domenica 28 febbraio 2016

Regressione verso la media

Ripercorriamo la stagione della squadra nerazzurra fino a questo momento, analizzandone l'andamento e i risultati, con uno sguardo al futuro.

di Nicola Santolini







La regressione lineare o verso la media è un concetto matematico che, applicato all'esistenza umana, sostanzialmente sostiene che nella vita le cose per quanto possano andare, anche per lunghi periodi, molto bene o molto male, con l'andare del tempo si controbilanciano raggiungendo un equilibrio. Dal punto di vista psicologico si può traslare il concetto matematico alla filosofia di quelle persone che quando vivono momenti positivi iniziano a temere sventure o di quelle che quando invece sono in difficoltà sono sempre fiduciose e ottimiste. 

È curioso come si possa applicare un simile concetto all'andamento della stagione dell'Inter. Nella prima parte di stagione i risultati della squadra nerazzurra sono stati ottimi,da primato, anche se la squadra palesemente non lo era.  Ora i risultati sono al limite del pessimo, anche facendo la tara di fattori esterni o aleatori come condizione fisica, stato di forma, mercato o banalmente la fortuna. 


Parabola ascendente
I nerazzurri hanno avuto un inizio di stagione molto positivo, ben oltre le attese. L'Inter aveva vinto le prime cinque partite, anche se era difficile non notare con quanta fortuna e casualità o più semplicemente col favore degli episodi. C'era poi stata la disfatta contro la Fiorentina (unica partita veramente no di Handanovic, coincidenze?), e dopo qualche turno un po' incerto l'Inter aveva ripreso la sua marcia piuttosto spedita, condita da reiterati 1-0 (eccezion fatta per gli exploit abbastanza estemporanei contro Frosinone e Udinese), ed era addirittura uscita rafforzata dalla sconfitta contro il Napoli, perché il divario immenso che tutti si aspettavano emergesse dal confronto tra una squadra dal gioco spettacolare - e con una anomalia statistica come centravanti - e una che era ritenuta semplicemente fortunata e con un portiere in grado di sovvertire alcune leggi fisiche, non si era visto, e anzi il famoso doppio palo nel recupero stava per attestare davvero l'autorità nerazzurra.

 I due legni nel finale del San Paolo.

Dal punto di vista statistico, alla diciassettesima giornata (ultima partita dell'anno solare) l'Inter era prima in classifica con una media  di 2,11 punti a partita, 1,35 gol fatti e solo 0,64 subiti. Ad una prima analisi questi numeri fanno pensare a una squadra che a dispetto di statistiche offensive modeste riusciva comunque a conquistare molti punti, grazie ai pochissimi gol subiti. Se invece si analizza con più attenzione l'andamento della squadra emergono altri aspetti interessanti. In primo luogo la tanto sbandierata solidità della squadra di Mancini va osservata con più attenzione. Indubbiamente la coppia difensiva Miranda-Murillo, almeno per la prima parte di stagione, è stata una delle migliori del campionato. I due si completano bene, con il brasiliano che con la sua esperienza e leadership compensa l'irruenza e la sfrontatezza del colombiano, che ricambia con generosità e grandi doti atletiche. Come detto i due sono stati piuttosto solidi, ma non esenti da sbavature, e i pochi gol subiti dall'Inter sono stati una diretta conseguenza anche di un atteggiamento generale di squadra inizialmente molto attento e soprattutto delle prestazioni completamente fuori scala di Handanovic (oltre che di una buona dose di fortuna). 

Il portiere sloveno ha primeggiato (almeno fino alla pausa invernale) a livello europeo in quasi tutte le statistiche, e definirlo decisivo in questa stagione risulta quasi riduttivo: mentre le altre squadre di vertice (Napoli, Juventus e Fiorentina) sono agli ultimi tre posti nella classifica dei tiri in porta concessi e parate effettuate dai loro portieri, lo stesso non vale per l'Inter, il che ci dà già una prima idea di quanto lavoro in più rispetto ai colleghi Handanovic sia chiamato a fare. Lo sloveno inoltre si è reso più volte protagonista di parate davvero straordinarie e decisive, che hanno in molte occasioni letteralmente salvato e condizionato i risultati dell'Inter, che infatti nella prima parte di stagione ha subito l'unica vera bastosta nella partita di andata contro la Fiorentina, soprattutto a causa di una prima mezz'ora di totale blackout del suo portiere.

L'incredibile stagione di Handanovic.

Il vero problema della squadra nerazzurra, sottolineato ripetutamente dagli addetti ai lavori e palesato dalla striscia di vittorie per 1-0, sono i pochi gol segnati, non certo figli della mancanza di validi attaccanti, ma dalla latitanza di una parvenza di gioco di squadra. Nella prima parte di stagione, a parte contro Frosinone e Udinese (con due assist dei friulani serviti ad Icardi), l'Inter non è quasi mai riuscita a segnare più di un gol, e in diverse occasioni ha potuto conquistare i tre punti nonostante prestazioni davvero deludenti dal punto di vista del gioco grazie a episodi favorevoli. L'esempio più eclatante è forse la vittoria per 1-0 contro un Bologna (ancora allenato da Delio Rossi) totalmente inerme, ma che l'Inter era riuscita a domare, dopo una partita giocata malissimo, solo grazie a un errore quasi dilettantistico di Ferrari, rischiando poi di subire il gol del pareggio nel recupero, ma salvandosi grazie alla combinazione di un Handanovic strepitoso e una condizione mentale di Destro al limite del patologico.

Da sottolineare la casualità del gol di Icardi (sopra) e dell'errore finale di Destro (sotto).

Ma il punto focale rimane uno: al di là delle vittorie, una totale mancanza di gioco, con una fase offensiva demandata alle sole giocate individuali di Ljajic, Perisic, Jovetic o a palloni casualmente transitanti per l'area di rigore e incontrati da Icardi. Fine. Niente di più di questo, e per giunta senza nessun cenno di crescita da una partita all'altra. Uno sviluppo del gioco reso difficile anche dalla tendenza di Mancini a variare spesso la formazione, cercando di schierarsi sempre a specchio rispetto agli avversari, probabilmente ritenendola una scelta utile ad agevolare la fase difensiva, e la mancata individuazione (a parte il trio Handanovic-Miranda-Murillo) di veri e propri titolari. Lo stesso Icardi non si può definire un titolare inamovibile, e fece scalpore la sua esclusione contro la Roma (così come quella nel derby), che in quel momento era uno scontro al vertice, in favore di Jovetic. In quella stessa partita fu sorprendente anche la scelta di schierare la coppia di terzini D'Ambrosio-Nagatomo, entrambi a conti fatti all'esordio visto che fino a quel momento a destra aveva sempre giocato Santon e a sinistra si erano alternati Telles e Juan Jesus. Anche a centrocampo, schierato a 2 o a 3 a seconda degli avversari, la rotazione tra Medel, Melo, Guarin, Kondogbia e Brozovic è apparsa sempre abbastanza casuale. Curioso anche il caso di Ljajic, sostanzialmente non pervenuto nelle prime giornate e poi diventato gradualmente un insostituibile da novembre in poi, per poi riaccomodarsi gradualmente in panchina. Anche a livello tattico la gestione di Mancini ha quindi suscitato qualche perplessità, soprattutto per l'apparente assenza di una direzione precisa, e di uno sviluppo futuro.

Alla vigilia della pausa invernale, l'Inter era da sola in vetta alla classifica, inseguita dal Napoli e dalla Fiorentina, oltre che dalla rincorsa partita da lontano della Juventus, mentre la Roma che nelle prime giornate era sembrata la rivale più pericolosa, aveva già iniziato il tracollo culminato con l'esonero di Garcia. A questo punto però è arrivato il vero punto di svolta della stagione nerazzurra.


Punto critico
In matematica, per semplificare, nella rappresentazione grafica di una funzione si definisce punto critico quello in cui avviene un cambiamento di tendenza, inteso come passaggio da funzione crescente a decrescente o viceversa.

