giovedì 30 aprile 2015

Dani Jarque, capitàn eterno



Ho sempre pensato che essere dell'Espanyol a Barcellona non dev'essere facile, immagino che di trenta bambini che nascono nella Ciudad Condal, venti saranno del Barça, cinque del Madrid, a tre non piacerà il calcio e solamente due abbracceranno i colori biancoblu. Forse è per quello che dentro il cuore di quei due bambini coraggiosi crescerà il sentimento "perico" e al posto della pelle avranno un'armatura, caratteristica per quelli che si sentono diversi. Essere dell'Espanyol a Barcellona significa aprire strade di speranza, nuove autostrade verso il bellissimo e modernissimo stadio Cornellà-El Prat. Inaugurato nel 2009 la Uefa gli concede, fin da subito, la categoria 4, destinata agli stadi più belli del continente europeo. In questo tempio "perico" si unisce alla passione un imponente silenzio. Un silenzio che si veste di ovazione nel minuto ventuno di ogni partita per ricordare a Daniel Jarque Gonzàles, difensore centrale dell'Espanyol morto a Coverciano, in Italia, l'8 Agosto 2009. 







Un ragazzo che doveva sentirsi diverso da bambino quando abbracciò i suoi sentimenti verso l'Espanyol in mezzo alla marea blaugrana. Quando debuttò nel 2002 dimostrò subito essere un difensore centrale elegante, pulito ed efficiente, che poneva le basi del suo successo nella velocità, nell'anticipo, nel capire prima i movimenti dell'attaccante che ogni giornata doveva marcare. Un giovane nobile mi piacerebbe chiamarlo che incontrò tanti amici durante la sua strada, specialmente un ragazzo "azulgrana" con cui condivise i valori etici della vita e la passione per il calcio, Andres Iniesta, che nella finale storica di Johannesburg dedicò il gol della vittoria mondiale al suo amico scomparso. 




"Dani Jarque siempre con nosotros"



La porta numero 21 di Cornellà passò ad essere la porta di Dani Jarque e il minuto 21 di ogni partita quello scelto per ricordarlo. Ricordarlo con orgoglio, emozione e tristezza, ma soprattutto con la convinzione che uno di quei bambini diversi, lì sopra, convince San Pietro che "perico" significa "buono". Il bronzo immortale della porta 21, una statua che raffigura Dani, servirà affinchè questa, e le successive generazioni, ricordino eternamente i valori di lotta, forza, fatica e nobiltà di Jarque, "capitàn eterno".







giovedì 23 aprile 2015

La brutta partita più bella. Missione compiuta?


Ridimensionare: riportare alle giuste proporzioni, valutare in maniera più realistica. Dallo stadio Louis II esce fuori una Juventus diversa da come era entrata, una squadra che approda in semifinale dopo 12 anni, la prima italiana dopo l'Inter di Mourinho del 2010. La prestazione è stata tanto brutta e deludente quanto storico e importante è stato il traguardo raggiunto. Il calcio italiano conferma la sua attitudine a concepire le partite di calcio come una sorta di altalena: risultati da una parte, bel gioco dall'altra. Se sale una, l'altra scende: inesorabilmente, senza mezzi termini o interpretazioni. Quasi fosse un contrappasso dantesco intrinseco alla nostra visione generale di calcio che ci obbliga a lucrare sul gioco altrui. Eppure i presupposti per una grande prova dei bianconeri c'erano tutti: uno dei migliori risultati possibili all'andata in casa, avversario sulla carta inferiore, possibilità di dimostrare all'Europa intera del calcio che la realtà della Juventus è in ascesa. Tutto questo non è avvenuto ma la semifinale è arrivata, possiamo dire “missione compiuta”?


La Juventus spicca il volo verso la semifinale. È tra le prime quattro d'Europa.


Passiamo ad analizzare la partita di ieri sera nel dettaglio partendo dal Monaco.
Il portoghese Jardim, tecnico dei monegaschi, ha costruito un gruppo molto competitivo e complessivamente ha fatto un lavoro straordinario considerando il materiale a sua disposizione. Il Monaco si schiera con un 4-2-3-1 molto fluido e ibrido: a seconda delle situazioni Joao Moutinho si alza o si abbassa sulla linea dei centrocampisti determinando il modulo effettivo. La squadra attacca molto le fasce laterali, le ali Carrasco e Silva lasciano spazio alle sovrapposizioni dei terzini senza però rischiare niente nella zona centrale perchè i due centrali, Raggi e Abdennour, eroicamente accorciano in maniera sistematica in avanti soffocando le punte juventine. Il gioco negli ultimi 30 metri, però, è parecchio banale e impreciso: dipende troppo dalle posizioni in cui Moutinho tocca la palla e gli attaccanti deludono molto. Martial e Carrasco, per quanto siano talentuosi e futuribili, non giocano una partita di valore specifico comparabile a quello dei compagni e la manovra offensiva del Monaco ne risente tantissimo. I monegaschi sbattono continuamente contro la difesa della Juve - molto bassa, dentro l'area di rigore – e Barzagli e Bonucci dimostrano una grande capacità di concentrazione e attenzione.


