domenica 6 settembre 2015

Le buone intenzioni

Analisi degli aspetti positivi e negativi della prima partita stagionale della Nazionale italiana di Antonio Conte.

di AER






L'Italia si è presentata al primo appuntamento stagionale in una situazione ambientale e tecnica non facile. Il commissario tecnico riesce con fatica a calibrare dichiarazioni e scelte tecniche senza cadere in isteria e confusione. Gli stessi problemi da lui annunciati qualche tempo fa (e analizzati da noi in un pezzo precedente a questo) sembrano condannarlo ad una continua e inesorabile ricerca degli uomini giusti.
Antonio Conte sta pagando a caro prezzo la presa di coscienza della differenza tra essere un allenatore ed essere un selezionatore, la difficoltà del passaggio tra due modi di vedere il proprio gruppo di giocatori sta determinando profondamente le sue scelte. L'ex allenatore della Juventus sembra non digerire la necessità di anteporre la gestione delle risorse tecniche e umane alla programmazione tecnica, punto di svolta cruciale per ogni commissario tecnico.

Tutto questo, però, come ha influenzato il gioco degli azzurri durante i 90 minuti contro Malta?
Proviamo a riflettere su cosa funziona, cosa potrebbe funzionare e cosa va adeguatamente modificato nel gioco della Nazionale italiana.


Apparente flessibilità
Il tipo di partita era ampiamente pronosticabile e prevedibile. Malta si schiera con tutti gli uomini dietro la linea del pallone, con una linea difensiva molto bassa e con distanze molto corte tra i giocatori. Un'impostazione molto elementare che mira a togliere contemporaneamente la profondità agli attaccanti azzurri e chiudere le vie centrali. L'unica intepretazione costruttiva lasciata ai calciatori è quella di scegliere con sensibilità quali recuperi palla cercare di trasformare nei tre o quattro contropiedi quantitavimente prestabiliti prima del match.

Il 3-5-2 si è trasformato in un 4-3-3.
Conte sorprende apparentemente tutti schierando gli azzurri con un 4-3-3 e dimostrando teoricamente una flessibilità che in pratica viene meno. I numeri, infatti, in questo caso possono ingannare.
Il 4-3-3 proposto contro Malta non è altro che una ramificazione del 3-5-2 al quale il tecnico è così fedele: contro la difesa bassa e statica di Malta si può fare a meno di uno dei tre difensori e si può aggiungere un altro attaccante che non fungerà, insieme all'altro attccante esterno, da ala ma insieme costituiranno una “doppia seconda punta”. A dare ampiezza alla squadra ci penseranno i due terzini che quindi dovranno stare leggermente più bassi – rispetto al 3-5-2 – in fase di attacco per essere un appoggio per il possesso palla. Questa è la soluzione di Antonio Conte alla difesa prolungata di Malta.

Disposizione delle linee di difesa e centrocampo in fase di possesso.
Anche la scelta di Verratti è legata al tipo di partita: Conte, nel ruolo di mezzala preferisce un giocatore più verticale nei movimenti, ma la possibilità di avere un attaccante in più, anzi una seconda punta in più (importante differenza), gli permette di rinunciare con meno dolore a più verticalità – nei movimenti - nel ruolo di mezzala e di migliorare la circolazione del possesso palla (cosa che l'Italia avrebbe dovuto fare e farà per gran parte della partita).
La scelta di Verratti è di carattere puramente gestionale: Conte sa che l'Italia dovrà avere quasi esclusivamente il controllo del pallone e l'aggiunta di Verratti a Pirlo ha lo scopo di consolidare il possesso palla.
La stessa scelta di Pirlo è confortata dai presumibili ritmi bassi della partita.


I movimenti degli attaccanti
Una delle soluzioni più interessanti, consequenziali alla scelta di schierare due seconde punte, è stata proprio quella di usarle come vere seconde punte. Cerco di spiegarmi meglio.
I movimenti codificati dei giocatori sono uno dei fondamenti del progetto tattico di Conte, in particolare sono codificati i movimenti che coinvolgono i due attaccanti. L'attacco a tre con due seconde punte ha la funzione di attacco a due “delocalizzato”: se il possesso palla si sviluppa sulla parte sinistra del campo, i movimenti tipici dell' “attacco a due” (uno viene e uno va, esca, velo, incrocio) coinvolgono l'attaccante centrale e l'attaccante esterno sinistro (Pellè-Eder), lo stesso accade quando la palla si trova sul lato destro (Pellè-Gabbiadini). Questi movimenti, però, non coinvolgendo tutto il fronte d'attacco - ma soltanto una parte - finiscono per essere eseguiti in spazi stretti e con coefficiente di difficoltà maggiore.