Immaginando l'iniziale andamento di stagione dell'Inter come una parabola ascendente come abbiamo fatto, il punto critico è rappresentato dall'ultima partita dell'anno solare, il 20 dicembre a San Siro contro la Lazio. Le due squadre arrivavano alla partita con stati d'animo diametralmente opposti. La Lazio reduce da una serie preoccupante di sconfitte e prestazioni deludenti era quasi all'ultima spiaggia, e prevedibilmente spinta da grande motivazione. L'Inter invece viveva l'euforia di un primo posto inaspettato e in settimana si era vociferato di cali di tensione e concentrazione a causa di cene natalizie e selfie pieni di sorrisi che avevano spopolato sul web. Definite queste premesse, la partita è stata fortemente episodica. Mancini mischia nuovamente le carte e schiera un 4-4-2 che poi diventa più simile a un 4-2-3-1 vista la tendenza di Jovetic a non giocare accanto a Icardi ma a svariare con la solita anarchia tattica; il due centrali di centrocampo sono Medel e Melo mentre la catena di destra è totalmente inedita con il poco impiegato Biabiany e a sorpresa il redivivo Montoya, probabilmente testato in partita per decidere se cederlo o meno durante il mercato di gennaio. Pioli schiera Matri come riferimento offensivo, Candreva e Anderson larghi e il centrocampo virtualmente a 3 vede la posizione di Milinkovic-Savic intelligentemente avanzata rispetto a quelle di Parolo e Biglia, con il serbo spesso in disturbo dei due mediani nerazzuri, già di per sé in difficoltà in fase di impostazione. La Lazio parte veramente forte e mette subito in mostra la grande rabbia e voglia di vincere che in molti si aspettavano, l'Inter, avvezza per sua natura a tenere il baricentro molto basso, viene subito schiacciata nella sua metà campo. Al quinto minuto, su un calcio d'angolo per i biancocelesti l'Inter è tutta racchiusa all'interno dell'area di rigore, la palla viene giocata (con un passaggio largamente prevedibile) all'indietro per un Candreva lasciato clamorosamente libero, che calcia al volo e indovina l'angolino basso con Handanovic immobile. 

Tutti e dieci i giocatori di movimento dell'Inter all'interno dell'area a marcare cinque saltatori avversari, con tre giocatori completamente liberi e con largo spazio per concludere o inserirsi in terzo tempo.

Oggettivamente un grande gol del laziale, ma aiutato da una disattenzione colossale della difesa dell'Inter che rimane tutta all'interno dell'area lasciando diversi tiratori liberi e tarda ad uscire per chiudere sulla conclusione, per altro anche fortuita visto che attraversa indenne un grande gruppo di giocatori che oscurano completamente la visuale ad Handanovic. 

L'Inter si trova così a dover affrontare una situazione di svantaggio come raramente accaduto nel corso della stagione. Nonostante le consuete difficoltà a gestire il pallone e imbastire trame interessanti per raggiungere Icardi, la squadra produce una mole di gioco superiore a quanto visto mediamente fino a quel punto della stagione, e riesce a mettere un po' di pressione alla Lazio, non senza correre qualche rischio. Poi al minuto 61 Murillo anticipa Matri a metà campo, la gioca subito per Perisic in un'anomala posizione centrale e il croato, di prima, verticalizza splendidamente per Icardi che sul filo del fuorigioco riceve in mezzo ai due centrali biancocelesti, punta la porta e davanti a Berisha non sbaglia. Partita apertissima, non fosse che un Felipe Melo già vistosamente nervoso decide di fare harakiri nel giro di pochi minuti, causando prima un rigore sciocco ed evitabilissimo (parato ma poi ribattuto da Candreva), concludendo poi con brutto intervento su Biglia con conseguente rosso diretto e partita finita. A fine partita Mancini appare deluso e arrabbiato (presumibilmente con Melo), nonostante una partita giocata sicuramente meglio rispetto a molte altre e persa più che altro per episodi sfavorevoli. 

Una sconfitta da molti derubricata come un incidente di percorso, motivato dalle maggiori motivazioni di una squadra negli episodi chiave rispetto a un'altra forse un po' distratta e con la testa già alle vacanze. In pochi l'avevano interpretato come un primo scricchiolio, a cui sarebbe seguito un crollo abbastanza violento.


Parabola discendente
A questo punto qualcosa si è rotto (o semplicemente non è mai funzionato davvero?) e i risultati sono calati vertiginosamente. Basta guardare i numeri: la media punti nel 2016 è di 1,33 a partita (prima della pausa era di 2,11) e i gol subiti sono mediamente 1,34 (più che raddoppiati rispetto ai precedenti 0,64). Per quanto riguarda la media dei gol fatti tra prima e seconda parte di stagione invece i numeri sono praticamente gli stessi, con un calo dello 0,1 circa. Risulta quindi piuttosto lampante che l'Inter continua a segnare poco, ma subendo più del doppio dei gol a partita i risultati sono peggiorati molto. Il corposo aumento dei gol subiti è sicuramente il dato più evidente, ed è conseguenza del calo del rendimento della difesa (in particolare di Murillo), ma anche dell'attenzione in fase difensiva di tutta la squadra. Ma l'Inter è stata anche punita da alcuni episodi: basti pensare alla sconfitta contro il Sassuolo o ai pareggi contro Carpi e Verona. 

Contro i neroverdi ad esempio l'Inter ha giocato una delle sue migliori partite, e non è riuscita a portarsi in vantaggio anche a causa di alcuni errori clamorosi di Ljajic e buone parate di Consigli, per essere poi punita nel recupero a causa di una grave disattenzione di Murillo. 

Tutto ciò si potrebbe interpretare come un caso di regressione verso la media: l'Inter dopo un inizio di stagione in cui grazie ad episodi favorevoli conquistava più punti di quelli che meritava, ora sta controbilanciando la sua stagione con risultati negativi a volte anche immeritati sempre a causa di episodi, ma questa volta sfavorevoli: qualcuno potrebbe chiamare in causa il Karma. Ma un aspetto interessante è un altro: contrariamente a quanto si sarebbe portati a pensare, anche se i risultati dell'Inter sono fortemente peggiorati, a livello di gioco, a parte alcune situazioni particolari, l'Inter è migliorata, e sono stati proprio gli episodi a punirla. Pausa. Non sto dicendo che dalla sconfitta contro la Lazio in poi l'Inter ha smesso di vincere ma ha iniziato a giocare bene, neanche discretamente: ma a livello di gioco proposto qualche passettino in avanti e stato fatto, mandato però a monte da episodi e da un calo vertiginoso dell'attenzione in fase difensiva. La partita con il Sassuolo, come detto, ne è un esempio, poichè al di là del risultato l'Inter ha creato molto. Contro il Carpi sia prima che dopo il gol di Perisic, l'Inter ha costruito diverse occasioni, salvo poi sbagliarle abbastanza clamorosamente e farsi affondare nel finale per una colossale disattenzione di Juan Jesus. 


Il derby, finito in una disfatta, era iniziato con venti minuti di quasi dominio dell'Inter che aveva rischiato di andare in vantaggio, e si era comunque resa pericolosa anche dopo il gol di Alex con l'ingresso di Icardi. Il suo rigore sbagliato ha rappresentato un'enorme sliding door all'interno della partita, dopo il quale di fatto l'Inter ha smesso di giocare. Anche contro il Verona, al di là dell'imbarazzante prestazione della difesa che ha portato ai gol dell'Hellas, l'Inter, con la rabbia e la grinta date dalla volontà di rimontare, ha giocato una delle sue migliori partite a livello offensivo, assediando letteralmente per larghi tratti il Verona (che sì, rimane pur sempre l'ultima in classifica). 

L'Inter che vinceva immeritatamente e con una buona dose di fortuna, giocava peggio di quella attuale che stenta nei risultati, commette gravi errori difensivi, ma ha migliorato un pochino la sua manovra. Insomma regressione verso la media anche in questo caso, ma nel senso opposto rispetto a quella nei risultati. Come se per uno strano scherzo del destino la qualità dei risultati dell'Inter e del suo gioco (offensivo) fossero inversamente proporzionali. Sarebbe curioso sapere se in matematica esistesse un concetto che implica la regressione lineare, o verso la media, rapportata a due variabili distinte: ma questa è un'altra storia. 


