La nostra rubrica sui giovani talenti sportivi più seducenti fa tappa in Italia, precisamente nella serie B: il reale serbatoio di prospetti del calcio italiano contemporaneo. Leonardo Morosini potrebbe contribuire a riscrivere la storia del trequartista moderno.
di Emanuele Mongiardo
La Serie A rappresenta un universo a tratti tatticamente
parallelo al resto d’Europa. A partire dai mondiali sudafricani nel vecchio
continente ha avuto luogo la rivoluzione del 4-2-3-1, nata dall’esigenza di una
visione panteistica del calcio, non più materia bipartita in fase offensiva e
difensiva. Tutti i top team sono passati per questo modulo, non scevro da
difetti (Ancelotti ha dovuto ripiegare sul 4-3-3 per trionfare in Champions),
ma in grado di assecondare la presenza di più trequartisti in un calcio in cui
le spese folli investono sempre di più gli uomini di fantasia e talento
(Manchester City docet). La parabola del Borussia di Klopp è il paradigma della
rivoluzione del 4-2-3-1, l’esempio più calzante di quell’idea di calcio
unitario descritta sopra. Il nuovo processo di selezione naturale ha provocato
anche l’estinzione della seconda punta,
motivo per il quale un interprete del ruolo come Van Persie ha dovuto evolversi
definitivamente in centravanti, nonostante le polemiche sulla sua collocazione
in campo durante i mondiali del 2010.
L’apoteosi del 4-2-3-1.
Trequartista moderno
In Italia anche nel calcio vige forse quella vecchia regola
per cui mentre l’Europa viveva l’epopea degli stati nazionali, noi consumavamo
lotte feudali tra Papato, Savoiardi e Borboni. Perciò sono rari gli esempi di
squadre votate al 4-2-3-1, forse solo l’Inter di Mourinho e l’ultima Fiorentina
di Prandelli. Il mantra degli allenatori sembra essere il famoso aforisma di
Tarantino per cui «I grandi artisti non
copiano, rubano». E così, dopo stagioni in cui il 3-5-2 di Conte si è
riverberato sulle distinte di oltre mezza Serie A, negli ultimi due anni sembra
essere ritornato in auge il 4-3-1-2, corroborato dall’esempio vincente di Max
Allegri. Il trequartista è il vero ago della bilancia in questo schieramento.
Vi sono diverse interpretazioni del ruolo odierno, ma nessuna indossa le vesti
setose ed eleganti del fantasista; addirittura Kaka’ a suo tempo fu dirottato
in attacco da Carletto Ancelotti. La
versione più inflazionata del “10” in Serie A è quella dell’incursore; il
capostipite della razza potrebbe essere Giampiero Pinzi nella sua esperienza clivense,
o forse il Boateng della gestione Allegri. Sicuramente i due più talentuosi del
campionato sono un ex esterno di centrocampo, Saponara, ed un’ala sinistra,
Insigne, tornato per vie centrali nella trasferta veronese di due settimane fa.
Sfogliando un’ipotetica lista di trequartisti italiani nessuno potrebbe calarsi
nel contesto europeo del 4-2-3-1. Anzi, forse ne esiste uno solo e gioca in
Serie B: Leonardo Morosini.
Nasce a Ponte San Pietro, paesino di circa 10 mila
anime in prossimità di Bergamo. Ripercorrendo l’albero genealogico di Leonardo
è impossibile non associarlo al mondo del calcio: suo fratello Tommaso era
membro della nidiata ’90-’91 che tanto faceva ben sperare i tifosi dell’Inter,
assieme ai vari Balotelli, Santon e Destro; oggi milita in Serie D tra le fila
della Virtus Bergamo, dopo varie peregrinazioni tra Lega Pro e Serie B. L’allenatore
è suo cugino nonché ex coach del Livorno Armando Madonna, mentre la società è
di proprietà dello zio, Ezio. Un glorioso dirigente della compagine bergamasca
è Luciano Sala, protagonista della storica promozione in B del 1998-99. Luciano
era in curva al Del Duca di Ascoli nel giorno del primo gol in B di Tommaso, ed
è ospite fisso del Rigamonti da quando Leonardo ha iniziato ad illuminare
Brescia con sprazzi di talento. Eppure il suo rapporto con l’ecosistema calcio
non è sempre stato roseo, specie nell’adolescenza vissuta tra gli esordienti
dell’Inter. Il passaggio dagli esordienti ai giovanissimi in Italia ricalca il
divario tra asilo e prima elementare per un bambino alle prese con la primina. In
alcune realtà spesso si gioca a nove per limitare la porzione di spazio da
coprire, in altre si gioca in undici pur rischiando di disorientare e
abbandonare alla propria indole e al fiuto della sfera i ragazzi. Passare da
questo tipo di gioco ad uno in cui spesso si applica il fuorigioco e gli
arbitri, specie se alle prime armi, sanno essere estremamente fiscali, può
essere traumatico, soprattutto per adolescenti ancora in fase di sviluppo.
Così, nonostante sfavillanti prestazioni tra gli esordienti nerazzurri gli
valgano l’interesse dei dirigenti del Fulham, la dirigenza decide di scartarlo,
perciò Morosini si accasa al Brescia.
Qui brandisce il tricolore francese in memoria delle
vittime del 13 novembre. L’esultanza gli varrà articoli encomiastici
sull’Equipe e su altri quotidiani internazionali.
Con le rondinelle, in un triste pomeriggio di maggio 2014
tra le macerie del Granillo e della Reggina, arriva l’esordio in cadetteria.
Appena entrato, guadagna il rigore dell’1 a 1. La stagione successiva sembra
essere un’annata di assestamento, con l’approdo definitivo in prima squadra.