Eder arretra per creare lo spazio alle sue spalle che viene attaccato molto bene da Pellè con un perfetto movimento. La punta centrale fallirà un'ottima occasione.

Ci sono, però, delle perplessità che derivano anche dall'interpretazione di questa interessantissima soluzione tattica.
La prima riguarda l'attaccante del lato debole. Eder e Gabbiadini, a seconda del caso, quando la palla occupava la parte di campo opposta alla loro, sono apparsi molto confusi e indecisi tra attaccare l'area, stringere al centro o allargarsi.

In questo caso è Pellè a smarcarsi centralmente, indietreggiando e muovendo il diretto marcatore. Si può notare la duplice possibilità di movimento di Gabbiadini sul lato debole. L'attaccante del Napoli, però, nell'indecisione, deciderà di optare per nessuno dei due.

Un'altra perplessità è quella di non avere avuto soluzioni alternative. Eder e Gabbiadini non si sono mai allargati per ricevere il pallone. Come al solito è il bilanciamento e l'alternanza di più “buone soluzioni” a rendere efficace una fase offensiva.


La manovra offensiva
Quello che sicuramente fa male ad un allenatore che si propone di esprimere un buon calcio e di vincere convincendo è avere dei giocatori pigri e svogliati. La scelta di schierare Pellè e continuare ad insistere su di lui come prima scelta in attacco nonché di giocatore fondamentale va in questo senso. L'attaccante del Southampton ha evidenti limiti tecnici che rendono molto discutibile la sua titolarità in Nazionale, queste affermazioni meriterebbero sicuramente un discorso più ampio ma non ci soffermeremo.
Tuttavia va sottolineata la sua maturità tattica, qualità che ha sicuramente acquisito - o almeno sviluppato - nei suoi anni giocati all'estero. È un calciatore molto intelligente ed è lui, con i suoi movimenti, a dettare quelli dei suoi compagni di reparto. Inoltre la sua capacità di smarcarsi molto facilmente avrà sicuramente convinto Antonio Conte a renderlo il perno della manovra: la chiave principale per aprire la cassaforte maltese.

Movimento di Pellè, a smarcarsi, verso il pallone. Motivo ricorrente della sua partita. In questo caso si può osservare la posizione errata dei compagni che non possono sfruttare la situazione favorevole.

La possibilità di servire Pellè, con il conseguente movimento di uno degli altri due attaccanti, è stata la soluzione più ricercata dagli azzurri.
Anche la sua scelta di tempi e spazi dei movimenti è molto buona, questo gli ha permesso non solo di venire incontro al portatore di palla per attirare almeno un diretto marcatore ma anche di allargarsi portando fuori posizione uno dei centrali e creando spazio attaccabile dall'attaccante esterno o dalla mezzala di riferimento.

Due movimenti di smarcamento laterale, in profondità, di Pellè. Entrambi con i tempi giusti.

Quello che non ha funzionato è stato quello che è successo dopo il movimento, lo smarcamento, il controllo di palla e la protezione della stessa da parte di Pellè. L'attaccante leccese sicuramente non ha le doti tecniche per servire i compagni costantemente con precisione e tempismo e anche in questo caso variare le soluzioni sarebbe stata un'idea migliore.


Alla ricerca dell'ampiezza
Conte conosce perfettamente il valore e la sacralità dell'ampiezza nel calcio moderno. Per compensare l'attrazione dei due attaccanti esterni nei confronti dell'area di rigore, il c.t. ha deciso di tenere Darmian (di più) e Pasqual (di meno) abbastanza alti e larghi.

