mercoledì 27 gennaio 2016

Come d'incanto

È di queste ore la conferma dell'approdo di Alexandre Pato al Chelsea. A 26 anni il papero ritorna nel roster di una squadra europea, forte dei 26 gol in 57 presente nel 2015. Forse non è troppo tardi per rinascere, riconquistare almeno la nazionale brasiliana e mantenere in parte le promesse di inizio carriera.

di Emanuele Mongiardo







Impressioni di dicembre
Sentii parlare di Pato per la prima volta nel dicembre 2006. Era una delle solite domeniche sera post-partita e ControCampo trasmetteva un filmato di questo ragazzino brasiliano senza un filo di barba, talmente esile da far sembrare la divisa dell’Internacional de Porto Alegre un pigiama addosso a lui. Le immagini lo mostravano palleggiare ripetutamente con la spalla e poi col tacco sulla fascia, inseguito da un difensore avversario. E’ il Mondiale per Club, semifinale, gli avversari sono gli egiziani dell’Al Ahly, sconfitti, guarda caso, grazie a Pato e ad un’altra conoscenza milanista: Luiz Adriano. Terminato il video in studio si scatena il dibattito, in quello strano meltin’ pot di giornalisti pittoreschi e showgirls dalle dubbie competenze in materia. Mi sono rimaste impresse le parole di Franco Rossi, pressappoco suonavano così: «Se andiamo a vedere le videocassette, anche Morfeo sembrava Maradona». 

A dispetto del fisico riesce anche a proteggere palla e far cadere a terra il diretto marcatore.

Qualche mese più tardi tutti i media riportano l’interesse del club di via Turati per il giocatore. Cinque gol nelle prime nove presenze in carriera sono una discreta credenziale, soprattutto in quel Diavolo bisognoso più che mai di ringiovanimento e di un faro offensivo. Nutro un profondo affetto per quel Milan e se c’è una stagione in cui sono stato davvero milanista è la 2006-07. Tuttavia, per problemi di dinamismo ed età (Pirlo, Kakà e Gattuso unici under 30 tra i titolari), non era più l’armata del 2005 che andava in casa di Ferguson a dettare legge e neanche quella della stagione successiva, capace di risalire la china nei momenti decisivi, vedi Bayern, Lione e gol di Shevchenko al Camp Nou.

Sheva, mancava proprio lui, aldilà di quanto Kakà fosse divino in quella fase della sua carriera. Mancava la sua presenza risolutrice, l’incisività nelle notti più buie. Vero, Inzaghi era commovente nel suo sforzo di oltrepassare limiti tecnici apparentemente insormontabili ma non possedeva l’aura di inscalfibilità dell’ucraino. Difatti, nonostante il trionfo in Champions e la redenzione del cammino verso Atene, quel Milan non era una squadra di primissima fascia: azzardando un paragone cestistico, sembrava l’Olympiacos in Eurolega, sempre al margine del lotto delle favorite ma in grado di sovvertite i pronostici.

Pato doveva riaccendere la scintilla, essere il fuoriclasse degli ultimi trenta metri, mentre Kakà lo era per tutto il resto del campo. Così il Condor chiude l’affare, superando la concorrenza del Real Madrid e sborsando 22 milioni, cifra più alta mai spesa per un teenager. La FIFA però impedisce di tesserare minorenni in trasferimenti internazionali, per cui l’esordio è rimandato a gennaio. Gioca comunque un’amichevole a settembre a Kiev, contro la Dynamo, in cui segna di testa staccando tra i due centrali avversari, indirizzando la palla nel sette. E’ questo uno dei pregi che più salta agli occhi del brasiliano: al suo arrivo a Milanello è alto intorno al metro e 75 e non peserà più di 70 chili, tuttavia salta sempre con perfetta scelta di tempo.