Tuttavia una serie di infortuni gli impedisce di esprimersi con continuità,
nonostante picchi di bravura come la prestazione al Dall’Ara in casa della
favorita numero uno per la promozione.
Il finale di stagione del Brescia imbocca la mesta via di molte realtà
di provincia italiane: retrocessione e speranza di un ripescaggio. Per fortuna
dei lombardi la situazione si risolve per il meglio, assicurando la
partecipazione della squadra al campionato di Serie B. In questo primo scorcio
di stagione Leonardo ha iniziato a sciorinare colpi di un repertorio dal
margine di miglioramento insondabile rispetto al resto della concorrenza. In generale
il sistema Brescia va apprezzato, nonostante un andamento ondivago, se è vero
che Guardiola stesso quattro anni orsono aveva incaricato dei suoi osservatori
di tenere d’occhio Salomon ed El Kaddouri. Oggi la squadra pullula di giovani
autoctoni e di prospettiva, su tutti Minelli, Embalo e Coly. Ma Leonardo sembra
avere una scintilla particolare, specie nel suo modo di stare in campo.
Forse la sua prestazione migliore, al di là della
doppietta.
Mai banale
Boscaglia passa indistintamente dal 4-4-2, modulo con cui ha
annichilito la capolista Cagliari, al 4-2-3-1, sistema in cui Morosini sguazza
a meraviglia. Spesso parte da trequartista di sinistra, COS se preferite il
linguaggio di FIFA, ma il suo raggio d’azione prevede movimenti sia orizzontali
che verticali. Spesso lo si vede a ridosso del centrocampo, quasi a formare una
mediana a tre e ripensarlo mezzala non sembra un’utopia. Altre volte scambia la
posizione centralmente alle spalle della punta, agendo nel classico spazio del
10. La qualità più evidente senza palla è il dinamismo: non concede punti di
riferimento agli avversari, cercando di offrire sempre l’opzione di scarico
facile al compagno. In più la sua visione periferica lo induce ad attaccare
spesso lo spazio alle spalle della difesa. Fin qui è una descrizione abbastanza
conforme alla gamma di movimenti e virtù del trequartista tattico in Italia.
Tuttavia la differenza si palesa con la palla tra i piedi. Alle radici di
questa sua diversità vi è un’ottima tecnica di base, che gli permette di
ricevere il pallone e quindi di essere funzionale alla squadra sia in corsa che
da fermo. La ricerca dell’interazione detta i suoi movimenti e la sua
conduzione di palla, per cui lo si vede spesso convergere per dialogare coi
compagni e coinvolgere nel fluire dell’azione quanti più uomini possibile. Ed è
questo tipo di approccio tutt’altro che autoreferenziale a differenziarlo dal
resto dei trequartisti italiani, spesso intenti a guadagnarsi il loro 6 in
pagella o a soddisfare le richieste dell’allenatore senza contestualizzarle nel
sistema squadra. E’ doveroso comunque sottolineare come Morosini preferisca
sempre un tipo di sviluppo inclusivo, nonostante nelle sue corde vi siano
talento individuale e virtuosismo, anche nel dribbling, come dimostra lo
splendido gol segnato al Trapani.
Notare la velocità con la quale, dopo il dribbling a
rientrare, posiziona la caviglia e il destro per calciare, anticipando di un
millesimo di secondo il ritorno del difensore.
La
possibilità di “improvvisare” ed offrire una variante aleatoria al proprio modo
di stare in campo lo rende adatto ad una linea al 4-2-3-1, concettualmente
distante da quei noiosi trequartisti a disagio con la palla tra i piedi ed
assolutamente sterili senza la scelta più ovvia di passaggio. Un aspetto forse
meno decifrabile del giocatore attuale è il tiro: durante le partite, se ne ha
l’opportunità, non disdegna la battuta a rete e il suo primo gol tra i
professionisti è proprio una conclusione da fuori area contro la Juve Stabia.
Tuttavia non sembra ci sia molta potenza nel suo calcio, nonostante un’accurata
ricerca della precisione. Pare invece sia poco esplorata la sua capacità di
assistenza, nonostante l’assist a Kupisz in occasione del 4 a 0 al Cagliari denoti
anche una discreta visione di gioco.
Blues man
Mi ha appassionato il giocatore Morosini, potrebbe essere
una novità, aldilà dei suoi hobby e della sua vita privata non proprio da
calciatore. Frequenta infatti l’università telematica E-Campus, mentre qualche
anno fa ha ricevuto la borsa di studio istituita dalla Serie B grazie ai fondi
derivanti dallo sforamento del Salary Cap. La scorsa estate ha anche vinto da
protagonista le Universiadi in Corea, sconfiggendo i padroni di casa in finale
e timbrando il 3 a 0. Tuttavia la sua passione più grande è la musica: suona il
pianoforte, segue X-Factor (c’è Fedez, male male) e Diego Ponzè di Sky ha
inviato a Mika un video di una sua esibizione alla tastiera. L’accostamento tra
l’invenzione del fantasista e la melodia del pianista è quasi una prassi nella
retorica giornalistica, per sorte maledetta e talento sentivo la pelle d’oca e
mi vibrava il cuore ogni qualvolta Massimo Marianella definiva Rosicky «Il Mozart del calcio». Ecco, da
Leonardo Morosini non pretendo la Sinfonia
numero 40, né mi aspetto un sound spiazzante alla Tim Roth aka Novecento condito
da frasi del tipo «E in culo anche al
calcio». Vorrei invece un nuovo tipo di identificazione generale in un
ruolo spesso banalizzato, ripetitivo quasi alla Giovanni Allevi; un ritmo più
blues, virtuoso e coinvolgente allo stesso tempo. Sperando di accorgerci il
prima possibile di questo giocatore.
Articolo a cura di Emanuele Mongiardo
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