venerdì 31 luglio 2015

La vera sorpresa

La Lazio probabilmente ha messo a segno il colpo dell'estate. Alla scoperta di Ricardo Kishna.

di Emanuele Mongiardo








Qualche tempo fa Dennis Bergkamp, allenatore delle giovanili dell’Ajax, denunciava alla stampa l’eccessivo carattere apollineo dei propri calciatori: giocatori “positivisti”, di buona tecnica ed intelligenza, prodotti in serie ma incapaci di prendere una decisione al di fuori del proprio imprinting mentale e tattico. Troppi Siem de Jong e pochi Zlatan Ibrahimovic potremmo dire esemplificando. Ricardo Kishna, neo acquisto della Lazio, è la mina vagante che ha ribaltato questa concezione nelle ultime due stagioni dei Lancieri e si candida seriamente al ruolo di vera sorpresa della prossima Serie A.

Così come Claudio Cantelmo, protagonista in Vergini delle rocce di D’Annunzio, si reca nell’ex Regno delle due Sicilie per cercare la nobildonna con la quale generare il nuovo condottiero di un’Italia borghese e mediocre, qualunque genitore olandese desideroso di avere un figlio calciatore, magari di livello, dovrebbe cercare il proprio partner in Suriname. Devono aver pensato questo i genitori di Seedorf e Davids, avrà ragionato in quest’ottica anche Brenda Kishna, madre di Ricardo, quando ha deciso di sposare Dennie, responsabile della sicurezza per la G4s Security Services, principale ente a livello internazionale per il controllo sulla sicurezza del lavoro e dei servizi, attività indispensabile in un luogo cardine dell’Unione Europea quale è l’Aia. Quella di Ricardo non è quindi la vicenda del ragazzino squattrinato cresciuto in un quartiere dove l’unico pallone è conteso da un centinaio di coetanei. E’ invece la storia di un qualsiasi giovanotto della classe media, per cui non aspettiamoci t-shirt inneggianti sobborghi malfamati nelle sue esultanze (quanto ci mancherai Carlitos!). Si tratta comunque di un ragazzo atipico, che ripudia PlayStation e videogames per dedicare tutto il proprio tempo libero al calcio, magari con l’amico fraterno Nathan Ake, oggi al Chelsea, col quale affronta per circa nove anni la trafila delle giovanili dell’ADO Den Haag.                                               

Qui ai tempi dell’ADO Den Haag. Ah, dimenticavamo, l’ha portato in Italia Mino Raiola, che per quanto possa essere dannoso al calcio come la quasi totalità dei procuratori, spesso tratta merce di finissima qualità.

La svolta della sua carriera avviene un venerdì 13, nel maggio 2011, quando a sedici anni firma il suo primo contratto con l’Ajax. Anche questo, in linea con la sua figura iconoclasta nell’ambiente degli aiaci, rappresenta una sorta di rovesciamento della cabala: è infatti reduce da un doppio infortunio al ginocchio patito con le nazionali giovanili, ma proprio nel giorno simbolo della sfortuna scrive il proprio nome in una delle migliori fucine di talenti europee.

Qui al momento della firma sul suo primo contratto da professionista. Presenti accanto a lui anche il padre, la madre e la sorellina, il cui volto è tatuato sul braccio destro di Ricardo.

Il 2013/2014 è l’anno: convocato inizialmente dal Jong Ajax, la selezione under 19, de Boer lo aggrega subito agli allenamenti prima squadra, con la quale esordisce in un’amichevole l’undici gennaio, a Trebisonda, contro il Trabzonspor. Viene schierato a destra questa volta e forse ciò, unito alla voglia di strafare tipica degli esordienti, influisce sul suo stile di gioco: a tratti si perde in eccessivi orpelli, preferendo il colpo ad effetto piuttosto che la giocata concreta. Tuttavia, tra doppi passi ubriacanti, cambi di passo e colpi di tacco, risulta essere il migliore dei suoi, nonostante il tiro decisivo fallito alla lotteria dei rigori (Joaquin 2?). Intanto a febbraio arriva il debutto con l’under 19, in un pesante 4 a 0 subito fuori casa dall’Emmen, mentre segna il suo primo gol nella vittoria casalinga per 4 a 1 contro il Venlo. Fossi in Pioli studierei minuziosamente questa partita, potrebbe dare un quadro tattico completo del giocatore. Agisce da centravanti, sciorinando una prestazione superba: viene incontro per ricevere il pallone, sforna assist per i movimenti dei compagni, protegge bene palla per poi liberare il tiro e denota grande intelligenza nei movimenti nello spazio. L’azione del 2 a 1, al 51’, ne è un esempio perfetto: si posiziona tra i due centrali avversari e, non appena il compagno sulla fascia riceve palla, si muove perfettamente ad elastico, fingendo di proporre un appoggio facile per poi tagliare come una saetta alle spalle della difesa.  

01:30, Kishna riceve palla, si incunea tra due uomini e serve un preciso filtrante sulla corsa al compagno, dal quale nasce un pericoloso cross dal fondo: controllo di palla, potenza e visione in una sola azione. A 03:22 invece il movimento ad elastico con perfetto taglio alle spalle della difesa.

Le buone prestazioni gli valgono le prime convocazioni ufficiali tra i grandi, che gli impediscono di disputare la UEFA Youth League. Anche qui l’esordio non è dei più fortunati: subentra a Sigthorsson al 60’ nella sconfitta per 3 a 0 in casa contro il Salisburgo di Mr. Gegenpressing Roger Schmidt. Tre giorni dopo tuttavia riceve il battesimo dell’ Eredivisie, sostituendo Bojan al 46’ e segnando il suo primo gol per i lancieri nel roboante 4 a 0 sull’AZ Alkmaar. Se la prima rete in under 19 è un elogio della sua intelligenza nei movimenti, questo è invece un ferino sfoggio di potenza e velocità: punta il diretto marcatore all’altezza dei 30 metri, scatta lambendo il pallone con l’esterno, resiste al contrasto e scarica un sinistro violento che colpisce il secondo palo e si insacca. Timbra in totale otto presenze e il 18 maggio c’è anche lui a festeggiare il trentatreesimo titolo tra i canali di Amsterdam.

02:02, ecco l’azione del gol di Kishna. Notare l’evidente soddisfazione per la bravura del ragazzo sul volto di de Boer.

Dalla scorsa stagione entra in pianta stabile nella prima squadra, esordendo in Champions nel pareggio per 1 a 1 contro l’Apoel Nicosia. Firma anche una prestazione d’autore contro il PSG al Parco dei Principi, al cospetto degli ex Ibrahimovic e Maxwell, dove nonostante il passivo di 3 a 1 riesce comunque a distinguersi, saltando più volte Van der Wiel e servendo con un traversone perfetto Klaassen per il gol della bandiera, indice di una visione di gioco ben sopra la media. In Eredivisie non è così fortunato come l’anno precedente: l’Ajax chiude secondo con un distacco di diciassette punti dalla capolista, il PSV di quel fenomeno di Memphis Depay, che probabilmente quest'anno in Premier sposterà gli equilibri. In totale gioca 38 partite tra campionato e coppe, segnando 6 gol, non male per un attaccante esterno alla prima vera stagione da professionista.

Siamo di fronte ad un’ala alta un metro e ottantasette, di buona prestanza fisica. Anche in questo caso interpreta controcorrente il proprio ruolo: in un’epoca in cui, sulla scia di Robben, tutti gli esterni vengono schierati a piede invertito per rientrare e calciare, lui, mancino, predilige la propria fascia naturale. Atletismo e velocità gli permettono di guadagnare facilmente il fondo, mentre grazie alla tecnica è in grado di sfornare cross precisi al millimetro. Altra sua peculiarità è il dribbling: salta l’uomo sia sfruttando i piedi raffinati, sia bruciandolo sullo scatto, risultando a tratti immarcabile. A ciò bisogna aggiungere la sagacia tattica e la lucidità nella scelta della soluzione migliore, precipue di quasi tutti i prodotti del settore giovanile biancorosso: premia spesso il movimento del compagno con precise verticalizzazioni, così come sovente ama egli stesso tagliare alle spalle della difesa, sia centralmente, sia lateralmente. In questo senso sarà interessante scoprire quale abito tattico Pioli gli cucirà addosso: la Lazio è forse l’unica squadra in Serie A a sfruttare l’inventiva dei propri esterni. Potrebbe alternarsi nelle rotazioni sulla fascia con i vari Candreva, Anderson e Keita oppure cambiare ruolo. Gli allenatori italiani tendono ad accentrare gli esterni offensivi dotati di un buon tiro e di una buona tecnica (Palacio, Cerci ecc.). Pioli potrebbe ritrovarsi tra le mani un nuovo centravanti, oltretutto di stazza notevole; sarebbe da verificare l’apporto sul tabellino delle marcature, vista l'abitudine a giostrare sulla fascia e la saltuarietà con la quale agisce invece da prima punta. 

