martedì 27 ottobre 2015

Cowboy

Lewis Hamilton ufficializza il terzo Mondiale a seguito di una corsa complicatissima, sotto tutti gli aspetti. Facciamo un po’ di chiarezza.

di Federico Principi






Ogni weekend di gara porto avanti con forza la mia personalissima battaglia contro l'ignoranza e la nostalgia di professione. Quelli che "la Formula 1 fa schifo, mica come una volta". Sento gran parte del pubblico lamentarsi dello scarso spettacolo o della totale dipendenza dalle scelte ingegneristiche e telaistiche che avrebbero ucciso le differenze di pilotaggio. Si odono proposte assurde, alcune al limite del ridicolo, per ridare quell'antico valore alla categoria. La pista di Austin ha risvegliato in me quella mia convinzione, avvalorandola, che basterebbe rendere queste vetture meno stabili e più difficili da portare al limite per rispolverare i gap che un pilota può compiere non solo nei confronti del compagno di squadra, ma perfino contro un'altra vettura più prestazionale.

Alexander Rossi è il massimo esponente della nuova generazione di piloti statunitensi, finalmente ricomparsi in scena in Formula 1. Una bella stagione in GP2 (attualmente secondo in campionato) e tre buone prestazioni in Manor davanti al compagno di squadra, nel suo 2015. Pochi però ricordavano questa sua spettacolare e quanto mai suggestiva performance sul tracciato di Austin con la Lotus 49, del 1967, di Jim Clark.

Fiato sospeso e pura adrenalina.

Osservando il camera car dello stesso Rossi con la Manor di Formula 1, sullo stesso tracciato ma in condizioni bagnate, è possibile notare come le moderne vetture siano più stabili, perfino sulla pioggia. La facilità con cui le monoposto contemporanee danzano sull'acqua, paragonabili ai catamarani monster della Louis Vuitton Cup, è la prova che attualmente siano più semplici da portare al limite: meno impegnative fisicamente, e di conseguenza maggiormente incisive sui risultati finali di quanto non lo sia il pilota stesso.

On board di Rossi nelle FP1 bagnate di venerdì.


Fireworks
Confesso che ci sono state alcune gare (Monza su tutte) in cui mi sono sentito realmente in difficoltà nel trovare spunti degni di nota per un racconto di ciò che sia successo in pista piuttosto che per approfondimenti generali. Austin non fa certo parte di questa categoria di corse monotone.

L’uragano Patricia ha scombussolato la scaletta del weekend, nonché tutte le previsioni di gara fatte alla vigilia e in realtà poi improvvisate. Con il risultato che soltanto dalla metà della gara in poi si è vista la pista in condizioni asciutte, inedita nei tre giorni del Gran Premio statunitense. Tutto questo ha creato una serie di momenti altamente confusi e parimenti spettacolari, ai quali abbiamo provato a dare un po’ di ordine. Quell’ordine che Hamilton aveva già stabilito da tempo, vincendo il Mondiale non certo grazie alla trasferta texana: il risultato è rimasto più o meno lo stesso, nonostante una gara molto particolare e sicuramente eccitante.


Fase 1: Red Bull su acqua
L’unica pietra di paragone per risultati (in gara) su pista bagnata nel 2015 si era rivelata Silverstone. Condotta dalle Williams fino al primo pit stop, ma sempre su asciutto fino a quel momento, le bianche di Sir Frank hanno cominciato a boccheggiare dopo le prime tre gocce d’acqua, finendo per compromettere definitivamente il proprio grip con le gomme intermedie. È passata sottotraccia la straordinaria progressione di Kvyat (Ricciardo si era ritirato al ventunesimo passaggio) su Bottas: forse in molti l’avevano motivata con il calo prestazionale della Williams o più semplicemente con una difficoltà del finlandese a stare al passo di Massa (a parità di macchina) con conseguente demoralizzazione. «Tyres are not working» era infatti il laconico sfogo di Bottas, che criticando la competitività delle gomme lamentava in questo modo mancanza di prestazioni.

Sopra, quando Kvyat esce dall’ultimo pit stop è distante oltre 24 secondi da Bottas.
Sotto, all’ultimo passaggio i due sono praticamente appaiati. In sette giri il russo ha quasi azzerato il distacco.

Sottovalutati anche i tempi fatti registrare nelle libere, bagnate, del venerdì a Suzuka. Non sempre i piloti si risparmiano, rischia di diventare un luogo comune: a volte tirano per davvero, e i risultati sono lo specchio più o meno fedele dei valori in pista. Così vedere Kvyat in testa e Ricciardo quarto, con le Mercedes racchiuse a sandwich e la prima Ferrari lontana a più di un secondo dall’australiano, poteva sembrare sorprendente o comunque poco sospetto.