Sbalorditivo
L’hype cresce, soprattutto perché il Milan in campionato sta deludendo. Tra l’altro Pato non fa neanche molto per smorzarlo, scegliendo la maglia numero sette. Così si arriva alla fatidica sera dell’esordio, 13 gennaio 2008: a San Siro giunge il neopromosso Napoli di Reja. La partita è un saggio delle qualità di Alexandre, tra tiri di destro, di sinistro, combinazioni con i compagni e dribbling ubriacanti. Imprime il sigillo sulla vittoria col gol del definitivo 5-2: Favalli lancia dalla sinistra, Pato scatta in profondità e con uno stop di controbalzo a seguire verso l’interno taglia fuori il difensore e insacca sull’uscita del portiere. Eccola la più grande qualità del papero: lo stop a seguire. Non penso si sia mai visto un giocatore a quell’età avere tanta padronanza del corpo e tanta sensibilità di piede nell’orientare dello stop, e in questo modo riesce sempre ad essere un tempo di gioco avanti rispetto a chi lo marca. 

Qua ne ruba anche due di tempi di gioco.


In generale tutto ciò che fa con la palla tra i piedi durante i suoi primi mesi da milanista non è normale per un diciottenne. E’ una figura candida, un bambino, con l’apparecchio e la lingua sempre tra i denti, sintomi di ingenuità e per questo anche di curiosità verso un ecosistema totalmente nuovo. Quasi l’opposto di Neymar, così malizioso e sicuro di sé già da adolescente. Lo si nota soprattutto nel dribbling: quello di O Ney è barocco, punta all'umiliazione. Pato è privo di queste sovrastrutture, per lui non c'è soddisfazione nel dimostrarsi superiore all'avversario,  ma solo la gioia infantile di tenere la palla tra i piedi tutta per sé: il dribbling è mera necessità di nasconderla per non farsela sottrarre da nessuno. 

Minuto 2:56: lancio sulla destra messo giù magistralmente col collo del piede. Punta il difensore, dopodiché fa scorrere il pallone sotto la suola per poi cambiare repentinamente direzione. È un gesto tecnico parecchio inflazionato tra gli attaccanti esterni da Cristiano Ronaldo in poi, ma si tratta di una spacconata. Nel caso di Pato invece non c’è alcuna alterigia

Ed è un aspetto della sua personalità e del suo modo di affrontare il calcio che si riverbera anche nella protezione di palla. Nonostante il fisico tutt’altro che titanico, anche marcato spalle alla porta è difficile rubargliela. Quel suo primitivo istinto di gelosia verso la sfera lo si evince quando per ostacolare la marcatura allarga il braccio sul difensore, rischiando sempre di commettere fallo.

Se c’è una componente del bagaglio tecnico di Pato non all’altezza del contorno, questa è la sua intelligenza spaziale, strettamente connessa alla gamma di movimenti, per la verità non molto variegata. Cerca di allontanarsi dalle zone più caotiche, non è il tipico attaccante brevilineo brasiliano col corredo genetico del trequartista, per cui predilige spesso allargarsi per facilitare la ricezione. Pato è una seconda punta col senso della porta di un numero nove, probabilmente perfetto in un attacco a due (questo equivoco di fondo peserà sulla concezione popolare e sulla carriera del giocatore). Se poi allargandosi è anche libero di attaccare la profondità e ricevere in corsa, allora diventa davvero micidiale. È una lepre, quando accelera sembra non toccare neanche terra, poggia a malapena le punte dei piedi (per alcuni in realtà si tratta di cattiva postura). In questo modo realizza il suo gol più icastico. 11 gennaio 2009, la Roma ospita il Milan all’Olimpico. In quella stagione Pato agisce per lo più da unica punta, nel vano tentativo di conciliare Ronaldinho e Kakà. Al  53’ il risultato è in parità, Pato ha da poco pareggiato il vantaggio di Vucinic con un gol a pochi passi dalla porta. Ronaldinho lo serve sulla sinistra all’altezza del centrocampo col suo classico passaggio da illusionista capace di attraversare gli avversari come ectoplasmi; Alexandre controlla, accompagna il pallone con la solita andatura e punta Mexes. Il francese è spaventato dall’ipotesi dell’uno contro uno, per cui preferisce accompagnare la corsa del brasiliano; purtroppo per lui tutt’a un tratto Pato si allunga il pallone e gli mangia tre metri, proseguendo la sua accelerazione più verso il fondo che non verso la porta. Doni allora decide di uscire, coprendo lo specchio della porta, ma lui, con un cucchiaio, riesce a indirizzare verso l’unico varco disponibile a depositare in rete.

Vogliamo parlare del geniale gol di testa di Vucinic?

