sabato 5 settembre 2015

Il tennis percentuale

Federer è ritornato grande cambiando rotta. Analizzando le sue scelte nel lungo periodo, ecco perché la nuova strategia si sta rivelando vincente.

di Federico Principi






È opinione comune che prendere il via in una particolare disciplina in tenera età faciliti la naturalezza del raggiungimento di obiettivi di alto livello in età più matura. Un po' come i personal computer nuovi, con memoria fresca e vuota, che vanno velocissimi appena comprati, il cervello di un bambino assimila più velocemente nuove conoscenze ed informazioni e interiorizza gesti tecnici molto agevolmente, rendendoli sciolti ed automatici da adulti.

Ora, magari sarà una mia paranoia ma credo di essere soddisfatto del fatto di aver ripudiato il poker fino a due anni fa circa. Nonostante i miei primi 21 anni li abbia vissuti al riparo da questo gioco che molti considerano uno sport, non credo che ne sarei stato un interprete migliore se mi fossi accodato alle mode di qualche anno fa, appassionandomi in età adolescenziale. Le prime dirette di Texas hold'em comparse in Italia una decina di anni fa scarsi non mi interessavano minimamente. Disprezzavo (e tuttora in alcuni casi sporadici continuo a farlo) il comportamento al tavolo di certi personaggi esaltati, sbruffoni. Pensavo al poker e mi compariva in mente una natura morta fatta di uno stanzino buio, mozziconi di sigarette, giocatori che cercano dei cenni per fare fuori il pesce piccolo della serata, qualche cicchetto di assenzio.

Il poker vero, professionistico, è un'altra cosa. Ma non potevo saperlo, non volevo saperlo. Quando ho realmente abbracciato questo nuovo mondo, la mia mente si è aperta ad un concetto a cui poca importanza si attribuisce nella vita quotidiana, fondamentale invece per un vero giocatore di Texas: essere vincenti nel lungo periodo. Una strategia che mette in primo piano la correttezza della scelta a discapito dei risultati nel breve periodo, influenzabili da troppe variabili casuali e perché no, dalla fortuna. Non è importante portare a casa il singolo piatto, ma avere il giusto pensiero di azione alle spalle porterà un qualsiasi giocatore ad ottenere una visione di insieme che va oltre le mani isolate. Rendendolo più o meno forte rispetto ad altri in base alla somma di tanti risultati accumulati a seguito di singole partite, tornei, mesi, anni.


Il tennis percentuale
Fondamentale in questo senso è il concetto delle "pot odds". Nel Texas hold'em capita molto spesso di avere in mano dei progetti di concludere un punto forte: "outs" sono definite le possibilità (ovvero le carte rimanenti) per poterlo chiudere. Di fronte a una puntata di un nostro avversario, qual è la decisione giusta da prendere? Ovviamente, risposta prevedibile, la scelta varia a seconda dei casi.

Se la puntata dell'avversario in relazione al piatto è in percentuale troppo bassa, rapportata alle probabilità di centrare una delle nostre "outs", conviene chiamarla. Viceversa, il piatto andrà mollato. Per fare un esempio pratico: inseguendo un colore al river (abbiamo quattro quinti in mano) sono 9 le "outs" disponibili su 46 carte rimanenti, avendo sottratto le due nelle nostre mani e le quattro del board comune. Rapportando le carte che non ci fanno chiudere il progetto a quelle che invece ci servono, otterremo una proporzione del 4,2:1. Il nostro avversario decide di puntare 200 su un piatto da 800: chiamando la sua puntata di 200 abbiamo l'opportunità di portarci a casa un piatto da 1.000. Un rapporto di 5:1, quindi: sono queste le nostre "pot odds". La golosità del piatto è dunque superiore alla probabilità di chiudere il nostro progetto, e la decisione giusta è quella di chiamare la puntata. E viceversa, ovviamente, in caso di puntata molto forte dell'opponente. Mani singole potrebbero concludersi negativamente pur seguendo con esattezza la strategia delle "pot odds": ma ciò che ci interessa è la percentuale di successi nel lungo periodo.