Mancini: tra errori e possibili soluzioni
Mancano ancora molte partite alla fine del campionato, ma la situzione dell'Inter, a causa delle pessime prestazioni di gennaio e febbraio, si è fortemente complicata. Se fino a un paio di mesi fa c'era una diffusa consapevolezza che lo scudetto non fosse un obiettivo concreto, aleggiava comunque una certa fiducia riguardo la conquista del terzo posto. Ora invece l'Inter è quinta e ha perso nuovamente lo scontro diretto con la Fiorentina che sembra essere in ripresa, grazie anche ai nuovi innesti, dopo aver avuto un periodo di flessione. Inoltre la Roma con l'arrivo di Spalletti, dopo un paio di fisiologiche giornate di assestamento, sta inanellando vittorie e prestazioni positive, e vista la qualità della rosa nettamente superiore sia ai nerazzurri che ai viola, è probabilmente la candidata più autorevole al terzo posto. E forse l'Inter deve iniziare a preoccuparsi dell'avvicinamento del Milan alle sue spalle, non solo per la brutta sconfitta nel derby ma anche perché la squadra rossonera è una delle più in forma del campionato e sembra avere la possibilità di raggiungere la squadra di Mancini sul lungo periodo. 

Ma cosa può concretamente fare Mancini ora?
Durante l'ultima sessione di mercato ha chiesto e ottenuto l'acquisto di Eder, che però rischia seriamente di rimanere vittima della totale confusione tattica interista. L'oriundo (12 gol nel girone d'andata, zero in 5 partite con l'Inter per ora) è stato fin da subito schierato assieme a Icardi, segno di quanto si aspetti Mancini dal ragazzo (e forse anche una pesante bocciatura per Jovetic). Inoltre nelle ultime giornate abbiamo assistito al ritorno di un redivivo Palacio, che dopo non aver sostanzialmente mai giocato è stato letteralmente rispolverato da Mancini, che si è probabilmente accorto che nonostante tutto il Trenza rimane il più intelligente tatticamente e il più associativo tra i suoi attaccanti. Palacio è stato infatti uno dei più positivi nelle ultime uscite, anche se non si può pensare che questa sia una soluzione a lungo termine, sia per quanto dice la carta di identità dell'argentino, sia perché lasciare a lungo Ljajic, Jovetic e Perisic in panchina non sembra verosimile. 

Indubbiamente, vista la già notevole abbondanza di giocatori offensivi, e che i problemi della fase offensiva nerazzurra partono da più indietro, l'acquisto di Eder appare l'ennesimo capriccio di mercato di Mancini. L'italo-brasiliano è un buon giocatore, molto duttile, abile sia come seconda punta che come esterno, molto generoso e almeno nella prima parte di stagione anche piuttosto incisivo in zona gol, e potrebbe integrarsi bene con Icardi. Ma con l'incasso della cessione di Guarin (che ci può stare) si poteva intervenire sicuramente in modo migliore, soprattutto cercando un giocatore in grado di innalzare il livello tecnico a centrocampo, in cui nessuno al momento è in grado di farsi carico della regia della squadra. Per valutare l'utilità dell'acquisto dell'attaccante della nazionale basta pensare che per quanto riguarda i giocatori offensivi al momento l'Inter dispone oltre a Eder, di Icardi, Jovetic, Palacio e Ljajic (oltre a Manaj), mentre a centrocampo rimangono solo Medel, Melo, Brozovic, Kondogbia e Gnoukouri, più due esterni di ruolo come Perisic e Biabiany che sono però sicuramente più assimilabili al reparto offensivo: praticamente Mancini ha a disposizione più attaccanti che centrocampisti.  

A questo punto andrebbe aperto un capitolo a parte su Icardi. Si possono muovere diverse critiche all'argentino. È un giocatore poco associativo, e su questo non ci sono dubbi. Non si propone molto al di fuori dell'area di rigore, e anche qui non c'è molto da dire. Poi però ci si dimentica di un semplice dato: su 19 tiri in porta fatti, 11 sono finiti in fondo alla rete. Punto. Non si può affermare che Icardi sia uno dei migliori attaccanti della lega, ma sicuramente che sia al top tra i finalizzatori. Per questo il poter anche solo pensare di prescindere da questo giocatore, o di lanciarsi in uscite poco felici riguardo a suoi errori sotto porta, da parte di Mancini mi sembra un errore clamoroso. Con tutti i suoi limiti, Icardi è la miglior risorsa dell'Inter, e sarebbe compito dell'allenatore cercare di sfruttarla al meglio. 

È sufficiente guardare con attenzione qualche partita dell'Inter per notare la totale assenza di un pressing organizzato, con la squadra che pensa solo ad arretrare e compattarsi quando non è in possesso del pallone, e spesso è proprio il solo Icardi ad accennare un po' di pressione, che però come tutti sanno, se portata individualmente da un solo giocatore e non all'interno di un sistema organizzato risulta totalmente inutile. Nel match di ritorno contro la Fiorentina, ad esempio, è stato abbastanza triste osservare il centravanti argentino sfiancarsi facendo il torello con Gonzalo, Astori e Borja Valero senza nessun compagno in suo appoggio. Senza pensare a estremizzazioni del concetto di pressing (o meglio gegenpressing) stile Klopp o Schmidt nel suo Bayer Leverkusen, una così grande lacuna a livello organizzativo non può che lasciare stupiti per una squadra allenata da un allenatore blasonato come Mancini.

Dando per assodata la necessità di affidarsi a Icardi, e che la coppia Miranda-Murillo non può essere messa in discussione (anche perché la mancata sostituzione di Ranocchia lascia come unica alternativa Juan Jesus, a tratti disastroso), Mancini  deve ancora decidere la coppia di terzini titolari: le scelte a disposizione si sono ridotte viste le partenze di Dodò e Montoya e la prestazione terribile di Santon nel derby (decisione curiosa schierarlo titolare dopo tre mesi proprio in un match del genere). A giocarsi i due posti saranno Telles, D'Ambrosio e Nagatomo, altra situazione bizzarra visto che gli ultimi due non erano mai scesi in campo fino alla partita di andata contro la Roma del 31 ottobre. Telles può giocare solo a sinistra mentre i due compagni sono polivalenti, e penso che Mancini continuerà ad alternarli fino al termine della stagione senza stabilire una vera gerarchia tra i tre. 


Il più grande rebus tattico rimane quale sistema di gioco adottare. Un centrocampo a due non offre abbastanza copertura a una difesa in un momento di difficoltà, e aumentare il numero di attaccanti non ha evidenziato miglioramenti nella fase offensiva, infatti le prove di 4-2-3-1 sono state negative e hanno anzi portato a fare anche delle brutte figure. Detto che Icardi ha ormai ristabilito la sua leadership in attacco, e che Eder è stato voluto così fortemente dall'allenatore e si presume giocherà, credo che Mancini abbia principalmente tre alternative: il 4-4-2, il 4-3-3 e il 4-3-1-2. Nel primo caso si sarebbe portati a pensare di vedere Biabiany e Perisic sulle fasce con la coppia Icardi-Eder davanti, e due mediani a scelta tra Medel, Kondogbia, Melo e Brozovic. 
Nel secondo caso oltre ai tre centrocampisti la scelta principale riguarderebbe i due uomini da affiancare a Icardi nel tridente, nelle ultime uscite quando Mancini ha provato questo sistema ha alternato Eder, Perisic, Biabiany e persino Palacio. 