Nelle prime due stagioni rossonere, oltre a giocare 54 partite di campionato su 56 dal suo arrivo, sciorina un ampio spettro di soluzioni nella ricerca del gol e sembra consolidare la candidatura a futuro Pallone d’Oro vaticinata da Ancelotti. Continua ad eccellere nel colpo di testa nonostante non raggiunga ancora il metro e 80 (chiedere a Reggina, Sampdoria, Lazio e altre), in spazi aperti è sempre più imprendibile e si specializza nel taglio tra terzino e centrale, ha sangue freddo nell’area piccola e comincia ad affinare anche la conclusione diretta. Non tira a giro col corpo quasi all’indietro come Ronaldinho, né possiede l’aristocrazia di Kakà nell’alzare la testa, mirare l’angolo lontano e calciare ad effetto quasi da fermo. Preferisce impattare di collo, una scelta più elementare ed istintiva, quasi come se il suo range di soluzioni fosse fermo ai tempi degli esordienti. Non ricordo un tiro ad effetto di Pato e forse è meglio così, sarebbe stata una macchia di caffè sulla fotografia del fuoriclasse ancora ragazzino. Contro lo Zurigo in Coppa UEFA sfodera un destro su punizione di una potenza che sembra non potergli appartenere; ovviamente toglie la ragnatela dall’incrocio. Osservando il replay si nota come dal rilascio della gamba scaturisca un calcio talmente secco e potente da impedire qualsiasi moto rotatorio al pallone, anche su se stesso. 



Un gol simile lo segna a Siena, nel giorno del trecentesimo gol di Inzaghi in carriera. Riceve un passaggio di Pirlo a poco più di venticinque metri dalla porta, non stoppa semplicemente la palla, come al solito la accompagna a seguire con l’interno, in modo da posizionarla per il tiro con un solo tocco. Naturalmente sceglie la conclusione di collo che trafigge il portiere sul palo lontano. Il segreto sta sempre nel rilascio della gamba, che anche in questo caso permette di imprimere sulla palla una potenza tale da farlo muovere quasi di moto rettilineo.



Turbe giovanili
Il 2009/10 è un’annata di transizione, sia per Pato, che inizia a mettere su muscoli e a superare il metro e 80, sia per il Milan. Kaka’ va al Real, Ancelotti parte per Londra, Pirlo resta controvoglia nonostante abbia in tasca un contratto per raggiungere Carletto e la società affida la panchina a Leonardo. Inizialmente il brasiliano schiera Ronaldinho trequartista centrale libero di svariare, con il papero ed un altro attaccante di fianco a lui. In effetti non è una cattiva soluzione: aldilà dei ritmi da Bossa nova il Gaucho è ancora in gradodi dipingere assist in verticale inconcepibili per qualunque altro giocatore e Pato sarebbe il primo a beneficiarne. La partita d’esordio a Siena è l’alba di un sole che non si è mai levato, perché Alexandre timbra due volte e in entrambe le occasioni tutto nasce da un filtrante dell’ex Barcellona. Ma l’andamento del Milan è sinusoidale, soprattutto il ritmo ormai è soporifero. 

Così Leo, in una notte d’ottobre a Madrid, con la partecipazione del Geometra Galliani, plasma quell’aborto tattico meglio noto come 4-2 fantasia. Al Bernabeu il papero diventa cigno, in una partita dai ritmi insolitamente blandi per standard europei tra due squadre lunghe e mal disposte. Pato parte largo a destra lontano dalla porta; la situazione cambia con l’ingresso di Borriello per Inzaghi. L’attaccante campano è più predisposto a giocare incontro e svuotare l’area, in modo da favorire gli inserimenti del brasiliano. Proprio da una situazione di questo tipo nasce il gol del momentaneo 2 a 1. Al 66', appena dopo il pareggio di Pirlo, nota una smagliatura nella linea eccessivamente alta della difesa merengue. Scatta dall’esterno in diagonale verso l’interno, dettando il lancio ad Ambrosini; l’assist è perfetto, ma lo è altrettanto il tempismo in uscita di Casillas. E proprio quando sembra che Iker sia destinato ad intercettare il pallone, Pato finge di tagliare a sinistra, come in occasione del gol al Napoli, per poi ributtarsi sulla destra. Questa finta di corpo crea confusione nel portiere spagnolo, il quale resta immobile per un decimo di secondo, convinto di poterlo anticipare sulla propria destra; ma, come detto, Pato è abbastanza lesto da cambiare lato, controllare a malapena e ciabattare in porta. Come da copione il Real pareggia, con la complicità di un Dida più farraginoso che mai, ma a due minuti dalla fine, dopo un gol inspiegabilmente annullato a Thiago Silva, il Milan riesce nuovamente a mettere la testa avanti. A seguito di un’azione convulsa di Pato sulla fascia la palla arriva a Ronaldinho che apre sul vertice sinistro dell’area per Seedorf. Clarence, con l’intelligenza e la temperanza che lo contraddistinguono, controlla il pallone e alza lo sguardo, alla ricerca della soluzione migliore. Nota come sul lato opposto Marcelo si sia disinteressato dello spazio alle proprie spalle, in cui Pato è staccato da ogni marcatura. Pennella «un pallone che canta» in quella direzione, dove Alexandre, di piatto stavolta, insacca. 