Mappa statistica della grande partita difensiva di Bonucci.


Al contrario la Juventus sembra non riuscire a proporre gioco. Il 3-5-2 scelto da Allegri è molto efficace quando i due laterali giocano alti perché arricchisce la manovra di numerosissimi sbocchi e possibilità. Quando, però, come ieri sera, i laterali sono bloccati dagli avversari e sono costretti a stare troppo bassi – formando una linea a 5 con i difensori – il modulo diventa un handicap perchè i 3 centrocampisti si schiacciano e i due attaccanti non sanno mai cosa fare: indietreggiare per accorciare la squadra oppure cercare di rimanere più alti per allungarla a costo di creare un buco alle loro spalle. Morata e Tevez ballano indecisi tra queste due possibilità e lo fanno sempre disarmonicamente uno con l'altro. Riuscire ad interpretare efficacemente il 3-5-2 in campo europeo, dove rischi di regalare un uomo agli avversari, è estremamente difficile.


Tevez in una delle rare volte in cui ha potuto attaccare palla al piede fronte alla porta avversaria.


Il vero gioiello della struttura tattica di Jardim – e il vero problema della Juventus – è il sistema di pressing. A differenza di tutte le squadre italiane, avversari abituali dei bianconeri, i monegaschi attuano un pressing non specificamente sugli uomini ma sui passaggi. In pratica lasciano anche qualche metro in più al possessore per controllare e intercettare le linee di passaggio verso il ricevente. L'uscita della palla dalla difesa per la Juve diventa, così, un vero e proprio incubo tra il sistema di pressing del Monaco e i tantissimi errori tecnici individuali e corali. Vidal è irriconoscibile, Morata sbaglia praticamente tutto, Pirlo è in sofferenza. Una squadra che praticava un pressing simile a livello di struttura era il Barcellona di Guardiola. Non nascondo che per alcuni istanti sparsi della partita ho follemente immaginato che il Louis II si trasformasse nel Camp Nou e che il bianco delle magliette diventasse improvvisamente l' ”azul” dei blaugrana.
Per quanto riguarda i singoli hanno impressionato soprattutto Fabinho e Kondogbia, oltre al solito Moutinho. Il terzino brasiliano è un '93 con ampi margini di miglioramento: spinta costante e tanto coraggio. Il francese Kondogbia, invece, si è dimostrato incontenibile fisicamente e molto intelligente tatticamente, ha letteralmente dominato la zona centrale del campo vincendo quasi tutti gli 1vs1 e ha occupato benissimo gli spazi.


Mappa di calore di Fabinho e Kurzawa. I due terzini sono stati un continuo e costante appoggio per lo sviluppo della manovra offensiva del Monaco. Entrambi sempre molto alti e propositivi.


La Juventus ha pagato la pessima condizione fisica dei suoi uomini più importanti. La tensione per l'importanza della partita non regge, se punti a vincere sempre non puoi essere impreparato psicologicamente per queste partite. Buffon, Barzagli e Bonucci hanno varie volte salvato la Juventus. Pereyra poteva e doveva essere inserito prima perché ha consentito alla Juventus di alleggerire la pressione e aggredire gli spazi in campo aperto che si aprivano con il passare dei minuti nella difesa della squadra del Principato.


Pirlo molto in difficoltà nella partita di ieri sera. Soprattutto a causa del poco movimento senza palla dei compagni, far partire le azioni della Juventus è stato un enigma irrisolvibile per lui.

