di Michele Serra
1) Chi può spezzare l'egemonia dei Pats in AFC?
Si scrive “New England” si legge “consistency”. I Pats hanno vinto
12 partite nelle ultime quattro stagioni consecutive, nelle quali sono sempre
arrivati almeno alle Finali di Conference, dove si sono trovati davanti due
volte Denver, Baltimore e Indianapolis. Posto che Baltimore, infortuni permettendo,
può giocarsi al massimo un posto ai playoff e che di Indy parliamo più sotto,
le indiziate non sono molte. Denver, in quanto campione, rientra di diritto
nella categoria. Certo, l’incognita del QB non è cosa da poco, ma ormai anche
il rendimento di Manning lo scorso anno era appena al di sopra della
sufficienza, e Osweiler, per quanto abbia fatto vedere discrete cose, è lontano
dall’essere una certezza. Trevor Siemian è stato a sorpresa nominato titolare
dopo una stagione da rookie passata a apprendere il playbook e finita con un
cammeo in week 15 contro gli Steelers, che gli è valso un “-1” alla voce “yard
corse”. La scommessa è bella grossa, nonostante un camp più che positivo:
dietro di lui il rookie Paxton Lynch, che si suppone essere la scelta a lungo
termine della franchigia, e il veterano Mark Sanchez.
Quel che mantiene i
Broncos in vetta però è la difesa, che ha perso un paio di uomini importanti
come il DE Malik Jackson e il LB Danny Trevathan. Per quanto riguarda la
pressione difensiva, la linea dovrebbe essere ampiamente attrezzata a non far
rimpiangere il partente Jackson - coi vari Derek Wolfe, reduce da una breakout
season e Shane Ray, prima scelta di Denver al draft 2015, a fare un passo
in avanti e il rinnovo di Von Miller - mentre potrebbero mancare alternative al
posto di Trevathan, che offriva ottime doti in coverage. Il DC Wade Phillips,
comunque, è una garanzia e la difesa di Denver sarà ancora al top. Intrigano
molto gli Steelers, soprattuto grazie ad un attacco che, nonostante sia stato
privato per gran parte della scorsa stagione dei propri pezzi migliori, ha
raggiunto alti livelli di efficienza (settimi nella Lega in DVOA), pur senza i
vari Bell, Pouncey e soprattutto Roethlisberger. La notizia della sospensione
annuale di Bryant prima e quella (per quattro partite) di Bell, poi, ci fanno
pensare se e quando vedremo l’attacco di Pittsburgh al completo. Il reparto
guidato da Todd Haley ha trovato in DeAngelo Williams un protagonista inatteso,
che ha rivitalizzato la propria carriera nonostante l’età non florida (33
anni), mentre la linea d’attacco, sorprendentemente positiva, riaccoglie il
proprio centro Pouncey all’interno di un reparto senza grossi nomi ma molto
solido (DeCastro si sta rivelando un’ottima guardia, Marcus Gilbert ha stabilizzato
la posizione di RT mentre Alejandro Villanueva, con un passato da soldato
nell’esercito, dopo un inizio comprensibilmente non facile, ha fornito un buon
contributo nel ruolo più difficile della o-line, il left tackle sostituendo
l’infortunato Kelvin Beachum, ora ai Jaguars).
Anche la difesa, da sempre reparto foriero di successi e
soddisfazioni per gli Steelers si sta reinventando aggiungendo gioventù, anche
se c’è ancora ampio spazio per miglioramenti (30esimi in DVOA). Dietro ai
veterani Hayward-Timmons-Harrison si stanno formando giovani di belle speranze,
da Ryan Shazier, molto valido soprattutto in coverage e buon tackler, a Bud
Dupree, sperando che Jarvis Jones inizi finalmente a mantenere le aspettative
che lo hanno reso una scelta da primo giro tre anni fa: dopo 5 sack in tre
stagioni, e in contract year, dovrà fare necessariamente un passo in avanti per
meritarsi la riconferma. Nonostante i 21 intercetti, la secondaria è ancora un
abbondante work in progress (26esimi in DVOA contro i ricevitori numeri uno
avversari): anche qui il movimento di rinnovamento è iniziato con le scelte di
Senquez Golson - al draft 2015 - e di Artie Burns e Sean Davis quest’anno.