Non sappiamo cosa farà di lui lo staff tecnico laziale, probabilmente i fantallenatori lo trascureranno per accaparrarsi il presunto bomber di turno. Tuttavia, dati i soli quattro milioni sborsati per il cartellino, potrebbe essere il miglior acquisto del mercato italiano per rapporto qualità-prezzo. Certo, aldilà dell'aspetto calcistico bisogna considerare nella sua valutazione altre discriminanti, una su tutte il carattere. E' risaputo degli atteggiamenti arroganti che hanno deteriorato il suo rapporto con de Boer. Una situazione da separati in casa, che ha portato l'allenatore olandese ad auspicare la cessione del gioiellino. Ricardo ha palesato subito dinanzi ai media nostrani la propria insofferenza per il suo ex mentore e le sue gabbie tattiche. «Non vedo l'ora di provare la libertà che gli attaccanti hanno nel modo di giocare della Lazio. C'è molto più dinamismo rispetto a quanto ero abituato ultimamente con l'Ajax». Ma aldilà di ogni dubbio di natura caratteriale e psicologica, ne sono convinto quasi al cento per cento: la vera sorpresa della prossima Serie A si chiama Ricardo Kishna.


P.S. La storia è ciclica: così come ad Euro 2004 Sneijder, Robben e Van der Vaart ammaliarono un intero continente, l’anno prossimo in Francia probabilmente ci penseranno lui e Memphis ad estasiarci. E’ incredibile come la sola pianificazione permetta ad un Paese di 6 milioni di abitanti, in parte ricoperto dal mare, di sfornare fuoriclasse di questa caratura. Qualcuno con una cinquantina di milioni di cittadini in più dovrebbe prendere esempio.




Articolo a cura di Emanuele Mongiardo



giovedì 30 luglio 2015

Il decimo. Si può?

Valentino Rossi non ha ancora finito con noi. C'è ancora un mondiale da prendere. Il decimo.

di AER






Al giro di boa della stagione della MotoGP, che coincide con la pausa estiva, la situazione sembra ormai chiara: per il mondiale, a meno di improbabili sorprese, sarà una lotta fratricida nel box Yamaha. Quest'anno a Iwata si respira aria di vittoria.
Alle scelte sbagliate e alla sfortuna di Marquez si sono aggiunti errori tecnici della Honda: nella MotoGP le direzioni del progetto iniziale della moto possono indirizzare, nel bene o nel male, l'esito di un'intera annata quasi irreversibilmente. C'è stato bisogno di rievocare il telaio 2014 per consegnare al 93 della Repsol un mezzo competitivo e più adatto allo stile di guida del catalano.
Dopo due anni di pura onnipotenza, il binomio Marquez-Honda è sembrato incepparsi. Bisogna, però, ricordare che il talento cristallino dello spagnolo non è mai stato minimamente in discussione e che l'esperienza accumulata nella prima terribile parte di stagione gli servirà in futuro. "Un giorno questo dolore ti sarà utile", per dirla alla Peter Cameron.
La vittoria del mondiale sembra compromessa, di sicuro Marquez avrà un ruolo importante nel duello Rossi-Lorenzo ma solo come variante tattica e come equilibratore dei punti disponibili in ogni GP.
Sul versante Ducati la situazione è enigmatica. La prima metà di stagione è stata il paradigma delle singole gare (oppure il contrario, si può leggere anche nel verso opposto): buono, anzi ottimo inizio per poi calare inesorabilmente alla distanza. Eppure Dall'Igna, dopo il doppio podio in Qatar che aveva sancito la fine delle "concessioni open", aveva espresso sicurezza, tantissima sicurezza: <<Due litri in meno sul serbatoio? Non prevediamo di avere grossi problemi!>>.
Sempre l'Ing.Dall'Igna, affrontando il discorso Open, aveva sottolineato come il vantaggio più importante di questo regolamento fosse la possibilità di fare sviluppo e non tanto i litri in più o la gomma morbida: <<Il vantaggio più importante è stato quello di poter fare sviluppo. Sicuramente senza la possibilità di schierarci come Factory 2 non avremmo potuto ottenere i risultati che sono arrivati, soprattutto nell’ultima parte della scorsa stagione>>.
Forse troppa sicurezza, Ing.Dall'Igna.

La classifica attuale vede Valentino davanti con 13 punti di vantaggio su Lorenzo, un margine non molto ampio ma che il Dottore ha costruito gara dopo gara, podio dopo podio.


Classifica provvisoria dopo 9 gare

Con assoluta lucidità proviamo ad analizzare gli elementi che sembrano condurre Rossi verso il decimo mondiale, focalizzandoci sugli aspetti "positivi" e potenzialmente vantaggiosi.


Continuità

La qualità di Rossi che si mette più in risalto in questa prima metà della stagione è senza dubbio la continuità di risultati e di rendimento. Valentino viaggia a 19,89 punti per gara che in proiezione lo porterebbero a 358 punti totali, solo 4 in meno di quelli del "disumano" Marquez nella stagione scorsa. Rossi ha vinto 3 delle 9 gare fin qui corse ma il dato più rilevante è la percentuale di podi: 100%!



I piazzamenti di Valentino in questa stagione. Sempre sul podio.
L'ultima volta in cui la percentuale dei podi nella prima metà di stagione era a tre cifre fu nel lontano 2005. A fine stagione il risultato fu questo cioè Rossi campione. Andando un po' più indietro arriviamo alla stagione 2003, l'ultima in sella alla Honda. Una stagione di totale ed assoluta onnipotenza conclusa andando sempre a podio. 
Diciamo che i presagi non sono negativi...

Esperienza

L'esordio di Rossi nella vecchia 125 è datato 1996. 19 anni fa. DICIANNOVE.
In questo lunghissimo periodo di attività, per un motociclista, Valentino ha accumulato una profonda conoscenza delle situazioni che si vengono a creare durante i week-end. Riuscire a reagire alle difficoltà è diventata una sfida continua.


Prima vittoria per Rossi nella sua stagione d'esordio. Brno 1996.

La vera marcia in più, che la possibilità di correre per così tanto tempo ha regalato a Rossi, è la conoscenza enciclopedica di tutti i tracciati. Emblematico è il controsorpasso all'ultimo respiro ad Assen: solo chi conosce ogni singolo millimetro di quella pista può avere la lucidità di entrare in quel modo, alzando l'anteriore, nella ghiaia in perfetto stile cross. Ah, il ranch aiuta...

Il controsorpasso su Marquez ad Assen. "Only 46".


Nuova Yamaha

Da quando a Madrid, fine Gennaio, furono tirati giù i veli dalla Yamaha YZR-M1 il taglio netto con la stagione precedente fu subito evidente e sottolineato più volte durante la presentazione.
Sviluppare la stessa moto per due piloti con stili di guida molto differenti era stata una strategia non funzionale e soprattutto non vincente. Partendo da questo presupposto i tecnici Yamaha hanno deciso di apportare delle modifiche sostanziali in questa stagione, così Valentino Rossi e Jorge Lorenzo avranno a disposizione due moto con due assetti differenti partendo da una novità importantissima come il telaio: rigido per lo spagnolo e più morbido per il Dottore. Questa scelta è assolutamente discriminante per l'evoluzione delle due moto, sebbene l'assetto vari di pochissimo, ma tanto basta per assecondare le due tecniche di guida dei rispettivi riders.


Ecco la YZR-M1.


Durante tutto l'inverno gli ingegneri nipponici hanno lavorato molto per migliorare i problemi di stabilità della Yamaha riscontrati nella scorsa stagione. Per questo motivo si è scelto di lavorare su un forcellone in alluminio che è stato calibrato sui telai differenti dei due piloti per garantire un miglior ingresso in curva, con maggiore stabilità. Inoltre si è lavorato per migliorare il sistema frenante, richiesta principale di Valentino. Per quanto riguarda la ciclistica la M1 ha a disposizione un cambio a 6 marce per gestire il motore 1000 cc con 4 cilindri in linea e albero motore e croce che dovrebbe superare i 330 km/h.

Un altro punto di svolta è stato l'introduzione definitiva del cambio "Seamless". Questo tipo di cambio, detto anche a trazione continua, elimina o almeno riduce al minimo (nel caso della moto di Valentino) le interruzioni di prestazione che si hanno nel momento del cambio di marcia. In altre parole quando si cambia con il seamless si riduce al minimo il momento, molto breve, in cui non viene erogata la coppia, tra quando si toglie una marcia e se inserisce un'altra.
Valentino Rossi e Jorge Lorenzo hanno fatto forti pressioni su Yamaha per avere il progetto completo di trasmissione senza soluzione di continuità delle marce anche in scalata, nel senso che non dovranno più usare la frizione quando si cambia marcia verso il basso.
Oltre ad un immediato vantaggio sui tempi, con il nuovo tipo di cambio i veri vantaggi saranno nella guidabilità della M1. Mauro Sanchini di Sky Sport spiega così: <<Con il seamless Vale e Jorge avranno più stabilità in entrata di curva, perché eliminando il piccolo intervallo di "folle", la moto non oscillerà per le microperdite di aderenza e sarà più maneggevole per il pilota>>. L'altra fase dove il cambio a innesti continui in scalata darà un vantaggio sarà la staccata. <<Con la M1 più stabile – aggiunge Sanchini - i piloti potranno staccare più profondi, cioè più avanti, vicino alle Honda>>
La trasmissione seamless avrà dei benefici per i piloti non solo in termini di prestazioni: <<Con questo tipo di cambio - conclude Sanchini – la guida diventerà più "comoda" stressando meno sia fisicamente che mentalmente chi sta in sella. E questo sarà fondamentale nella seconda parte delle gare quando bisogna essere lucidi per non commettere errori>>.



