È più veloce Gervinho in campo aperto o Dargen in Tana2000? Ha il flow più cattivo Kaos o Conte in conferenza stampa? Chi è il vero sergente di ferro tra Mihajlovic e Metal Carter? La scena rap italiana applicata alla serie A. O viceversa.
di Emanuele Mongiardo
«Conferenza stampa,
signori io mi ritiro, me ne torno nei campetti almeno lì mi divertivo».
Potrebbero essere queste le parole scelte da un qualsiasi calciatore sulla
soglia del ritiro nauseato dallo sfrenato liberismo, dalle logiche di mercato e
dalle brutture del calcio odierno. E invece no, non siamo davanti ad un
virgolettato di Javi Poves. Parole e musica, letteralmente, sono opera di Fede,
MCee torinese a cavallo del nuovo millennio. Il concetto era il medesimo,
traslato però nel sottobosco dell’hip hop italiano. Non è facile definire le
vicende della doppia acca di casa nostra, né è possibile affermare se ci sia
stata una reale crescita con l’affacciarsi sul mercato mainstream. Da
appassionato di quattro quarti e pallone ci pensavo l’altra sera, su quanto la
dicotomia Commerciale-Underground con relativi esponenti fosse assimilabile
anche alla nostra Serie A e al calcio in generale e in fin dei conti non si
tratta proprio di una sinestesia campata per aria. Qualche analogia c’è e forse
è più esplicativa di mille altri articoli che potrei scrivere su calciatori,
allenatori, schemi e squadre.
«Devi capirlo il valore di un
giocatore, tecnica e spessore fanculo il procuratore».
Mi viene in mente Icardi, capocannoniere della scorsa Serie
A ed incapace di esprimere il proprio potenziale nell’Inter di quest’anno, in
cui ognuno è chiamato a svolgere la propria mansione con una certa applicazione
difensiva; il peso dell’attacco della prima Inter di Mancini gravava sulle
spalle dell’argentino, oggi, causa manifesta superiorità tecnica, la prima
opzione offensiva si chiama Stevan Jovetic. Mi ha ricordato incredibilmente la
prestazione al mic di Bassi Maestro in “King’s Supreme”. Bassi fa parte della
storia del rap italiano, “Giorni matti” e “Foto di gruppo” danno un paio di
piste a qualsiasi piagnisteo di Mecna; tuttavia, in quella sua strofa, sembra
quasi a disagio, lui, abituato a sonorità east cost (Rakim gli ha addirittura
rubato un beat anni fa) calato su quella base così aggressiva con sfumature
dubstep. Il talento c’è, ma attiguo ad un certo contesto. Forse Maurito sarebbe
stato un gran puntero in un calcio più lento e “novecentrico” come quello di dieci
anni fa, così come Bassi dà il meglio citando Michael Douglas su un tappeto
musicale intriso di New York City.
Per la verità quello che spacca di più in questa
canzone è Ape. La citazione di “Un giorno di ordinaria follia” resta comunque
una perla.
Mentre
Maurito avrebbe più di qualche problema a lasciare l’auto sulla
strada ed andarsene come Michael Douglas.
Probabilmente perfetto per ritmi di gioco europei e per un
calcio sempre più filtrato da highlights e vines è Paul Pogba, per associazione
stilistica il Marracash della Serie A. Marra dal canto suo ha dimostrato di
possedere diverse sfaccettature, da quella più narrativa e romantica nella
toccante “Bastavano le briciole” e nell’arcinota strofa di “Brivido”, a quella
più zarra, spaccona e autocelebrativa (“King del rap”, “Fino a qui tutto
bene”), passando per quella da scrutatore della fauna urbana (“Estate in
città”, “Non confondermi”, ”Badabum Cha Cha”). Tuttavia ha anche elargito prove
abbastanza scialbe o eccessivamente modaiole (“In radio”, “Rivincita”), ma
resta in grado di sbaragliare la concorrenza con mine di respiro internazionale
come “Peso”. Anche Pogba ha dimostrato di essere un valido incursore e
rifinitore, nonché esterno difensivo aggiunto a centrocampo che ha permesso ad
Allegri di ben figurare in Champions. Nonostante un inizio di campionato
stentato, ci ha regalato perle come l’assist per Lichsteiner contro il
Moenchengladbach o ancora il lancio per Mandzukic al “City of Manchester”,
oltre ai soliti giochi di prestigio nell’uno contro uno (per la verità non
sempre riuscitissimi).
Immaginate una compilation di youtube
con le skills di Paul su questa base. Quanto spaccherebbe?!