Considerando quanto Pittsburgh fatichi ad attaccare i QB avversari (24esimi per
percentuale di pressione portata), avere una secondaria affidabile è
importante. Storicamente gli Steelers non concedono grande spazio ai giocatori
con poca esperienza, ma se vogliono tornare ai fasti che competono loro, devono
iniziare a fidarsi dei propri giovani.
Altre squadre con realistiche possibilità di mettere in difficoltà
Pats e Broncos sono Cincinnati, che dopo l’ennesima delusione ai playoff deve
ripartire dall’eccellente rendimento mostrato da Andy Dalton lo scorso anno, e
Kansas City, squadra ben poco spettacolare ma molto efficiente su entrambi i
lati del campo, con un attacco molto basilare ma stabilmente nella metà alta
della NFL e una difesa completa, sia nel front seven (ma occhio all’età di
Derrick Johnson e Tamba Hali e ai problemi fisici di Justin Houston) quanto
nella secondaria, con il ritrovato Eric Berry ed una delle future stelle del
ruolo, il CB Marcus Peters.
2) Chi può crollare dallo scorso anno e chi può fare un passo in avanti?
Le due squadre di New York, dopo aver passato una stagione 2015 agli
antipodi (benché entrambe fuori dai playoff), potrebbero ripetersi anche
quest’anno, a ranghi invertiti, però.
I Giants, che hanno concluso la stagione
con sole 6 vittorie, si sono separati dopo 12 anni da Tom Coughlin, rimpiazzato
con un uomo di casa, Ben McAdoo, OC dei blu nelle ultime due stagioni. L’uomo
che catalizza tutte le attenzioni della squadra è chiaramente OBJ, ma per
tornare al top i Giants hanno puntato su un restyling della difesa, aggiungendo
più qualità nel front seven, che lo scorso anno ha prodotto solo 23 sack (terza
peggior percentuale di adjusted sack rate nella Lega per Football
Outsiders). Dal draft è arrivato Owa Odighizua, specimen atletico anche se
ancora acerbo, mentre dalla free agency Damon Harrison, eccellente run stopper
prelevato dai Jets, e una delle più grandi acquisizioni del mercato in Olivier
Vernon (85 milioni in 5 anni di contratto): l’ex Dolphins è stato autore di 7.5
sack lo scorso anno, ma soprattutto 81 pressioni, secondo tra i DE da 4-3 dietro
solo Michael Bennett. In più, si spera che il recupero di Jason Pierre-Paul
dopo l’incidente alla mano restituisca, almeno in parte, uno dei protagonisti
dell’ultimo titolo vinto dai Giants. La secondaria ha visto l’ingresso di
Janoris Jenkins a fianco dell’affidabile Rodgers-Cromartie. Jenkins, arrivato
dai Rams con un cospicuo contratto da 62 milioni in 5 anni è un “gambler” uno
che va per l’intercetto più che per tenere l’avversario diretto fuori dalla
partita, e finora aveva beneficiato dell’eccellente pass rush dei Rams per
vedere ridotti i suoi compiti. Ecco perché la creazione di un front seven
dominante è necessaria per le fortune dei Giants. Tornando all’attacco, occhio
al rookie Sterling Shepard, che potrebbe prendere il posto di Victor Cruz, quasi
inattivo nelle ultime due stagioni causa infortuni, dall’altro lato di Beckham,
beneficiando delle attenzioni che le difese avversarie concederanno al numero
13.
Altre squadre destinate a salire potrebbero essere Tampa Bay e
soprattuto Dallas. I Bucs sono da 2-3 anni una delle scelte più popolari tra le
possibili rivelazioni, salvo poi deludere: molto dipenderà dai miglioramenti di
Winston, che ha avuto alti e bassi nella sua stagione da rookie. Dallas riparte
dalla o-line e da Ezekiel Elliott, scelto - in maniera abbastanza impopolare -
come quarto assoluto allo scorso draft per rivitalizzare l’attacco. Se la linea
d’attacco ha saputo creare occasioni per Darren McFadden, con Elliott i
risultati dovrebbero/potrebbero essere anche migliori. Servirà un attacco molto
ben bilanciato, e che Romo rimanga sano, per non mettere a nudo tutte le
difficoltà di una difesa che vedrà molti giocatori (Randy Gregory, Demarcus
Lawrence e Rolando McClain) sospesi: i primi due per quattro partite, l’ex
Raiders addirittura per 10.
