venerdì 16 giugno 2017

Assistere alla storia

Qualche considerazione sulla serie finale tra Warriors e Cavs.

di Michele Serra (
@ElTrenza93)






Le Finali NBA 2017 tra Cavs e Warriors dovevano servire per consolare gli appassionati del Gioco rimasti delusi da questi playoff, senza molte partite davvero divertenti e, soprattutto, nessuna sorpresa: si può dire che siano riuscite nel loro intento. Il risultato finale di 4-1 da parte di Golden State, che vince il suo secondo titolo in tre stagioni, dopo la cocente delusione dello scorso anno, racconta solo in parte il film di queste Finals. Il livello del basket giocato è stato davvero alto, il migliore che la NBA attuale potesse offrire, e a giocarsi l’anello sono state le due squadre che ci si attendeva ad inizio stagione, quando non si aspettava altro che di capire chi sarebbe uscita vincitrice dal terzo capitolo di questa saga che, ancora una volta, non ha deluso le aspettative.

Un inizio traumatico
Le prime due gare della serie sono state un bagno di sangue per i Cavs, che hanno sbattuto la faccia contro Golden State come se non avessero nemmeno avuto modo di studiare i loro avversari. Benché si potesse, a buon diritto, pensare il contrario, i Cavs hanno deciso di giocare allo stesso gioco dei californiani, cercando di correre e di attaccare a ritmo alto, colpendo con le transizioni offensive. 

Quello che però contraddistingue i Warriors dalle altre squadre è il saper giocare a ritmo alto (quasi 103 di pace nei playoff, secondi solo ai Blazers), senza perdere troppi palloni (13.6 palle perse nei playoff: 11esimi, ma imparagonabili a squadre come Utah, Memphis e Milwaukee che giocano a ritmi molto più lenti). Da questo punto di vista, gara 1 è stato un massacro, con i Cavs che commesso ben 20 turnover a fronte dei 4 (record all-time in una gara di finale) di Golden State. I palloni persi da Cleveland hanno fruttato agli avversari ben 21 punti, arrivati anche a causa di una difesa Cavs tragica in transizione (la squadra di Lue è quarta nei playoff per punti subiti da questa situazione di gioco, e prima per punti totali concessi). Quello che si è visto è la totale mancanza di comunicazione tra i giocatori, una mancanza di urgenza, in un certo senso (colmata, sì, con l’avanzare della serie, ma mai sparita del tutto), e, soprattutto, il terrore a concedere un centimetro di spazio ai tiratori Warriors.


Questo è il caso più lampante, ma ce ne sono anche altri, soprattutto nelle prime due gare. Durant cattura il rimbalzo difensivo, Supera la metà campo e davanti si trova Irving che fa segno a LeBron di rimanere su Curry, salvo poi finire anch’egli per spostarsi, forse per raddoppiare Curry, forse perchè temeva ci fosse qualcun altro tiratore appostato, o forse non sa nemmeno lui il perchè: fatto sta che viene concessa un’autostrada per il canestro a KD. Cose come questa si sono viste sempre più raramente, non fosse altro perchè Cleveland ha tagliato il numero di palle perse, che invece è salito tra i giocatori di Golden State, che a volte ha il difetto di piacersi troppo e di tentare giocate ad effetto quando non ce ne sarebbe il bisogno. In gara 2, i Cavs hanno sfruttato alla grande le palle perse di Golden State - 20 - fino a che sono rimasti in partita. Di queste 20, però, solo 7 sono arrivate nel secondo tempo, quando i Warriors hanno preso il largo.

In gara 1 abbiamo assistito ad un vero e proprio show difensivo di Klay Thompson e Draymond Green che, pur avendo combinato un tragico 6-28 dal campo, hanno giocato una magistrale partita difensiva. Thompson ha concesso un solo canestro - su 12 tentativi - ai giocatori che si è trovato a marcare. Nonostante il rendimento sotto la media messo in mostra nei playoff, Thompson attira sempre le attenzioni delle difese con i suoi movimenti senza palla: stiamo parlando pur sempre di uno dei migliori tiratori NBA, che ha finito la serie con il 42.5% da 3. Qui un esempio di quanto appena detto:


sul taglio del numero 11, LeBron e JR Smith non comunicano, non sarà l’ultima volta, e si mettono sulle sue tracce, lasciando però Durant indisturbato a ricevere e a tirare, per un gioco da quattro punti.

