sabato 30 aprile 2016

The Josh Doctson experience



Come Josh Doctson, da TCU, è diventato una delle sensazioni del draft NFL 2016.

di Michele Serra







Se vi piacciono le storie americane, quelle che partono male e finiscono bene, quelle in cui i protagonisti devono affrontare prove e ostacoli come fossero eroi mitologici, allora la vicenda di Josh Doctson fa per voi. Perché se è vero che adesso in sede di pre-draft l’ex TCU è uno dei giocatori più chiacchierati, è anche vero che non sempre è stato così. Prima di parlare delle difficoltà che il ragazzo ha dovuto affrontare per farsi notare a livello collegiale - e di conseguenza professionistico - è bene partire dall’inizio. 


Un'infanzia travagliata
La vita di Josh Doctson inizia nel Texas, a Mansfield, cittadina dalla bassissima età media (34 anni!) e piena di famiglie a metà, in cui in genere è la madre il genitore presente - e la sua non fa eccezione. Tracy Syler-Jones è una giovane madre disoccupata e divorziata che deve badare a due bambini: il nostro e il fratello Jeremiah. Purtroppo, fin qui niente di nuovo rispetto a tante storie che caratterizzano la comunità afroamericana statunitense.

La ragazza (perché all’epoca dei fatti era ben lontana dai suoi 30) era però cresciuta in una famiglia borghese, e il suo lavoro alla CBS - con sede a San Diego - faceva presagire che lo stile di vita, per lei e i suoi, non sarebbe cambiato. Nel 1992, però, capì che quella non era la sua strada e, dopo aver passato alcuni mesi come casalinga, decise di lasciare il Texas per trasferirsi in Alabama, a Birmingham (dove la sorella era giornalista per conto di una emittente televisiva), alla ricerca di un lavoro che ancora non trovava. Fu un periodo estremamente difficile per la famiglia Doctson, acuito dalla separazione tra i genitori, che non rendeva certo più facile la loro condizione economica. I tre andavano avanti coi 2 dollari e 75 che la madre guadagnava giornalmente durante il suo impiego alla Birmingham YMCA, un’associazione benefica a sfondo religioso che si occupa di fornire supporto ai giovani e alle loro attività, e in più si faceva sentire anche la mancanza di madre e sorella, che erano tornate nello stato natio del Texas. Senza l’aiuto economico del marito, e con zero possibilità di sostentamento per i suoi figli, anche per lei l’unica possibilità fu quella del ritorno, a Forth Worth.

Ed è qui che avviene la prima svolta, in parte determinante per il futuro di Josh, che all’epoca aveva solo 7 anni (siamo nel 1999). Con le spalle al muro, e con la prospettiva di andare a vivere da sua madre, Tracy sostiene un colloquio di lavoro con l’università locale, TCU, che per sua fortuna va a buon fine. Viene così assunta come assistente del direttore delle comunicazioni, che si occupava di marketing e strategie pubblicitarie all’interno del campus (e il suo cursus honorem non sarebbe finito qui). Come tutti i programmi universitari americani, anche quello di TCU aveva le sue usanze tipiche: in questo caso, si trattava di far correre centinaia di bambini sul terreno di gioco al suono di un corno, precedendo l’ingresso in campo dei beniamini locali. I suddetti pargoli vengono chiamati Bleacher Creatures, e i fratelli Doctson ne sono stati parte per diversi anni, scorrazzando su e giù per il campo e facendo foto con i giocatori: Josh non sapeva, ma forse sperava, che un giorno sarebbe stato al posto loro.

Un'occasione da sfruttare
La vita, però, spesso fa attendere prima di permettere il raggiungimento i grandi traguardi. Nonostante adesso si parli del numero 9 come di una scelta da primo giro, il suo percorso verso la NFL è stato molto più tortuoso del previsto. In uscita da Mansfield High, Doctson ha attirato l’attenzione di soli due programmi, Duke e Wyoming. Non aiutava il fatto che non fosse particolarmente veloce né che fosse decisamente grezzo, visto che ha iniziato a giocare solo a partire dal suo anno da junior al liceo: tutti lo consideravano come un giocatore di basket, lui stesso in primis, e non vedevano il football nei suoi piani futuri. Derek Sage, però, aveva opinioni diverse. Il soggetto in questione era l’allora coach dei ricevitori per l’università di Wyoming, e fu lui e recarsi nel Texas per conoscere meglio il ragazzo, portandolo anche a fare un tour in quella che sarebbe diventata, seppur per poco, la sua università. Come detto, la sua esperienza nel football era minima, e di conseguenza c’erano anche pochi filmati a testimoniare le sue qualità. Ma il controllo del corpo che mostrava nel giocare a basket, traslato appieno anche sul campo di football, la sua precisione nel correre le tracce e, soprattutto, la sua serietà, hanno avuto un ruolo decisivo nel suo reclutamento.

