerca della palla con il suo fondamentale bimane. Riesce, attraverso appoggi semplici e ben eseguiti, ad andare efficacemente incontro alla palla in diagonale, salendo armonicamente con il peso del corpo. Questo gli consente di gestire ottimamente con il proprio rovescio la pesantezza dei colpi dell'avversario, tanto nelle velocità quanto nelle rotazioni con palle che saltano in alto.


Non c'è in Zverev la stessa sicurezza o confidenza dalla parte destra: il dritto, dei due, è il colpo che in situazioni complicate tende ad abbandonarlo per primo. Quando viene pressato da quel lato, il tedesco non sempre (ed anzi quasi mai) riesce ad andare incontro alla palla, tagliando l'angolo, ma preferisce (o forse è costretto per mancanza di fiducia cieca nella ricerca del colpo) prendersi un po' di spazio, aspettando la palla e caricandola efficacemente ma da una posizione più lontana anziché aggredirla ed appoggiarsi. L'impatto che Zverev produce sul dritto è più arretrato rispetto all'altro fondamentale: non solo per quanto riguarda la posizione in campo da cui parte il colpo, ma anche in riferimento alla posizione della palla rispetto al corpo. Alexander colpisce di rovescio entrando prima con la testa della racchetta e impattando più davanti di quanto non faccia con il dritto.

Questa tendenza ad una leggera passività nell'approccio al dritto impedisce sostanzialmente a Zverev di ribaltare lo scambio nel momento in cui l'avversario riesce a premere in quella zona, prendendosi il comando del gioco. In questo modo, soprattutto sui campi veloci, Zverev difficilmente riesce a procedere in una transizione dello scambio attraverso, ad esempio, un dritto in corsa: diminuisce gli errori ma non riesce più a prendere il controllo del punto, costretto ad una fase difensiva che raramente può consentirgli di portare a casa il 15.

Minuto 5:44: dopo due rovesci in cui va bene incontro alla palla, Zverev viene pressato sul dritto e arretra vistosamente: accorcia e perde inevitabilmente il punto.

Avrete tuttavia notato un dato apparentemente singolare: ci si aspetta da un ragazzo alto un metro e 98 che ottenga il massimo nelle superfici veloci, difendendosi più o meno efficacemente in quelle più lente. Per Alexander non è così: i migliori risultati del tedesco a livello ATP sono su terra battuta. Non mi spingo certamente ad affermare che l'argilla rossa sia la sua superficie preferita o per lo meno quella che più gli si addice in senso assoluto, ma di certo la sua tendenza ad attendere la palla in una posizione leggermente arretrata (senza scadere nel passivismo o nel regolarismo) gli consente di controllare gli scambi più tranquillamente sulla terra, cercando immediatamente accelerazioni incisive o addirittura definitive nel momento in cui riesce a guadagnare campo costringendo l'avversario ad accorciare.

Statistiche prese da "tennislive.net". La percentuale maggiore di incontri vinti, costante in ogni stagione, è sulla terra battuta ("clay" per i neofiti).

Un ragazzo che sfiora i due metri non può certamente possedere un servizio poco incisivo. È fisicamente impossibile, anche fosse in possesso di una tecnica mediocre, non riuscire a sfruttare quel piedistallo che madre natura ti ha concesso per vedere molto più grande degli altri il rettangolo di battuta del campo avversario. Zverev non fa eccezione: fin dai tempi delle prime turbe adolescenziali il suo servizio si faceva sentire. A livello ATP, tuttavia, le cose si fanno un po’ più complicate: la gente risponde e con una certa continuità. Per quanto il colpo di inizio gioco proposto da Zverev non sia certo scadente, le sue velocità non sono quelle da power unit Mercedes di frecce come Raonic o Karlovic. Non è infatti perfettamente bilanciato nella spinta verticale, rimanendo leggermente arretrato con il busto e non riuscendo quindi a esplodere ottimamente in avanti, scaricando totalmente il peso del corpo e producendo massima energia sulla palla. Non si tratta certo di un servizio mediocre, tutt’altro, ma senza subbio il tedesco ha qualche margine tecnico di miglioramento per sfruttare appieno i suoi centimetri e diventare devastante in battuta.

Sopra, "slowmo" della battuta di Zverev.
Sotto, Raonic. Il canadese viene da tutti definito un super-gigante, ma in realtà è due centimetri più basso del tedesco. Riesce tuttavia a scaricare nettamente meglio il peso in avanti, producendo una resa al servizio ai vertici del circuito ATP, sicuramente superiore a quella di Zverev.


Alla fine resta sempre estremamente valido il concetto (e non è un luogo comune) secondo cui la personalità generale si riflette direttamente sulle scelte in campo. Pur essendo sicuramente molto determinato e in taluni casi irascibile, Zverev ha poco a che vedere con la spocchia: il suo gioco ne risente, positivamente o meno a seconda dei singoli casi, risultando più attendista e riflessivo rispetto a soggetti decisamente più istintivi ed estroversi, spacca-partite come Kyrgios o Janowicz. Il carattere più misurato di Sascha e quello gangsta dell'australiano sono dipinti dalle loro racchette, prima ancora che dalle espressioni dei volti e dai body language.


Il futuro
Alexander Zverev è un sicuro prospetto. Come tutti i suoi coetanei, però, ha bisogno di quei piccoli salti di qualità necessari per diventare grande. Non solo anagraficamente, ma soprattutto come punto di riferimento del movimento tennistico mondiale e come uno di quelli da battere, tra qualche anno.

