Come in un contrappasso dantesco, lo
storico fautore del pressing nel nostro Paese ha trascorso la
settimana ora agli sgoccioli cercando di disimpegnarsi da una
pressione costante e ben organizzata. Del resto, quando vengono
tirati in ballo i temi e i soggetti più caldi della morale e del
moralismo contemporanei, è difficile sperare che la vera o presunta
intellighenzia italiana, dalla gente comune alle istituzioni, si
preoccupi di analizzare davvero a fondo la questione cercando di
contestualizzare e capire le affermazioni dei protagonisti del nostro
tempo. È molto più facile infatti scatenare il buonismo militante
da tastiera (gente comune) e partecipare attivamente alla corsa al
comunicato ufficiale d'indignazione (istituzioni). A partire dal 16
febbraio fino a data da destinarsi, vittima di questi annosi fenomeni
è stato Arrigo Sacchi, un uomo che nella sua quasi leggendaria
carriera di allenatore, oltre ad essere entrato a buon diritto nei
libri di storia del calcio grazie alla rivoluzione tattica introdotta
con tenacia nella nostra antiquata Italia a fine anni '80, ha
costruito successi planetari lavorando fruttuosamente con diversi
giocatori dalla pigmentazione cutanea diversa dalla nostra. La colpa
del “vate di Fusignano” ormai la conoscono anche i muri dei
palazzi: aver dichiarato che nel Torneo di Viareggio ha notato un
numero eccessivo di giocatori di colore nelle squadre Primavera
nostrane.
Apriti cielo! Il tribunale
dell'inquisizione popolare tenuto vigorosamente in attività dai
social-commentatori seriali ha emesso l'irosa sentenza di razzismo
contro l'ex tecnico del Grande Milan e della Nazionale Azzurra. A
ufficializzare la condanna, ecco candidarsi al ruolo di Gran Giurì
del suddetto tribunale nientepopodimeno che il più mediatico dei
procuratori Mino Raiola, il Sottosegretario alla Presidenza del
Consiglio dei Ministri con delega allo sport Graziano Delrio, e come
special guests dall'estero il re dei commentatori sportivi
inglesi Gary Lineker e il re del calcio mondiale Sepp Blatter: in
vari modi, costoro sono stati solerti e concordi nel prendere le
distanze dal cattivo di turno. Ma visto che noi non siamo personaggi
istituzionali né degli opinion leader, ma solo persone che cercano
di valutare gli eventi – per l'appunto – fuori dagli schemi, ci
assumiamo la responsabilità di offrire un punto di vista differente
circa le parole dell'Arrigo nazionale, più attento al merito della
questione tecnica da lui sollevata e forse anche più etico. Perché
pensare di essere moralmente irreprensibili bollando qualcuno come
“razzista” alla prima occasione buona, in questo caso l'uso
dell'aggettivo qualificativo “neri” combinato dall'aggettivo
indefinito “troppi”, senza sforzarsi di comprendere la reale
sostanza del messaggio, è tutto fuorché etico.