Sage aveva notato quanto questo dipendesse anche dal modo in cui la madre, in mezzo a tutte le ristrettezze economiche del caso, lo aveva cresciuto, mai dando nulla per scontato e ponendo l’accento sul lavoro con l’obiettivo di migliorarsi. Affare fatto, dunque, ed ecco che Doctson si trasferisce in Wyoming. La sua prima stagione si conclude con 35 ricezioni per 393 yard e 5 TD (leader di squadra in ricezioni da TD e yard di media su ricezione, 11.2). Il destino, però, lo poneva ancora una volta di fronte al suo passato e al suo futuro, ed ecco che - guarda caso - la prima meta della sua carriera collegiale arriva proprio contro gli Horned Frogs, per giunta contro una probabile, futura stella NFL come Jason Verrett, suo diretto marcatore in partita. 

Ritorno al futuro
La sua avventura a Wyoming, però, dura solo una stagione, e non per ragioni sportive. La madre telefona a Josh annunciandogli che il nonno, sua figura paterna di riferimento, era malato terminale. Il ragazzo si struggeva all’idea di stare lontano da lui, e l’unica cosa da fare in quel momento era tornare indietro, continuando gli studi in una università più vicina a casa. Certo è che le offerte, ancora una volta, non abbondavano, tanto è vero che Doctson era convinto di continuare il suo percorso in college minori come North Texas o Texas State.

Ecco però che il fato torna a bussare alle sue porte, questa volta sotto forma di Rusty Burns, coach dei wide receiver di TCU che lo chiama al telefono, proponendogli di trasferirsi in quella che è stata anche casa sua durante l’infanzia. A rendere ancora più facili le cose c’era la presenza della madre, che nel frattempo era diventata Vice Chancellor of Marketing and Communication. In base alle regole NCAA, però, Josh fu costretto a rimanere fermo un anno, e poté tornare in campo per la stagione 2013. La vera svolta professionale per Doctson è arrivata nel 2014, quando coach Patterson ha ingaggiato i co-offensive coordinator Sonny Cumbie e Doug Meacham, che hanno installato un nuovo sistema di gioco, decisamente up-tempo e vicino ai giocatori, in modo da creare un attacco esplosivo, imprevedibile e che potesse esaltare le caratteristiche del personale a disposizione.

Il QB Trevone Boykin ha sviluppato un’intesa speciale con Doctson, aiutandolo a raccogliere numeri eccellenti: in tre anni a Forth Worth, le stats del numero 9 recitano 179 ricezioni (secondo all-time nell’ateneo), 2794 yard guadagnate (primo) e 29 TD (primo), oltre a vari record stagionali. TCU, intanto, diventava una delle squadre offensivamente più efficaci dopo gli anonimi anni del dopo Dalton, in cui erano arrivati anche 87esimi per punti a partita (25 a gara), finendo secondi e settimi nelle ultime due stagioni.

Gli occhi su di lui
Nel frattempo, come è ovvio che fosse, anche il resto degli Stati Uniti aveva iniziato ad accorgersi del ragazzo, che certamente faceva del suo per notarsi. É finito al primo posto della famosa top 10 di Sportscenter con la ricezione da TD a una mano contro Minnesota,


E in rete si sprecano video di highlights in cui si vede il nostro saltare in testa al marcatore di turno per andare a prendere il pallone, magari proprio con una mano sola.


È chiaro che il lavoro ha aiutato molto, ma anche Madre Natura ci ha messo il suo zampino, creando uno specimen fisico a tutti gli effetti. Come se non bastassero gli highlights, c’è anche una puntata di Sport Science a testimoniarlo.


Doctson ha trasformato TCU in un must-see della NCAA, non fosse altro per la curiosità di vedere che cosa il ragazzo avrebbe aggiunto ogni sabato alla sua già abbondante carrellata di mix collegiali su internet. I vari mock non lo fanno scendere più in là della metà alta del secondo giro, ma già giovedì sera potrebbe sentire il proprio nome chiamato da Goodell, magari proprio da una squadra texana, i Texans, o i Bengals, due tra le compagini bisognose di aiuto nel ruolo di WR (tra l’altro, non so voi, ma l’idea di una coppia Doctson - Hopkins/AJ Green è qualcosa di esaltante). Oppure a Tennessee, per costituire un asse altrettanto intrigante con Mariota. Quel che è sicuro è che il ragazzo ha tutti i mezzi, fisici, atletici e caratteriali per sfondare anche al piano superiore. E se, adesso che conoscete la sua storia, non vi è venuta voglia di tifare un po’ per lui, a prescindere da chi lo sceglierà, “non vogliamo neanche conoscervi”.


Articolo a cura di Michele Serra


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