Percorso inverso potrebbero intraprenderlo i Jets. Lo scorso anno
hanno sorpreso tutti vincendo ben sette partite in più della stagione
precedente sull’onda di un Ryan Fitzpatrick mai così efficiente. Chan Gailey,
OC ed ex coach di Fitz a Buffalo, ha implementato un sistema basato sulla
spread offense, con tre ricevitori larghi e, spesso e volentieri, anche il RB
allineato sulla linea dei WR. Tutto questo per avere un’idea più chiara delle
marcature e permettere a Fitzpatrick di identificarle meglio pre-snap. Il
rinnovo del contratto dell’ex Bills e Texans era vitale per New York, viste le
terribili alternative a roster (devono quindi pregare che la salute regga,
altrimenti sarà Geno-Time), ma c’è da dire che la dirigenza ha scommesso a piene
mani su di lui, sempre stato un onesto mestierante mai mai un giocatore in
grado di far fare il salto di qualità ad un attacco (in carriera, il record di
10-6 è stato il più alto mai raggiunto, e per giunta il suo unico sopra il
50%). Lo aiuterà l’acquisizione di Matt Forte, che può rivelarsi molto utile
nello schema dei Jets viste le sue grandi doti come ricevitore (cosa che non si
può dire di Chris Ivory, ora ai Jaguars) e un’ottima difesa.
A proposito di
difesa, lo scorso anno il reparto ha concesso solo 5 primi down ad attacchi con
due RB in campo contemporaneamente, situazione in cui i Jets hanno ottenuto un
totale -64% in DVOA dal 2007, i migliori nella NFL durante questo lasso di
tempo, con abbondante margine. Visto anche il quinto calendario più difficile
della Lega, servirà una difesa altrettanto pronta e un Fitzpatrick continuo nel
rendimento per costruire dall’ottimo risultato dello scorso anno.
Occhio anche ad Atlanta, che con il calendario più semplice della
NFL non è andata oltre un 8-8 di record (con 8 sconfitte nelle ultime 9 gare),
mentre quest’anno sarà titolare della schedule più complicata. Da aspettarsi
anche un calo fisiologico, seppur non certo netto, da parte dei Panthers.
3) Chi possono essere i Panthers di quest'anno?
I Cardinals paiono essere la scelta più ovvia, specie alla luce
della scorsa stagione - seppur finita male proprio per colpa di Carolina - ma
se c’è una squadra che potrebbe fare il salto di qualità più evidente,
perlomeno in NFC, quella è Minnesota.
Nel 2014 Newton era reduce dal peggior
anno della sua pur breve carriera, per yard lanciate, passaggi da TD e QBR,
salvo fare passi da gigante nella gestione dell’attacco e dell’accuratezza:
certamente è stato aiutato da un'eccellente difesa, ma allo stesso tempo
penalizzato da una linea offensiva che, per quanto rivelatasi più efficiente
del previsto, rimane sospetta e senza il suo primo ricevitore, quel Kelvin
Benjamin infortunatosi nel training camp. Seppur con meno esperienza nel
proprio bagaglio, Bridgewater viene da una stagione in cui era lecito
aspettarsi un miglioramento rispetto alla positiva annata da rookie; il 2015 ha
invece rappresentato un passo indietro, o comunque non certo uno step in avanti
(in tutto questo, non si può non citare il ritorno di Adrian Peterson dalla
squalifica che lo ha colpito due anni fa, e che lo ha reso di nuovo il centro
dell’attacco di Minnesota: solo i Rams hanno lanciato per meno yard, TD e primi
down della squadra di Mike Zimmer).