Cambiamenti nello stile di guida

Il 9 volte campione del mondo ha spiegato come e perché ha cambiato il suo stile di guida in funzione delle nuove gomme e delle nuove moto. <<Ho iniziato a cambiare il mio stile di guida durante l’ultima parte del 2012 quando ancora pilotavo la Ducati. Ho iniziato a far uscire il busto rimanendo un po "appeso" guardando Stoner che lo faceva per correggere il sottosterzo. Il nuovo stile, quello poi adottato da Marquez e da tutti noi ora, è stato introdotto da Stoner ed in minor parte anche da Lorenzo perché in effetti più redditizio con questo tipo di moto e questo tipo di gomme. Io ho dovuto modificare anche la posizione della mani sul manubrio perché cambia totalmente la posizione in sella. Il cambio di stile è un po un evoluzione umana: quando una cosa funziona poi la fanno tutti gli altri>>.



Lo stile di Stoner è frutto delle sue origini tecniche. Infatti in Australia il giovane Casey non ha iniziato con le minimoto come tutti i piloti europei, ha iniziato con il flat-track. In questa specialità il pilota si aiuta nella guida modificando la posizione del busto per spostare il baricentro e curvare mentre la moto va in derapata. Lo stesso Marquez ("figlio" tecnico di Stoner) si allena ed è molto veloce nel flat-track.
Sempre parlando di stile "moderno" anche Valentino Rossi lo ha modificato usando per primo la gamba per bilanciare la moto in fase di frenata. Questa strategia è stata usata anche dallo stesso Casey Stoner mentre non è mai stati usata da Jorge Lorenzo che tende ad essere sempre molto composto in staccata.


"Il maestro copia l'allievo". Forse è un po' esagerato ma la sostanza è quella.

Durante la passata stagione Galbusera, capo-meccanico del 46 disse a proposito del cambio di stile di guida di Rossi:
<<Lo vedo molto concentrato, cerca sempre di capire cosa può cambiare nel suo stile di guida per adattarsi meglio alla moto, alle gomme. Secondo me il passo più grande che ha fatto è stato proprio quello di cambiare il suo stile per assecondare queste nuove gomme, che hanno meno aderenza in piega. Parte del suo miglioramento proviene da queste modifiche al suo stile: la Yamaha è migliorata in frenata e in accelerazione, ma lui è più concentrato dello scorso anno e guida anche meglio. Per me la differenza tra un pilota normale e un vero campione, anche se Valentino non è più un giovane pilota, ha ancora quella capacità di adattarsi, di cambiare. Ha la motivazione per continuare a cambiare il suo stile e conoscere meglio la sua moto, così come le gomme>>.



Studio del miglior assetto

Gara dopo gara, la domanda principale sulle prestazioni del Dottore si è spostata sensibilmente. Non ci si chiede perché le sue prestazioni in qualifica siano così negative in relazione a quello che Valentino riesce a fare in gara. La vera domanda, che sfocia nel paranormale, è come riesca Rossi a scegliere le modifiche giuste da apportare alla moto per diminuire in maniera così sostanziale i tempi sul giro.


La differenza tra il piazzamento sulla griglia di partenza e all'arrivo è ormai una costante. Sintomatico della grandezza di Rossi.

La risposta più diretta tiene conto della predisposizione del 46 nel finalizzare tutto il suo lavoro, nei turni di prove, nella ricerca del miglior passo gara possibile. Anche lo studio sulle prestazioni degli pneumatici gioca un ruolo rilevante nei miglioramenti delle prestazioni: non è affatto un caso che Rossi riesca a dare il meglio di sé nelle parti finali delle gare quando può contare su una migliore capacità di gestione delle gomme rispetto agli avversari.

Restano però fondamentali, in questo processo di sviluppo sempre continuo durante il week-end, le ultime modifiche provate nel warm-up, vero punto di svolta nelle gare oltre che indicatore delle potenzialità di Valentino esprimibili in gara.

Silvano Galbusera

Era l'11 novembre del 2013 quando Galbusera diventava ufficialmente il nuovo capotecnico di Valentino Rossi. L'eredità da raccogliere era pesantissima, quella di Jeremy Burgess. Un'eredità fatta di 7 titoli mondiali e di prestazioni epiche in giro per il mondo. 
Galbusera ha poi raccontato: <<Ci siamo conosciuti ad un test nel 2010, quando Valentino chiese a Yamaha di fare un test con una Superbike per capire il suo livello di forma dopo l'incidente del Mugello. Penso che ci sia stata subito affinità: lui ci aveva dato dei buoni consigli, e noi avevamo sistemato la moto esattamente come la voleva lui. Dopo di allora non ci siamo più sentiti, anche se ovviamente io ho continuato a seguire la sua carriera tramite i media. Verso Ottobre dello scorso anno, dopo il Gran Premio del Giappone, Yamaha e Massimo Meregalli mi hanno chiesto di aspettare prima di prendere impegni con qualcun altro per il prossimo anno, perché c'era la possibilità che qualcosa potesse succedere con Vale. Quando Rossi tornò in Europa dopo la gara, ci siamo incontrati, e lì mi hanno chiesto se volessi lavorare con loro. Io gli chiesi se era matto, ma lavorare al suo fianco era una grande opportunità per me, e poi siamo andati d'accordo sin dall'inizio>>.



Galbusera si è dimostrato fin da subito molto umile, molto attento ad imparare, il prima possibile, il necessario per poter dare un contributo decisivo all'intero team: <<All'inizio avevo un po' di paura, ma non perché Valentino aveva lavorato per tanto tempo con Jeremy (Burgess) o perché aveva già vinto tanto, ma perché non avevo mai avuto esperienza con una MotoGP prima, e non ero sicuro di poter essere al livello di un pilota come Valentino. E' sicuramente uno dei più grandi piloti di tutti i tempi, è italiano, ha vinto tanti titoli, ed essere il suo capo-meccanico non è un lavoro come un altro. All'inizio ero un po' intimorito, ma poco a poco ho trovato la strada giusta>>.

A tal proposito è molto interessante la spiegazione di Valentino sulla sostituzione di Burgess con Galbusera: <<È stata una decisione coraggiosa, ma ero abbastanza convinto di quello che facevo, specialmente perché oggi il modo di lavorare in MotoGP è diverso rispetto al passato. Oggi tutte le squadre e tutti gli ingegneri dialogano con il pilota, ma poi passano un sacco di tempo al computer per analizzare tutti i dati, e in seguito modificare i setting sulla base delle sensazioni del pilota, ma anche dei riscontri della telemetria>>.



Competizione interna

Nonostante un clima più calmo, derivante da un rapporto tra Rossi e Lorenzo più maturo rispetto al passato, nel box Yamaha la tensione c'è. È evidente. Pubblicamente, nelle dichiarazioni di contorno alle gare, il messaggio che passa è chiaro: il primo obiettivo è fare meglio della Honda, nemico pubblico numero uno. Per fare meglio della Honda, Valentino e Jorge sono disposti - oltre che molto interessati - a collaborare. Una volta "sconfitta" la moto edochiana - come nel caso attuale - tutto è lecito e la collaborazione si trasforma in duello.



Rossi medita la sua "vendetta" dalla mattina del 5 giugno 2010, sabato, prove libere del Mugello, il giorno di quel maledetto high side. Quella stagione, partita con grandi entusiasmi, fu irrimediabilmente compromessa e quell'infortunio ci privò della sfida tra Valentino e Jorge, spianando la strada al titolo del maiorchino. Arrivare davanti a Lorenzo come l'anno scorso non basta più, la vera rivincita del Dottore sarebbe aggiudicarsi il duello per il titolo mondiale.

Dal punto di vista tattico un Lorenzo così in forma è una variabile molto importante per Rossi. Lorenzo è un pilota efficiente ed efficace, per certi versi sarebbe un "aziendalista", cioè il miglior pilota in grado di esaltare tutte le caratteristiche della propria moto. Anche i difetti, però, vengono amplificati dimostrando l'incapacità dello spagnolo di superare significativamente i limiti del mezzo. Lorenzo è "el martillo" , capace di martellare giro dopo giro tempi incredibili. Jorge è il migliore a gestire la concentrazione e l'attenzione, riesce a calibrare con estrema cura le energie psicofisiche e giudica sempre correttamente cosa fare in relazione al particolare momento della gara. Tutte queste doti, per essere sfruttate, hanno come propedeuticità una moto al limite della perfezione.
Nelle corse in cui Lorenzo sembrerà più forte, Rossi dovrà sfruttare lo spagnolo come punto di riferimento tattico nelle gare e come comparazione nello sviluppo della moto e nella scelta dell'assetto migliore (soprattutto nella scelta delle gomme). Quando, invece, la Yamaha sarà in difficoltà, Valentino potrà sfruttare la sua capacità di "andare oltre la moto" e fare la differenza.