L'ultima opzione non è ancora mai stata provata seriamente, e vedrebbe oltre ai tre centrocampisti, un trequartista (probabilmente Ljajic), alle spalle di Icardi ed Eder: una soluzione sicuramente interessante, ma del tutto incompatibile con Perisic, altro giocatore fortemente voluto dal tecnico in estate e che a conti fatti - anche se non sempre impiegato dal primo minuto - sta facendo una stagione discreta almeno per quanto riguarda gli assist (4, il migliore della squadra), e dovrebbe essere sfruttato il più possibile. C'è poi una quarta possibilità, che a livello personale è quella che mi intriga di più. Per certi versi è simile alla soluzione utilizzata dalla Juventus quando utilizza il 4-4-2 con Cuadrado a destra e Pogba a sinistra, schieramento che poi cambia dinamicamente e in modo fluido diventando all'occorrenza 4-3-3, a seconda della posizione assunta dal colombiano. Con un sistema simile l'Inter potrebbe schierare Perisic a sinistra, Kondogbia e Medel in mezzo e Brozovic come esterno destro (ruolo ricoperto con discreto successo nella partita di andata contro la Juventus), lasciando in avanti la coppia Icardi-Eder. Viste le caratteristiche dei giocatori, in certe fasi della partita questo schieramento potrebbe facilmente diventare un 4-3-3 con l'avanzamento di Perisic e il conseguente spostamento sulla fascia destra di Eder, coperti da Kondogbia e Brozovic nel ruolo di interni nel centrocampo a 3. Va sottolineato come la maggior parte di questi ragionamenti, oltre ad escludere completamente Jovetic (che prevedo diventerà solo una alternativa a Eder da qui al termine della stagione), limitino molto anche l'impiego di Ljajic. Per quanto anche il serbo possa eventualmente giocare come esterno alto, nel corso della stagione ha mostrato di dare il meglio di sé quando schierato in posizione centrale con la possibilità di svariare e fare i suoi classici movimenti che lo vedono allargarsi per partire più decentrato e poi rientrare verso il centro del campo. 

Trovare l'assetto giusto richiede tempo, ed è una fase che nelle prime giornate hanno dovuto affrontare anche squadre più attrezzate come Juventus e Napoli; persino il Milan, dopo mesi di prove, in cui Mihajlovic sul filo del rasoio le ha provate praticamente tutte, pare aver finalmente trovato una soluzione tattica che abbina compattezza e un gioco discreto, per di più in crescita partita dopo partita, di pari passo con l'entusiasmo e la consapevolezza. Un processo che è avvenuto un po' per tentativi ma anche studiando attentamente le caratteristiche dei giocatori a disposizione.

L'unica cosa certa è che da questo punto di vista l'Inter è molto indietro, e visto che non si può contare solo sugli episodi per fare punti, a causa della confusione tattica di Mancini per la squadra nerazzurra potrebbe essere troppo tardi per cercare la formula più efficace. Che a questo punto della stagione sarebbe già dovuta essere stata trovata.


Articolo a cura di Nicola Santolini

sabato 13 febbraio 2016

A fari spenti

La sessione invernale di calciomercato è stata meno interessante del previsto. Dietro ai boom mediatici si sono insediate delle operazioni poco pubblicizzate, ma che potrebbero avere impatti rilevanti per i destini di Chievo e Sassuolo.

di Nicola Santolini






C'era da aspettarsi che, in una sessione comunemente chiamata "mercato di riparazione", le operazioni sarebbero state circoscritte a piccoli ritocchi o a particolari irripetibili occasioni. In una Premier League guidata dal miracolo Leicester le due squadre di Manchester, dopo aver speso (maluccio) cifre astronomiche sono rimaste a guardare, visto anche il fatto che entrambe avranno una nuova guida tecnica per la prossima stagione. Analogo discorso si può fare per il Chelsea, al momento in mano a Hiddink in attesa di quella che a giugno potrebbe essere una vera e propria rifondazione dopo l'enorme vuoto lasciato dallo Special One. Anche le protagoniste della Liga si sono state sostanzialmente immobili sul mercato, visto anche il blocco (poi sospeso) ai movimenti delle due squadre di Madrid e che il Barça è recentemente rientrato da una situazione piuttosto simile. Per quanto riguarda PSG e Bayern, che stanno dominando senza affanni le rispettive leghe, anche in questo caso ci sono stati solo piccoli aggiustamenti.


La Serie A
In un contesto simile, nonostante le ormai consolidate difficoltà di bilancio, la Serie A ha visto un discreto numero di movimenti di rilievo: curiosamente le due squadre in lotta per il titolo, Juventus e Napoli, seguendo la linea delle altre big europee, si sono limitate a operazioni di contorno o comunque a lungo termine, mentre i maggiori movimenti sono arrivati da squadre che ambiscono all'Europa: l'Inter, non senza difficoltà, è riuscita ad acquistare l'ormai promesso sposo Eder; la Fiorentina ha lasciato andare lo scontento Rossi e ha inserito due profili interessanti, anche se per motivi diversi, ovvero lo smarrito Zarate e il giovane Tello, che desta parecchia curiosità.


Anche il Milan avrebbe voluto registrare qualche operazione, ma è rimasto imbrigliato nelle difficoltà  di sfoltimento della rosa (anche a causa del dietrofront di Luiz Adriano). Il Torino ha accolto a braccia aperte il figliol prodigo Immobile, mai troppo a suo agio all'estero e pronto a sostituire l'epurato Quagliarella. Per ultima la Roma, dopo aver iniziato la sua rivoluzione col cambio di guida tecnica e aver monetizzato con Iturbe e Gervinho, ha continuato l'opera acquistando l'affidabile Perotti e il talento più incompiuto degli ultimi anni del calcio italiano, El Shaarawy. Ma se queste operazioni di mercato hanno catalizzato a lungo l'attenzione di media, addetti ai lavori e tifosi, ce ne sono altre che avranno un impatto ugualmente rilevante su alcune realtà del nostro campionato, seppur con minore dispendio economico e risonanza mediatica.

El Shaarawy e Perotti metteranno il turbo alla Roma verso il terzo posto?


Il doloroso addio di Paloschi
Un caso è quello di Alberto Paloschi, uno degli esempi più calzanti del “bomber di provincia” presenti in Serie A. La storia di Paloschi è piuttosto nota, e dopo gli inizi da predestinato erede di Inzaghi e il gol contro il Siena 10 secondi dopo il debutto, Alberto aveva trovato la sua dimensione al Chievo. Dopo aver iniziato come spalla del quasi leggendario Pellissier, con il passare delle stagioni ne ha raccolto l'eredità diventando centravanti e uomo simbolo dei clivensi. Alberto a Verona era diventato uno degli attaccanti più affidabili della lega, che senza particolari exploit (13 il personal best di gol in un campionato), garantivano sempre i gol necessari alle salvezze solitamente piuttosto solide del Chievo (e particolari gioie ai suoi fantallenatori).


Il meglio di Paloschi in questa prima parte di stagione.

Una bella storia: Paloschi aveva trovato spazio e rendimento (oltre al grande affetto del pubblico) grazie al Chievo, che dal canto suo poteva contare su un centravanti che portava gol preziosi per la salvezza, cosa non scontata. Proprio per questo la notizia della sua cessione ha colto molti alla sprovvista, e il fatto che nonostante le diverse offerte interne Alberto abbia preferito quella dello Swansea fa pensare che, oltre che per motivi economici e professionali (l'esperienza in Premier è sempre affascinante e a volte porta anche bene, sì, sto pensando a Pellé), la decisione sia arrivata anche per il forte sentimento che lo lega alla maglia gialloblu e che gli avrebbe fatto vestire malvolentieri un'altra casacca della Serie A. Dal punto di vista del Chievo, di fronte a un'offerta di circa dieci milioni di euro, non si poteva fare altro che cedere. In questi casi poi il problema diventa sostituire il partente, specialmente proprio nel mercato di gennaio.

Dovremmo partire col presupposto che il Chievo è come da tradizione un squadra abbastanza solida e in questa stagione gioca con un 4-3-1-2 in cui Birsa sulla trequarti è il fulcro del gioco, con la coppia d'attacco che vedeva Paloschi impegnato come riferimento più centrale e Meggiorini maggiormente libero di svariare intorno. Da sottolineare la stagione dell'attaccante scuola Inter che, prima dell'infortunio, è stato a tratti la miglior seconda punta del campionato per rendimento, con 4 gol e 5 assist in 16 presenze: unite al consueto movimento senza palla, l'aggressività e il grintoso sacrificio hanno forse rappresentato l'arma in più del Chievo di quest'anno oltre alla stagione particolarmente ispirata di Birsa.