Anche in questo caso abbiamo una o-line
davvero mediocre, che ha messo spesso in difficoltà Bridgewater: l’attacco dei
Vikings è sesto nella lega per numero di snap giocati sotto la pressione della
difesa (238). Il front office ha cercato di dotare Teddy B di un’arma in più
draftando Laquon Treadwell da Ole Miss, il quale può essere il riferimento che
l’ex QB di Louisville non ha avuto in questi due anni. Stefon Diggs è la deep
threat della squadra, se non fosse che solo il 20% dei passaggi lanciati da
Bridgewater hanno viaggiato per 16 o più yard, contro il 16% di due anni fa,
quindi un margine di miglioramento per il ragazzo c’è. Cordarrelle Patterson,
invece, è l’uomo del mistero: dopo due anni mediocri, la scorsa stagione è
stato usato principalmente come ritornatore di punt, situazione in cui ha guadagnato
più di 1000 yard, ma la sensazione è che l’OC Norv Turner non lo utilizzi in
maniera appropriata per sfruttare la sua creatività palla in mano, un po’ come
è successo nei primi anni a St.Louis di Tavon Austin.
Dove però i Vikings possono seguire l’esempio dei Panthers è la
difesa. In attesa di capire che ne sarà di Sharrif Floyd, che ha lampi di
talento evidenti ma è ancora molto discontinuo per rendimento e salute, i Vikes
hanno un ottimo run stopper come Linval Joseph e un edge rusher di primo livello
come Everson Griffen, che negli ultimi due anni ha decisamente alzato
l’asticella del rendimento. Giocatori come Xavier Rhodes (CB) ed Harrison Smith
(S) sono ormai due realtà, e accanto a quest’ultimo Andrew Sendejo si è
rivelato un buon titolare e una safety che colpisce duro (secondo in squadra
con 100 tackle). Ma le vere speranze per Minnesota di costruire una difesa
dominante sono nella posizione di LB, dove Eric Kendrick e Anthony Barr
studiano per diventare stelle di prima grandezza. Il primo non ha ancora
l’abilità in coverage dei LB di Carolina, per rimanere nel paragone, ma è un
linebacker sideline-to-sideline in grado di farsi trovare sempre vicino al
pallone e ha grande reattività.
Il secondo ha tutto per diventare un giocatore completo, grazie alla
sua abilità in entrambe le fasi del gioco.
La giocata qui sopra non è casuale: impiegato in marcatura a zona,
Barr legge bene gli occhi di Manning, facendo quello che dall’altra parte
dell’oceano chiamano “jumping the route” - letteralmente “saltare sopra
la traccia”: la traduzione migliore che mi viene è “interromperla”, ma non
rende bene come nella lingua di Albione - e intercettare il lancio.
Lo scorso anno, Minnesota ha continuato la sua tradizione di squadra
abituata a deludere i fans buttando al vento la vittoria alle wild card contro
i Seahawks. Se la squadra saprà fare un ulteriore passo in avanti - Bridgewater
in primis - non ci sarà sfortuna che tenga, e la NFC potrebbe aver trovato
un’ulteriore, credibile candidata al trono di Carolina.
4) Raiders e Jaguars sono da playoff?
Si è parlato molto di queste due squadre nella off-season, alla luce
dei miglioramenti effettuati sul campo, ma soprattutto grazie al front-office.
Oakland e Jacksonville avevano una barca di soldi da spendere sul mercato e
chiaramente non si sono fatti attendere, nonostante il vecchio adagio per cui
le squadre vincenti si costruiscano via draft. Vero, ma anche i prospetti non
mancano nell’una e nell’altra squadra.
Se parliamo di talenti costruiti in casa su cui si pianificherà il
futuro, ai Raiders non si esce dal trittico Carr-Cooper-Mack. Il primo, dotato
di un braccio eccellente, ha avuto una grande prima parte di stagione, da 19 TD
e soli 4 intercetti con il 63% di passaggi completati. Nelle seconda metà, la
percentuale è calata a 58, i TD a 13 e gli intercetti sono aumentati (9).