Darmian e Pasqual volutamente molto alti e molto larghi per allargare la difesa avversaria che però resta molto stretta centralmente. Dovevano essere serviti più spesso.
I terzini, come già accennato, avevano anche la responsabilità di contribuire al consolidamento del possesso palla offrendo sempre una linea di passaggio e preservando la superiorità numerica al centro del campo. Questa doppia funzione ha finito per rendere le posizioni di Darmian e Pasqual larghe ma non il necessario e alte ma non quanto serviva.
Naturalmente, per differenti caratteristiche e attitudine, i due hanno interpretato il ruolo diversamente. Non è un caso che la maggior parte dei pericoli creati dall'Italia siano nati da sovrapposizioni o da azioni avanzate di Darmian - sicuramente il migliore in campo - atte ad allargare la difesa di Malta.

Ecco l'enorme spazio attaccabile dai terzini, in questo caso Darmian, che la difesa di Malta ha lasciato libero. La maggior parte delle situazioni pericolose è arrivata quando Darmian ha sfruttato questa situazione.

Anche questo principio tattico poteva essere sviluppato in maniera più funzionale per allargare la difesa avversaria con maggiore frequenza e con più intensità. Naturalmente la proiezione offensiva degli esterni andava accoppiata con i movimenti degli attaccanti esterni e delle mezzali per creare superiorità numerica oltre che allargare le distanze tra i giocatori di Malta.

L'ingresso in campo di Candreva, nato da una necessità casuale – l'infortunio di Gabbiadini – ma coinciso con una necessità organica – avere un uomo in più per allargare il raggio d'azione – è stato a questo proposito decisivo per la vittoria degli azzurri. Da un suo cross, infatti è scaturito il gol vittoria – contestato – di Pellè: cambio di gioco dalla sinistra di Pasqual verso il lato destro dove Candreva ha controllato e crossato in mezzo.


I problemi
Il piano tattico di Antonio Conte è stato praticamente perfetto in linea teorica (specificamente alle scelte tattiche), non nascondiamoci: Pellè perno del gioco che con i suoi movimenti portava fuori uno o più difensori centrali, terzini alti e larghi per cercare di allargare la difesa, attaccanti esterni molto stretti per sfruttare gli spazi creati tra i difensori avversari, un Verratti in più per controllare e consolidare il possesso palla.
In un sistema di gioco così codificato basta, però, che una di queste soluzioni si inceppi o non funzioni bene per vanificare tutte le altre. L'Italia è riuscita ad essere pericolosa solo ed esclusivamente quando i movimenti risultavano armonici e in sincronia. Non sempre questo è accaduto.

Sono anche i tempi delle giocate a risultare determinanti: molte volte gli attaccanti esterni si trovavano già in posizione, con il movimento concluso, quando ancora doveva partire il passaggio dei compagni. Inoltre Verratti e Bertolacci si sono dimostrati perennemente bloccati dai movimenti dei compagni e dai compiti esclusivamente di sostegno affidati a loro. E ancora: i due esterni, Pasqual e Darmian, si trovano già troppo alti o ancora troppo bassi nel momento in cui ricevevano palla.
La stessa ricerca costante, ossessiva, del velocizzare la circolazione del pallone e dell'accelerare i ritmi è la chiave fondamentale del gioco di Conte. La condizione fisica ancora precaria non ha aiutato.

Se c'è una colpa attribuibile al piano tattico di Conte è quella di non aver creato i presupposti per garantire al gioco dell'Italia quell'alternanza di soluzioni necessaria a mettere in difficoltà gli avversari. Ritorniamo, così, al solito discorso del bilanciamento delle situazioni da proporre.
Non si tratta di avere un piano B da attuare - è già un grande passo avanti per la storia della Nazionale averne uno di piano e così articolato e complesso, oltretutto - ma di arricchire il repertorio tattico di soluzioni alternative. Lo stesso effetto si otterrebbe integrando calciatori di livello tecnico più alto e più abili a livello decisionale, in grado cioè di dare più varietà e qualità alle giocate individuali. 

Un'analisi costruttiva e lucida sulla nazionale di Conte deve necessariamente partire dal presupposto che ci vuole tempo e allenamento - cioè svariate partite – per costruire un gioco organizzato che forse la Nazionale non ha mai avuto e non si può avere la pretesa classica italiana del “tutto e subito”. A questo bisogna aggiungere anche che le risorse tecniche gestibili sono sicuramente importanti e interessanti ma non tali da permettere un'assoluta dimostrazione di forza degli azzurri. Bisogna sempre inventarsi qualcosa o qualcuno per avere la meglio sull'avversario e in questo l'Italia e il suo allenatore/selezionatore devono migliorare.





Nessun commento:

Posta un commento