Green, invece, ha messo in mostra le sue qualità da safety NFL gravitando al centro dell’area e spostandosi, con velocità e abilità nelle letture, nel punto in cui si muoveva il pallone.


Qui l’ex Michgan State è fermo in mezzo all’area in attesa dell’entrata di LeBron. L’aiuto di Green sulla penetrazione sconsiglia a James di attaccare il ferro, preferendo scaricare sul perimetro, dove però c’è appostato Thompson, che recupera il pallone e fa ripartire il contropiede, finito senza alcun disturbo della difesa. In gara 1, Green si è permesso più volte di lasciare anche il proprio marcatore designato, molto spesso Love, per pattugliare l’area. Se la difesa di Green è stata all’altezza del giocatore, lo stesso non si può dire dell’apporto offensivo, che si è rivelato spesso un punto a favore per gli avversari. Cleveland non ha mai rispettato il tiro di Dray, che lo ha mandato a bersaglio nella serie con un misero 28% (7-25), e solo il 30% nelle triple non contestate (esattamente 4 a partita). Il numero 23 dei Dubs ha dato l’impressione di essere anche molto nervoso; ha commesso 4.4 falli a partita rimanendo in campo per 35 minuti di media, e limitando allo stesso tempo la presenza in campo della Super Death Lineup, cioè il quintetto senza centri dei Warriors. Questo anche per i problemi al tiro di un altro Warrior, cioè Iguodala, che, con alle spalle anche un problema fisico patito contro gli Spurs in finale di Conference, ha mandato a bersaglio il tiro da 3 con il 33% (su 3 tentativi a partita), pur mettendo in mostra la solita, eccellente difesa su LeBron, che marcava per esonerare Durant da compiti difensivi quando in campo assieme, ma anche su Kyrie.

MVP 
Ad uccidere le velleità di vittoria dei Cavs in gara 2 è stato Kevin Durant, schierato in un’inedita posizione di centro (ruolo che in stagione aveva coperto solo per 8 minuti). L’MVP delle Finali ha la stazza per poter giocare da 5; ma se in stagione regolare si preferisce evitargli il logorio fisico che battagliare contro uomini di 130 chili comporta, in Finale, vuoi per la frequente mancanza di centri in campo, Kerr ha deciso di dargli una chance, con risultati eccellenti. Durant ha finito la serie con 35.2 punti, 8.2 rimbalzi, 5.4 assist con il 64% di effective field goal (la statistica che tiene conto del maggior valore del tiro da tre punti), finendo per essere anche il quarto giocatore di sempre a segnare almeno 30 punti nelle prime cinque gare di una Finale (dopo Elgin Baylor, Rick Barry, Jordan e Shaq). Cleveland gli ha alternato tre giocatori in marcatura. LeBron se n’è preso carico in tutta gara 1, mentre nelle successive uscite si è deciso di dargli un po’ di riposo delegando la marcatura anche a Shumpert e Richard Jefferson. L’ex Knicks ha atletismo e fisico, ma rende all’avversario quasi 15 cm, e in attacco è stato tragico, costantemente ignorato dalla difesa (che infatti metteva Curry sulle sue tracce). Jefferson, invece, merita due parole più avanti.

Quando si vede KD giocare, l’occhio si sofferma chiaramente sulla bellezza del suo gioco offensivo, così naturale ed efficace. Ma la verità è che l’ex OKC è anche un eccellente difensore in grado di marcare praticamente tutti e 5 i ruoli, accompagnando gli esterni al ferro, curandosi del miglior giocatore avversario o fungendo da rim protector con le sue lunghissime braccia. Ecco un paio di esempi da gara 2.


Qui Cleveland cerca il mismatch con Curry su un p&r, cosa che ha fatto durante tutto l’arco della serie (ed anche nelle scorse Finals). McGee è costretto a passare su LeBron lasciando il proprio marcatore, Frye, che taglia a canestro, dove però trova Durant, che lo stoppa e guadagna il possesso del pallone.


In quest’altro caso, invece, stoppa Love in un 1-contro-1 spalle a canestro, si catapulta in attacco, dove supera James in palleggio e conclude con un circus shot nonostante la difesa di Love e il ritorno di James. Per l’impatto avuto su entrambe le metà campo e l’efficienza del suo gioco, Durant è, meritatamente, l’MVP delle Finals 2017.