Comprensibile per un ragazzo alla sua seconda stagione in NFL che deve imparare
ad essere più continuo, il fattore che separa i buoni giocatori dai top. Amari
Cooper ha già fatto capire di poter essere uno dei migliori nel ruolo, e
Michael Crabtree si è ritrovato. La o-line ha avuto un ruolo sorprendentemente
positivo nella stagione di Oakland (Carr è 32esimo su 37 QB per percentuale di
pressioni subite, per Football Outsiders), nonostante in essa non ci siano
giocatori di primo livello. Donald Penn, preso letteralmente dalla strada dopo
il taglio da Tampa Bay ha ancorato la posizione di LT; Gabe Jackson è uno dei
pochi prodotti dei draft di Reggie Mckenzie ad essere ancora in squadra; Rodney
Hudson è arrivato via free agency da Kansas City lo scorso anno, mentre il
premio di questa free agency, ci scuserà Bruce Irvin, è Kelechi Osemele, che
fornisce qualità sia in pass pro sia nell’aprire varchi per le corse, nonché
versatilità, per la sua possibilità di giocare sia guardia- posizione naturale
- che tackle.
Dall’altra parte del campo, Khalil Mack è esploso nella sua seconda
stagione tra i pro, mettendo a segno 15 sack - quasi quadruplicando la
produzione della stagione precedente. Quest’anno potrà anche godere di un altro
eccellente edge rusher come Bruce Irvin, arrivato da Seattle, al posto dello
squalificato Aldon Smith (che comunque dovrebbe rientrare durante l’anno).
Anche la secondaria è stata ampiamente rimaneggiata, con gli innesti di Sean
Smith, solido titolare arrivato dai rivali divisionali dei Chiefs, Reggie
Nelson - da Cincinnati - e Karl Joseph dal draft, safety dalla stazza non
imponente ma che gioca molto duro e ha grande senso della posizione quando si
tratta di fare giocate sul pallone (anche se probabilmente la scelta a metà
primo giro per lui può considerarsi un reach). Rinnovo del contratto anche per
David Amerson, tagliato ad inizio stagione scorsa dai Redskins ma subito
impiegato titolare dai Raiders con buoni risultati (tra cui il record di
franchigia per passaggi deviati in singola partita, sei). Per la prima volta
dopo anni, Oakland parte con tutti gli occhi addosso, pronta a giocarsi, questa
volta per davvero, un posto nei playoff all’interno della competitiva AFC West.
I Jacksonville Jaguars, invece, sono ancora un passo indietro,
probabilmente, non fosse anche per aver terminato la stagione con un record
decisamente perdente, 5-11, nonostante siano vari i buoni segnali arrivati dal
campo.
Bortles, pur mostrando ancora lacune dal punto di vista della precisione
e del decision making, ha fatto grandi passi avanti da un anno all’altro,
soprattutto nel limitare i propri errori. L’emergere di target come Allen Hurns
e soprattutto Allen Robinson gli ha sicuramente facilitato il compito, per non
parlare di Julius Thomas, che però ha avuto meno spazio a causa di problemi
fisici: sicuramente, un ulteriore off-season per stabilire un miglior rapporto
con il suo QB aiuterà lui e la squadra.
Interessante l’arrivo di Kelvin Beachum
dagli Steelers, un buon titolare che potrebbe/dovrebbe scalzare dal ruolo di LT
Luke Joeckel, ex seconda scelta assoluta che finora il suo rendimento non ha
mai lontanamente giustificato. A coadiuvare TJ Yeldon nel running game, invece,
è arrivato Chris Ivory, giocatore decisamente diverso dal suo nuovo compagno,
molto più fisico e titolare di uno stile di corsa molto dritto-per-dritto e
fisicamente dispendioso: gli anni sono ancora 28, comunque, e il chilometraggio
non eccessivo.
In difesa si registrano due aggiunte importantissime per una
squadra che fa tremenda fatica a portare pressione ai QB avversari (30esimi per
percentage pressure, 21%), cioè Malik Jackson e Dante Fowler. Il primo è
arrivato via free agency da Denver, dove aveva un ruolo fondamentale sia contro
le corse che in pass rush, anche grazie alla sua versatilità (può essere
schierato sia come 5-tech - come DE in una 3-4 - che come 3-tech - DT nello
stesso schieramento, ruolo in cui nasce: il 21% delle pressioni da lui portate,
però, sono arrivate proprio quando ha giocato esterno nella d-line, per PFF).