Non avevate mai pensato al tennis come un gioco di percentuali? Roba da giocatori cervellotici come Nadal o Simon: attendisti, riflessivi, calcolatori. E invece scoprirete che anche l’istinto, l’incoscienza, l’esasperata aggressività sono spesso perfettamente pianificati fin dal briefing pre-partita, che si faccia con un coach oppure in solitudine. Lo stesso identico meccanismo dell'hold'em: approcciare ad ogni punto, in ogni palla, compiendo la scelta giusta a prescindere, quella che nel lungo periodo vi farà vincere la partita. 

In molti scambi assomiglia di più ad un derby russo Karpov-Kasparov di scacchi, piuttosto che ad una partita di tennis.

In questo senso si va a collocare la marcata differenza tra errore esecutivo ed errore strategico: la gravità sta nel compiere quest’ultimo, dato che correggere una singola esecuzione risulta meccanicamente e mentalmente estremamente più facile piuttosto che raddrizzare un pensiero sbagliato. Che si trascina dietro ovviamente anche problemi biomeccanici. Quando sentirete il vostro allenatore incitarvi urlando «Era giusto!» dopo aver sbagliato una palla, non temete: insistete su quell’idea di gioco e con più convinzione la palla vi starà dentro.

Non gridate quindi allo scandalo se la Sharapova forza le seconde di servizio, commettendo inevitabilmente manciate di doppi falli. La russa non è mai stata un fulmine negli spostamenti laterali, né ovviamente in fase difensiva: a costo di perdere matematicamente il punto servendo una seconda sicura e mediamente debole, meglio aumentare la percentuale di doppi falli pur di avere la certezza di piazzare un servizio incisivo, se dovesse centrare il campo, che le consentirà di comandare il gioco immediatamente. Nel caso di Maria non potrà essere un kick pesante, con più margine di sicurezza, non avendo la forza delle spalle della Stosur per giocare parabole arrotate sul servizio, ma una botta sufficientemente piatta o con un leggero slice. Alla lunga, sulla seconda, la Sharapova otterrà sicuramente più punti in questo modo piuttosto che optando per una seconda palla più tenera. Questo, in breve, è il tennis percentuale.

Non è necessario che faccia ace ogni volta che serve la seconda. Basta però per capire che in ogni caso la velocità media della seconda della Sharapova è all'incirca questa.


Classic Federer
Qualche mese fa su Supertennis ci si poteva imbattere in una delle rare repliche di un vecchio classico della prima parte di carriera di Federer. La finale di Roma 2003 contro il rustico Felix Mantilla, uno dei più grossi rimpianti dello svizzero che non riuscirà più a portare a casa il trofeo più pesante messo in palio dagli organizzatori romani. Ma sempre per colpa di gente come Nadal o Djokovic

Il Federer antecedente al suo interminabile periodo imperialistico era un ragazzo piuttosto ben impostato, talentuoso, ma facilmente irascibile e soggetto a perdere il filo della partita. Quel pomeriggio aveva cominciato a lanciarsi in avventurosi serve and volley, su una superficie estremamente lenta che esaltava le canoniche parabole spagnole, stampo di quella fabbrica di grandi giocatori che aveva sfornato anche Felix, tra i tanti. Che vinse in tre set (si giocava al meglio dei cinque): lottando e passando Roger, trovatosi troppo spesso a rete e soprattutto con poca convinzione. La prestazione di Djokovic, nella finale del Roland Garros del 2015 al cospetto di Wawrinka, lo ha un po' ricordato: troppi serve and volley, dettati più dalla disperazione e dalla confusione piuttosto che da un concreto calcolo di probabilità di portare a casa il punto. E praticamente tutti puniti dalle fucilate di Stan da ambo i lati.