Confronto dati statistici della scorsa stagione

È molto interessante - e allo stesso di buon auspicio per Rossi - analizzare i dati della seconda parte della stagione 2014. Ci si può divertire a fare una proiezione sulla classifica finale tenendo in considerazione i dati di queste prime 9 gare del 2015 sommandoli a quelli dei rimanenti 9 Gran Premi relativi, però, alla scorsa stagione.


È stato divertente giocare con questa classifica virtuale, soprattutto per via del risultato finale.

Quello che ne viene fuori - da leggere assolutamente con cautela - è molto interessante. Rossi sarebbe ancora avanti a Lorenzo ma di un solo punto e il vantaggio accumulato fin ora, seppur minimo, risulterebbe decisivo.
Entrambi i piloti Yamaha fecero meglio di Marquez da Indianapolis in poi. Il dato può essere fuorviante perché il Mondiale di Marquez era già al sicuro ma è indicativo della crescita delle prestazioni della Yamaha e dei suoi piloti.
In questa classifica virtuale c'è anche un altro aspetto interessante che magari non è immediato ma che potrebbe risultare un fattore da non sottovalutare: i punti che conquisterà e quelli che non conquisterà Marquez saranno decisivi nella corsa al Mondiale.


Alla fine ci si rende conto che stiamo analizzando tutte le motivazioni che rendono possibile il decimo titolo mondiale per un pilota di 36 anni che da quasi due decenni domina emotivamente il suo sport e monopolizza le emozioni degli appassionati. Se questo pilota non si chiamasse Valentino sarebbe umanamente impossibile e tutto il nostro discorso crollerebbe all'improvviso come un castello di carte.
Siamo pronti, adesso, a rispondere all'interrogativo del titolo: "Il decimo? Si, si può".




mercoledì 29 luglio 2015

I nuovi "vecchi Spurs"?

Come cambiano i San Antonio Spurs con l'arrivo di LaMarcus Aldridge.

di Marco Braini 
in collaborazione con Pick&Pop Culture






Dopo esser stato eliminato in gara 7 dai "Chrispaulers", Popovich aveva sentenziato così: "Gli Spurs cambieranno volto". Era dal 2009 che R.C. Buford non si muoveva in maniera così pesante sul mercato (trade per Richard Jefferson, ricordato il giusto all’ombra dell'Alamo), anche visto lo scarso appeal che la franchigia texana ha recentemente avuto nei confronti dei free agent più cool delle caldi estati NBA. Quest'estate invece all in su LaMarcus Aldridge, vincendo la forte concorrenza dei Suns: decisiva la presenza agli incontri di Tim Duncan e Gregg Popovich, insomma, due di cui puoi fidarti, ecco.

<<Mi hanno fatto sentire a casa e fatto capire che San Antonio fosse la scelta migliore>>. Così ha asserito il quattro volte all star, la cui firma (insieme al quinquennale a Kawhi Leonard) ha di fatto rimandato ulteriormente il rebranding di San Antonio, a caccia della diciannovesima apparizione consecutiva ai playoff (guarda caso la prima di questa serie è avvenuta nell'anno da rookie di TD21). Ma riuscirà ad inserirsi in un attacco collaudato come quello degli Speroni? Avere accanto uno dei migliori interpreti del gioco di sempre potrebbe aiutare…

Twin Towers 2.0


Nella Motion degli Spurs può accadere che non ci sia ricezione per il giocatore in post basso (Diaw); in questo caso l’esterno sul lato debole riceve due blocchi, l’ultimo dal trailer (Splitter, il lungo in punta ad inizio del gioco). Ginobili esegue il cosiddetto "ricciolo", riceve la palla e libera il francese per un semplice tiro piedi per terra.



Boris Diaw converte quel tiro, il cosiddetto tiro spot-up, piedi per terra, nel 35.9% dei casi. Fra i lunghi con 150 o più conclusioni di questo tipo tentate è 22esimo per % di realizzazione, LaMarcus Aldridge è secondo con un folgorante 46%.
L’upgrade derivante dall'acquisizione del former Longhorn è evidente, ma il contesto Spurs – Popovich potrebbe sublimare ulteriormente l'efficacia di LMA. Infatti, se consideriamo soltanto i tiri spot-up, la franchigia guidata dal duo Pop – Buford è:
– seconda per tiri tentati (costituiscono il 22.9% dell’attacco neroargento);
– prima in quelli messi a segno;
– quarta per punti per possesso prodotti, 1.04 PPP.

Spot up FG% 2014/15

In questa variabile del "weak" si libera l’uomo in post, forzando un cambio e andando poi conseguentemente a cavalcare il mismatch creatosi. Perché ci interessa? Semplice, perchè da "post-up" arriva il 36.5% delle conclusioni di Aldridge (contro il 18.6% da spot up precedentemente analizzato).


Fra i giocatori con almeno 150 possessi in post Aldridge è quarto in termini di produttività, con più del doppio delle ricezioni di Valanciunas che è primo. Scorrendo l’elenco si scopre che nel roster texano è presente anche l'11esimo in classifica. Tim Duncan? Boris Diaw? Macchè, Kawhi Leonard! 0.94 PPP, giusto per dimostrare come a SA sia abbastanza facile costruire set per servire un post-basso di alta, altissima qualità.
Chi potrebbe giovarne è l’eterno e intramontabile Tim Duncan: in questo modo ci sarebbe l’opportunità di preservare il numero 21 per i momenti più calienti della stagione, senza costringerlo ad ore e ore di straordinari come nel recente passato all'ombra dell'Alamo.


Visto il modo in cui gli Spurs creano la ricezione in post, resta da scoprire come "esegue" LMA.

In questo video il "12" (numero che avrà anche in questa sua nuova esperienza, Bruce Bowen ha già dato l’ok) si mette in proprio.

Qui attira il raddoppio lasciando chilometri di spazio a Wes Matthews.

Come si coniuga, però, la sua abilità di passatore dal post con le spaziature tipiche del "made in San Antonio"?
Per lasciare l’area libera ad Aldridge, Tim Duncan può stazionare a 4-5 metri da canestro: il nativo di Sainte-Croix è ancora in grado di connettere il jumper dalla media (flirta con il 50%). Se l’aiuto giungesse dal lato debole, il rischio di esaltare una squadra che fa dell’occupare gli angoli una delle pietre miliari del suo attacco, sarebbe concreto.

Sono indicate le % di realizzazione riferite ai soli ed unici "corner threes".
L’ultima chiamata è il cosiddetto loop, che prende il nome dal taglio eseguito in questo caso dalla point guard (usualmente Tony Parker), nel quale si costruisce un’uscita che sfrutta ben tre blocchi, ultimo dei quali con il lungo coinvolto che poi dovrà decidere se tagliare verso canestro o aprirsi in angolo.


Diaw esegue splendidamente.

Stessa conclusione della motion? Sì, ma aggiungiamo una possibile opzione…e se Aldridge si allargasse per prendere un tiro da tre punti (sia esso in guardia o in angolo)?

Nelle prime otto stagioni nella lega l’ex Portland ha tentato 116 tiri totali da oltre l’arco, ma nel solo 2014/2015 sono stati 105. Non sarà di certo l’arma principale del suo infinito arsenale, ma lo staff guidato da Chip Engelland (staff che stava lavorando addirittura con un artigiano autodidatta del gioco come Aron Baynes su questo fondamentale) continuerà senza dubbio ad esplorare questa possibilità, soprattutto se le percentuali dalla lunga verranno confermate (e il 35.2% è una base solida su cui poter lavorare).



Una delle richieste estive dell'ex Portland Trail Blazers gravitava attorno alla presenza di un buon centro al suo fianco, pronto a coprirgli le spalle in fase difensiva. La cessione di Splitter (più che altro un regalo a mo’  di attestato di stima a Budenholzer) è una perdita notevole: senza il brasiliano, fondamentale nella cavalcata al titolo 2014, l’unico C di ruolo rimasto a roster è Tim Duncan (aspettando Boban Marjanovic). Aldridge non sarà mai in grado di scivolare insieme a 4 atipici come i Draymond Green, ma l’impatto difensivo sotto il proprio canestro è spesso sottovalutato.
LaMarcus Aldridge e Tim Duncan concedono rispettivamente agli avversari al ferro il 45.1% e il 46.9%: per rendere meglio l’idea, Gobert concede il 40.4%, Kanter il 56.9%. Senza una circolazione di palla degna di questo nome sarà dura tirare là sotto...




Popovich in questi quasi 20 anni di NBA ci ha sorpreso per la capacità di stravolgere la sua concezione del basket in funzione del roster a disposizione. Con questa versione degli Speroni vedremo sicuramente dei ritmi più bassi, così da poter sfruttare a pieno la produttività in post dei lunghi e tutti i centimetri a disposizione

Rivedremo la prima San Antonio, quella di Timmy e dell’ammiraglio David Robinson, che viaggiava 90 possessi a partita? All'epoca arrivarono i primi due banner dell’attuale AT&T Center...



Articolo a cura di Marco Braini

Sebastian mette ordine

Capolavoro Vettel: in una gara con quattro potenziali vincitori, ecco perché ha trionfato l’unico che se lo sia meritato davvero.

di Federico Principi






“Merci Jules. Cette victoire es pour toi, cette victoire es pour toi. You will always be in our hearts. We know that sooner or later Jules would have been a part of this team.”