I tempi delle FP2 di Suzuka.

Gerarchie più o meno rispettate, ma con Rosberg ed Hamilton stavolta davanti, nelle ultime qualifiche di Austin. Un caso? Difficile che lo sia. Non abbiamo la controprova del passo gara Ferrari e di Vettel sulla pioggia, essendo partito dalle retrovie a seguito della penalità (ne parleremo in seguito), ma il ritmo di entrambe le Red Bull era assolutamente in linea con ambizioni di vittoria in una gara corsa totalmente su acqua. Qualcuno ha pensato che forse il set up delle vetture di Newey fosse stato regolato eccessivamente verso standard di pista bagnata, elemento che giustificherebbe la lentezza del passo nella seconda parte di gara. Resta sicuramente, di base, la velocità che per natura la RB11 esprime con l'acqua. Inutile rimarcare quanto sia Kvyat che Ricciardo abbiano in ogni caso messo le proprie ruote in testa alla corsa, seppure per pochi frame, specialmente il russo.

Nonostante la gran confusione, a metà del primo stint le Mercedes si sono ricongiunte in testa. Ci si poteva aspettare che scappassero, ma in realtà da lì in poi il più veloce è stato Ricciardo, e non di poco.

Lo scorso anno la predominanza Mercedes era stata totale. Il concetto di “assolutezza” è quanto mai dibattuto e da taluni ripudiato, ma se un team e una macchina dominano ogni possibile scenario diventa difficile non prenderlo in considerazione. L’egemonia argento si era manifestata ovviamente anche sotto l’acqua: sia in qualifica (Australia, Malesia, Cina, Belgio), sia in gara totalmente bagnata (Suzuka).

Lo scenario di Austin era in realtà differente: se restiamo alla dittatura del 2014, la gara americana di domenica scorsa era paragonabile più da vicino al Gran Premio di Ungheria dello scorso anno. Si partiva con intermedie su pista destinata ad asciugarsi. Anche in queste condizioni la Mercedes di Rosberg (Hamilton era nelle retrovie e nel traffico) aveva staccato di una decina di secondi Bottas su Williams e soprattutto Vettel su Red Bull: la lattina non era così vicina alle Mercedes quanto a prestazioni, nemmeno sull’acqua.


Ungheria 2014: al momento dell'incidente di Ericsson, Rosberg aveva già fatto il vuoto dietro di sé.

Che cosa è successo nel frattempo? La Mercedes, pur restando la vettura numero uno anche in queste condizioni, non è più così inattaccabile. Questo ha portato anche i due piloti argentati, Hamilton in particolare, a tirare ad un ritmo alto fin da subito: le gomme intermedie si sono surriscaldate prima della concorrenza (annoso problema Mercedes, nascosto sotto il tappeto dal regime totalitario del 2014) e si sono degradate in anticipo. Nel finale di stint, prima del cambio di mescola da intermedia a slick, Ricciardo stava volando ed Hamilton era letteralmente sulle tele.


Non appena Ricciardo era riuscito a scavalcare Hamilton, ha compiuto questa progressione.

Il telaio Red Bull lo conosciamo: sporadicamente ci evidenzia conferme di essere ancora ai vertici. Singapore (condizioni asciutte ma pista estremamente guidata) aveva in qualche modo smascherato Ferrari e Mercedes, portando alla luce un vantaggio telaistico molto risicato sulla casa austriaca, enormemente amplificato dalle differenze di power unit che però a Marina Bay non si sentivano particolarmente.


Fase 2: Le intenzioni di Vettel, a priori
Vettel ha ancora una volta confermato la sua impressionante lucidità e costanza. Il migliore in gara, insieme a Verstappen. Nonostante la partenza dal tredicesimo posto, la pioggia dava speranze di un recupero più veloce verso le prime posizioni: sotto l'acqua è più facile passare e il gap dai primi sarebbe rimasto più contenuto.

Sebastian è in realtà rimasto tappato da Perez per molti giri durante il primo stint, impossibilitato a superare la Force India che più volte ha mostrato (con propulsore Mercedes e aerodinamica piuttosto scarica) di avere le più elevate velocità di punta della categoria.

