lunedì 27 luglio 2015

Lottare per finta, vivere per davvero

Eroe sul ring e nulla assoluto fuori. O forse il contrario.

di Leo Kevin Fisher







James è un giovane del Mississippi, cresciuto nel nulla di Senatobia, paesotto razzista all'inverosimile troppo occupato ad osservare il suo 25% di popolazione sotto la soglia di povertà nel profondo South East.

Come tutti gli americani degli anni '60, il che coincide con il suo 15esimo compleanno, ha un problema. Ma non si tratta né di droga né di che musica ascoltare.

James, Jim per farla breve, ha il più grosso problema che un americano degli anni '60 può avere. E' uno criminale negro. E vive nel Sud. Il verbale della polizia della città parla chiaro: questo negro deve lasciare la città perchè accusato di aver rapinato un supermarket. Non ha né padre, ucciso per strada nel suo ghetto, nè madre, distrutta dalla fame e dai troppi figli. Jim si ritrova a 17 anni ad essere circa due metri per centocinquanta chili, senza lavoro e senza istruzione.

Jim emigra nella vicina Florida come raccoglitore di frutta stagionale e come idraulico, ma è in un altro pellegrinaggio della fame in Michigan, che la sua vita cambia quando incontra un suo omonimo, Houston, nato nel 1923 a Little Rock e di professione wrestler. Nero. Il primo, wrestler professionista negro.

Il Kamala da ring: terrificante e grosso come un palazzo. Incuteva "un sano timore preistorico".

Bobo Brazil, nomignolo da ring di Houston, instrada questo gigante dall'animo buono e gentile ("Rubai per sfamare i miei fratelli, non per rubare i soldi ad un uomo") nel mondo dell'entertainment. Ora James ha un lavoro, si fa chiamare "Il Gigante Ugandese, Kamala", gli piace lottare, si diverte, ora a far del male per finta. Non più a lottare per il pane nel ghetto. Con veri ferri, bastoni e coltelli.

Oggi, con un sorriso sornione, ti dice che "evidentemente ero nato wrestler, solo che tra i canneti del Sud non s’era ancora pensato di far lottare un nigga with a big belly with another one. Di certo non per finta (ride)".

"Why from Uganda?" 
"I have never been in Uganda, oh my Lord, ‘cuz i’m a negro (ride ancora)"

Contro il rivale di sempre, Andrè The Giant.

La sua carriera parte nel 1978, guadagna bene, aiuta la sua gente, i poveri del Sud, e tutto sembra filare per il verso giusto. Si sposa, è felice. E' diventato una star.

Andiamo alla fine.

Si ritira nel 1995, dopo aver combattuto nella WWE (l'NBA, la Serie A del wrestling) da metà degli anni '80 ed aver sconfitto gente come André The Giant, Hulk Hogan, Jimmy Snuka, insomma quelli forti. E' un fenomeno, Kamala. Il terrore del ring. Raggiunse i 200 kg, spaventava donne e bambini. Tutta sta faccia pitturata, batteva le mani sulla panciona, le urla terrificanti, è il cattivo perfetto. E' una stella tra gli intrattenitori. I soldi non sono moltissimi, perché se ne prende 10 ne spende 8 tra donazioni e cibo per gli altri.

Ma si sa, la vita è una puttana, ti toglie tutto ad una velocità mostruosa. Vaffanculo.

Agli inizi degli anni '90 i medici gli consigliano di dimagrire drasticamente, di andare in dialisi, rischia grosso così. E' diabetico. Ma lui non può, nel turbine del successo, al top non si può mollare così, cazzo. Chiama il capo Jim, tale Vince McMahon, e gli spiega quello che è successo. "Non te ne vai, tu servi qui. Pensa a quello che perdi, Jim." Kamala adorava donare, lottare significava donare un sogno a chi non poteva permettersi di sognare. A quei negri, come lui, nati tra il nulla.

Jim continuò a lottare.

Dopo qualche anno a Jim viene amputata una gamba, causa diabete. Nel 2001 gli viene amputata anche l'altra. Vince McMahon, nel 2011 dichiarò di voler aiutare quel gigante buono, pagando cure e fornendogli assistenza e di includerlo giustamente nella Hall Of Fame. Sta ancora aspettando.

Kamala non ha mai avuto soldi, perchè a lui non interessano. "I’m blessed", ripete sorridendo con quei quattro denti Kamala non ha più una moglie, l'ha lasciato dopo le amputazioni. Lo trattavano come se non fosse normale, come se fosse tornato quell'invisibile gigante del ghetto. L'hanno abbandonato, in quel circus dorato che aveva aiutato a costruire con il suo personaggio. Non ha più una casa e vive con sua nipote, a Senatobia.

Oggi è in ospedale, in dialisi, sul maledetto filo tra il quel sorriso che dispensa a tutti, la simpatia contagiosa di quando va alla mensa dei poveri e urla "Kamala is coming!" ed il mondo eterno del Signore.

Non credo servano parole.

Voleva spararsi, Jim. "I can't crash the trigger, because I see the green of the grass, the blue of the sky and the smile of my brothers." Per chi non mastica l’inglese suona in un corretto italiano, così: non potrei premere il grilletto, perché ho visto il verde dell’erba, il blu del cielo e il sorriso dei miei fratelli.”
Jim sta morendo. "Non voglio la vostra compassione, lacrime che cadono per la mia storia, ‘cuz i’m blessed, i gat everything I need."

"Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; poiché egli fa levare il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti."
 Matteo 5, 44-45.

James "Jim" Harris, Kamala.



Articolo a cura di Leo Kevin Fisher


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