Quando Michael Schumacher portò a termine la quarantunesima vittoriosa gara della sua carriera, a Monza nel 2000, pianse. Pianse in conferenza stampa, consolato dal rivale mai troppo nemico Mika Hakkinen, con una pacca sulla schiena che a tutti sembrò sincera. Niente a che vedere con le formali e protocollari strette di mano tra Vettel e Alonso o tra Rosberg ed Hamilton. Pianse Schumi, ma non rivelò mai il vero motivo: forse una serie di circostanze lo avevano fatto crollare. L'estate era stata estremamente stressante e difficile, i ritiri si susseguivano e l’apparentemente incolmabile vantaggio accumulato sulla McLaren dopo le prime 4-5 gare, a settembre era già completamente dilapidato. Pianse, forse perché la quarantunesima vittoria gli ricordava un suo vecchio rivale: 41 era il numero di successi di Ayrton Senna, eguagliati quel giorno da Michael. Non si erano amati il brasiliano e il giovanissimo ambizioso tedesco, che tuttavia se lo vide morire proprio davanti agli occhi, forse "provocandone", involontariamente, la fatale uscita di pista, visto che Schumi stava fin dalla partenza braccando a pochi metri il fuoriclasse di San Paolo. Forse perfino odorandone la puzza dei tubi di scarico.

Il pianto di Schumi a Monza: consolato da Hakkinen e, ovviamente, dal fratello Ralf.

Non sappiamo se Sebastian Vettel abbia avuto un simile sfogo di dolore e di angoscia, magari sotto il casco mentre pronunciava quella dedica a Bianchi alla radio dopo la fine della corsa. I paralleli tra Seb e Schumi si sono sprecati, e sono diventati più materiale da gossip che reali considerazioni tecniche. Fatto sta che, dopo aver riprodotto lo schumacheriano gesto del direttore d’orchestra che scandisce l'Inno di Mameli suonato a Sepang, non si può non credere che nel giorno in cui Vettel eguaglia le vittorie di Senna, così come fece Michael, anche il Campione del Mondo con la Red Bull avrà versato qualche lacrima di commozione.

La dedica a Bianchi.

Lo avrà probabilmente fatto, dopo una gara capolavoro. Provata e riprovata al simulatore, perfino poche ore dopo il funerale di Jules, quando il tedesco si è immediatamente fiondato a Maranello per affinare altri dettagli. Come se se lo sentisse, o lo volesse a tutti i costi. Un weekend cominciato con eccezionali prestazioni in Q2 e Q3, proseguito con una partenza "a cannone" (grazie Guido Meda) e con un ritmo forsennato, soprattutto con le soft. Con le medie la Ferrari ha sofferto, e si sapeva, e la Safety Car sembrava clamorosamente poter porre una pietra tombale sulle ambizioni di un successo fin lì inattaccabile. Ma nessuno avrà poi l’opportunità di puntare la scia di Sebastian e minacciare la sua sacrosanta vittoria.

Il Gran Premio di Ungheria è decisamente il più avvincente di questa stagione, più di quello dello scorso anno e più della stragrande maggioranza delle gare degli ultimi 20 anni. Alla fine sul podio salgono le Red Bull di Kvyat e Ricciardo, con Hamilton e Rosberg rispettivamente sesto ed ottavo per motivi di cui parleremo. La Mercedes non mancava sul podio dall'ultimo Gran Premio prima della sua dittatura, vale a dire il Brasile 2013: si ferma a 28 la striscia di gare consecutive a podio, ben lontana da quella di 53 corse della Ferrari dell’era-Schumacher, iniziata nella Malesia nel 1999 e proseguita per le intere stagioni 2000, 2001 e 2002. Si è parlato molto, negli ultimi mesi, della competitività della power unit Mercedes che sovente ha costruito una classifica con il monopolio dei primi 3, 4, 5, perfino 6 piazzamenti. Le statistiche dell'Ungheria ribaltano completamente quelle gerarchie: un po' per sventure, un po' per il nuovo carburante Total che ha garantito qualche cavallo in più al motore termico Renault, il primo equipaggiato con propulsore tedesco è proprio Hamilton in sesta posizione, perfino alle spalle della McLaren-Honda di Alonso. Una casistica, più casuale e curiosa che prettamente tecnica, che non si verificava dal GP del Giappone 2013, quando il primo motore Mercedes sotto la bandiera a scacchi fu Nico Rosberg in ottava posizione.

La Ferrari non era mai andata così vicina ad una doppietta negli ultimi 5 anni: sì perché i tempi delle scorpacciate Schumi-Barrichello sono ormai lontanissimi. L’ultimo 1-2 risale all'ormai lontano Hockenheim 2010, quello del famoso: "Felipe, Fernando is faster than you". Un problema al motore elettrico comprometterà tuttavia la gara di un magnifico Raikkonen, privandolo di oltre 100 cavalli, e la Safety Car con conseguente azzeramento dei distacchi sarà soltanto il colpo di grazia. A quel punto Kimi sarà preda fin troppo facile per tutti i pescecani affamati di punti alle sue spalle. Raikkonen che, scattato come un siluro allo spegnimento dei semafori, si era andato ad accodare al compagno Vettel tenendo dietro entrambe le Mercedes. Scenario, quello della partenza, che noi di Fuori dagli Schemi avevamo ampiamente previsto nel nostro pre-gara: le Mercedes, soprattutto quella di Hamilton ormai in crisi da questo punto di vista, hanno confermato i loro problemi nel trovare il giusto "bite point", che per i meno cool potremmo più semplicemente definire "stacco frizione". Una manovra che fino al GP di Ungheria è stata effettuata elettronicamente da piloti ed ingegneri in collaborazione, e che sarà resa interamente meccanica a partire dal prossimo appuntamento di Spa. Il pilota sarà l'unico artefice del proprio destino sui blocchi di partenza: vedremo cosa cambierà.

La bruciante partenza delle Ferrari. Ve lo avevamo detto…

Vettel è andato contro tutto e tutti, ma soprattutto contro le circostanze: la solita superiorità Mercedes in qualifica, le difficoltà della Rossa con le gomme più dure, la Safety Car che ha azzerato i distacchi. Ha probabilmente costruito il capolavoro di un’intera carriera. Criticato ingiustamente in passato, gli si imputava di essere veloce solo grazie al missile di Adrian Newey e lo si intimava a dimostrare la propria competitività con altre vetture. Lo sta facendo. Per la prima volta è probabilmente andato perfino oltre le potenzialità della propria macchina, dato che a Sepang la Ferrari ha nettamente surclassato i tedesconi nella gestione gomme, con un ritmo in gara piuttosto simile tra le due vetture ma una sosta in meno per la Rossa. Poteva nonostante tutto perdere la gara, ma per una volta è venuta in soccorso quella meritocrazia che troppo spesso latita in questo ricco e tecnologico sport. Sebastian Vettel era l’unico pilota degno della vittoria del Gran Premio di Ungheria, ma poteva tranquillamente perderlo.

Perché doveva vincere Hamilton
Ogni volta che si torna nel paddock, Lewis Hamilton (oltre che pubblicare foto con tasso di truzzaggine sempre più elevato) è sempre più favorito numero uno per la vittoria finale del Gran Premio. Il sabato sera le sue quote, dopo la quasi matematica pole del pomeriggio, si abbassano sensibilmente. Nonostante una partenza alla moviola, della quale è però ormai perfettamente consapevole ed abituato, rimaneva in ogni caso lui il favorito per i 25 punti a fine Gran Premio. Il lungo alla chicane ha riportato alla memoria degli appassionati il primo giro del Gran Premio del Brasile 2007, che gli costò il Mondiale alla prima stagione in Formula 1, e ha notevolmente abbassato le sue percentuali di velleità di successo. Fino alla Safety Car. Nonostante gli oltre 30 secondi di ritardo nei primi giri, a pista libera Lewis sembrava sul passo, se non addirittura più veloce, di Sebastian Vettel, e quindi anche di Raikkonen e Rosberg. Il botto di Hülkenberg e la mancata opportunità di Nico di montare le gomme soft, unite al fatto che Kimi fosse ormai spacciato, lo candidavano di nuovo all’ennesimo, stavolta immeritato, successo. Come gli aveva annunciato il suo ingegnere di pista dietro la vettura di sicurezza: “We are racing for the win”. E invece Hamilton, puntato immediatamente da un indiavolato Ricciardo con le soft, lo spingerà fuori pista, rimediando la rottura di una parte fondamentale dell’ala anteriore ed un indiscutibile drive through di penalità. Forse se lo sentiva Lewis, che ha detto di non aver dormito bene nella notte tra sabato e domenica, che stava per realizzare la peggior gara della carriera.


"Lewis Hamilton insane race": ci riferiamo solo alle prime due scene del video.