Il magnifico assist di Meggiorini per Paloschi, contro la Lazio.

Al momento della cessione di Paloschi il reparto offensivo clivense comprendeva, oltre al citato Meggiorini (preferibile però come seconda punta), Mpoku, Pellissier e Inglese. Il naturalizzato belga è un giocatore più adatto a giocare sull'esterno o eventualmente adattabile come seconda punta, quindi di fatto un'alternativa - con caratteristiche molto diverse - a Meggiorini e Birsa. È forse più a suo agio se affiancato allo sloveno sulla trequarti ma ha comunque mostrato un rendimento molto sotto le attese e ha trovato poco spazio anche a causa della rottura di uno zigomo in un scontro con Melo. Pellissier è certamente stato un valido centravanti, ma l'età non gli consente di contribuire per più di qualche spezzone.

In rosa però c'è un ragazzo che, dopo due stagioni in prestito a Carpi, ad agosto sembrava pronto a ripartire, salvo poi rimanere proprio per fare da riserva a Paloschi. Si tratta di Roberto Inglese, classe '91, che a inizio stagione lasciava diverse perplessità visti i numeri non esaltanti (8 gol in due stagioni in B con il Carpi). Volendolo confrontare con Paloschi, entrambe sono prime punte ma con caratteristiche sostanzialmente diverse. Alberto è più rapido, e per quanto visto finora, più intelligente e rapace in area di rigore, oltre che più abile a finalizzare e ad attaccare la profondità. Inglese ha un fisico più strutturato e più forte, ma cede per quanto riguarda velocità e mobilità, mentre risulta paragonabile nella capacità di venire incontro e difendere palla. Anche se più alto, non mi sentirei di definirlo più abile di Paloschi nel colpo di testa, fondamentale in cui l'ex Milan ha davvero poco da invidiare se non qualche centimetro ad alcuni colleghi. Una qualità che invece Inglese ha lasciato intravedere in cui di certo il suo predecessore non eccelleva è il tiro da fuori.


La bomba di Inglese da fuori area contro l'Udinese.

In ogni caso Inglese, partito a inizio stagione alla pari di Pellissier come prima alternativa a Paloschi, ha guadagnato sempre più spazio, e al momento della cessione del compagno poteva già vantare 3 gol in 16 presenze, circa la metà da titolare: non malissimo come prima esperienza in Serie A.

La sensazione è che quindi a Verona si sia deciso di puntare su Inglese per il ruolo di centravanti, almeno fino al termine della stagione. Nonostante tutto la dirigenza clivense, tradizionalmente oculata, ha saggiamente preferito cautelarsi approfittando di un'occasione di mercato (ovvero la situazione di Floro Flores che aveva deciso di lasciare il Sassuolo) inserendosi all'ultimo e strappandolo al Genoa che pensava di aver trovato il suo vice-Pavoletti. Come detto si tratta di una scelta saggia: Floro Flores è un attaccante esperto e in questa stagione, anche se impiegato solo a tratti e non sempre al centro dell'attacco, ha segnato tre volte. In caso di difficoltà per Inglese potrebbe rappresentare una preziosa alternativa, e vista la sua capacità di destreggiarsi anche sulla fascia (ruolo molto spesso occupato in Emilia) e le sue caratteristiche potrebbe tranquillamente anche giocargli accanto in una posizione simile a quella occupata solitamente da Meggiorini, che dovrà rimanere fuori ancora per un po'.


I movimenti del Sassuolo, parte 1 (flashback, Defrel)
Parlando di Floro Flores, il collegamento al Sassuolo risulta immediato. Anche in Emilia sono stati registrati movimenti di mercato che, nonostante la scarsa attenzione prestata, potrebbero portare a cambiamenti sostanziali. Partendo da lontano, lo scorso anno il tridente Sansone-Zaza-Berardi è stato uno dei migliori della Serie A: uno dei centravanti più aggressivi e abili a recuperare palla della lega (oltre che ottimo finalizzatore), affiancato da due ali rapide, tecniche e abilissime nei tagli, con talmente tanto lavoro alle spalle da conoscere le giocate a memoria.

A giugno era inevitabile perdere qualche pezzo, e a lasciare l'Emilia è stato Zaza. Come detto si tratta di un centravanti moderno e con caratteristiche ben precise: aggressività, corsa, velocità e capacità di dialogare con gli esterni. Un giocatore difficile da sostituire, ma con l'attenzione e le disponibilità economiche del Sassuolo non una missione impossibile. Dopo diverse trattative la scelta era ricaduta su Defrel, attaccante rivelazione del deludente e retrocesso Cesena, che all'esordio in Serie A aveva chiuso con 9 gol e una stagione nel complesso piuttosto buona.

Un riassunto dell'ultima stagione di Defrel a Cesena.

Conoscendo il giocatore, la notizia del suo passaggio al Sassuolo come erede di Zaza lasciava diversi dubbi, essendo i due non solo diversi per caratteristiche, ma anche adatti a due tipi di gioco differenti. Defrel è un giocatore la cui collocazione tattica non è banale: a Cesena ha giocato prima e seconda punta, e anche sulla fascia. Le sue qualità principali sono un'accelerazione davvero bruciante, un passo notevole, un'ottima tecnica di base e nell'uno contro uno, discrete doti di finalizzazione e un bel tiro dalla distanza. Da queste rapide sintesi si potrebbe quindi facilmente delineare Zaza come un centravanti più “classico”, mentre Defrel come un giocatore che si basa molto sulla propria velocità e adatto a ricoprire più posizioni in attacco. Ma la differenza più grande tra i due è un'altra: Zaza è un giocatore mordace, aggressivo (a volte fin troppo) e mediamente costante e combattivo nell'arco di tutti i 90 minuti. Defrel è invece un classico esempio di giocatore con mezzi atletici e tecnici di primo livello ma dotato di scarsa concentrazione, e soprattutto discontinuo: perché non si tratta di un attaccante che “non torna” o non è abile in fase difensiva, ma di uno che nell'arco della partita (forse anche spinto dall'emotività) alterna fasi in cui è completamente avulso dal gioco della squadra (sia offensivo che difensivo) e si perde in giocate fini a se stesse o serpentine complicate, ad altre in cui è sostanzialmente ovunque e a tratti immarcabile.


Tipo qua.

E proprio per questo motivo, riflettendo sull'integrazione di Defrel all'interno del Sassuolo e del suo gioco, mi sono sorti diversi dubbi. A meno che Di Francesco non intendesse cambiarlo radicalmente puntando molto di più sul contropiede, in cui Greg risulta davvero micidiale; cosa che però mi sembrava davvero illogica visto quanto bene funzionasse la macchina che aveva costruito e soprattutto quanta fatica era stata fatta per rodarla. I dubbi iniziali non hanno tardato molto a concretizzarsi: Defrel è fin da subito apparso spaesato nella posizione di centravanti e nelle combinazioni con Sansone e Berardi/Politano, e Di Francesco ha iniziato a preferirgli prima Floro Flores, poi Floccari (che ad agosto sembrava in partenza) e perfino Falcinelli, partito come ultimo nelle gerarchie d'attacco del Sassuolo. Tutti e tre sono infatti giocatori molto più riconducibili a Zaza, se non per caratteristiche specifiche, almeno perché prime punte di ruolo.
                                
È curioso come, anche se con un minutaggio nettamente inferiore al francese, al momento della sua cessione il miglior marcatore del Sassuolo fosse proprio Floccari con 4 reti, complice anche l'annata nera di Berardi. E anche durante il periodo del mercato, con Floro Flores e Floccari poco utilizzati poiché con le valige in mano, il centravanti titolare è stato a conti fatti Falcinelli (uno che ad agosto sembrava prossimo a un'altra stagione in prestito in Serie B).


In questa occasione Falcinelli è molto bravo a intuire dove sarebbe arrivato il pallone.