Da lì in poi, nella storia di quella stagione si passerà dalle verticalizzazioni di Ronaldinho ai cambi gioco di Ronaldinho, figli della nuova diposizione con i brasiliani larghi e tutto ciò che ne consegue: squadra sempre lunga, sambodromo con le provinciali e scoppole contro l’Inter; spesso i quattro difensori si ritroveranno ad affrontare contropiedi avversari schermati solamente da due centrocampisti ormai poco dinamici come Pirlo e Ambrosini. Pato gioca quasi tutto il girone d’andata partendo largo a destra e segnando, tra gli altri, un gol contro la Roma fotocopia di quelli dell’esordio e di Madrid. 


Ma il 5 gennaio, con uno stiramento alla coscia destra inizia il suo calvario. Da quel giorno fino al termine della stagione salta ben 15 partite di campionato su 22, sempre causa infortuni alla gamba destra, che si tratti di coscia, bicipite femorale o caviglia. 


Il mondo degli adulti
Anche la stagione successiva, quella dello scudetto, seguirà lo stesso spartito. Cambia solo la gamba, questa volta i problemi sono tutti sulla sinistra. Giocherà 19 partite di campionato, l’esatta metà degli impegni. Ma dal punto di vista realizzativo è il suo momento migliore con 14 gol. E’ un Milan più intenso e muscolare, con Boateng trequartista e Van Bommel (sigh!) sul trono che fu di Pirlo, conseguenze dirette dello sbarco di Ibrahimovic. Certo, la fase difensiva è pressoché perfetta, Thiago Silva è il miglior centrale al mondo e persino Abate è preciso e puntuale in entrambe le fasi. In avanti la dipendenza dallo svedese influisce in maniera catalitica sul dispiegamento della manovra, rinunciando quasi alla tessitura di schemi. Il doppio confronto col Tottenham è impietoso, mentre qualcun altro ritenuto inferiore di 46 milioni mette a ferro e fuoco l’Allianz Arena.

L’amore tra Pato e Zlatan non sboccia mai, nonostante le belle parole e nonostante i quattro assist dello svedese al papero. Con i due titolari dal primo minuto lo score del Milan è piuttosto ambiguo, sei vittorie, sette pareggi e tre sconfitte. Più che dal punto di vista tecnico, la distanza tra i due è a livello mentale. Per Alexandre la convivenza con Ibrahimovic rappresenta il vero step verso il professionismo. Il Milan di Kakà e Ronaldinho era una squadra mecenatista, filantropica nella gestione delle risorse umane.

Con Ibra invece si instaura implicitamente un clima di freddo rapporto lavorativo, lo svedese non ammette alcun margine d’errore né da sé né tantomeno dai compagni. Pato ne risente e la metamorfosi si palesa dopo il gol del 2 a 1 contro il Chievo al Bentegodi. Subentra a Cassano al 20’ del secondo tempo, sul punteggio di 1 a 1. Al 37’ riceve palla a sinistra, punta l’area, sguscia tra Rigoni e Morero ed incrocia col destro: palo-gol. 