Perché doveva vincere Rosberg
Lo stesso team radio che era stato rivolto ad Hamilton dietro la Safety Car, l’ingegnere di pista di Rosberg lo ha comunicato al pilota tedesco con una perifrasi più lunga. Ma la sostanza era quella: ora, con l’azzeramento dei distacchi, puntiamo secco alla vittoria. Ma Nico ha commesso un gravissimo errore: non sappiamo se per presunzione, come diremo più avanti nel nostro pagellone semi-serio, o se veramente avesse grossi problemi con le soft. Sta di fatto che dopo aver montato le medie nel secondo stint, è sembrata inspiegabile ed inconcepibile la scelta di ritornare di nuovo in pista con le gomme bianche anche nella terza ed ultima parte di gara. Con la soft, prestazionale e con un numero accettabile e non elevato di giri da percorrere, Rosberg avrebbe probabilmente messo in crisi un Vettel costretto alle medie che per giunta sulla sua Ferrari funzionano male. Ed invece il vice-Campione del Mondo raramente ridurrà sotto il secondo il proprio gap da Sebastian, senza mai concretamente attaccarlo, e si vedrà molto più vicino invece alle fauci di uno scatenato Ricciardo. Rosberg non ha colpe per la sua foratura causata dal contatto con l’ala dell’australiano, ma con le soft avrebbe tranquillamente evitato tutti questi problemi e sarebbe ora in testa al Mondiale.

Perché doveva vincere Ricciardo
Semplice. La Red Bull non aveva un eccessivo gap di telaio-motore su questa pista rispetto a Ferrari e Mercedes, e dopo la Safety Car era l’unico, insieme al compagno Kvyat che gli era alle spalle ed era più lento di lui, a montare le velocissime soft. Il compound più morbido compensava con gli interessi il leggero ritardo che le lattine hanno ancora rispetto alle due case di vertice, e così Ricciardo ha immediatamente puntato un distratto Hamilton ed un impossibilitato Raikkonen. In pochi giri la macchia viola è diventata sempre più larga negli specchietti di Rosberg, ma la superiorità di cavalli Mercedes compensava perfettamente il DRS aperto solo sulla vettura di Ricciardo. E così l’australiano poteva inventarsi il sorpasso solo così, in staccata: alla sua superiore abilità in frenata rispetto a quasi tutti gli altri piloti, si aggiungeva una gomma più morbida che riduceva lo spazio di decelerazione. Non è quindi per nulla esagerato il tentativo che Daniel ha effettuato per provare a scalzare il più lento tedesco della Mercedes. Grave errore però quello di non staccare per un secondo il piede dall’acceleratore in uscita di curva, finendo contro la vettura di Nico e tagliando la propria ala, oltre che lo pneumatico posteriore del tedesco. In quel momento i ferraristi dovevano tifare per Rosberg: se Ricciardo avesse passato il pilota Mercedes, che già aveva più ritmo di Vettel, molto più agevole sarebbe stato il sorpasso sul leader della corsa dotato per giunta di meno cavalli di Rosberg per difendersi in rettilineo. <<Se avessi passato Nico, avrei ripreso anche Seb>>, il commento a fine gara di Ricciardo. Ma per la partenza lenta e per essere finito addosso a Rosberg nel finale, non meritava neanche lui la vittoria. Ed anzi si deve amaramente accontentare di mangiare di nuovo la polvere nei confronti del meno titolato compagno di squadra.

Contatto Rosberg-Ricciardo: nel video si può apprezzare la staccata contraria alle leggi della fisica del pilota australiano.


Le pagelle di Fuori Dagli Schemi

Apriamo questa nostra nuova sezione, che andrà a sviscerare con rigore e precisione il Gran Premio appena trascorso attraverso una lista di valutazioni a "piramide". Analisi serie, tecniche, approfondite, ma con qualche aspetto e situazione divertenti messi qua e là, e che non vanno presi troppo sul serio. Sotto quindi con le severissime pagelle del Gran Premio di Budapest.


10 E LODE – ad HELMUT MARKO: Questo controverso personaggio, capo del progetto giovani piloti della Red Bull, ha negli anni attirato non poche antipatie. Mark Webber lo avrà mandato in quel posto più di una volta, per via del sospetto (fondato) che la politica interna Red Bull favorisse Vettel (prodotto dell’accademia della lattina) piuttosto che l’australiano. Vergne si è visto negare un sacrosanto posto in Formula 1 per lasciare spazio ai poppanti Sainz e Verstappen. Per non parlare di una quantità esagerata di piloti bruciati prima e silurati poi, senza troppi complimenti, con poche opportunità e tutte offerte in tenera età. Oggi Marko è riuscito nella ciclopica impresa di piazzare quattro suoi piloti del "vivaio Red Bull" nei primi quattro posti. Chapeau.
Ma tornando alle considerazioni serie (o che hanno la pretesa di essere tali), il voto massimo non può che essere assegnato a SEBASTIAN VETTEL: weekend capolavoro, sin dalla qualifica dove non era facile tenere dietro le redivive Red Bull e le Williams col famoso bottoncino magico, né avvicinarsi a soli 144 millesimi dal tempo di Nico Rosberg. La partenza è pura poesia, il ritmo con le soft è imprendibile anche per Nico: forse non lo sarebbe per Hamilton, che però è già a più di 30 secondi di distanza dopo pochi giri. Nonostante la Safety Car, difende, senza rischiare nulla, la leadership nei confronti di due vetture con un passo potenzialmente migliore del suo. Non viene mai concretamente attaccato, poi ci pensano Rosberg e Ricciardo ad eliminarsi da soli. Per Seb a quel punto si tratta solo di passeggiare fino alla bandiera a scacchi. La migliore gara della carriera assieme a Monza 2008 con la Toro Rosso.
Voto assegnato d’ufficio anche a KEVIN MAGNUSSEN: il terzo pilota McLaren si è lasciato andare in settimana ad una dichiarazione da Premio Nobel. Il danese è messo alle strette dal probabile campione di GP2 Vandoorne, che l’anno prossimo potrebbe sostituire il vecchio Button scalzando proprio Magnussen: <<Il mio unico desiderio è poter riprendere in mano una vera monoposto e gareggiare. Lavorare al simulatore è divertente, però non è per nulla eccitante. Insomma è un po’ come guardare un film porno. Sono soltanto immagini, non realtà…>>. Lascio a voi ogni tipo di commento.
Si merita il 10 e lode anche FUORI DAGLI SCHEMI: avevamo previsto la gran parte delle cose successe in pista. Non gli incidenti, ma vabè, non siamo degli sciamani.

10 – alla PRESUNZIONE DEI PILOTI MERCEDES: Diceva Jules Verne: "Meno comodità si hanno e meno bisogni si hanno". Miglior telaio, miglior motore, potenza extra, pacchetto completo prodotto interamente sotto lo stesso tetto: Hamilton e Rosberg hanno nelle mani una vettura che rischia seriamente di proporsi come la più competitiva di tutti i tempi. Ma ormai, come i gatti domestici rispetto a quelli selvatici, sono decisamente viziati ed abituati al lusso. Così arrivano errori, pacchiani, che però loro si possono permettere senza compromettere troppo le proprie ambizioni. Se il lungo di Hamilton nel primo giro lo avessero fatto Verstappen o Maldonado, sarebbero probabilmente messi alla gogna dai team e dalla stampa. E di certo non sarebbero comunque stati ancora in corsa per il quarto posto o per il podio. Non contento, Lewis si concede una manovra da corsa amatoriale di kart, speronando Ricciardo dopo la Safety Car ma compromettendo (giustamente) la propria gara. Non si sottrae neanche Nico Rosberg a questo gioco del "io ho più ego di te": dopo le continue dichiarazioni secondo cui il tedesco e l’inglese sarebbero “sempre molto vicini"(bah… Lewis quest’anno ha battuto Nico quasi in ogni occasione), Rosberg avrebbe scelto di montare le medie anche nell’ultimo stint per copiare la strategia (obbligata) di Hamilton. Un po’ come a dire: “Io ti sono davanti, e con le stesse gomme non mi passi mai. Rispetto alla Ferrari avrò più ritmo, con queste gomme vado a vincere". E invece Ricciardo, con le soft, se lo stava divorando.
Si rivede al top della forma, e se lo merita tutto questo voto, FERNANDO ALONSO: passa finalmente il Q1 tirando giù dalla torre il veloce compagno di squadra, spinge a mano la vettura (ferma per un problema tecnico) per portarla ai box nel Q2, ma non riuscirà a ripartire. In gara è un mastino, nonostante un problema alla visiera che si va ad infilare nel condotto del freno, costringendolo ad una sosta extra. Che si aggiunge alla seconda, anticipata per via di una foratura lenta. McLaren finalmente in grande spolvero, soprattutto con il suo capitano, sfruttando la conformazione della pista che ridimensiona l’importanza dei cavalli della power unit ibrida. Alla fine sarà quinto posto, sfruttando gli errori degli altri, ma dopo aver battagliato ad armi pari con molti avversari, su tutti Sainz a danno del quale il due volte Campione del Mondo compie uno splendido sorpasso inquadrato dalle telecamere.