Senza voler nulla togliere a Curry, però, che ha giocato una serie strepitosa, dopo quella, sottotono, dello scorso anno. Steph, finalmente sano dopo i guai al ginocchio dello scorso anno, ha giocato playoff e Finali strepitose, terminando queste ultime con medie di quasi 27 punti, 8 rimbalzi e 9.4 assist, steccando solo una gara, la quarta, guarda caso persa da Golden State. I Cavs sono “storicamente” una squadra contro cui il due volte MVP faticava parecchio, per via dell’incredibile dispendio fisico su entrambi i lati del campo. In attacco, i difensori avversari hanno cercato in tutti i modi di rendergli difficile ogni singola ricezione mettendogli le mani addosso e raddoppiandolo sui p&r alti (mossa, questa, che si è vista meno rispetto allo scorso anno, e comunque soprattutto nell’ultimo capitolo della serie, quando Golden State ha deciso di affidarsi soprattutto alle capacità di Steph di giocarlo). Anche in difesa è stato inserito in qualsiasi pick and roll, sia che a portare palla fosse Kyrie o LeBron, per cercare di creare mismatch favorevoli. Solo la presenza di Durant, di questo Durant, gli ha tolto un premio di MVP che avrebbe certamente meritato. Chi aveva sminuito lui e il suo gioco dopo gli scorsi playoff, dovrebbe avere avuto svariati argomenti per rivedere la propria tesi (che comunque era errata di partenza, chiariamo).

Troppo tardi
Dopo la vittoria in gara 4, sul web si è tornato a scherzare sul famigerato “Warriors blew a 3-1 lead”, ignorando il fatto che questa volta il vantaggio era arrivato fino al 3-0, che mai nessuna squadra è stata capace di rimontare un deficit simile in Finale NBA e che sì, questi Warriors sono decisamente più forti di quelli dello scorso anno, con KD e Steph sano.

Va dato merito alla squadra di Lue di essersela giocata a viso aperto, di aver tenuto la serie competitiva più di quanto dica il risultato e di aver fatto aggiustamenti per raddrizzarla dopo le prime due, disastrose uscite. Come era ampiamente prevedibile, la difesa di Cleveland ha faticato terribilmente, soprattutto lontano dalla palla e nella comunicazione dei blocchi e dei cambi da effettuare. Cose come quelle di gara 1, che abbiamo visto sopra, non sono più capitate (o comunque in maniera molto più sporadica), ma le amnesie difensive non sono mai mancate. I Warriors hanno ripagato Cleveland della stessa moneta, individuando Kevin Love come anello debole della loro difesa, attaccandolo ripetutamente. L’ex Minnesota ha avuto un atteggiamento troppo passivo, in alcuni casi, rimanendo troppo basso (come a difendere l’area da una penetrazione) e lasciando spazio al tiratore. In altri casi, si decideva per non intrappolare Curry sul p&r, lasciando il numero 30 faccia a faccia con Love, che veniva sistematicamente portato al ferro per un canestro facile.


Qui un esempio di mancanza di comunicazione, con Love e Shumpert protagonisti. I due Cavs raddoppiano Durant su un pick and roll dimenticandosi completamente Green: nessuno dei loro compagni ruota in mezzo all’area e il 23 schiaccia comodamente. Come detto, questi episodi si sono verificati varie volte, nella serie, a maggior ragione quando non c’era James sul terreno di gioco. LeBron ha avuto, com’era prevedibile, un minutaggio altissimo, e ogni qual volta si prendeva un minuto di pausa, Cleveland era totalmente incapace di tener testa ai Dubs. Con il Prescelto in panchina, Cleveland ha avuto un net rating di -13.8, nettamente il peggiore di squadra. Richard Jefferson, che lo generalmente prendeva il sui posto, è totalmente incapace di prendersi un tiro da solo, e in generale ha faticato terribilmente a trovare il canestro: tutti i suo tiri sono stati open o wide open secondo i criteri di NBA.com, e di questi ultimi non ne ha mandato a bersaglio neppure uno (su 0.8 tentativi a partita). Al contrario, l’ex università di Arizona si è ritagliato un ruolo come passatore sui pick and roll, in cui è stato particolarmente coinvolto sopratutto in gara 4, quando marcato da JaVale McGee (altro giocatore spesso inserito su pick and roll per la sua incapacità a tenere le penetrazioni uno-contro-uno).