Osservare il Federer di oggi potrebbe depistare le conclusioni di un pubblico piuttosto superficiale. Chi pensa che Roger stia premendo il tasto rewind per poter sconfiggere le rughe ed allungare la carriera (appare effettivamente un paradosso lessicale) è abbastanza fuori strada. La versione pre-2004 racchiudeva tutte le contraddizioni di un ragazzo stracolmo di doti naturali: «La cosa che più mi piace di Federer è il modo in cui ha dominato il suo talento, perché il talento può essere la cosa peggiore per te». La citazione di Philippe Bouin fotografa appieno le differenze tra il Federer vincente e quello puerile ed incompiuto. Quest'ultimo era probabilmente consapevole di avere una bomba nelle mani e nella racchetta, poi effettivamente esplosa con effetti devastanti per la concorrenza: era tuttavia prigioniero della sua straordinaria dote di essere capace di produrre gioco praticamente in ogni modo, escludendo forse una leggera debolezza nel rovescio in top, sulla quale ha copiosamente lavorato ma che gli ha in parte condizionato la carriera. Quel ragazzino così completo sotto tutti gli aspetti non poteva e non riusciva ad avere un'idea chiara sulla strada da intraprendere per essere un vincente: oltre ad essere instabile nella gestione dei momenti difficili, era in aggiunta incerto sulla tattica migliore da adottare in campo. Quelle discese a rete di cui parlavamo prima non sempre erano sorrette da una reale confidenza del fatto che potesse realmente essere la strategia giusta da adottare, forse neanche in casi sporadici. Federer semplicemente non aveva ancora esplorato e sperimentato fino in fondo l'assoluto dominio da fondo campo su tutti gli avversari della sua generazione.

Paragonare caratterialmente Federer a Safin all'epoca era possibile: la fragilità nervosa era un grosso freno alle ambizioni del giovanissimo svizzero.

Il tennis percentuale del Federer di annata, di metà decennio Duemila, non prevedeva l'uso del serve and volley né la spasmodica ricerca della rete e delle verticalizzazioni. Non era necessario. Al di là della celestialità dello stile, di cui vi occuperete voi perché personalmente ne attribuisco un'importanza praticamente nulla, Roger poteva contare innanzitutto su servizio e dritto di primissimo livello, non solo all'epoca (e ovviamente anche attualmente) bensì soprattutto in termini storici. Col colpo di inizio gioco lo svizzero ha tuttora una predominanza netta sui diretti avversari: velocità non eccezionali, compensate con una precisione millimetrica e una varietà di tagli impareggiabile, derivante nonostante tutto da un identico lancio palla per più tipologie di battuta che rende il tutto più illeggibile per il ribattitore. Una litania che, nonostante molti appassionati conoscano meglio del "credo", era doveroso ribadire. Così come la pulizia e la scorrevolezza del dritto, eccezionale sia nell'intento di aprire angoli stretti sia nella volontà di accelerare la velocità di palla, anche e soprattutto su palle senza peso, vero banco di prova tecnico per qualunque tennista (troppo spesso fallito da Murray con il dritto). Il dritto anomalo, per intenderci quello giocato sul centro-sinistra quando ha tempo di spostarsi, era semplicemente una sentenza. Ubitennis, in questo articolo, ne avrebbe diagnosticato il decesso in tempi recenti: ipotesi condivisibile, alla quale aggiungerei elementi che più in basso (quando introdurrò qualche considerazione sul nuovo attrezzo) potrete valutare.

"Inside-out" è il termine tecnico per definire il dritto anomalo incrociato: la mattonella di Federer.