Vettel, insieme alla sua squadra che avevamo criticato a Sochi, ha stavolta compiuto due mosse strategiche che, senza l'ultima Safety Car, avrebbero potuto clamorosamente (ma giustamente) portarlo alla vittoria della gara:


- Il tedesco, insieme ad Hamilton, ha scelto il giro perfetto nel quale passare dalle intermedie alle slick (soft gialle). Questo gli ha consentito di fare un grande undercut su Perez, sorpassandolo, ma anche e soprattutto sulle Red Bull e su Rosberg, rimasti tutti in pista un giro in più con le intermedie e sicuramente più lenti del ferrarista.


Ericsson è già sulle slick e stampa il miglior tempo nel secondo settore. Vettel ed Hamilton sono già nel box a montare le soft: il tempismo è perfetto.

Vettel è rientrato in quinta posizione ma con un gap ridotto rispetto alla testa della corsa: il tedesco dopo il pit stop era il più veloce in pista ad esclusione di Rosberg, che nel frattempo aveva preso il comando. Le Red Bull stavano infatti tappando Hamilton: l'asciutto ha completamente ridimensionato la competitività di Ricciardo e Kvyat.


- Quando si è fermato Ericsson in pista, con conseguente chiamata di Maylander, Vettel si è precipitato in pit lane per montare le medie. Grande stupore ha suscitato questa scelta: la pista umida era la condizione peggiore per poter optare per la mescola più dura, che sarebbe stata difficile da portare in temperatura e avrebbe scivolato parecchio. Vettel è stato maniacale nello scaldarla fino agli ultimi secondi disponibili, nei quali Rosberg stava insistentemente rallentando il gruppo prima della ripartenza. Sebastian ha scongiurato i timori di chi pensava che con la media avrebbe sofferto: ha immediatamente passato Kvyat (lungo in curva 1) e teneva dignitosamente il passo dei primi, tutti con le soft.

Non ci fossero state la seconda Virtual Safety Car e nemmeno la seconda finestra di Safety Car reale, Vettel avrebbe addirittura potuto puntare alla vittoria. Era il primo della carovana a non dover più rientrare ai box, e sarebbe andato sicuramente in testa dopo i pit stop delle Mercedes che non sarebbero probabilmente riuscite a distanziarlo di oltre 20 secondi prima dell'ultimo cambio gomme. A priori infatti la scelta di Vettel era perfetta: gli pneumatici gialli hanno dimostrato di soffrire degrado dopo svariati passaggi ed erano destinati ad essere sostituiti nuovamente. Seb avrebbe invece potuto percorrere 24 giri (meno di metà gara) con la stessa mescola, senza vistosi segnali di degrado. Quello che la Ferrari avrebbe dovuto fare a Sochi (rientrare ai box con la Safety Car) lo ha efficacemente compiuto in Texas.


Fase 3: La seconda sosta Mercedes
Poteva per un secondo passare in mente che le Mercedes sarebbero andate fino in fondo con le gomme soft montate rispettivamente al diciannovesimo (Hamilton) e al ventesimo (Rosberg) giro? Appariva quanto meno complicato. La Virtual Safety Car installata nuovamente, a seguito del parcheggio di Hulkenberg nei pressi della pista, sembrava posta ad arte per allungare la vita degli pneumatici delle W06. Le cose non sono andate esattamente così.

Rosberg era in quel momento in testa, e come tale aveva tutto il diritto di precedenza sulle strategie. Si è ovviamente fiondato ai box: sapendo che avrebbe dovuto fare questa seconda sosta, ha sfruttato il rallentamento della Virtual Safety Car per perdere meno tempo possibile nei confronti di Vettel.

Se la gara fosse stata invece liscia fino alla fine, immune da qualsiasi tipo di neutralizzazione, i due Mercedes avrebbero rischiato grosso. La situazione dei distacchi prima dell'installazione della seconda finestra di Virtual Safety Car, e quindi prima del pit di Rosberg, mostra chiaramente quanto il tedesco abbia evitato una ingente mole di traffico, sfruttando la neutralizzazione per rientrare ai box.


Con lo svolgimento regolare della gara, Rosberg sarebbe precipitato in una posizione compresa tra l'ottava e l'undicesima. Avrebbe sicuramente passato tutti con estrema facilità ma perdendo tempo prezioso, e nel frattempo Vettel avrebbe proseguito sul proprio ritmo con pista libera.

Quando richiamare invece Hamilton? Il grande errore del muretto Mercedes è stato quello di confidare nella lunghezza del periodo di neutralizzazione con Virtual Safety Car. Hamilton andava fermato in contemporanea con Rosberg: avrebbe perso un paio di secondi in coda, ma sarebbero stati ininfluenti.