9 – a KIMI RAIKKONEN: Buongiorno Kimi. Porto una brioche e un cappuccino, o preferisci eggs and bacon? Finalmente alzato, hai dormito bene? “Ne succede sempre una" hai detto a fine gara. Ma sei stato te a farle succedere: sia in Canada che in Austria ti sei dimenticato di disattivare la mappatura RS (Race Start), che fornisce una coppia extra in fase di partenza, quindi sia allo start che dai box, andando in testacoda in entrambi i casi. In Inghilterra ti sei fiondato ai box dopo tre gocce di pioggia, confondendo la scivolosità delle gomme, dovuta a perdita di temperatura, con la pista bagnata. Prima ancora in Spagna avevi rifiutato il "kit Evo" aerodinamico portato a Barcellona, e che in realtà funzionava. A Monaco ti sei fatto battere dalle due Red Bull sia in gara che in qualifica. Finalmente una gara in cui a piazzare le ruote davanti alle tue meritava di essere unicamente il tuo, fenomenale, compagno di squadra.
È passata sottotraccia per gli osservatori superficiali, ma non per gli occhi attenti del sottoscritto che da anni lo adotta come pupillo (e lo ha tifato nella trionfale Le Mans), la prova di NICO HÜLKENBERG: la Force India ha dovuto irrobustire le sospensioni dopo il cappottamento di Perez nelle prime prove libere, e ciò ha impedito ad entrambi i piloti di sfondare la barriera del Q3, ma non a Nico di rifilare oltre sei decimi in qualifica al messicano. Hülkenberg piazza un’altra partenza-fionda, dall'undicesima casella (quindi dalla parte pulita) fino alla quinta posizione dopo la prima staccata del secondo giro. Al momento del collasso dell’ala anteriore Nico era settimo, appena davanti ad un Kvyat in possesso di una vettura (su questo tracciato) decisamente più competitiva. La Ferrari non vuole puntare su di lui per non andare incontro a problemi commerciali, schierando due piloti tedeschi: ma quando vedremo un fenomeno così su una vettura finalmente di vertice?

Soltanto un cedimento strutturale poteva arrestare la grinta di Nico Hülkenberg.
8 – a DANIIL KVYAT: Avevamo già pronosticato un possibile podio per le Red Bull, ma di certo non potevamo prevedere l’ambaradan che si sarebbe creato. Kvyat lotta contro un flatspot nel primo stint, costretto da un ordine di scuderia a lasciare strada al più veloce compagno che in poco tempo va all'attacco di Hülkenberg. Daniil, anche lui con le soft nel finale, non ha il passo per stare con Ricciardo e con i primi tre, ma poi se vai a vedere la classifica (nonostante dieci secondi di penalità per aver scavalcato Hamilton tagliando curva 4) dietro Vettel c’è lui. Questo sport premia anche la regolarità.
Per integrare la lista dei ragazzini terribili nel mirino della Red Bull, grande performance e grande risultato quelli realizzati da MAX VERSTAPPEN: figlio d’arte nella scuderia dei figli d’arte, a 18 anni non è facile reggere la pressione, ancora più amplificata, di un compagno di squadra del tuo stesso livello. Paradossalmente sarebbe più semplice avere un top driver come chioccia all’interno del team. Max esclude il compagno Sainz dalla Q3 ed in gara, dopo una brutta partenza, gli ritorna davanti dopo il primo pit stop, provocando le (forse giustificate) lamentele di Sainz a fine gara. Dopo la Safety Car urta la posteriore destra di Bottas, bucandola. Rimedia un drive through per eccesso di velocità sotto la Safety Car che gli fa scalare di almeno un punto la nostra valutazione. Ma ora la classifica sorride al figlio dell’ex compagno di squadra di Schumacher alla Benetton: ai 9 punti conquistati da Sainz, il minorenne contrappone i propri 22.

7 – a DANIEL RICCIARDO: Che meriterebbe di più, non fosse per aver causato quel parapiglia che nel finale ha completamente tagliato fuori un Rosberg che comunque se l'è cercata, perché con le gomme soft non avrebbe mai dovuto difendere la posizione dall'australiano. Un anno dopo ritorna sul luogo del delitto, fa segnare dei tempi al venerdì che spaventano perfino le Mercedes, ma in gara parte male finendo dietro al fulmine Hülkenberg e al compagno Kvyat qualificato alle spalle di Daniel. Intuisce che le soft sono la scelta giusta per attaccare Mercedes e Ferrari dopo la Safety Car, sverniciando immediatamente un sonnolento Hamilton e puntando dritto alla vittoria. Alla fine raccoglie il podio, ma sulla bandiera a scacchi guarda i tubi di scarico del compagno di squadra. Anzi, il gap è talmente elevato che il suo compagno russo lo rivede direttamente sul podio.
È riuscito a qualificarsi per la Q3, nonostante il tracciato di Budapest non sia il migliore per la propria vettura, ROMAIN GROSJEAN: In gara si dimostra costante e fino a poche tornate dal termine occupa la sesta posizione. Fino a che non lo raggiunge il carro armato color argento del Campione del Mondo, che gli fa scalare una posizione. Resta la soddisfazione di concludere davanti alla Mercedes di Rosberg, oltre a quella di aver demolito il proprio compagno Maldonado sia in qualifica che in gara.
Stessa identica gioia, quest’ultima, provata anche da MARCUS ERICSSON: il pilota pagante per definizione stavolta si trasforma in pilota vero, arrestando senza complimenti (anche lui tanto al sabato quanto alla domenica) le ambizioni di colui che dovrebbe essere la vera punta di diamante del team, cioè Nasr. Che troppe volte invece è stato battuto dallo svedese. La cosa che rende il tutto più prestigioso è che questo duello intestino vale in realtà un punto mondiale, in un Gran Premio dove la Sauber è a livello prestazionale la penultima vettura del circus. Punto che si aggiudica quindi Ericsson.

Marcus Ericsson a punti: un evento più raro del Giubileo.
6 – a JENSON BUTTON: Seconda gara a punti della stagione in occasione di un evento, entrambe le McLaren nella top 10, che suscita una quantità di clamore paragonabile ad un’ipotetica vittoria della Toro Rosso. Il Campione del Mondo 2009 si fa tuttavia battere, ed anche piuttosto nettamente, dal Campione del Mondo 2005 e 2006: quest’ultimo in gara deve pure fare una sosta extra per il problema alla visiera di cui abbiamo parlato sopra. Ma se "quest'ultimo" si chiama Fernando Alonso, che già qualche volta Button ha ridimensionato in questa stagione, non è uno scandalo terminargli quattro posizioni dietro.
Strappa la sufficienza anche ROBERTO MERHI: vince il Gran Premio della categoria GT, staccando di mezzo secondo il compagno Stevens in qualifica e concludendo davanti anche la domenica. Le Manor continuano a correre da sole ma è sempre divertente vedere chi dei due si piazza davanti. Merhi ora è avanti 5-4: il loro campionato è ancora lungo ed appassionante, e si deciderà molto probabilmente ad Abu Dhabi.

5 – a CARLOS SAINZ: Lo spagnolino che tanto piace agli addetti ai lavori anche questa volta ha dovuto incassare i colpi di Verstappen. Un vero e proprio 6 al superenalotto quello del minorenne olandese, già veloce di suo, ma che si ritrova un po’ per caso in quarta posizione ottenendo in una sola botta più del 50% dei propri punti mondiali (12 su 22), il 40% di tutti quelli ottenuti dalla Toro Rosso (30). Difficile da digerire per il figlio del grande Carlos questo ribaltamento di situazioni, dopo che fino al Gran Premio del Canada nel box comandava lui. Costretto al ritiro in Ungheria, non aveva comunque il passo per stare con il compagno, né per stare con Alonso. Ricacciato nel purgatorio della Q2 proprio da Verstappen, che invece si prende il lusso di far segnare il nono tempo, il primo dietro le quattro vetture (Mercedes, Ferrari, Red Bull, Williams) imprendibili in qualifica. Si lamenterà a fine gara della decisione del suo team di fermare prima l’olandese, che poi sfruttando l’undercut lo ripasserà dopo la prima sosta: non sembra avere tutti i torti, ma in ogni caso l’immagine del sorpasso subito dalla McLaren di Alonso è ancora bella nitida.
Compagno di sventure di Sainz è SERGIO PEREZ: sfortunato quando si cappotta nelle libere per colpa del cedimento di una sospensione, meno quando si becca sei decimi in Q2 dall’incontenibile dirimpettaio del box. Lotta per portare a casa qualche punto, ma quando si affianca a Maldonado per un sorpasso tutti siamo consapevoli che sta avvenendo un demolition derby. E infatti Perez, totalmente incolpevole, finisce fuori: riparte, ma la gara è compromessa. Belli gli autoscontri.