L’esultanza è rabbiosa, non è l’urlo di gioia del Bernabeu, lo sguardo è più torvo, sa quasi di rivalsa. Si sfila la maglia, non è più un ragazzino, ora è un uomo con tanto di addominali e quadricipiti voluminosi. Nello scontro diretto contro il Napoli a San Siro addirittura la piazza a giro d’interno sotto la traversa. La fase adolescenziale è definitivamente andata, non più sassate di collo pieno, non più controllo di suola e scatto repentino sulla fascia. 


Tocca lo zenit nella notte del derby di aprile, in concomitanza con l’assenza di Ibrahimovic per squalifica. L’interpretazione del Milan, più dominante di un’Inter inevitabilmente più bassa, e l’assenza di un assistman capace di assecondarne i movimenti in profondità, lo costringono ad agire più centralmente, spesso provando a dar manforte a ridosso dell’area di rigore. E’ così che nasce il primo gol: duetto tra Pato e Gattuso al limite dell’area e assist di quest’ultimo per l’inserimento di Robinho; Julio Cesar in uscita bassa riesce a respingere, ma la palla carambola sui piedi di Alexandre che ribadisce in rete. Nel secondo tempo l’Inter è costretta ad alzare il baricentro e al 54’ all’altezza del centrocampo taglia tra Maicon e Ranocchia, invitando Boateng all’assist. Lo stop in corsa come al solito è perfetto, lo scatto fulmineo lo lancia verso la porta: Chivu è obbligato ad atterrarlo rimediando l’espulsione che taglia le gambe ai nerazzurri. Il Milan sugella il trionfo col secondo timbro, frutto al 62’ di una situazione analoga a quella del primo gol. Pato riceve al vertice dell’area, scambia con Robinho e scatta in profondità alla ricerca dell’uno-due, ma ancora una volta la difesa interista ne occlude la linea di passaggio; l’ex Santos pertanto preferisce appoggiare a Seedorf che d’esterno allarga per Abate. Il terzino campano strozza il cross, ma riesce a servire Pato che indisturbato di testa realizza la doppietta. Al definitivo 3 a 0 ci pensa Cassano, per una vittoria che spiana la strada al Milan verso il diciottesimo scudetto. 

Mi piace ipotizzare che il comportamento del numero sette in quest’azione sia sintomatico proprio del suo stato d’animo ed è forse il manifesto della stagione rossonera. Dopo il passaggio a Gattuso si fionda in area, sperando di chiudere la triangolazione, come avrebbe fatto con Kakà, Ronaldinho o Pirlo. Tuttavia i difensori preferiscono osteggiarne l’inserimento, concedendo invece lo spiraglio giusto a Robinho. Probabilmente il papero avrebbe voluto concludere quell’azione in un altro modo, anche in memoria dei vecchi tempi. E’ solo la contingenza di trovarsi lì nell’area piccola per inveterata abitudine che lo costringe a segnare.

Certo, ho esultato anch’io per il trionfo in campionato, seppur da simpatizzante e non da tifoso, ma rivivendo le vicende di quel Milan con più distacco a distanza di anni continuo a preferire le accelerazioni patrizie di Kakà, i doppi passi e i cambi di gioco di Ronaldinho, le verticalizzazioni improvvise di Pirlo e i ritmi lenti ma cervellotici di Seedorf, piuttosto che lo scudetto vinto grazie alla signoria di Van Bommel a centrocampo, all’impeto di Boateng e alle smargiassate, seppur geniali, di un attaccante di cui sinceramente non comprendo la deificazione sui social network.

Vuoi mettere?


Speranze carioca
Il tabellino in campionato, 14 gol in 19 presenze di campionato, induce Thiago Silva a designarlo erede di Ronaldo O Fenomeno, rimarcando quell’equivoco di fondo per cui il papero non è una punta centrale ma tutti lo considerano tale. Soprattutto in Brasile, dove all’indomani dell’epopea di Luis Nazario da Lima, eccezion fatta per Luis Fabiano, nessuno è stato degno di portare il numero nove sulle spalle. La Copa America è alle porte e si disputa in Argentina, l’obiettivo è imporsi in casa del nemico. E’ la vetrina della nuova ondata di talenti brasiliani, capeggiata da Ganso e Neymar, soprattutto è l’occasione giusta per Pato di splendere anche in nazionale. Ma il CT Menezes è vittima dell’equivoco di cui sopra e lo schiera unica punta nel 4-2-3-1. L’esordio col Venezuela è mediocre, prestazione evanescente ravvivata solo da una traversa al 25’ del primo tempo. Non è in grado di sostenere il peso dell’attacco da solo, è costretto ad un gioco di sponda non consono alle sue caratteristiche ed in questo modo gli è sempre preclusa la via della profondità. Sulla trequarti per giunta non sembra ci sia molta organizzazione, spesso Neymar e Robinho si ritrovano in situazioni di isolamento, mentre Ganso è eccessivamente lento. L’unica valvola di sfogo per l'indole di Pato restano i traversoni: così segna il primo gol del 4-2 inflitto all’Ecuador. Taglio da accademia sul primo palo, cross al bacio di Andre Santos (<3) e incornata sotto la traversa. Firma anche il 3 a 2, nel secondo tempo, in seguito ad una mischia in area in cui si trova nuovamente nel posto giusto al momento giusto. 


