venerdì 20 novembre 2015

11 barre

È più veloce Gervinho in campo aperto o Dargen in Tana2000? Ha il flow più cattivo Kaos o Conte in conferenza stampa? Chi è il vero sergente di ferro tra Mihajlovic e Metal Carter? La scena rap italiana applicata alla serie A. O viceversa.

di Emanuele Mongiardo





«Conferenza stampa, signori io mi ritiro, me ne torno nei campetti almeno lì mi divertivo». Potrebbero essere queste le parole scelte da un qualsiasi calciatore sulla soglia del ritiro nauseato dallo sfrenato liberismo, dalle logiche di mercato e dalle brutture del calcio odierno. E invece no, non siamo davanti ad un virgolettato di Javi Poves. Parole e musica, letteralmente, sono opera di Fede, MCee torinese a cavallo del nuovo millennio. Il concetto era il medesimo, traslato però nel sottobosco dell’hip hop italiano. Non è facile definire le vicende della doppia acca di casa nostra, né è possibile affermare se ci sia stata una reale crescita con l’affacciarsi sul mercato mainstream. Da appassionato di quattro quarti e pallone ci pensavo l’altra sera, su quanto la dicotomia Commerciale-Underground con relativi esponenti fosse assimilabile anche alla nostra Serie A e al calcio in generale e in fin dei conti non si tratta proprio di una sinestesia campata per aria. Qualche analogia c’è e forse è più esplicativa di mille altri articoli che potrei scrivere su calciatori, allenatori, schemi e squadre.

«Devi capirlo il valore di un giocatore, tecnica e spessore fanculo il procuratore».

Mi viene in mente Icardi, capocannoniere della scorsa Serie A ed incapace di esprimere il proprio potenziale nell’Inter di quest’anno, in cui ognuno è chiamato a svolgere la propria mansione con una certa applicazione difensiva; il peso dell’attacco della prima Inter di Mancini gravava sulle spalle dell’argentino, oggi, causa manifesta superiorità tecnica, la prima opzione offensiva si chiama Stevan Jovetic. Mi ha ricordato incredibilmente la prestazione al mic di Bassi Maestro in “King’s Supreme”. Bassi fa parte della storia del rap italiano, “Giorni matti” e “Foto di gruppo” danno un paio di piste a qualsiasi piagnisteo di Mecna; tuttavia, in quella sua strofa, sembra quasi a disagio, lui, abituato a sonorità east cost (Rakim gli ha addirittura rubato un beat anni fa) calato su quella base così aggressiva con sfumature dubstep. Il talento c’è, ma attiguo ad un certo contesto. Forse Maurito sarebbe stato un gran puntero in un calcio più lento e “novecentrico” come quello di dieci anni fa, così come Bassi dà il meglio citando Michael Douglas su un tappeto musicale intriso di New York City.

Per la verità quello che spacca di più in questa canzone è Ape. La citazione di “Un giorno di ordinaria follia” resta comunque una perla.

 Mentre Maurito avrebbe più di qualche problema a lasciare l’auto sulla strada ed andarsene come Michael Douglas.

Probabilmente perfetto per ritmi di gioco europei e per un calcio sempre più filtrato da highlights e vines è Paul Pogba, per associazione stilistica il Marracash della Serie A. Marra dal canto suo ha dimostrato di possedere diverse sfaccettature, da quella più narrativa e romantica nella toccante “Bastavano le briciole” e nell’arcinota strofa di “Brivido”, a quella più zarra, spaccona e autocelebrativa (“King del rap”, “Fino a qui tutto bene”), passando per quella da scrutatore della fauna urbana (“Estate in città”, “Non confondermi”, ”Badabum Cha Cha”). Tuttavia ha anche elargito prove abbastanza scialbe o eccessivamente modaiole (“In radio”, “Rivincita”), ma resta in grado di sbaragliare la concorrenza con mine di respiro internazionale come “Peso”. Anche Pogba ha dimostrato di essere un valido incursore e rifinitore, nonché esterno difensivo aggiunto a centrocampo che ha permesso ad Allegri di ben figurare in Champions. Nonostante un inizio di campionato stentato, ci ha regalato perle come l’assist per Lichsteiner contro il Moenchengladbach o ancora il lancio per Mandzukic al “City of Manchester”, oltre ai soliti giochi di prestigio nell’uno contro uno (per la verità non sempre riuscitissimi).

Immaginate una compilation di youtube con le skills di Paul su questa base. Quanto spaccherebbe?!


«Sto così tanto nell’Audi che è come se l’Audi oramai sia il mio ufficio».