Dante Fowler è l’edge rusher che ai Jags disperatamente manca, e che potrebbe
vedere snap come Leo LB (un DE che gioca alto, e non mani a terra come un
d-lineman tradizionale, e che può essere impiegato anche in coverage: si
tratta, questo, di un concetto che Gus Bradley impiegava a Seattle quando ne
era defensive coordinator). Telvin Smith, probabilmente uno dei migliori
giocatori NFL di cui non avete mai sentito parlare, e Paul Poszluszny
forniscono tackling in mezzo al campo, mentre dal draft sono arrivati due dei
cinque migliori giocatori del lotto, Jalen Ramsey e Myles Jack, caduto ad
inizio secondo giro per ragioni fisiche (si teme che debba finire sotto i ferri
per un intervento artroscopico al ginocchio, pericolo che, per ora, pare essere
scongiurato). Altro pezzo pregiato arrivato dal mercato è Tashaun Gipson,
reduce però da un’annata decisamente mediocre, dopo quella 2014 in cui aveva
concluso in cima alla Lega per numero di intercetti messi a segno.
La stagione di Jacksonville passa per vari “se”: se Bortles farà un
ulteriore passo in avanti, se la pass rush si paleserà grazie ai nuovi arrivi,
se Gipson tornerà ai livelli di due anni fa. Certo è che, dopo anni di
mediocrità e irrilevanza, Jacksonville ha l’occasione di iniziare un nuovo
ciclo: sarà anche probabilmente l’ultima occasione di farlo con Gus Bradley in
panchina, a cui è stato dato un ultimatum. L’obiettivo è migliorare il record
della stagione scorsa, ma per i playoff meglio passare l’anno prossimo.
5) Goff e Wentz: chi è nella situazione migliore?
Le trade che hanno permesso a Rams ed Eagles di salire alle prime
due posizioni dello scorso draft hanno fornito un quadro più che chiaro circa
le intenzioni delle due franchigie, intente a cercare un nuovo QB attorno a cui
edificare la squadra. Jared Goff e Carson Wentz sono finiti in due contesti
differenti, anche se l’hype che li circonda, vuoi perché i Rams sono tornati a
LA, vuoi perché il pubblico di Philadelphia è noto per essere uno dei più
esigenti in NFL, non è indifferente.
Chi ha certamente più chance di partire da subito titolare è Goff
che verrà inserito in uno schema molto “run heavy”, tutelandone quindi
lo sviluppo evitando di gettarlo subito in pasto alle difese avversarie: il
punto focale dell’attacco continuerà ad essere Todd Gurley. Il resto
dell’attacco ha un solo nome, quello di Tavon Austin, che finalmente ha trovato
un ruolo adatto per sfruttare la sua versatilità e che costituisce l’unica
fonte di imprevedibilità in un attacco in cui la deep threat è Kenny Britt e
nessuno degli altri ricevitori (Brian Quick, i rookie Pharaoh Cooper e Nelson
Spruce…) ha lontanamente l’aspetto di un playmaker. Come se non bastasse, la
linea è una delle peggiori nella Lega, e continuerà ad esserlo almeno finché il
LT Greg Robinson non giustificherà almeno in parte la seconda scelta assoluta
spesa per lui nel 2014, mentre nella posizione di LG agisce Cody Wichmann,
scelto al quinto giro del draft 2015. Se il lato debole di Goff è un grosso
problema, perlomeno la parte destra della linea fornisce più garanzie, grazie
al veterano Roger Saffold e a Rob Havenstein, RT che ha dato un buon contributo
al gioco su corsa dei Rams. La squadra di Jeff Fisher è molto conservativa e
punterà tutto su running game e difesa, lasciando al suo nuovo QB tempo per
crescere e sbagliare. Dopo tre annate mediocri, pare comunque difficile che i
Rams possano spiccare il volo e lasciare il limbo nel quale hanno messo le
tende, a prescindere dal rendimento del QB ex California.