Domani ci aspetta il sorteggio delle semifinali. Analizzare chi possa essere l'avversario migliore lascia il tempo che trova perché sicuramente Real Madrid, Barcellona e Bayern Monaco sono sì squadre molto diverse ma allo stesso tempo tutte apparentemente fuori portata.
Alla meglio dei 180 minuti reggere il confronto tattico e mentale con il Bayern Monaco sembra proibitivo ma rimane molto stimolante affrontare le squadre di Guardiola e, se l'obiettivo per la Juve è continuare a crescere, sarebbe l'avversario ideale.
Il Barcellona, offensivamente, è la squadra più forte al mondo: Suarez, Neymar e Messi danno infinite possibilità e variazioni al tema. Senza considerare il fattore Camp Nou.
Infine il Real Madrid, nonostante abbia più equilibrio del Barcellona, dovrà recuperare molti infortunati e non presenta un sistema di pressing organizzato comparabile a quello di Bayern e Barcellona. Se è vero che dove cade, cade sempre male la Juventus può sperare di accoppiarsi con il Real Madrid.
Se, però, la prestazione sarà quella delle due sfide con il Monaco la semifinale si trasformerà da sogno ad incubo.





È arrivato il momento di smontare l'altalena di risultati e bel gioco, serve ritrovare la Juventus propositiva e coraggiosa di Dortmund. Vincere giocando bene è essenziale in campo europeo e l'uno è propedeutico per l'altro. Intanto abbiamo la possibilità di goderci la sfida tra la squadra che sta ammazzando il campionato italiano e una delle tre big d'Europa. Non vediamo l'ora.

lunedì 20 aprile 2015

Dentro il tunnel, senza via di uscita


Dimentichiamo per qualche minuto le classiche e attuali discussioni sul derby decaduto e scadente dei nostri giorni, dimentichiamo la confusione societaria dei due club, dimentichiamo le proteste dei tifosi e concentriamoci su quello che abbiamo visto in campo. Non possiamo però decontestualizzare il match di ieri sera dalla classifica, anzi. Quella che rimane una delle partite più affascinanti del nostro calcio si è ritrovata all'improvviso come una battaglia senza posta in palio ma soprattutto si è autodefinita come una sfida senza idee e senza uomini di alto valore tecnico.




Partiamo dal Milan. Inzaghi ha schierato i rossoneri con un basico 4-3-3.



La ricerca di una solidità tanto astratta quanto teorica si evidenzia soprattutto con la possibilità di avere due linee molto omogenee (quella di difesa a 4 e quella di centrocampo a 5 in fase di non possesso). A tratti il Milan ci è riuscito.


La mappa dei palloni recuperati dimostra una ricerca da parte del Milan di una fase di non possesso molto omogenea e simmetrica. Specificamente nella fase di non possesso (tranne nelle transizioni, che sono state un incubo) il Milan è stato estremamente ordinato.


È fisiologico che, in questa situazione, il perno del gioco rossonero sia Menez che come sempre alterna grandi giocate individuali ad assenze incomprensibili nel corso della partita. Il francese avrebbe potuto e dovuto sfruttare il grande movimento del lanciatissimo Suso. La partita dello spagnolo è stata molto intelligente tatticamente: è riuscito a bilanciare molto bene le percussioni centrali per arrivare al tiro, le sovrapposizioni di Abate per prendere spazio, le carenze di Juan Jesus da terzino. Ha efficacemente infierito sulla fascia anche grazie alla fase difensiva orrenda di Kovacic, completamente ignaro di cosa significhino copertura, marcatura preventiva e raddoppio. 


Suso in 1vs1 con Juan Jesus. Costante della partita.


Resta il rammarico di non aver potuto vedere nessuna combinazione con Menez che ha preferito, da prima donna e solista, spostarsi costantemente sulla fascia opposta per ricevere il pallone e costruire le sue azioni individuali.


Mappa statistica di Suso. Si notano i cambi di gioco verso l'altro esterno d'attacco e le combinazioni cross-tiro e percussione verso il centro - attacco del fondo.

Intelligentemente il Milan ha cercato ripetutamente di cambiare lato del campo con Suso, Bonaventura, Van Ginkel, De Jong. L'idea di mettere in difficoltà così il rombo dell'Inter era tanto semplice quanto efficace ma non sempre i rossoneri ci sono riusciti. Spesso i cambi di gioco sono stati intercettati e quando sono andati a buon fine sono rimasti eterei e fini a se stessi: allargare il gioco e i tre centrocampisti avversari senza poi cercare lo spazio centrale che si è così liberato è stato completamente inutile.
Il merito della catastrofe evitata va dato anche a Medel, sempre attento e mai in ritardo. L'unico nerazzurro capace di interpretare ed assorbire, esaltandosi, la carica emotiva ed emozionale di una partita del genere.


Medel ha giganteggiato a centrocampo, riuscendo a coprire ovunque. Il cileno è indispensabile nella confusione tattica dell'Inter in fase difensiva. 