Quel che ha fatto il “profeta della
zona”, a grandi linee, è stato riprendere uno dei concetti
universalmente espressi e addotti come problema principale quando
assistiamo ai numerosi fallimenti calcistici italiani degli ultimi
anni: i nostri giovani hanno sempre meno opportunità di giocare ed
emergere perché vengono chiusi dal crescente numero di stranieri che
i club acquistano sia per ottenere risultati più facili, almeno
nelle intenzioni, sia per i costi contenuti dei giovani provenienti
da certi Paesi, soprattutto quelli africani, spesso al centro di una
vera e propria “tratta” gestita da dirigenti e procuratori (sulle
cui modalità sarebbe interessante condurre un'inchiesta
approfondita). Il tutto con conseguenze esiziali per il nostro
movimento, sotto il profilo sia tecnico che economico. Ecco, abbiamo
parlato di stranieri. Ma Sacchi a ben vedere si è focalizzato sui
“neri”. Perché
prendersela proprio con loro? Per rispondere adeguatamente, dobbiamo
lasciar da parte gli interruttori del nostro cervello che scomodano a
macchinetta i grandi ideali del XXI secolo, e provare piuttosto ad
auscultare voci e opinioni di chi lavora nei settori giovanili a
tutti i livelli, di chi vede allenatori avversari infischiarsene
d'insegnare fondamentali e sapienza tattica ai propri giovani e
giovanissimi calciatori preferendo puntare tutto sul ragazzo o
ragazzino coloured di turno, che 8 volte su 10 ha una
struttura fisica nettamente più forte degli altri e permette alla
squadra di portare a casa i 3 punti semplicemente facendosi dare il
pallone e sbrigandosela con la pura potenza. È un dato acclarato che
il fisico di una persona di colore tende ad assumere una prestanza e
un'esplosività mediamente superiori a quelle di un “bianco”, e
che tali differenze vanno a formare un gap decisivo nell'età dello
sviluppo. Ed è sempre più diffusa questa pratica, che di fatto si
basa sull'affidarsi al mezzo più comodo per segnare un gol in più
dell'avversario anziché impegnarsi ad istruire e coltivare a dovere
i nostri talenti.
Certo, le argomentazioni contrarie a
quanto sostenuto finora non mancherebbero. Innanzitutto, è in
crescita il numero dei figli d'immigrati di colore (per intenderci,
gli omologhi di Balotelli, Ogbonna, Okaka ecc ecc) quindi parecchi
“neri” sono italiani, non stranieri. Ma è altresì vero che il
fenomeno sopra descritto va a danneggiare anche loro stessi, il cui
potenziale non è sviluppato con la dovuta completezza. Tanto, basta
la superiorità fisica...
Inoltre, dobbiamo far notare che solo
il 5% degli atleti delle squadre italiane che hanno disputato il
Torneo di Viareggio ha la pelle scura. Ma sarà un caso che la
maggior parte di essi sia concentrato nell'Inter vincitrice della
coppa? È lecito sospettare che si tratti proprio del coronamento di
quella “corsa all'africano” volta al prevalere sugli avversari
finché le differenze fisiche fanno ancora la differenza. E chi se
l'aggiudica, ovviamente, è il pesce grosso del mercato. Tuttavia il
compito primario dei settori giovanili – teniamolo bene in mente –
non è vincere, bensì formare i talenti. Per il bene in primis del
nostro calcio.
Il nostro non è razzismo, autentico
cancro delle società civili destinato fortunatamente a scemare nei
prossimi decenni. Il nostro è approfondimento tecnico, così come
quello stimolato da Sacchi quando ha emesso le sue considerazioni. E
quando l'analisi tecnica deve temere di potersi esprimere per paura
delle accuse di razzismo, anche lì si rasenta la malattia. Sia
chiaro, non abbiamo preso per oro colato l'uscita sacchiana, ma ci
siamo almeno presi la briga di approcciarci ad essa con spirito
critico (nel senso di giudizio obiettivo e profondo) per cercare di
scoprirne le reali motivazioni e implicazioni. A nostro avviso, il
vero “cattivo” non è Arrigo Sacchi da Fusignano, né tanto meno
lo sono i giocatori di colore, che inseguono giustamente il proprio
sogno come i loro coetanei di tutto il mondo! Sull'ipotetico banco
degli imputati (con doverosa presunzione d'innocenza) dovrebbero
semmai finire quegli addetti ai lavori dei settori giovanili rei di
limitare la crescita dei nostri talenti in nome del risultato facile
a tutti i costi. Con rinvio a giudizio, ahimè, per la categoria dei
giornalisti, sempre pronti ad estrapolare scientemente le frasi
pronunciate dai personaggi più noti, a metà tra obblighi di
incisiva brevitas e
sensazionalismo arraffa-audience.
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