Non certo più idilliaca la situazione in quel di Philly, dove Carson
Wentz, alle prese con un infortunio alla costola, ha le spalle più coperte nel
proprio ruolo. Lo condivide con Sam Bradford, a cui è stato rinnovato il
contratto - per due stagioni - giusto in questa off-season, e che ha finito la
stagione in crescita dopo una prima parte decisamente negativa, e Chase Daniel,
pretoriano di coach Pederson in quel di Kansas City dove ha coperto (bene) le
spalle di Alex Smith con buone prestazioni quando chiamato in causa. L’attacco
degli Eagles è finito al 26esimo posto per DVOA, scottato dall’inserimento
mal-riuscito di DeMarco Murray e dall’assenza di un playmaker nel corpo
ricevitori (con Zach Ertz che sembra essere la cosa più vicina a questa
definizione). Gli Eagles sono la squadra che ha corso di più all’esterno della
linea, sia a destra che a sinistra, ma l’ex Dallas non è quel tipo di giocatore
- alla LeSean McCoy, per intenderci - bensì un corridore north-south,
che punta più sulla forza fisica che sull’elusività, e ciò ha finito per
limitarlo terribilmente.
Ora il RB di riferimento sarà Ryan Mathews, reduce da
una stagione più che convincente, con Darren Sproles a fargli da backup, ma né
l’età né la struttura fisica lo rendono un giocatore ampiamente utilizzabile in
maniera “tradizionale”, nel senso di runner puro e semplice. Dietro a Jordan
Matthews, che sarà il ricevitore numero uno pur non avendone i crismi in una
situazione ideale, ci sono tante incognite: da Josh Huff a Rueben Randle, che
tra l’altro nel training camp ha avuto parecchie difficoltà, passando per
Nelson Agholor, autore di una stagione da rookie da dimenticare. Chi potrebbe
rappresentare una piacevole sorpresa è Dorial Green-Beckham, appena arrivato
via trade da Tennessee (in cambio del T/G Dennis Kelly). L’ex Mizzou, uno dei
recruiter più ambiti ai tempi del college, ha evidenti problemi caratteriali e
di etica lavorativa, che lo hanno condizionato all’università - motivo per cui
ha cambiato ateneo - ma anche in NFL, dove i Titans si sono sentiti liberi di
lasciarlo andare perché non convinti della sua attitudine e al contempo
intrigati dal rookie Tajae Sharpe (ma DGB ha dichiarato di non sapere perché
sia stato scambiato!). Il prezzo pagato è decisamente esiguo per un giocatore
dal fisico imponente (1,96 x 102 kg) e capace di essere un matchup nightmare
per tanti cornerback, specie in endzone, anche se con mani non ancora molto
affidabili: per lui il 48% di catch rate lo scorso anno, peggio di lui solo tre
giocatori con almeno 50 target (certo, il fatto di aver giocato con un rookie
QB, pur promettente, come Mariota e con un disastro come Mettenberger non ha
aiutato…). Cose come questa, però, vanno oltre chi ti lancia il pallone.
Insomma, sia L.A. che Phlly sono due squadre con attacchi deficitari
e poche alternative ma difese eccellenti. Né Goff né Wentz avranno compiti
agevoli: ma il primo sarà, almeno inizialmente, lo sparring partner di Gurley,
e il secondo, salvo tracollo di Bradford, non dovrebbe partire titolare. Rams e
Eagles faranno di tutto per non bruciare i loro pesanti investimenti.
6) I Colts possono tornare dov'erano due stagioni fa?
A gennaio 2015 i Colts perdevano la finale di Conference contro i
New England Patriots, certificando un’altra stagione di miglioramenti, dalle
Wild Card del primo anno di coach Chuck Pagano, passando per il Divisional
round del 2014. Lo scorso anno, invece, Indianapolis, che molti in off-season
vedevano come un’intrigante contender per il titolo, ha compiuto un deciso
passo indietro terminando la stagione al 50% di vittorie e finendo fuori dai
playoff per la prima volta in quattro anni.