Dal punto di vista tecnico Roger era sì rimasto un giocatore estremamente completo, come pochi nella storia o forse nessuno, ma la totalità dell'arsenale era ammirabile quasi esclusivamente nei primi turni, o in momenti di particolare comfort stimolato dal punteggio favorevole, di "garbage time". Il tennis di Federer nei punti decisivi era essenziale ma stupendamente efficace: servizio e dritto da K.O., rovescio in top forse troppo leggero, rovescio in back estremamente velenoso (attraverso il quale riusciva poi a spostarsi immediatamente sul dritto anomalo sulla palla successiva), voleé definitive per prendersi talvolta a rete il punto capitalizzando gli efficaci attacchi da fondo. Un lavoro dei piedi assolutamente inimitabile, frutto anche della collaborazione con il fortissimo preparatore atletico Pierre Paganini, che gli consentiva di spostarsi velocemente per giocare il dritto anomalo di cui parlavamo in precedenza, anche per coprire qualche lacuna del lato sinistro. E gli permetteva inoltre di anticipare la palla con un timing perfetto, compensando qualche carenza di pesantezza muscolare della parte superiore del corpo. Generando velocità con il timing più che con i muscoli: «Ci sono giocatori che tirano forte ed altri a cui schiocca la palla. A Federer schiocca la palla», dirà Laura Golarsa.

Dopo la separazione con lo storico coach del primo Slam, Peter Lundgren, Federer collaborerà con il vecchio campione aussie Tony Roche per un paio di stagioni, prima di fare in modo che le loro strade si dividessero nel maggio del 2007. Assumerà un altro tecnico già precedentemente a fianco di un super numero uno: Paul Annacone, che aveva avuto Sampras, entrerà a far parte dello staff di Roger nell'estate del 2010, per poi essere immediatamente sostituito da Edberg all'alba del 2014. Spicca immediatamente la considerazione che nel periodo aureo lo svizzero abbia sostanzialmente fatto a meno di una guida tecnica. Non ho mai smesso di credere che una punta di presunzione abbia sempre influenzato questa scelta: la confidenza in se stesso era sicuramente tangibile, e non poteva essere altrimenti, ma la sensazione è che Roger abbia esagerato, sentendosi potenzialmente imbattibile. Non era così: nonostante Roche sia stato assunto per migliorare la propria attitudine alla terra battuta, Federer pativa ossessivamente il gioco e la personalità del migliore di tutti i tempi sui campi in argilla rossa.

Per capire che Rafael Nadal sia stato il più competitivo sulla terra, e di riflesso vincente anche su campi più veloci, è sufficiente scorrere albi d'oro vari piuttosto che questo articolo. Non basta tuttavia per spiegare quanto lo spagnolo si sia eretto a professore più severo della scuola mondiale: Nadal è in assoluto il migliore nello scovare i più reconditi punti deboli di qualsiasi avversario. La tortura lenta e terrificante che ha compiuto sul rovescio di Federer ha definitivamente ucciso ogni possibilità per lo svizzero di compiere quel Grande Slam del quale la sola Serena Williams sembra poter essere attualmente capace.

Uno dei massimi esempi di strangolamento nadaliano sul rovescio di Federer parte dal minuto 9:24. Nonostante abbia più volte l'opportunità per piazzare un'accelerazione vincente lungolinea, Nadal è talmente sicuro nella diagonale sinistra contro Federer che insiste da quella parte fino al soffocamento. Solo dopo un'estemporanea (ma straordinaria) fucilata di rovescio di Roger, lo spagnolo giocherà un lungolinea di pura opposizione, vincente.


Le nuove scelte di Roger
Quella trasformazione che Federer ha compiuto a partire dalla stagione 2014 se la auguravano già da tempo i suoi innumerevoli fans, nonché altri campioni del passato. Avrebbero forse facilitato allo svizzero il compito di arginare Nadal, chi lo sa. Da cinque anni almeno, Sampras sosteneva la necessità per lo svizzero di virare verso un piatto corde più ampio: la Wilson Pro Staff da 90 pollici era ormai obsoleta, incapace di gestire nel lungo periodo le terribili rotazioni espresse oggi dai nuovi telai, dalle nuove impugnature più esasperate e soprattutto dalle corde in monofilamento ormai in stato avanzato di evoluzione. Eccolo che ritorna: il lungo periodo. Roger aveva già provato un prototipo della Wilson da 97 pollici nei tornei estivi su terra di Amburgo e Gstaad: le sconfitte rispettivamente contro Delbonis e Brands lo avevano dissuaso nella decisione di proseguire con questo nuovo attrezzo. Rimandata di qualche mese.