I movimenti del Sassuolo, parte 2 (Trotta)
Alla fine Floro Flores e Floccari sono stati effettivamente ceduti, e il Sassuolo (con la collaborazione della Juventus) ha riveduto i suoi piani acquistando un giovane attaccante con caratteristiche molto più simili a quelle che aveva Zaza. Si tratta di Marcello Trotta, attaccante dell'Under 21, con diverse esperienze all'estero nonostante la giovane età (classe '92). Reduce da una stagione e mezza piuttosto buone ma non eccezionali ad Avellino (15 gol in 39 presenze con exploit importanti ai playoff), Trotta ha una struttura fisica molto simile allo stesso Zaza (in rete diverse fonti forniscono valori di altezza e peso praticamente identici). Quanto a grinta, abilità sia sul venire incontro che sull'andare in profondità, e sopratutto alle abilità realizzative, è sempre difficile sapere cosa aspettarsi da un ragazzo che passa di categoria ma che di fatto in cadetteria era uno dei migliori attaccanti in circolazione.


Le migliori giocate di Trotta in questa stagione tra Avellino e Under 21.

Ad oggi sembra che l'unica cosa che si possa affermare con certezza è che il Sassuolo abbia probabilmente effettuato una scelta di mercato sbagliata a livello tecnico e che adesso - con l'acquisto di Trotta - sia ritornato sui propri passi. Va anche detto che il Sassuolo è molto attento ai giovani e che il suo acquisto può rientrare in questa ottica, ma portare Trotta a gennaio in Emilia (liberandogli spazio cedendo Floccari e Floro Flores) sia probabilmente segno di una certa volontà di farci affidamento fin da subito, tenendo presente che Falcinelli quando impiegato non ha fatto male e ha dimostrato di poter stare in Serie A (anche se nelle sue prestazioni si è fatto apprezzare più per il “lavoro sporco” e le sportellate coi centrali avversari piuttosto che per giocate offensive significative).

In tutto ciò Defrel non è stato assolutamente accantonato (almeno per ora), ed anzi è stato provato come ala sinistra nel tridente schierato contro il Palermo, andando anche a segno, dopo diversi mesi di astinenza. C'è quindi la possibilità che Defrel diventi un'importante alternativa sulle fasce in grado di scalzare occasionalmente Sansone o sostituire Berardi quando infortunato o squalificato (e le occasioni in entrambi i casi non mancano...), una situazione che anche in ottica futura potrebbe tornare utile (visto che probabilmente a giugno anche Berardi andrà a Torino). In alcune circostanze potrebbe essere ancora utilizzato come riferimento centrale, ma mister Di Francesco in quella posizione continuerà probabilmente ad alternare Trotta e Falcinelli per non dover alterare i meccanismi che ha con così tanta cura costruito, nel corso degli anni.


Articolo a cura di Nicola Santolini

giovedì 11 febbraio 2016

Alta pressione SB50

"L'attacco vende i biglietti, la difesa vince i titoli". Il più grande spettacolo sportivo mondiale è stato deciso dalla pressione difensiva.

di Michele Serra






Se la NFL si aspettava uno spettacolo grandioso per celebrare come si deve il 50esimo Super Bowl, probabilmente il più grande evento sportivo al mondo per seguito e fonte di introiti, sarà rimasta delusa. Non che servano 50 punti da una parte e dall’altra per rendere una partita emozionante, anzi, ma quello di domenica è stato una delle finali meno divertenti di sempre: tanta difesa ma anche altrettanti errori, e ad esserne uscita vincente è Denver, colei che ha saputo contenere al meglio l’attacco avversario sfruttandone le disattenzioni. Questi Broncos sono molto diversi dalla macchina da punti che è stata però asfaltata in finale dai Seahawks due anni fa, e l’attenzione alla fase difensiva (affidata ad un grande interprete come Wade Phillips) è stata premiata come nella migliore tradizione del “offense sells tickets, defense wins games”, mentre Peyton Manning diventa il QB più vecchio a laurearsi campione NFL.

Peyton Manning, prossimo a diventare quarantenne.

Il primo drive, conclusosi con un field goal di McManus, ha visto un Manning decisamente in forma, anche grazie ad una difesa di Carolina particolarmente blanda che ha permesso anche guadagni di 18, 22 e 12 yard. Se Manning calerà decisamente di intensità già a partire dai drive successivi, la partita di Newton è stata molto complicata già dall’inizio, vuoi per la tensione - benché il numero 1 dei Panthers non sia nuovo a giocarsi una finale, avendo vinto il titolo collegiale ad Auburn - vuoi, soprattutto, per l’ottimo lavoro effettuato dalla difesa (il primo drive si conclude con un punt e lo stesso vale per quello seguente di Denver). Il match inizia a prendere la piega dei “padroni di casa” nel drive successivo, quando Von Miller brucia il LT Mike Remmers per il sack che porta anche Newton a perdere palla, raccolta prontamente in endzone dal tackle Malik Jackson: 10-0 Broncos. Non sarà la prima volta che il numero 58 di Denver si rende protagonista: con 2.5 sack è diventato il primo giocatore nella storia dei Broncos a mettere a segno più di un sack in un Super Bowl.

La difesa di Carolina però non rimane a guardare e, dopo aver visto l’attacco terminare un’altra azione con un punt, sale in cattedra, grazie ad un sack di Luke Kuechly, insieme a Kony Ealy il miglior giocatore di Carolina: il numero 59 degli ospiti colpisce Manning con un A-gap blitz, ovvero portato nella parte centrale della linea, quella tra il centro e le due guardie. La stessa situazione si era vista anche nella primissima azione della partita, con la differenza che lì era stato bravo CJ Anderson a bloccare l’offensiva del reparto guidato da Sean McDermott. Scosso probabilmente dalla reazione della difesa, anche l’attacco entra in campo con un piglio diverso, e confeziona un drive che termina con il TD di Jonathan Stewart. Corey Brown riceve due palloni per 33 yard e Greg Olsen trova uno dei rari sbocchi della partita ricevendo per 19 yard.

Il resto del quarto vede un altro field goal di Denver, due palle perse, una per parte, e tanti errori in generale. Questa volta è Mike Tolbert, RB di Carolina, a non proteggere bene il pallone, finendo per perderlo dopo un contatto con Danny Trevathan; ma grazie ad una grande giocata del DE Kony Ealy, è di nuovo la squadra di Ron Rivera a riprendersi il pallone. Ancora un A-gap bitz, questa volta mascherato, con Ealy che invece scala in coverage leggendo bene gli occhi di Manning e anticipando il lancio diretto a Emmanuel Sanders. Dopo altri due drive con punt, l’ultimo possesso del primo tempo è per Carolina, ma il sack di DeMarcus Ware manda a monte ogni tentativo di cambiare il punteggio, spendendo le squadre all’intervallo lungo sul punteggio di 10-7 per Denver. Partita molto combattuta, difese ermetiche e attacchi sterili a dir poco, incarnati dalle prove fin qui decisamente opache dei due QB (spoiler alert: le cose non cambieranno nel secondo tempo).

Gli highlights dei primi due quarti.

Il primo drive del secondo tempo vede protagonista ancora Carolina, che parte come meglio non potrebbe grazie ad una ricezione da 45 yard di Ted Ginn, che poco dopo si ripete con una presa da 14 yard. In questo drive c’è spazio anche per un drop, probabilmente decisivo, di Jericho Cotchery, veterano ex Jets e Steelers che si lascia sfuggire la palla dalle mani a poche yard dalla endzone. Sfuma così l’occasione di portarsi a ridosso del TD, e a farne le spese è il kicker Graham Gano, che sbaglia un calcio dalle 44.

I problemi offensivi continuano da una parte e dall’altra, con Newton che si fa intercettare da TJ Ward, salvo poi vedere un altro sack ai danni di Manning, ancora Ealy protagonista, mandare in fumo il lavoro fatto dalla difesa. La partita però è ancora viva; pur con tutti gli errori e le palle perse commesse dall’attacco dei Panthers, quello dei Broncos tiene in vita gli avversari, non riuscendo mai a capitalizzare sulle palle recuperate, cosa che a Carolina è riuscita benissimo in tutta la stagione. Interessante notare come Carolina sia stato il miglior attacco della regular season a 31.3 punti di media, ma molto di questo si deve ad una eccellente difesa, sesta totale, capace di produrre palle perse come nessun altra - prima in graduatoria con 39.