Chiaramente, il fatto che gli
infortuni non abbiano lasciato tregua a Luck - anche quando era regolarmente in
campo - ha contribuito a mandare a sud la stagione, ma la sensazione è che la
squadra sia stata costruita in maniera poco omogenea, abbondante in alcuni
ruoli e decisamente scoperta in altri. Pagano si è attirato gran parte delle
critiche in quanto allenatore, ma i demeriti vanno equamente divisi tra lui e
il GM Ryan Grigson. Quest’ultimo, in quattro anni tra draft e free agency, ha
cercato di dotare Luck di quante più armi offensive possibili, che spesso e
volentieri si traducevano in ricevitori piccoli e veloci: i vari TY Hilton, che
almeno si è dimostrato un’ottima scelta, Phillip Dorsett - colpevolmente scelto
nel primo giro dello scorso draft, o i vari Lavon Brazill e Donte Moncrief (uno
dei ricevitori più alti a roster, col suo metro e 88 cm), mentre l’esperimento
Andre Johnson è durato una sola stagione.
Un chiaro problema dei Colts è stato
il running game, che è precipitato dall’undicesimo posto per DVOA del 2013 al 27esimo
e 30esimo delle ultime due stagioni rispettivamente. Certo non è una novità per
Indianapolis, che dal 2007 non ha un runner da almeno 1000 yard stagionali -
Frank Gore si è fermato a 967 - vuoi perché il gioco è incentrato sul passing
game, vuoi perché la o-line è decisamente mediocre, e poco negli ultimi anni è
stato fatto per permettere un cambamento. Se non altro, appare azzeccata la
scelta di Ryan Kelly, centro di Alabama, nel primo giro dello scorso draft per
aprire varchi a Gore e mettere in moto il running game.
E se è vero che le squadre si costruiscono prima dalle trincee, i
risultati recenti dei Colts potrebbero non essere un caso, viste le condizioni
di entrambe le linee. Detto di quella offensiva, anche dall’altra parte del
campo il problema è evidente, e non da oggi. Grigson ha cercato di porvi
rimedio, invano. Il GM ha investito con parsimonia le scelte nel front seven e,
quando ha premuto il grilletto, ha decisamente mancato il bersaglio: un esempio
su tutti è Bjoern Werner, 21esima scelta assoluta nel 2013 che, dopo 6.5 sack
in tre stagioni, non è più a roster.
Robert Mathis (19.5 sack tre stagioni fa ma con in mezzo un
infortunio al tendine d’Achille alla veneranda età di 35 anni) e Trent Cole, le
principali minacce in pass rush, sono ormai lontani dalla produzione dei giorni
migliori, e i Colts, con 35 sack, hanno fatto peggio di sole quattro squadre
per adjusted sack rate (5,7%). La difesa su corsa è mediocre
(esattamente 16esima), e molto fa ancora D’Qwell Jackson, nettamente il miglior
tackler di squadra, nonostante abbia perso più di un passo in coverage -
aspetto in cui peraltro non ha mai eccelso. Tuttavia, Indy è una delle peggiori
squadre per big plays su corsa concesse - cioè guadagni da almeno 10
yard - nella Lega, con 53. L’unica vera stella della difesa è il CB Vontae
Davis, che rimane uno nei top nel ruolo. Lo dicono anche le statistiche, che lo
collocano ai primi posti nella NFL per adjusted yards concesse per
passaggio (5.2) e per success rate, cioè la percentuale di occasioni in
cui il giocatore ha evitato un guadagno positivo in base al down (per esempio,
una giocata del genere in un terzo down vale più che in un primo): la sua è del
60%. Se non altro, i Colts hanno migliorato l’altro spot di CB lasciando andare
Greg Toler - uno dei peggiori nel ruolo in base alle stats di cui sopra - a
Washington e sostituendolo con Patrick Robinson, firmato con un contratto da 13
milioni in 3 anni, un affare visto il rendimento nelle ultime due stagioni
dell’ex Saints e Chargers.
Se l’anno scorso si parlava di Super Bowl, quest’anno non si va
oltre i playoff, sapendo che la division - per quanto ancora di livello
mediocre - ha un altro padrone fino a nuovo ordine, Houston, e due squadre in
rampa di lancio in Jacksonville e Tennessee. Quel che è certo è che, se la
stagione dovesse essere foriera di delusioni, Grigson avrebbe il benservito, e
nemmeno Pagano dormirebbe sonni tranquilli. Visti le falle a livello di roster,
di sicuro servirà la miglior versione di Luck, cioè questa:
Articolo a cura di Michele Serra
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