di Michele Serra
Doverosa premessa prima di iniziare.
Abbiamo assistito alla campagna per l’MVP probabilmente più avvincente di
sempre, con quattro candidati in lizza, tutti meritevoli per varie ragioni.
Chiunque, tra Westbrook, Harden, Leonard e LeBron debba vincere il premio, sarà
comunque meritato, perché l’impatto che hanno per le loro squadre è enorme, ampiamente riconosciuto e testimoniato dalle cifre. Qui, però, ci sbilanciamo dalla parte di Russel Westbrook argomentando sui perché, secondo noi, il premio di MVP stagionale debba essere
consegnato a lui.
Siamo tutti testimoni
Lo slogan fu
inventato per un altro personaggio, ma per Westbrook possiamo fare
un’eccezione. Il numero 0 dei Thunder ha finito la stagione in tripla doppia di
media (31.6 punti, 10.7 rimbalzi e 10.4 assist), 55 anni dopo Oscar Robertson,
unico - prima di oggi - a riuscirci. A differenza di Big O, però, Westbrook ha
un minutaggio ben più accettabile: 34.8 minuti in campo a partita, contro gli
oltre 44 di Robertson. La NBA dell’epoca, inoltre, si giocava ad un ritmo molto
più alto, gonfiando le cifre. I Cincinnati Royals di Robertson, per esempio,
avevano un pace (possessi medi a partita) di quasi 125: questi Thunder si
fermano invece a 100, pur rimanendo nella top 10 di questa classifica.
Westbrook però ha fatto registrare uno lo usage rate più alto di sempre: 41.8%.
Dopo essere stato lasciato solo sulla
nave dal co-capitano Durant, ci si aspettava che Russ giocasse questa stagione
con le marce altissime, un po’ perchè il peso di una squadra senza troppo
talento complessivo sarebbe caduto necessariamente sulle sue larghe spalle; un
po’ per semplice rabbia, quella che l’ex UCLA ha sempre messo in abbondanza nel
suo gioco, ma che, alla luce degli eventi estivi, non può che essere cresciuta.
Lui dice di non giocare arrabbiato, ma di essere solo concentrato. Ha detto anche
di non essere interessato alle cifre di Big O, ma ci permettiamo di non
credergli. L’affermazione che più si sente quando vengono snocciolati i numeri
dell’ex UCLA è “accumula cifre solo per se stesso”. Niente di più sbagliato,
visto che il record dei Thunder quando Westbrook va in tripla doppia è 32-9
(praticamente due terzi delle vittorie di squadra).
Westbrook è il primo giocatore della
storia NBA ad aver messo a segno una tripla doppia senza errori dal campo
(contro Philadelphia) e ad aver fatto registrare in singola stagione due serie
da sette triple doppie consecutive.
È il primo giocatore nella storia NBA (tra i giocatori con almeno 25 minuti di media) per Box Plus Minus - “una stima
dei punti su 100 possessi a cui un giocatore ha contribuito, paragonato ad un
giocatore medio x in una squadra media y”, per usare le definizione di
Basketball Reference - con 15.7.
I Thunder sono 17esimi per offensive
rating, con 105 punti su 100 possessi; senza Westbrook, però, il dato crolla a
97.4, cifra che, su base stagionale, li metterebbe all’ultimissimo posto nella
Lega.
Quel che potrebbe fare la differenza per
il numero 0 nella corsa all’MVP è il suo rendimento nel clutch, cioè nei
momenti cruciali delle partite, quando il punteggio è in bilico. Tra i giocatori
che hanno tentato almeno un tiro negli ultimi 3 minuti di partita (con una
differenza di punteggio di massimo 3 punti), Westbrook è primo nella Lega con
3.4 punti segnati, praticamente uno in più del secondo in classifica, DeRozan.
Tra l’altro, in questa situazione ha uno usage rate spaventoso, del 73%, e che
chiaramente inficia la sua efficienza: tira solo con il 48% di effective field
goal (la statistica che tiene conto della differenza tra tiri da due e da tre,
assegnando un punto in più a questi ultimi). Solo nelle ultime settimane
abbiamo avuto prova della sua abilità nel chiudere (o prolungare) le partite
quando conta. Pensiamo al recentissimo tiro da tre con cui ha vinto la partita
a Denver, spegnendo i sogni di playoff dei Nuggets. O quello contro Orlando,
fuori equilibrio contro due giocatori dopo una feroce rimonta guidata da lui
stesso con 28 punti nel solo quarto periodo.
Critiche (in)evitabili
Quando imprese
del genere vengono realizzate da giocatori che non militano in squadre di
vertice, la prima accusa che gli si rivolge è, come detto, quella di accumulare
cifre senza curarsi troppo del contesto di squadra: nel caso di Westbrook
stiamo parlando ovviamente di rimbalzi, in particolare, e assist.