Molto più deleteria si sarebbe invece rivelata la situazione nel caso in cui non fosse venuta incontro la Safety Car vera. Non sappiamo se, con ancora 14 giri da percorrere, Lewis avesse intenzione di provare ad andare fino in fondo con quel set di gomme soft montate al diciannovesimo passaggio. Al momento della chiamata in pista di Maylander, Hamilton avrebbe infatti rischiato di uscire dai box alle spalle delle McLaren o forse addirittura di Perez, senza il botto di Kvyat e conseguente Safety Car in pista.

I distacchi nel momento esatto dell'ultima chiamata della Safety Car: Hamilton è stato in realtà graziato dall'errore di Kvyat, a muro.

Con distacchi neutralizzati, non era ovviamente possibile difendersi con pneumatici ormai degradati. Hamilton si è tolto ogni dubbio, fiondandosi al box per montare soft fresche e preservare quanto meno la seconda posizione. Un po' a sorpresa si è presentato in pit lane anche Vettel per montare le soft, ma la scelta si è rivelata ancora una volta azzeccata. Sebastian non poteva impostare la gara sprint degli ultimi dieci giri con pneumatici a mescola media: rischiava perfino di non tenere neanche la posizione su Verstappen e le sue chance di battagliare con le Mercedes, disponendo delle gomme bianche, erano pari a zero. Vettel ha invece seriamente impensierito Rosberg fino alla fine per la seconda posizione.

Strategie simili sarebbero state impossibili, ad esempio, a Montecarlo. Vettel avrebbe tenuto la gomma media pur di conservare la posizione, Hamilton e Rosberg avrebbero sicuramente rischiato di andare fino in fondo con le soft degradate fino ai cerchioni. Decisioni favorite dal layout della pista, molto disponibile di occasioni di sorpasso, e che per una volta ci riconcilia con lo spettacolo abbandonando le terrificanti curve a 90 gradi dei tracciati contemporanei.

L'errore finale di Rosberg, che ha spianato la strada ad Hamilton campione, non rientra in alcuna di queste considerazioni. Rammarico per il tedesco, inesorabilmente segnato dall'astinenza di vittorie.


Critica della ragion virtual
Non è una novità quella di sparlare della Virtual Safety Car, ma a quanto pare gli unici a crederci ancora sono i dirigenti della FIA. La questione del "delta time" sembra sempre più ridicola se si vedono differenze così marcate nei tempi sul giro.

L'episodio di inizio gara è il chiaro segnale, forse definitivo, che le procedure dovranno cambiare in fretta. Dopo sei passaggi, molto confusi per i primi quattro, si erano delineati alcuni gap abbastanza chiari da essere rispettati, soprattutto quando le distanze andrebbero mantenute principalmente a vista d'occhio.

Le Mercedes e le Red Bull erano le più veloci, ma non vi era un vero e proprio pacchetto di mischia al momento della chiamata della Virtual Safety Car.

Onestamente non so quale sia questo famoso "delta time" che viene indicato ad ogni pilota. La FIA non sembrerebbe comunicare tempi di riferimento ufficiali per tutti i piloti, magari con qualche leggero margine di tolleranza in eccesso o in difetto. Le differenze di ritmo con Virtual Safety Car sembrano davvero clamorose, e ad Austin si è realmente toccato uno dei punti più bassi della moderna Formula 1.

Osservando la grafica precedente i primi quattro piloti sarebbero distanziati tra loro di almeno due secondi ciascuno, prima della neutralizzazione. Profondo imbarazzo, invece, per le scene a cui abbiamo assistito al momento della chiusura della finestra di Virtual Safety Car: Rosberg ha immediatamente attaccato e passato Ricciardo, che a sua volta si era avvicinato a Kvyat, che a sua volta si era avvicinato ad Hamilton. Perdonate l'anafora, ma rende meglio l'idea.

Tutti attaccati, quando la gara riparte, i primi quattro, con Rosberg che sorprenderà immediatamente Ricciardo. Perez nel frattempo ha perso più di due secondi da Hamilton. Button, ad esempio, ne ha guadagnati sette sui battistrada.

Avevamo già più volte parlato delle soluzioni alternative delle altre categorie. Le slow zones a Le Mans coinvolgono il solo tratto di pista interessato, e sembrano una soluzione vincente. Il limitatore di 80 km/h proposto per la GP2 ha causato qualche problema di funzionamento ma resta in ogni caso una visione più accettabile. Viene il sospetto, o forse la certezza, che la Virtual Safety Car abbia completamente fallito il proprio obiettivo: la meritocrazia. Installata per non costringere chi ha aperto un gap con la concorrenza a subire l'azzeramento del distacco, si sta tuttavia rivelando più incline ad essere uno strumento di guadagno per qualche sciacallo. Al momento sarebbe meglio insistere sulla splendida Mercedes di Maylander.