La presenza di Medel in mezzo al campo è stata fondamentale per l'equilibrio tattico dei nerazzuri visto che il rombo impone una fase difensiva ad handicap con i tre davanti (il trequartista e le due punte) che difendono poco e male sia per attitudine e che per posizione. Con l'aiuto di Vidic e Ranocchia, Medel ha difeso molto bene anche su Menez stringendo all'indietro togliendo al francese lo spazio dopo il primo dribbling o controllo che lo rende letale.


Medel e il derby


Mancini ha schierato l'Inter con il solito rombo a centrocampo quindi soliti difetti, soliti errori individuali che vengono amplificati dalla confusione tattica, solita manovra offensiva troppo dipendente dal trequartista, solito lavoro disumano dei terzini che poi si trovano poco lucidi nelle situazioni chiave (di Maicon ce ne è stato solo uno).




I nerazzurri soffrono terribilmente la fascia destra del Milan perchè non riescono a raddoppiare e a stringere il campo per merito dei rossoneri che tengono Bonaventura molto largo sulla fascia opposta anche a costo di toglierlo dal vivo del gioco. La manovra offensiva (se di manovra offensiva si può parlare) è unicamente causata da errori del Milan nella costruzione del gioco e nell'uscita della palla.


Hernanes contro De Jong è stato il duello chiave della partita. A tratti il brasiliano è stato immarcabile, a tratti troppo confusionario.


Quando, durante queste transizioni, Hernanes riesce a liberarsi del proprio uomo, girarsi e puntare verso la porta allora l'Inter diventa pericolosa. Spesso Palacio e Icardi sbagliano i tempi dei movimenti o i movimenti stessi, qualche altra volta Hernanes non riesce a leggere lucidamente la situazione, altre volte i terzini non danno ampiezza. Il risultato è che di queste numerosissime transizioni (alte sulla trequarti o basse a centrocampo) pochissime si trasformano in azioni pericolose.


Mappa di calore di Hernanes. Punto di riferimento in transizioni, punto di riferimento per il possesso palla.

L'asse centrale è sicuramente la nota più positiva della partita nerazzurra, Medel-Hernanes. Kovacic e i due attaccanti sicuramente la più negativa.
Kovacic, l'uomo delle infinite possibilità mai realizzate, potrebbe essere il perfetto protagonista de “Le notti bianche” di Dostoevskij: Mateo è un un sognatore, isolato dalla realtà, che per alcuni istanti della partita decide di giocare a calcio e inizia a toccare il pallone con un'eleganza e un'agilità divina facendo lo slalom tra gli avversari che sembrano restare senza parole e pietrificati. Nell'istante successivo, Mateo, capisce che è tutto inutile e riscivola nella sua tana, nella solitudine dei sogni, sbagliando il passaggio filtrante che potrebbe mettere un proprio compagno solo davanti al portiere. Non riuscire a disciplinare tatticamente un giocatore del genere è una colpa che deve essere attribuita all'allenatore, al di là dell'indole svogliata e nervosa del ragazzo che lo limita e lo limiterà vistosamente.



"Un gol nel derby per il rinnovo" titolavano i giornali. Niente gol quindi niente rinnovo?


Adesso possiamo finalmente ricondurci al discorso di un derby povero di idee e contenuti, un derby buio e senza luce. Un derby di una stagione che doveva servire a gettare la base per la ricostruzione del calcio di Milano, fondamentale per fare da traino ad una rinascita del calcio italiano e che invece non è altro che un'altra inesorabile tappa della profonda involuzione di Milan e Inter. I vuoti e ridicoli proclami che hanno accompagnato la stagione sono stati controproducenti, immaginare le due squadre milanesi ad alto livello è pura utopia. Ed è altrettanto difficile identificare nelle due squadre idee e uomini su cui ripartire. Un vero e proprio fallimento: riconoscere questo con umiltà e prenderne coscienza sarebbe il primo e fondamentale passo. Mancini e Inzaghi e le due dirigenze attuali sono le persone giuste? Tendiamo a propendere verso la risposta negativa.  

giovedì 16 aprile 2015

Basterà il talento?


Se si parla di talento, o meglio ancora, di somma di talenti, probabilmente non c’è nulla di comparabile al Barcellona di quest’anno. Eppure resto scettico riguardo alle possibilità di vittoria dei Blaugrana, aldilà del roboante 3 a 1 del Parco dei principi.

Suarez e Neymar, i marcatori blaugrana del match.