Con tutto il rispetto, perdere da Daniel Brands è decisamente triste.

Già dai match affrontati in quelle due settimane si poteva notare la netta differenza di gioco e di colpi che il nuovo e differente attrezzo produceva: Federer non riusciva a colpire con la solita scioltezza, non aiutato neanche da una scarsa condizione atletica che per tutto il 2013 lo ha fortemente frenato. Era tuttavia evidente che il piatto corde, di ben sette pollici più ampio rispetto al precedente, aumentava di gran lunga le possibilità di avere uno sweet spot leggermente allargato. Traduzione: Federer non steccava più. Ricordo di averlo visto giocare dal vivo una sola volta, a Roma nel 2012 in un match contro Carlos Berlocq: nonostante il dominio totale dell'elvetico nella partita, le stecche si contavano con il pallottoliere, seguite da "ooo" di stupore e disapprovazione da parte del pubblico. Questo grosso problema, frutto di una racchetta troppo piccola e dell'età che non consentiva più riflessi e footwork come ai tempi d'oro, era stato risolto. Non era difficile prevedere che con un piatto più ampio l'impatto sarebbe stato più sicuro, quanto piuttosto trovare un giusto compromesso con la velocità di palla di cui Federer ha bisogno dal suo attrezzo, oltre che dal formidabile braccio.

Quella sorta di prototipo è diventato nel 2014 la nuova Wilson Pro Staff 97. La nuova arma con la quale Federer si è costruito (in notevole e colpevole ritardo) la seconda parte di carriera, con confidenza superiore nella velocità di palla rispetto ai due tornei estivi del 2013. L'adozione di un nuovo attrezzo e di un nuovo coach come Stefan Edberg hanno rivoluzionato le percentuali di gioco dell'elvetico. La diminuzione di dritti anomali, di cui parla giustamente Ubitennis, è da imputare non solo al calo di reattività dei piedi che inevitabilmente si ripercuote su un uomo di 34 anni, ma anche ad una ritrovata sicurezza nell'impatto sul rovescio che spinge Roger a non ricercare per forza posizioni impossibili nelle quali colpire col dritto. Che non essendo così definitivo come qualche anno fa, non può essere giocato troppo vicino al proprio corridoio sinistro: il conseguente rischio di spalancare il lato destro all'avversario è troppo grande.

Così tutte quelle soluzioni che Federer solo sporadicamente adottava nei punti importanti, e molto più frequentemente invece in situazioni di rilassatezza, con Edberg e la Pro Staff 97 sono diventate il suo tennis percentuale. Impossibile sostenere i ritmi atletici e di pesantezza di palla degli altri tennisti di vertice della nuova generazione, Federer ha virato strada per tornare al successo. Sembra davvero ossimorico, in un'epoca tennistica dove da tempo si dibatte sulla progressiva scomparsa del gioco di rete (e della voleé di approccio in particolare, riportata in auge dallo svizzero), che un giocatore alzi il proprio livello grazie ad una maggiore verticalizzazione del proprio tennis. Serve and volley, chip and charge (ovvero risposta e voleé) sono diventate situazioni di gioco abituali per Federer contro qualsiasi avversario.

Statistiche emblematiche delle rispettive strategie adottate in campo da Roger e Nole nella recente finale di Cincinnati. Nulla da aggiungere. 