4 – alla COERENZA DI QUELLI CHE VOLEVANO LA TESTA DI RAIKKONEN: Anni fa, quando ancora allenava il Siena in Serie B, abbiamo assistito ad una conferenza stampa di Antonio Conte che, pur non essendo un guru della simpatia a livello personale (per lo meno dietro i microfoni), sbottava con una puntina di ragione: “Perché noi ci andiamo in Serie A, poi che non salga nessuno su quel (bip) di carro”. Domenica 26 luglio e lunedì 27 luglio 2015 c’è la fila sul carro di Kimi Raikkonen. Un giochino tipicamente calcistico da pseudo-intenditori, la cui memoria probabilmente non supera i 3-4 giorni e il cui equilibrio mentale tocca livelli vicini allo zero assoluto. A Sky hanno condannato a morte Raikkonen senza contraddittorio, introducendo una lista di possibili sostituti tra i quali era compreso perfino il ricco e pagante ma decisamente scarso (lasciatemela dire questa offensiva parola) Gutierrez. Domenica sera, invece, il plebiscito pro-Kimi. Al momento attuale non si vede un pilota (escluso Hülkenberg, uno dei pochissimi che vanno veramente oltre il potenziale della propria vettura, ma come già detto la Ferrari non vuole due tedeschi) del livello di guida di Kimi Raikkonen. Ricciardo è fenomenale, ma nessuno parla della sua di incostanza, e la soluzione Bottas appare francamente ridicola: un pilota che da solo non fa mai la differenza, aspettando solamente occasioni e tracciati dove la sua macchina è oggettivamente fortissima per fare qualche risultato, e non sempre gli riesce. Bisogna quindi decidersi: che Kimi sia tanto veloce quanto discontinuo lo si sa ormai da decenni, e in ogni caso anche prima della rottura del motore elettrico aveva già beccato 10 secondi dal compagno di squadra con ancora una trentina di giri davanti. Si sia quindi coerenti, sostenendo tuttora la necessità di sostituirlo per via delle sue distrazioni che comunque ricapiteranno. Altrimenti già prima della bella prestazione ungherese si doveva comunque pensare di insistere su di lui, dato che rimane oggettivamente uno dei 4-5 piloti col piede più pesante.

Quel casco rimane per ora ben saldo. Chissà quando si procederà alla sua decapitazione…

3 – a NICO ROSBERG: Si concentra solo su Lewis, parla sempre di Lewis, si autoconvince che lui e Lewis siano sempre molto vicini. È probabilmente ossessionato da Lewis. Chissà se capisce che Vettel, con una macchina inferiore, ha vinto un numero di gare simile al suo ed è solo 21 punti alle sue spalle. La stessa differenza che c’è tra lui e Lewis. E che forse, non fosse per il siluro che ha sotto i piedi e che appiattisce l’abilità dei piloti, il titolo mondiale lo vedrebbe col binocolo. È talmente paranoico nel duello con Lewis che non capisce che montando le gomme soft in regime di “virtual Safety Car” andrebbe probabilmente ad attaccare le Ferrari, anziché semplicemente difendere la posizione da Lewis, che nel frattempo aveva montato anche lui le medie, ma perché costretto dal regolamento. Quel “probabilmente” si trasforma in “certamente” quando esce la Safety Car vera. Ricciardo lo colpisce a tradimento, ma lui poteva tranquillamente evitare tutta questa situazione. Un weekend che lo avrebbe agevolmente portato in testa al Mondiale, con lui primo e Lewis settimo avrebbe recuperato 19 punti. Anziché perderne altri 4, facendo tirare un bel sospiro a Lewis.
Un voto così basso se lo meritano anche le WILLIAMS: Le frecce bianche, che a Silverstone in condizioni di totale asciutto avrebbero dovuto vincere ed invece hanno buttato via la gara, hanno in Ungheria un calo netto di performance che noi avevamo in parte previsto. Va meglio a Bottas rispetto a Massa, ma questa differenza è da attribuire all’evoluzione aerodinamica sul flap dell’alettone anteriore che solo il pilota finlandese ha potuto montare per via della unicità del pezzo. Bottas compromette la possibilità di andare a punti per colpa di un contatto con l’ala di Verstappen che gli perfora lo pneumatico posteriore destro, ma in questo caso non ci sentiamo di incolpare il sopravvalutato pilota finlandese. Massa invece ha un’imprecisione nella posizione in griglia al primo start che gli costa 5 secondi di penalità: lo ritroviamo oltre la decima posizione per tutta la gara. Il brasiliano spiegherà di non essere riuscito a vedere la linea gialla dove avrebbe dovuto fermarsi per poi effettuare la partenza. Respiro in casa Ferrari che con la vittoria di Vettel allunga sulla Williams nel Mondiale Costruttori.
Si lamenta sempre molto della scarsa competitività della propria vettura il miglior debuttante brasiliano della storia della Formula 1. Senna? Piquet? Fittipaldi? No, scendiamo di livello: Massa? Barrichello? Stiamo parlando di FELIPE NASR: la puntualità delle rimostranze nei confronti di macchina, motore, team, mancanza di soldi, mancanza di aggiornamenti, non è la stessa che mostra in pista quando è chiamato al minimo sindacale, ovvero battere il pilota pagante Ericsson. In Ungheria gli è sempre, sempre, sempre dietro. Neanche la possibilità di conquistare quel punto, che poi andrà al compagno di squadra, gli dà quella motivazione extra per stargli davanti. O forse non è così competitivo come in molti pensavano. Non si vive di un solo quinto posto, serve costanza. Impari da Alonso.

2 – a LEWIS HAMILTON: Ogni commento è superfluo, basta vedere la gara. Anzi, basta vedere il primo giro. Un voto così “alto” lo merita solo per la splendida pole position con la quale ha distrutto il biondo al sabato. È di 9-1 il bilancio in qualifica per Hamilton: e pensare che quello tra Rosberg e Vettel, nonostante la clamorosa differenza di prestazione proprio sul giro secco tra le due macchine, è di 8-2 per il figlio di Keke. Per il resto, per la prestazione in gara, niente da aggiungere.
Si è preso ben tre penalizzazioni il pilota per hobby PASTOR MALDONADO: mai banale, e ti credo, sono anche io capace di buttare fuori almeno un avversario in ogni gara. La differenza è che io non ho ricchi sponsor venezuelani da portare in dote alle indebitate casse del team Lotus. Pastor è talentuoso, forse, ma decisamente avventuroso e in un team normale sarebbe stato gentilmente allontanato dopo un paio di gare. Il passaggio da Raikkonen a lui è stato peggiore di quello che il Milan fece da Thiago Silva-Ibrahimovic a Zapata-Pazzini. E la classifica ora recita Grosjean 23 e Maldonado 12.

1 – alla CARROZZERIA FORCE INDIA: Avevamo parlato bene nel pre-gara delle possibili ambizioni della Force India, che in Ungheria poteva puntare ad un altro risultato di rilievo. Non potevamo tenere conto del fatto che il team di Vijay Mallya ha portato a Budapest una vettura non buona neanche per andare sulla statale. La versione “B” della VJM08, quella col muso con le narici, avrebbe previsto l’alleggerimento dei bracci delle sospensioni, che hanno tuttavia ceduto nel clamoroso cappottamento di Perez del venerdì. Per evitare ulteriori inconvenienti, le sospensioni sono state di nuovo irrigidite prima della qualifica, con probabile conseguente perdita di feeling di entrambi i piloti. Non contenti, nel team indiano hanno dovuto ingoiare il collasso dell’ala anteriore di un incolpevole Hülkenberg ad oltre 300 km/h. Le prestazioni ci sono, ma con una carrozzeria così fragile e delicata la corsa al quinto posto nel Mondiale Costruttori è decisamente complicata.

La vocina in sottofondo è parecchio inquietante: forse perfino più del cappottamento di Perez.

0 – a NIKI LAUDA: “Invece di lamentarsi gli altri dovrebbero fare macchine più veloci. Che colpa ne ha la Mercedes se alla Ferrari gettano solo spaghetti e non mettono in strada la macchina nel modo giusto?". È questa la frase, pronunciata dopo il Gran Premio di Silverstone, che vale al supponente austriaco il Premio “Te la sei cercata” della settimana. Lo ricordiamo questo prestigioso riconoscimento, assegnato a Nico Rosberg dalla critica internazionale dopo l’Australia, quando il biondino aveva invitato Vettel al briefing Mercedes per scoprire i segreti della stella a tre punte. Seb, impassibile, si limitò a vincere la gara successiva, in Malesia, rifilando 8 secondi ad Hamilton e 12 secondi proprio ad uno sbigottito Rosberg, per giunta già battuto in qualifica il giorno prima. Sacrosanto lo sfogo di Arrivabene in Ungheria a fine gara: “Non mi piacciono gli spaghetti, mi son fatto una pizza all'arrabbiata e l'ho consigliata alla squadra per caricarsi”. Forse il loquace Niki Lauda dovrebbe avere più rispetto e riconoscenza nei confronti del marchio che lo ha fatto diventare Niki Lauda.
Voto meritatissimo anche per la GESTIONE ECONOMICA DEL TEAM LOTUS: se un pilota inaccettabile come Maldonado non viene messo in discussione, ciò è presto spiegato. Già dai tempi di Raikkonen si registravano i primi ritardi di pagamenti, che proseguono tuttora (così si vocifera) anche nei confronti della fornitura del propulsore Mercedes. Venerdì mattina si è probabilmente toccato il fondo: la Pirelli ha messo a disposizione tardivamente i propri pneumatici ai piloti Lotus per colpa dell’ennesima insolvenza dei vertici della squadra. I soldi portati dalla valigia di Maldonado non sembrano più sufficienti a garantire la presenza in Formula 1 di un team che con ogni probabilità sarà totalmente rilevato dalla Renault nella prossima stagione.


Articolo a cura di Federico Principi