In questo caso, però, l’attacco di Carolina (che pur con l’MVP in carica manca di playmaker) si è trovato di fronte una difesa capace di tenere a bada bocche da fuoco come Pittsburgh (16 punti nei playoff, 26.4 di media in stagione regolare), New England (18-29.1) e, appunto, Carolina (10-31.3). Nel resto della partita i campioni della NFC segneranno solamente altri 3 punti, subendo un’altra meta da Denver, per mano di CJ Anderson, autore di 90 yard su 23 portate. È evidente come la mancanza di target per Newton si sia rivelata fatale, nonostante la buona stagione dei vari Ted Ginn e Corey Brown, che ha finito la partita con 4 ricezione per 90 yard: il rientro di Kelvin Benjamin aiuterà tanto, ma probabilmente non è abbastanza. Sicuramente al Super Bowl si è sentita la mancanza di Greg Olsen, il target preferito di Newton e autore di sole 41 yard su 4 ricezioni, mentre nelle due partite precedenti le sue statistiche dicevano “12-190-1”. La difesa di Denver ha preferito farsi battere dai vari Corey Brown e Ted Ginn pensando a togliere dal gioco la valvola di sicurezza di Newton, togliendo all’ex TE di Chicago le tracce intermedie di campo dove è più efficace.

Gli highlights del terzo quarto (sopra) e dell'ultimo quarto (sotto).

Il merito della vittoria, però, va ascritto soprattutto al front seven di Denver, che ha reso complicatissima la giornata a Newton e alla sua o-line, costantemente sotto pressione. A fine serata saranno 7 i sack messi a segno, di cui 4.5 dalla coppia Von Miller (2.5 e titolo di MVP) e DeMarcus Ware (2), che hanno totalmente annientato Mike Remmers e Michael Oher, rispettivamente RT e LT, decisamente inadeguati. Vista la bassa qualità media dei ricevitori di Carolina, Wade Phillips ha spesso adottato un approccio molto aggressivo nella tasca, con frequenti blitz contando nell’abilità della sua ottima secondaria di tenere a bada il modesto reparto ricevitori degli ospiti: quando Miller e Ware hanno messo pressione a Newton, 16 azioni, lo yardaggio totale di Carolina è -33, con una sola giocata positiva.

Le migliori giocate difensive dei Broncos che hanno deciso il match.

Il resto lo hanno fatto i vari Derek Wolfe (ottima stagione per lui) e Malik Jackson, capaci di avere la meglio contro la linea interna di Carolina - il veterano Ryan Kalil e le sorprendenti guardie Trai Turner e Andrew Norwell - che aveva ancorato il secondo miglior attacco su corsa della NFL in stagione regolare con 2282 yard oltre a varie stats decisamente positive. Tra queste quelle riguardanti il “power success” - percentuale di corse su terzo o quarto down con due o meno yard da correre che hanno portato alla chiusura dello stesso o ad una meta - o il “second level rank”, che misura il numero di yard corse al secondo livello, tutte graduatorie in cui Carolina è in top 10. Newton è stato il miglior runner dei suoi con 45 yard, la maggior parte delle quali frutto di scramble dovuti alla pressione difensiva.

Si è fatto un gran parlare di quanto nell’ultima decade la squadra con la divisa chiara al Super Bowl abbia quasi sempre prevalso, o di come l’MVP in carica poi quasi mai vinca l’atto finale (Newton era stato premiato il giorno prima come MVP e Miglior Giocatore Offensivo). La verità è che ha la meglio la squadra più forte, quella che prepara un miglior piano partita. Anche questa volta è stato così. 


Articolo a cura di Michele Serra

martedì 2 febbraio 2016

Le mani sulla città

In un periodo cruciale della stagione il derby è un'occasione per entrambe le squadre di conoscere a fondo se stesse, prendere atto delle proprie lacune e consolidare le proprie certezze.

di Emanuele Mongiardo







Da anni ormai il derby di Milano non ammalia più come una volta. Le ambizioni delle società sono ridimensionate, la caratura dei calciatori in campo non è quella di una decina di anni fa (e non occorre che le varie pagine satirico-calcistiche di Facebook ce lo rinfaccino con la solita foto di Maldini e Zanetti). A partire dalla stagione 2012/2013 il risultato di tutte le stracittadine è stato under, accompagnato da un desolante senso di decadenza, al netto di coreografie spesso sbalorditive. E forse, in tempi di vacche magre, l’importanza di una partita come questa è ancora maggiore, potenzialmente uno dei pochi momenti di gloria in una stagione di stenti. Per entrambe le squadre è il momento della verità: il Milan vuole capire se è quello di Empoli o quello della vittoria casalinga contro la Fiorentina; l’Inter deve provare a salire sull’ultimo treno disponibile per la corsa scudetto, o comunque vuole tentare di superare i viola e distanziare Roma e rossoneri stessi.

Mihajlovic schiera l’ormai canonico 4-4-2. Davanti a Donnarumma Alex affianca Romagnoli con Abate terzino destro, mentre Antonelli a sinistra sembra aver soppiantato definitivamente De Sciglio. Kucka e Montolivo sono la coppia di centrocampo, coadiuvati da Honda a destra e Bonaventura a sinistra. In avanti c’è Niang a supporto di Bacca. 


Mancini invece per l’ennesima volta rimescola uomini e moduli, con un 4-4-2 ai confini del 4-2-3-1: le uniche certezze sono Handanovic tra i pali e Miranda-Murillo centrali di difesa. Per il resto sceglie l’inedita coppia di terzini Juan Jesus-Santon, mentre a centrocampo opta per il doble pivote Brozovic-Medel. Sulle fasce libero sfogo agli slavi Perisic e Ljajic, a sostegno della coppia Jovetic-Eder.


L’atteggiamento dei contendenti nel primo tempo non è aggressivo, sembra si stiano studiando in attesa del momento propizio. Mihajlovic adotta un sistema di marcature a uomo in fase di non possesso facilitato dallo schieramento a specchio dei giocatori dell’Inter. 

Altra scelta in comune:Mancini delle volte autorizza Brozovic ad alzarsi in occasione del primo pressing. Nel Milan per tutta la partita a turno uno tra Kucka e Montolivo si alzerà tra i centrali di centrocampo avversari. Nella prima immagine Handanovic per evitare qualunque rischio chiederà ai suoi di avanzare, costringendo i difendenti del Milan a seguire i propri uomini.

Mancini dal canto suo prova ad eludere il sistema difensivo del rivale concedendo ampie libertà agli attaccanti: nessuno ha una posizione fissa, Perisic cambia più volte lato, spesso Ljajic agisce a ridosso di Jovetic o Eder. In particolare quest’ultimo offre una nuova variabile al tema offensivo dell’Inter: la sua rapidità e i suoi tagli alle spalle della difesa possono creare problemi ai difensori, difatti il lancio in profondità in direzione del brasiliano non è una soluzione così sporadica. L’alternativa alla ricerca dello spazio di Eder restano i tentativi di smarcamento tra le linee di Jovetic e Ljajic. Spesso inoltre l’Inter tenta lo sfondamento sulla destra arrivando al cross rasoterra a seguito di incursioni solitarie di Perisic o Ljajic; tuttavia ogni speranza viene frustrata dal senso della posizione di Alex e dall’assenza di uomini nerazzurri in area.

Rispetto allo schieramento iniziale Perisic ha cambiato versante , Eder è largo a destra e Ljajic agisce da punta.