La posizione a rete è progredita vistosamente: impossibile non riconoscere la mano di uno specialista come Edberg. Si dice che l'80% dell'efficacia del gioco di rete derivi dalla giusta scelta dell'attacco, del tempo e del posizionamento, e soltanto il 20% dalla tecnica di esecuzione della voleé: negli anni d'oro Roger si era decisamente disabituato a quella zona di campo, finendo per essere passato con troppa facilità in svariate situazioni e vedere così vanificata la propria incommensurabile manualità nel gioco di volo. «È un peccato che Federer non vada troppo a rete, perché ha un tempo di impatto della voleé di dritto simile a quello di Pat Cash»: così il compianto Lombardi nel 2008. Decisamente diverso sarebbe oggi il suo autorevole commento a riguardo.

Escluso quello contro Blake, questi serve and volley si riferiscono al biennio 2014-2015. Soprattutto al minuto 0:31 dimostra un piazzamento fenomenale, trasformando un punto praticamente perso in un prodigio di tecnica, acrobazia, senso della posizione.

Nell'estate 2015 Roger ha inoltre seriamente deciso di mettere in discussione parecchie leggi della fisica e della biomeccanica, inventandosi un tipo di risposta impossibile da immaginare. Ci aveva già provato Michael Chang, ma con intento diverso, quando nell'ottavo di finale più famoso della storia del tennis, al Roland Garros del 1989, batté il super-favorito Ivan Lendl usando ogni mezzo a disposizione e sconfiggendo i crampi. Tra campanili alti come i lampioni (che nello Chatrier non ci sono) seguiti da improvvise accelerazioni, aggiungendo consapevoli perdite di tempo e servizi da sotto, l'attuale coach di Nishikori decise di mandare in totale crash i nervi del cecoslovacco sul match point. Piazzandosi nei pressi della linea del servizio, aspettando lì la seconda di Lendl, provocò il fatale doppio fallo finale.

Lendl è palesemente innervosito dalla posizione esageratamente avanzata di Chang.

Appare difficile immaginare che Chang avrebbe potuto rispondere efficacemente se il servizio di Lendl fosse stato buono, e più probabile invece ipotizzare che si trattasse di una semplice, ma tremendamente efficace, azione di disturbo. Federer ha invece varato nel recente torneo di Cincinnati un nuovo tipo di risposta alla seconda di servizio: una sorta di demi-voleé a metà campo, di una difficoltà impossibile da quantificare. Pur partendo dalla riga di fondo campo, Roger avanza velocemente fino ad effettuare lo split step a circa un metro dalla riga del servizio. A quel punto entrano in gioco i riflessi e l'agilità dello svizzero, fuori dal comune: in una frazione infinitesimale di secondo deve capire se sarà costretto a rispondere di dritto o di rovescio, e ovviamente seguirà l'approccio a rete immediato. L'impatto con la palla in risposta, proibitivo a quelle velocità ma non per lui, costringerà il battitore ad accelerare vertiginosamente la preparazione al colpo successivo al servizio, cogliendolo spesso impreparato ad organizzare il passante.

Ecco le risposte impossibili, prese dal torneo di Cincinnati. Ribattezzate "SABR": Sneaky attack by Roger, attacco furtivo di Roger. 

Il video mostra dieci attacchi, di cui ben sette vincenti. Di questi sette, tre vengono messi a segno ai danni di due giocatori del calibro di Djokovic e Murray. Si parlava di percentuali? Eccole. Piuttosto che insistere sul piano strategico di annate ormai lontane, Roger massimizza ogni piccolo aspetto che possa renderlo ancora competitivo contro i mostri di sei anni più giovani. Se avete notato bene, poi, una di quelle soluzioni viene adottata con successo nel tie-break del primo set della finale contro Djokovic: Federer, pur buttandosi con un pizzico di necessaria incoscienza e sfrontatezza, calcola perfettamente i rischi anche in palle che scottano. E spesso ha ragione: le sue "pot odds", attentamente valutate, gli suggeriscono strategie iper-aggressive per essere vincenti nel lungo periodo. Ovviamente batterà sia Murray che Djokovic, vincendo il ventiquattresimo Master 1000 della carriera. Con buona pace dei tifosi di Nadal o di Nole, ci auguriamo non sia l'ultimo. 


Articolo a cura di Federico Principi


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