Il balletto dei motori, parte seconda
Lo stesso sottotitolo lo avevo utilizzato per gli approfondimenti generali del Gran Premio di Monza. Una situazione che ciclicamente si ripropone, e che ad Austin avevamo preventivato. Molto calda soprattutto sul versante Ferrari, chiamata ad una decisione che poteva avere pro e contro per ogni opzione possibile.

Come già sospettato nell'analisi post-Sochi, Mercedes è l'unico fornitore di power unit che terminerà la stagione rispettando la regola delle quattro unità. Il secondo posto di Vettel nella classifica piloti aveva messo in crisi le certezze dei vertici di Maranello sull'opportunità di utilizzo della quinta power unit. Autosprint aveva anticipato che Arrivabene e soci avrebbero deciso per il mantenimento della quarta unità fino ad esaurimento scorte. La realtà dei fatti ci ha invece mostrato che la Ferrari abbia optato per la decisione opposta, ed analizzando gli elementi si tratta di una presa di posizione assolutamente corretta.

- Innanzitutto, sacrificare le prestazioni con motore fresco nelle ultime gare, dove la Ferrari ha buone possibilità di cogliere almeno un'altra vittoria, non era certamente la migliore scelta. Vettel e Rosberg, seppur competitivi, non sembrano così concentrati su questa lotta alla piazza d'onore nel campionato, e il secondo posto nel Mondiale Costruttori è ormai salvo da tempo. Sarà invece interessante scoprire se la Ferrari ha ancora in canna qualche risultato di spicco, specialmente ad Abu Dhabi, che sarebbe stato impossibile con una power unit decisamente logorata.

- Un'altra argomentazione a supporto di chi sperava nel mantenimento della quarta unità ad oltranza poteva essere una prova dell'affidabilità. Spingere il motore ad un chilometraggio oltre i 4.000 km significava valutarne con precisione l'aspettativa di vita. Non era tuttavia difficile constatare che si sarebbe comunque trattato di un test di affidabilità su un motore vecchio, che a partire dal 2016 sarebbe stato rivoluzionato. Il progetto della nuova power unit è piuttosto differente, con spostamento del cambio e dell'MGU-K con il tentativo di rastremare (restringere) il retrotreno, a sentire i ben informati. Di conseguenza valutare i rischi dell'affidabilità sulla quarta power unit 2015 sarebbe stato piuttosto inutile.


Vista sul retrotreno della SF15-T.

- L'ultimo elemento che ha probabilmente convinto i vertici della Rossa alla sostituzione è sicuramente la pioggia annunciata per tutto il weekend. Sul bagnato è più facile recuperare posizioni e compiere sorpassi, ed anche partendo in una posizione oltre la decima il podio poteva essere nel mirino. Senza contare che Austin di per sé è un tracciato dove si sorpassa molto anche con l'asciutto, e che probabilmente la Ferrari avrebbe effettuato la stessa scelta anche con previsioni meteorologiche di sole e caldo.

«Spero che Alonso mi asfalti ad Austin». Tranquilli, Button non è impazzito. Il team McLaren-Honda aveva deciso di portare in gara, solo sulla vettura dello spagnolo, il nuovo progetto di propulsore giapponese molto vicino a quello del 2016. L'unità sembrerebbe essere stata già montata a Sochi ma solo nelle prove libere. Riscontri assolutamente positivi sono arrivati dai duelli con le Force India, che per tutta la stagione hanno mostrato di essere dei veri e propri proiettili sul rettilineo. A un certo punto Alonso si è preso il lusso di scavalcare Perez in curva 1, e più volte ha resistito (solo di motore) nel rettilineo posteriore, più lungo e con un'infinita zona di DRS. Anche se lo spagnolo sostiene che la nuova specifica sia solamente di un decimo di secondo al giro più rapida, i segnali sembrano incoraggianti.

Il cerchio si chiude, parlando di Renault. I francesi hanno presentato una nuova power unit che portava con sé evoluzioni di 11 gettoni (ne rimane uno soltanto). Quello che la Red Bull si aspettava da tempo, ma che ha invece accantonato per tutta la trasferta nordamericana, compreso il Messico. Oltre a problemi di affidabilità citati da Horner, pare che il nuovo motore garantisca due decimi di guadagno in prestazione. Troppo pochi: Red Bull ha fatto i suoi calcoli, decidendo di non sacrificare una partenza dalle prime file in vista di un weekend bagnato, ideale per cogliere un risultato di rilievo. Che non è comunque arrivato.



Articolo a cura di Federico Principi

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