Quando gli è stato chiesto quando avesse sviluppato questa caratteristica del suo gioco, Jefferson è stato molto onesto, rispondendo “in realtà ho iniziato a farlo solo da un paio di giorni”.

Avere LeBron in forma è l’unico modo che hanno i Cavs di giocarsela davvero, e non è un caso che, nei secondi tempi delle prime tre gare, il 23 abbia tirato meno o peggio rispetto al primo tempo, magari tentando maggiormente il tiro da fuori anziché andare a canestro per punti più facili, sperando di riempire di falli i giocatori di Golden State. In gara 3 LeBron e Kyrie si sono accesi per 78 punti combinati, mentre Love ha chiuso con soli 9 punti e un -11 di plus/minus. Peccato che il minutaggio dei due (45 e 44 minuti, rispettivamente) li abbia fatti arrivare in apnea a fine partita. Negli ultimi tre minuti, complice una buona difesa dei Warriors, i Cavs hanno subito un parziale di 11-0, tra distrazioni e semplice bravura degli avversari, condensata nel canestro del sorpasso da parte di Durant in faccia a James. Per Cleveland ci sono stati 16 punti di JR Smith, che ha cominciato le Finali con due partite di ritardo. Nelle ultime tre gare ha tirato 17/27 da 3 (63%) contro il 25% delle prime due (1/4). Love, come detto, ha chiuso con soli nove punti ma anche 13 rimbalzi e 6 palle rubate. La serie di Love è stata in chiaroscuro. Offensivamente, non è mai riuscito a mettere insieme due partite buone consecutive (in gara 5 ha giocato poco per problemi di falli, in una partita in cui gli arbitri non facevano passare il minimo contatto). In difesa, i suoi difetti nella marcatura del pick and roll sono stati spesso esposti, ma ha avuto modo di rendersi utile in altri modi. Coi rimbalzi, ad esempio, uno dei suoi punti di forza. La sua rebounding% è la più alta tra i Cavs (18.9), e dei suoi 10.4 rimbalzi di media, il 32% è contestato. Ha anche fatto registrare 2.8 deviazioni e 2.4 palle vaganti catturate a partita, mostrando voglia di lottare su ogni pallone.

Chi invece ha deluso parecchio è stato senza dubbio Tristan Thompson, vero e proprio fattore X nella vittoria dell’anello lo scorso anno, fantasma in questa serie, perlomeno nelle prime tre gare. Bisogna dire che Pachulia, nei minuti in cui è rimasto in campo, ha svolto un ottimo lavoro contro di lui nel tagliafuori, ma non si può spiegare solo con questo il rendimento insufficiente del lungo canadese. Thompson (che ha fatto registrare nemmeno 6 rimbalzi di media a partita) è entrato nella serie nelle ultime due gare, dando ai Cavs possessi extra con la sua presenza a rimbalzo offensivo e anche una inaspettata mano come scorer (15 punti in gara 5): pochissime volte abbiamo visto TT attaccare il tabellone con questa aggressività, regalando nuove opportunità offensive ai suoi.


Ultimo, ma non meno importante, Kyrie Irving. L’ex Duke ha subito per tutta la serie l’eccellente difesa di Klay Thompson, a cui a preso le misure dopo averlo sofferto particolarmente nelle prime due gare, segnando 38, 40 e 26 punti nelle ultime tre partite della serie in tutti i modi possibili: in acrobazia al ferro, dal mid-range e anche da 3 (ma solo 2-13 in gara 2 e 3, per una percentuale complessiva nella serie del 42%).


Difficile rimproverare qualcosa ai Cavs. Certo, gli errori difensivi ci sono stati, e anche parecchi, come si era già notato nelle altre serie playoff della Eastern Conference. Se LeBron è il giocatore più forte del mondo, Durant ha giocato esattamente al suo livello, e la potenza di fuoco dell’attacco di Golden State non ha lasciato a Cleveland la possibilità di giocarsela  (con armi che, peraltro, né i Cavs né nessun altra squadra attualmente in NBA possono dire di avere). Difficile prevedere se i Warriors domineranno la Lega senza possibilità di appello nei prossimi 4-5 anni - in fondo pensiamo a quanto i campioni 2016 siano andati vicini a pareggiare la serie, non fosse stato per gli ultimi tre minuti di gara 3.

Di sicuro, le altre 29 squadre dovranno escogitare qualcosa di nuovo e finora imprevedibile, o affidarsi unicamente alla fortuna. 



Articolo a cura di Michele Serra

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