Per gusto sperimentativo e influenza sull’ambiente circostante, il Maurizio del calcio, Sarri, non può che essere il Maurizio del Rap, Salmo. La scena hip hop italiana ha riconosciuto lustro solo grazie all’impatto di un album come “The Island Chainsaw Massacre”, da lì in poi è stata un’escalation di riconoscimenti e produzioni di qualità per il rapper sardo, l’unico appetibile sia alle fashion victim del mainstream sia ai talebani dell’underground, abile ad abbattere le tradizionali pareti delle quattro discipline per aprire anche al videomaking, oltre che ad un merchandise straordinario. Nel gigantesco fast food dell’industria musicale italiana, in cui firmi sul contratto con il simbolo del pentacolo e se sei giovane vieni fagocitato nel vortice dei talent show, Salmo è l’eccezione di qualità, capace di esordire a ventisette anni suonati, passando da Olbia a Milano e di prendere per mano l’hip hop italiano ed elevarlo a un livello superiore. Anche Maurizio Sarri si è addentrato tardi nel calcio che conta, una vera boccata d’aria fresca in un ambiente stantio: lui e Conte rappresentano le avanguardie della scuola di Coverciano. In Serie A una sincronia di movimenti, specie difensivi, e una mentalità così metodica e geometrica non si erano ancora viste. Dopo l’esperienza in provincia si sta riconfermando in una piazza affamata come Napoli, inebriandoci gli occhi di partite spettacolari e dall’andamento mai triviale, in un sistema figlio del pensiero platonico e aristotelico per cui il bene dell’individuo nasce dal benessere collettivo e dalla partecipazione.

Contemporaneamente la gente andava fuori per “Tranne te”, un po’ come Massimo Mauro secondo cui Mancini è il miglior allenatore della Serie A pur essendoci Maurizio Sarri.

 Magari anche Sarri fuma lo stesso pacchetto di Pall Mall blu.

Se invece Manolas fosse stato romano e si fosse dedicato alle rime piuttosto che al calcio, avrebbe fatto parte di “Gente de Borgata”. Ce lo vedo Kostas, appoggiato ad un murale tra i palazzi della capitale con la t-shirt raffigurante il Ciao ed una bomba tra le dita, col suo sguardo torvo ad ispezionare, o meglio imbruttire, il pariolino di turno. E’ il giusto mix tra Noyz Narcos ed il Turco, estremamente aggressivi, senza particolari picchi lirici come il vero re di Roma, Danno (o forse Totti?). Anche Manolas interpreta il ruolo di centrale in maniera arcigna, talvolta insuperabile e puntuale nei tackle, nonostante i piedi non siano quelli di Piqué. Chissà, magari tra gli ospiti di “Ministero dell’inferno 2” ci sarà anche il greco.

«Piacere sono Kostas questo è sano rap romano».


«Che c’hai zzì? Cerchi scazzi?».

Franco Vazquez rappresenta una categoria a sé nel campionato, è unico nel suo genere, forse universalmente l’ultimo figlio della stirpe di Riquelme, in grado di fare i preliminari col pallone, veicolando il ritmo di giocate e pensieri a proprio piacimento. Ambrosini l’anno scorso lo ha definito «il più forte “finto lento” della Serie A»: il Mudo è proprio così, con la palla tra i piedi non sembra affrettarsi a raggiungere la porta, piuttosto rievoca uno sposo che accompagna all’altare la propria amata. Anche nel microcosmo dell’Hip Hop made in Italy c’è un uomo iconoclasta e totalmente immune da qualsiasi incasellamento di genere: è un amante di Lucio Dalla, per alcuni è Corvo d’Argento, ma ai più è noto come Dargen d’Amico. In vita mia credo di aver pianto dinanzi ad una sola canzone: “Arrivi, stai scomodo e te ne vai”. Raramente è stato scritto uno storytelling tanto minuzioso e struggente, che si tratti di una bambina bisognosa d’affetto materno, di un trentenne succube di un amore non ricambiato o di un vecchio gelataio ancora follemente innamorato della propria defunta moglie: sfido ognuno di voi con un cuore ad ascoltarla e non piangere, o comunque a non prendere il telefono per dire a vostra madre o alla vostra donna quanto le vogliate bene. Dargen è quell’artista in grado di discutere di filosofia, teologia, politica ed economia in una canzone di venti minuti, o di superare la velocità della luce in “Tana2000” (Gemitaiz chi?!). Ma il suo capolavoro, per quel che mi riguarda, rimane “Salvation Army pt1”, scritta nel periodo delle Sacre Scuole (vabbè, qualcuno ascolta i Club Dogo, mica sa chi sono). Gli incastri e la metrica di quel minuto e mezzo rasentano la perfezione, un risultato inarrivabile se si considera il carattere poco malleabile della lingua di Dante. Il problema reale, se così si può definire, sia di Dargen che di Vazquez, è il loro modus operandi aristocratico, per cui non sono fruibili dai più.

«Se solo rado il suolo non di rado, rado al suolo come domino, domino nazioni con nozioni, cognizioni, ricognizioni aeree basse su aree vaste del Pacifico», questa serie di tunnel per me segue questo ritmo.

Questa invece è poesia.


N. B: Giovanni Pellino aka Neffa deve il suo nome d’arte alla somiglianza con Gustavo Neffa, centrocampista paraguayano passato per la Juventus.


Articolo a cura di Emanuele Mongiardo





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