Per gusto sperimentativo e influenza sull’ambiente
circostante, il Maurizio del calcio, Sarri, non può che essere il Maurizio del
Rap, Salmo. La scena hip hop italiana ha riconosciuto lustro solo grazie
all’impatto di un album come “The Island Chainsaw Massacre”, da lì in poi è
stata un’escalation di riconoscimenti e produzioni di qualità per il rapper
sardo, l’unico appetibile sia alle fashion victim del mainstream sia ai
talebani dell’underground, abile ad abbattere le tradizionali pareti delle
quattro discipline per aprire anche al videomaking, oltre che ad un merchandise
straordinario. Nel gigantesco fast food dell’industria musicale italiana, in
cui firmi sul contratto con il simbolo del pentacolo e se sei giovane vieni
fagocitato nel vortice dei talent show, Salmo è l’eccezione di qualità, capace
di esordire a ventisette anni suonati, passando da Olbia a Milano e di prendere
per mano l’hip hop italiano ed elevarlo a un livello superiore. Anche Maurizio
Sarri si è addentrato tardi nel calcio che conta, una vera boccata d’aria
fresca in un ambiente stantio: lui e Conte rappresentano le avanguardie della
scuola di Coverciano. In Serie A una sincronia di movimenti, specie difensivi,
e una mentalità così metodica e geometrica non si erano ancora viste. Dopo
l’esperienza in provincia si sta riconfermando in una piazza affamata come
Napoli, inebriandoci gli occhi di partite spettacolari e dall’andamento mai
triviale, in un sistema figlio del pensiero platonico e aristotelico per cui il
bene dell’individuo nasce dal benessere collettivo e dalla partecipazione.
Contemporaneamente la gente andava fuori per “Tranne
te”, un po’ come Massimo Mauro secondo cui Mancini è il miglior allenatore
della Serie A pur essendoci Maurizio Sarri.
Magari
anche Sarri fuma lo stesso pacchetto di Pall Mall blu.
Se invece Manolas fosse stato romano e si fosse dedicato
alle rime piuttosto che al calcio, avrebbe fatto parte di “Gente de Borgata”. Ce
lo vedo Kostas, appoggiato ad un murale tra i palazzi della capitale con la
t-shirt raffigurante il Ciao ed una bomba tra le dita, col suo sguardo torvo ad
ispezionare, o meglio imbruttire, il pariolino di turno. E’ il giusto mix tra
Noyz Narcos ed il Turco, estremamente aggressivi, senza particolari picchi
lirici come il vero re di Roma, Danno (o forse Totti?). Anche Manolas
interpreta il ruolo di centrale in maniera arcigna, talvolta insuperabile e
puntuale nei tackle, nonostante i piedi non siano quelli di Piqué. Chissà,
magari tra gli ospiti di “Ministero dell’inferno 2” ci sarà anche il greco.
Franco Vazquez rappresenta una categoria a sé nel campionato, è unico nel suo genere, forse universalmente l’ultimo figlio della stirpe di Riquelme, in grado di fare i preliminari col pallone, veicolando il ritmo di giocate e pensieri a proprio piacimento. Ambrosini l’anno scorso lo ha definito «il più forte “finto lento” della Serie A»: il Mudo è proprio così, con la palla tra i piedi non sembra affrettarsi a raggiungere la porta, piuttosto rievoca uno sposo che accompagna all’altare la propria amata. Anche nel microcosmo dell’Hip Hop made in Italy c’è un uomo iconoclasta e totalmente immune da qualsiasi incasellamento di genere: è un amante di Lucio Dalla, per alcuni è Corvo d’Argento, ma ai più è noto come Dargen d’Amico. In vita mia credo di aver pianto dinanzi ad una sola canzone: “Arrivi, stai scomodo e te ne vai”. Raramente è stato scritto uno storytelling tanto minuzioso e struggente, che si tratti di una bambina bisognosa d’affetto materno, di un trentenne succube di un amore non ricambiato o di un vecchio gelataio ancora follemente innamorato della propria defunta moglie: sfido ognuno di voi con un cuore ad ascoltarla e non piangere, o comunque a non prendere il telefono per dire a vostra madre o alla vostra donna quanto le vogliate bene. Dargen è quell’artista in grado di discutere di filosofia, teologia, politica ed economia in una canzone di venti minuti, o di superare la velocità della luce in “Tana2000” (Gemitaiz chi?!). Ma il suo capolavoro, per quel che mi riguarda, rimane “Salvation Army pt1”, scritta nel periodo delle Sacre Scuole (vabbè, qualcuno ascolta i Club Dogo, mica sa chi sono). Gli incastri e la metrica di quel minuto e mezzo rasentano la perfezione, un risultato inarrivabile se si considera il carattere poco malleabile della lingua di Dante. Il problema reale, se così si può definire, sia di Dargen che di Vazquez, è il loro modus operandi aristocratico, per cui non sono fruibili dai più.
«Se solo rado il suolo non di rado,
rado al suolo come domino, domino nazioni con nozioni, cognizioni, ricognizioni
aeree basse su aree vaste del Pacifico», questa serie di tunnel per me segue
questo ritmo.
Questa invece è poesia.
N. B: Giovanni Pellino aka Neffa deve il suo nome d’arte
alla somiglianza con Gustavo Neffa, centrocampista paraguayano passato per la
Juventus.
Articolo a cura di Emanuele Mongiardo
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