Ma è l’ultimo attimo di gioia di Pato in nazionale, perché la zolla del dischetto del rigore e il Paraguay di Tata Martino, Justo Villar, Ortigoza ed Estigarribia mortificano ogni ambizione carioca in un ottavo di finale che ormai è leggenda.

Perché giocare con Lucas Leiva?



Declino
Pato torna in Italia, la relazione con Barbara Berlusconi sembra corroborare il suo futuro rossonero. L’esordio in Champions al Camp Nou conferma quest’impressione. Dopo 27 secondi riceve palla a centrocampo. Xavi, Iniesta e Keita sono alle sue spalle, tre metri più avanti Busquets e Mascherano accorciano verso di lui. Ma proprio mentre l’argentino avanza scorge un impercettibile corridoio tra i due centrali avversari. Si lancia col pallone in avanti e con un solo tocco in un unico scatto incenerisce Busquets; giunto dinanzi a Valdes lo perfora con un rasoterra sotto le gambe.


È l’ultimo acuto del papero, da qui in poi inizia il suo crepuscolo e sinceramente non mi interessa approfondire l’argomento. I soliti infortuni ne falcidiano il rendimento, colleziona la miseria di undici presenze in tutto il campionato e quando gioca è irriconoscibile: ha paura di scattare, i contrasti lo terrorizzano, pare abbia disimparato anche a dribblare. Prova di tutto per ritrovare condizione atletica e continuità, si sottopone anche alle cure di luminari americani, ma è tutto inutile. Secondo gli esperti, all’esponenziale aumento della massa muscolare non è seguita la crescita dell’elasticità dei muscoli stessi; quella cattiva postura, sia delle caviglie sia della mandibola (la lingua tra i denti ne è causa), ha sicuramente influito sulla crescita e sull’equilibrio fisico del giocatore.

A gennaio il condor intavola una trattativa con Tevez, legata a doppio filo alla cessione del brasiliano. Berlusconi si oppone, Pato resta e la Juve di Conte soppianta il Milan di Allegri. Forse sarebbe cambiata la storia della Serie A, chissà, ma si tratta solo di rinviare la partenza di un anno. Da agosto 2012 a gennaio timbra solamente 7 presenze tra campionato e Champions League, gli alti piani rossoneri decidono di cederlo al Corinthians per 15 milioni di euro.

Dal ritorno in patria in tre stagioni ha saltato appena 13 partite di campionato. Evidentemente il sovraccarico di stress, le poco liete vicende personali (matrimonio a 20 anni, divorzio e fidanzamento con Barbara, fine della love story con quest’ultima) hanno condizionato la salute, anche emozionale, di un ragazzo con le stimmate del fuoriclasse già a 16 anni. Si trova a metà della propria carriera da calciatore, a questo punto si tratta di ritrovare una tenuta mentale adeguata agli standard europei. Se tornasse, anche al Chelsea, sarei il suo primo tifoso. Senza hype, dalle retrovie, per riprendere da dove aveva lasciato. In caso di approdo a Stamford Bridge il destino gli offrirebbe uno degli assist più succulenti della sua carriera: l’ottavo di finale contro il PSG di Ibrahimovic, contro quelle pressioni che non ha saputo reggere e che pian piano l’hanno emarginato in un ambiente che con lui doveva risorgere. Per riconquistare eventualmente la gioia di quel ragazzino con la lingua tra i denti e le ali ai piedi.


Articolo a cura di Emanuele Mongiardo



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