Blanc adotta il solito 4-3-3, con Rabiot e Cabaye in luogo di Thiago Motta e Verratti. Per quanto validi, i francesi non garantiscono l’abilità nel palleggio e nell’elusione del pressing degli italiani. Il modulo è camaleontico, particolare è la posizione di Maxwell, tra i migliori dei parigini; l’ex terzino interista si allinea spesso al centrocampo, in cui rientra anche Lavezzi, andando ad erigere una linea a cinque, con Pastore a supporto di Cavani e Van Der Wiel nell’insolita posizione di centrale destro. Eppure l’esperimento sembra funzionare, i padroni di casa irretiscono la manovra barcelonista con la sua ancestrale arma: la superiorità numerica n mediana. I tre di centrocampo riescono ad incunearsi nel triangolo della mediana spagnola, con Lavezzi e Maxwell a pressare ulteriormente dall’esterno Iniesta e Rakitic. Lavezzi e Matuidi, i migliori dei transalpini, creano anche dei grattacapi alla retroguardia di Luis Enrique, Cavani però è troppo impreciso, così come Pastore, lezioso al limite dell’irritante. La gara cambia inerzia sul gol di Neymar, frutto di una mancata lettura difensiva di Van Der Wiel. 



Rappresentazione grafica dei passaggi di Matuidi, in blu quelli riusciti. Matuidi è ormai una certezza. L'acquisto meno altisonante di Al Thani è l'uomo decisivo a centrocampo, l'unico davvero insostituibile. Le transizioni offensive spesso dipendono da lui, è il vero uomo in più di Blanc.



Mappa di calore di Lavezzi. Lavezzi ha saputo adattarsi anche al ruolo di tornante, garantendo vivacità aldilà della posizione più arretrata; peccato che Pastore e Cavani non siano stati altrettanto in vena.


Il PSG è costretto a sbilanciarsi, il 4-3-3 ritorna ad una conformazione più canonica e spesso con la pressione alta riesce a recuperare palloni interessanti. E’ un peccato, perché al contrario di quanto si possa pensare, i campioni in carica della Ligue 1 sono tutt’altro che un’accozzaglia di figurine.


Messi mentre dimostra con il linguaggio del corpo il controllo spazio-temporale che ha sulla partita.


La mia perplessità riguardo al Barcellona resta insolubile: avrebbero segnato senza l’errore? Con un fenomeno come il numero nove là davanti, probabilmente si: ne timbra due attribuibili solo a lui (la sterzata è un marchio di fabbrica, il primo gol in qualche modo ricorda quello segnato in finale di Coppa America contro il Paraguay per velocità d’esecuzione e spazio limitato) e dimostra di essere il numero uno al mondo con spazio da attaccare alle spalle del difensore. E questo sottolinea un altro limite dei catalani, troppo Messi-centrici nel 2015.


Statistiche generali di Messi. Messi non solo è la punta di diamante del sistema blaugrana, ne costituisce il cuore pulsante. A centrocampo è lui a dettare i tempi, prova spesso anche il lancio (una volta lo sbaglia addirittura!) ed ovviamente resta inarrestabile in progressione.


Il fulcro del gioco è l’attacco, il ruolo del regista è ormai delegittimato, con Leo prima opzione sistematica, sostituto di Xavi: piange il cuore a pensare ad Iniesta relegato al ruolo di luccicante ornamento. Sovente l’argentino cerca il cambio di gioco, ma Neymar in quella posizione ha un ottimo futuro da guardalinee. Lo stesso Suarez, col punteggio ancora in parità, si è dovuto limitare ad un movimento orizzontale, limitato dall’aridità della trama e dalla conseguente mancanza di spazio da aggredire (chissà come si sarebbe divertito con Guardiola).


Mappa di calore di Suarez. Nonostante passi il primo tempo a barcamenarsi tra i centrali francesi, senza alcuno spunto interessante se non su un pallone recuperato a ridosso dell'area, fiuta l'odore del sangue e colpisce come solo lui sa fare.


Poi, deus ex machina, è arrivato l’errore del terzino olandese. Forse è un’impressione mia, ma il nuovo Barcellona potrebbe soffrire il pressing alto, data la minore tendenza all’uscita palla al piede, in particolare del centrocampo; il tempo darà le sue risposte. Organizzazione ne ho vista poca, confido che per vincere la Champions ci voglia ben altro, ho sempre pensato che dietro ogni successo ci fossero sempre un concetto ed un sistema; forse per questo resto convinto che, dopo un’eventuale rimonta, il Bayern avrà la strada spianata verso la vittoria.