Ci sono alcuni aspetti del suo gioco che vanno semplicemente consolidati, e sui quali Zverev ha necessità soltanto di acquisire quella consapevolezza che lo condurrebbe alla sicurezza di essere uno dei migliori al mondo in un determinato settore del gioco. Il modo in cui ricerca la palla di rovescio è sicuramente naturale ed efficace, già sufficiente per farlo stare al passo dei top player. Semmai va migliorato il back, merce in ogni caso rara soprattutto nel tennis del futuro, che gli rimane un po’ alto e sicuramente poco fastidioso per l’avversario.

Il grande punto di svolta della carriera di Zverev dovrà sicuramente essere l’alta percentuale di turni di servizio mantenuti. Per quanto sia agile e sufficientemente efficace in fase di risposta, il tedesco resta sempre un gigante di due metri che difficilmente potrà basare il suo gioco sulla ribattuta. Soprattutto, visto il fatto che nel tennis acquisiscono sempre più importanza i primi due colpi del gioco (servizio e risposta), Sascha dovrà maturare automatismi e sicurezze nei turni di servizio, per potersi poi prendere qualche comodo rischio in ribattuta. Per intenderci, la sua percentuale di game vinti al servizio dovrà superare l’85%: solo così potrà ambire ad essere un pluri-vincitore Slam.

Per fare questo non basta ovviamente migliorare semplicemente la tecnica del servizio, anzi. L’arte del vincere un turno di battuta è molto più complessa di quanto possa essere uno scarno tiro al piccione con bordate al servizio a medie orarie vicine a quelle del circuito di Monza. Zverev avrà bisogno di essere molto più aggressivo con i primi due-tre colpi all’uscita dal servizio, tentando di non perdere mai l’iniziativa e accelerando nei momenti opportuni. Si deve insomma intuire dalle dinamiche del punto, senza bisogno di vedere nel tabellone del punteggio, che è proprio Zverev il giocatore a servire in quel momento. Molto facile a dirsi, ma necessario, perché il ragazzino ha palesato una certa diffidenza di fronte alla scelta di comandare immediatamente lo scambio. Ma a quanto pare, da incontri più recenti, ci sta lavorando.

Minuto 5:06: Zverev dovrebbe più spesso martellare in questo modo.

Ne avevamo parlato sopra e va ribadito: Zverev ha bisogno di progredire nella lettura degli scambi. Dalla posizione leggermente arretrata in cui si trova può sicuramente caricare con più tranquillità di spin e di profondità la palla. Se riesce però a giocare un bel colpo profondo che costringe l’avversario a perdere un po’ di campo, non sempre Zverev ha la prontezza per fare immediatamente due passi avanti e prendere di prepotenza in mano lo scambio, preferendo invece continuare a palleggiare. Soprattutto con il dritto, come detto prima, fa molta più fatica a tagliare l’angolo e venire incontro alla palla, generando velocità e rubando il tempo all’avversario. Preferisce quindi troppo spesso restare in posizione di attesa.

Dopo il secondo dritto in diagonale di Coric, Zverev deve attaccare in avanti quella palla e colpire il dritto lungolinea in anticipo, anziché aspettare di nuovo la palla in posizione innocua per il croato.


La struttura muscolare di Sascha non dovrà essere modificata in maniera rilevante per quanto concerne il peso, attualmente di 86 chilogrammi e già abbastanza sufficiente. Le lunghe leve consentono fisicamente di sprigionare già un'adeguata forza sulla palla, senza necessità di sviluppare una muscolatura prorompente. Anzi, in quel caso sarebbe alto il rischio di "staticizzare" gli arti, perdendo la necessaria mobilità di tutto il corpo che già da quell'altezza non può essere ottimale come per un collega di 10-15 centimetri più basso.

A vederlo così di sfuggita Zverev tradisce un animo abbastanza irrequieto dietro ad una maschera da scolaretto secchioncello al quale mancano solo gli occhiali. Non era così infrequente (e ancora oggi accade) vederlo invece lanciare con disprezzo la racchetta, schifato dal suo colpo o dalla sua prestazione. Negli atteggiamenti il ragazzo è inequivocabilmente migliorato ma non guarito, e avrà bisogno di tutta la sua positività e la sua pazienza per rubare la scena via via a sempre più colleghi. In una disciplina così ferrea dal punto di vista dell'equilibrio mentale, sarà per Zverev fondamentale limitare sempre di più quei frangenti di insofferenza, che ad altissimi livelli possono condizionare intere partite anche se circoscritti ad un periodo molto limitato nell'arco del match. Perfino se racchiusi in pochissimi punti-chiave.

Resta in ogni caso viva e più che giustificata la speranza della Germania di riportare a casa qualche trofeo Slam, che manca da Parigi 1999 e dal colpo di coda della Graf sulla crisi isterica della Hingis. Stich e soprattutto Becker e von Cramm (eroe sportivo dell'epoca nazista ma che con il regime nulla aveva a che fare, anzi) saranno invece i modelli ai quali Zverev dovrà fare riferimento. Sfruttando il suo enorme potenziale e riportando in alto un movimento nazionale che ha bisogno di figure di spicco. E lui ha tutta l'intenzione di volerlo diventare.


Articolo a cura di Federico Principi 

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