Da più parti si è letto di come i
compagni di squadra agevolino particolarmente l’accumulo di questi dati, ad
esempio togliendosi di torno mentre Westbrook insegue un rimbalzo difensivo non
contestato. Partiamo col dire che sì, c’è un fondo di verità nella cosa, ma è
anche una conseguenza delle caratteristiche tecniche dei giocatori dei Thunder,
dei lunghi in particolare. Gibson e Adams sono eccellenti rimbalzisti, abili
nel tagliafuori, che eseguono in maniera tale da (anche) permettere a Westbrook
di gettarsi sulle carambole difensive senza doversi curare degli avversari.
Westbrook ha circa 15 occasioni di
rimbalzo a partita, primissimo tra gli esterni, ma l’80% dei rimbalzi da lui
catturati è uncontested, cioè senza disturbo degli avversari (in totale,
sono 8.5 a partita di questo tipo, primo nella Lega). Come ha sottolineato
Royce Young in un suo recente pezzo, il motivo per cui le squadre tendono a
lasciare che siano i Thunder a catturare i rimbalzi difensivi si spiega con la
necessità di evitare transizione per quanto possibile, situazioni di gioco che
OKC usa parecchio (16.4% dei suoi possessi) pur senza eccellere (1.08 punti per
possesso, 17esima a pari merito con altre cinque squadre), ma in cui Westbrook è
primo per punti di media, 6.8. Il tutto in maniera molto veloce: i Thunder
impiegano 11.6 secondi di media per concludere un’azione dopo aver catturato un
rimbalzo difensivo, sesti nella Lega (come riportato da Inpredictable).
Quello che però dovrebbe farci capire
perché per lui le statistiche non sono un’ossessione, come lo è invece la
vittoria, è il conto dei rimbalzi offensivi e soprattutto il modo in cui li
cattura, spesso in situazioni molto difficili (stiamo pur sempre parlando di un
giocatore di 193 generosi cm contro atleti alti anche 20 cm più di lui).
A volte Westbrook usa la furbizia, come
qui, in cui spinge leggermente Murray per toglierlo di mezzo durante la lotta a
rimbalzo:
...o qui, dove rientra in campo apposta per
strappare un rimbalzo da una selva di braccia:
Per quanto riguarda invece gli assist, si
tratta di una cifra ben più difficile da far quadrare, poiché dipende non
solamente dal giocatore che si libera della palla, ma soprattutto dai giocatori
che la ricevono e quel che ne fanno. OKC è la squadra che tira peggio da tre
in NBA (32.7%), e quindi Westbrook deve cercare di apparecchiare al meglio la
tavola per i tiri dei compagni. Pur non essendo un mostro di efficienza anche
in situazioni di pick and roll (10.6 punti ma solo 0.89 per possesso con il 46%
di efg, 71esimo percentile in NBA), il play usa spesso questa situazione di
gioco (35%) per iniziare l’azione.
Non è infrequente vedere OKC giocare
quello che si chiama “Spain pick and roll”, così definito perchè usato
abbondantemente dalla nazionale spagnola di basket: uno screen che vede
coinvolto anche un terzo giocatore, che blocca l’uomo del bloccante.
Qui l’esempio base, con Westbrook che lo
utilizza per servire Adams, che colpisce con il floater dal pitturato che è
ormai diventato il suo marchio di fabbrica (e anche uno dei tiri a più alta
percentuale per i Thunder):
Da qui, poi, Westbrook può usare il pick
and roll per andare al ferro:
...o servire un compagno, che finta il
blocco (si chiama slip screen) e si posiziona oltre l’arco per colpire
da tre:
Certamente, il nostro candidato MVP sa
come gestirsi nell’arco di una partita, e non è un caso che le sue cifre in
termini di assist raggiungano il punto più basso nel quarto quarto (1.9 a
partita nell’ultimo periodo), mentre la media punti si alza (10). Prima cerca
di mettere in ritmo i compagni, poi, quando c’è da vincere la partita, sale in
cattedra da protagonista.
Tra l’altro, a testimonianza del lavoro
svolto da Russell, c’è da notare come le percentuali al tiro di tutti i suoi
compagni migliorino quando serviti da lui (tra quelli a cui ha riservato almeno
il 4% dei suoi passaggi). In questa immagine ci sono le percentuali al tiro dei
giocatori dei Thunder in stagione:
...mentre qui la percentuale tenuta quando
serviti da Westbrook:
In conclusione, il discorso circa la
candidatura del numero 0 per l’MVP è molto semplice. Westbrook non è il
giocatore con il record di squadra migliore (anzi, negli ultimi 30 anni nessuna
squadra al di sotto del terzo posto nella propria conference ha fatto vincere
tale premio ad un proprio giocatore), né è quello più efficiente. Però è quello
più determinante per le sorti della propria squadra, alla pari di LeBron, e
autore di una stagione storica. Votarlo vorrebbe dire, in un certo senso, far
parte di questa storia. Why not?
Articolo a cura di Michele Serra