Anche l’Inter in alcuni accoppiamenti, soprattutto con i terzini, sembra preferire una marcatura a uomo: passare nel giro di poche ore dallo zonismo estremo di Napoli-Empoli a questo tipo di partita è un excursus tattico abbastanza interessante. Il tecnico serbo prova a sfruttare in questo senso due esterni atipici come Bonaventura ed Honda. Si tratta di trequartisti con una discreta intelligenza tattica, capaci di offrire appoggio ai compagni anche venendo dentro il campo, permettendo tra l’altro la sovrapposizione dei terzini. L’apporto determinante dei due alla fase offensiva lo dimostra anche l’elevato numero di cross, ben 16 secondo Squawka, una soluzione piuttosto elementare ma necessaria in un contesto in cerca di certezze come quello milanista. Mancini prova ad arginare la costruzione laterale rossonera con pressione e raddoppi costanti sugli esterni, per evitare che questi possano girarsi o innescare uno dei due attaccanti. In tal caso è importante per il Milan che Bonaventura ed Honda abbiano sempre un appoggio facile, preferibilmente sul centrocampista di riferimento.

Da 4-4-2 a 4-2-2-2. Antonelli in questo caso riuscirà a chiudere la triangolazione con l’ex atalantino.

Proprio in mediana vi è la differenza sostanziale tra le due squadre. In casa Milan spicca la prestazione di un ritrovato Montolivo, importante più da opzione di passaggio semplice e sicura per i compagni che per la qualità delle giocate. In questo senso lo facilita un modulo ricco di riferimenti geometrici come il 4-4-2. L’ex Fiorentina è incaricato di verticalizzare il prima possibile e, nonostante l’imprecisione di alcuni lanci, la presenza di una valvola di sfogo centrale per i passaggi alleggerisce di responsabilità i compagni: ulteriore ricerca di sicurezza, un po’ come i già citati cross. A ciò si aggiunga anche un notevole spessore difensivo, ratificato da ben 5 intercettazioni, secondo solamente ad Alex con 7. Da segnalare di fianco al regista di Caravaggio anche la performance di Kucka. E’ un motorino, in fase difensiva riesce sempre a muoversi in riferimento a compagni ed avversari, ma il meglio lo da negli strappi offensivi: in situazioni di stallo a centrocampo riesce spesso ad infrangere le linee avversarie con incursioni palla al piede. Di contro, non sembra un giocatore così intelligente: a ridosso dell’area effettua sempre la scelta sbagliata, che si tratti di un tiro in curva, di un passaggio fuori misura o di un dribbling di troppo; elevando il proprio QI potrebbe essere uno dei centrocampisti più interessanti del campionato. Di sicuro, con lui ed Hamsik la Slovacchia potrà contare sulla mediana forse più dinamica dell’Europeo.

Nell’Inter invece Medel prova in tutti i modi a conferire un certo equilibrio al centrocampo, ma Brozovic non sembra essere molto collaborativo. Inoltre gli attaccanti tendono a rimanere alti e il cileno è costretto a coprire ampie porzioni di campo. Si sentono spesso critiche nei confronti del Pitbull, ritenuto inadeguato in quel ruolo: si tratta invece di uno dei giocatori di maggior acume tattico in Italia e non solo. Il problema sta nei compagni di reparto, perché Brozovic è troppo indisciplinato per mantenere una mediana a due, Kondogbia è una interno di centrocampo a 3, non è adatto al doble pivote, mentre con Melo la qualità in mezzo cala vistosamente.  

Ulteriore differenza tra le due compagini è il dispiegamento di uomini nella costruzione offensiva. Detto dei soliti isolamenti dell’Inter, l’unico non attaccante a seguire l’azione è Brozovic; per il resto neanche i terzini sembrano autorizzati a spingere. Il Milan invece coinvolge più uomini possibile, proprio come nell’azione precedente il gol di Alex. Bonaventura recupera palla sulla fascia sinistra dopo una scivolata infelice di Brozovic. Niang si allarga sulla fascia (lo farà per tutta la durata del match) mentre Bacca resta riferimento centrale. In questo frangente i due esterni provvisori dell’Inter, Ljajic e Perisic, sembrano disinteressati allo svolgimento dell’azione. Il primo oltretutto non segue la scalata verso destra e resta largo rispetto ai compagni. Quando Bonaventura serve Bacca il serbo rientra frettolosamente, applicando una pressione scriteriata sul colombiano che lo taglia fuori facilmente: il lato sinistro della difesa interista è del tutto scoperto. Abate vi si incunea ed effettua un traversone insidioso deviato in angolo dalla difesa. Dal corner nasce l’incornata di Alex per l’1 a 0.


Nel secondo tempo cresce l’intensità della partita, soprattutto per quel che riguarda la prima pressione. Ljajic, Perisic, Eder e Jovetic alzano notevolmente il proprio baricentro, aumentando la lunghezza della squadra; anche Brozovic sembra avanzare rispetto a Medel. Quando la palla transita nella metà campo avversaria Mihajlovic sposta più avanti di qualche metro Kucka, in modo da formare quasi una sorta di 4-1-2-1-2 (prequel di un 4-3-1-2?), in cui è più facile per lo slovacco convertire la propria energia cinetica in capacità di recuperare palloni in pressing. 


Si tratta però di un’arma a doppio taglio. Ingolosito dalla possibilità di intercettare un passaggio, il 27 rossonero al 68’ sceglie un tempo di pressione sbagliato su Medel. L’innalzamento dell’intensità ha indotto anche il Milan ad allungarsi e Ljajic riesce ad occupare lo spazio alle spalle di Montolivo ed Honda. Riceve il passaggio di Brozovic ed è libero di avanzare fronte alla porta. La linea difensiva rossonera preferisce coprire la profondità con Alex piuttosto che cercare il fuorigioco, ma Icardi è bravo a tagliare tra il brasiliano e Romagnoli e ad incrociare col destro. In un primo tempo Donnarumma respinge, ma sul tentativo di ribattuta Alex commette il fallo da rigore sull’argentino.


Il palo mortifica ogni velleità interista e ne mina la tenuta psicologica e tattica: i quattro attaccanti abdicano per quel che riguarda la fase difensiva, mentre si scioglie definitivamente la coppia Medel-Brozovic, con quest’ultimo sempre più trequartista. Al 71’ addirittura Honda e Niang hanno a disposizione tutto il fianco destro del campo; in questo caso la linea interista resta compatta e Juan Jesus riesce a leggere le intenzioni del francese. Ma il disimpegno in direzione di Brozovic, braccato da Kucka, viene anticipato da Abate che scatena la transizione offensiva: allarga per Niang che pennella verso Bacca, liberatosi da Miranda con un movimento alle spalle da proiettare nelle scuole calcio; il colombiano insacca, 2 a 0. Se il rigore aveva scavato la fossa, questo gol pone la pietra tombale sulla partita.

La spina è staccata soprattutto a livello mentale: Santon in pochi minuti perde due palloni all’altezza dei trenta metri. Al secondo recupero palla Bonaventura può puntare la difesa e servire a destra Niang che in due tempi trafigge Handanovic per il definitivo 3 a 0.


Il derby sembra rinsaldare le gerarchie del campionato
Per i rossoneri la vittoria è un’iniezione di fiducia: soprattutto nello spogliatoio sembra vi sia finalmente comunità d’intenti. Dopo tanto tempo sembra si stiano ritrovando alcune certezze e forse Mihajlovic potrebbe aver individuato il sistema di gioco più consono ai suoi. La rivali per la corsa Champions sono più attrezzate, ma credo che in questo periodo storico per la società di via Turati sia importante ritrovare delle fondamenta sulle quali costruire il futuro piuttosto che un risultato immediato e magari casuale. E per verificare ciò saranno necessarie uscite tatticamente più probanti rispetto a quella di domenica sera.

L’Inter dal canto suo dovrà guardarsi le spalle dalle sferzate di Fiorentina e Roma. A Mancini l’arduo compito di ritrovare il bandolo della matassa per poter dare una sistematicità in senso positivo ai risultati della propria squadra, riducendo al minimo quella componente di contingenza legata al talento dei singoli che sembra una pesante eredità della Premier League. In particolare sarà importante non demoralizzarsi e provare a valorizzare il talento degli slavi, di Eder e di Icardi: dilapidare tanto potenziale offensivo sarebbe un peccato mortale.


Articolo a cura di Emanuele Mongiardo