Come Josh Doctson, da TCU, è diventato una delle sensazioni del draft NFL 2016.
di Michele Serra
Se vi
piacciono le storie americane, quelle che partono male e finiscono bene, quelle
in cui i protagonisti devono affrontare prove e ostacoli come fossero eroi
mitologici, allora la vicenda di Josh Doctson fa per voi. Perché se è vero che
adesso in sede di pre-draft l’ex TCU è uno dei giocatori più chiacchierati,
è anche vero che non sempre è stato così. Prima di
parlare delle difficoltà che il ragazzo ha dovuto affrontare per farsi notare a
livello collegiale - e di conseguenza professionistico - è bene partire
dall’inizio.
Un'infanzia travagliata
La vita di
Josh Doctson inizia nel Texas, a Mansfield, cittadina dalla bassissima età
media (34 anni!) e piena di famiglie a metà, in cui in genere è la madre il genitore presente - e la sua non fa eccezione. Tracy Syler-Jones è una giovane madre
disoccupata e divorziata che deve badare a due bambini: il nostro e il fratello
Jeremiah. Purtroppo, fin qui niente di nuovo rispetto a tante storie che
caratterizzano la comunità afroamericana statunitense.
La ragazza (perché all’epoca dei fatti era ben lontana dai suoi 30) era però cresciuta in una famiglia borghese, e il suo lavoro alla CBS - con sede a
San Diego -
faceva presagire che lo stile di vita, per lei e i suoi, non sarebbe
cambiato. Nel 1992, però, capì che
quella non era la sua strada e, dopo aver passato alcuni mesi
come casalinga, decise di lasciare il Texas per trasferirsi in Alabama, a
Birmingham (dove la sorella era giornalista per conto di una emittente
televisiva), alla ricerca di un lavoro che ancora non trovava. Fu un periodo
estremamente difficile per la famiglia Doctson, acuito dalla separazione tra i
genitori, che non rendeva certo più facile la loro condizione economica. I tre
andavano avanti coi 2 dollari e 75 che la madre guadagnava giornalmente durante
il suo impiego alla Birmingham YMCA, un’associazione benefica a sfondo
religioso che si occupa di fornire supporto ai giovani e alle loro attività, e
in più si faceva sentire anche la mancanza di madre e sorella, che erano
tornate nello stato natio
del Texas. Senza l’aiuto economico del marito, e con zero
possibilità di sostentamento per i suoi figli, anche per lei l’unica
possibilità fu quella del
ritorno, a Forth Worth.
Ed è qui che
avviene la prima svolta, in parte determinante per il futuro di Josh, che
all’epoca aveva solo 7 anni (siamo nel 1999). Con le spalle al muro, e con la
prospettiva di andare a vivere da sua madre, Tracy sostiene un colloquio di
lavoro con l’università locale, TCU, che per sua fortuna va a buon fine. Viene
così assunta come assistente del direttore delle comunicazioni, che si occupava
di marketing e strategie pubblicitarie all’interno del campus (e il suo cursus
honorem non sarebbe finito qui). Come tutti i programmi universitari americani,
anche quello di TCU aveva
le sue usanze tipiche: in questo caso, si trattava di far
correre centinaia di bambini sul terreno di gioco al suono di un corno,
precedendo l’ingresso in campo dei beniamini locali. I suddetti pargoli vengono
chiamati Bleacher Creatures, e i fratelli Doctson ne sono stati parte per
diversi anni, scorrazzando su e giù per il campo e facendo foto con i
giocatori: Josh non sapeva, ma forse sperava, che un giorno sarebbe stato al
posto loro.
Un'occasione da sfruttare
La vita, però,
spesso fa attendere prima di permettere
il raggiungimento i grandi traguardi. Nonostante adesso si parli del numero 9 come di
una scelta da primo giro, il suo percorso verso la NFL è stato molto più
tortuoso del previsto. In uscita da Mansfield High, Doctson ha attirato
l’attenzione di soli due programmi, Duke e Wyoming. Non aiutava il fatto che
non fosse particolarmente veloce né che fosse decisamente grezzo, visto che ha
iniziato a giocare solo a partire dal suo anno da junior al liceo: tutti lo
consideravano come un giocatore di basket, lui stesso in primis, e non vedevano
il football nei suoi piani futuri. Derek Sage, però, aveva opinioni diverse. Il
soggetto in questione era l’allora coach dei ricevitori per l’università di
Wyoming, e fu lui e recarsi nel Texas per conoscere meglio il ragazzo,
portandolo anche a fare un tour in quella che sarebbe diventata, seppur per
poco, la sua università. Come detto, la sua esperienza nel football era minima,
e di conseguenza c’erano anche pochi filmati a testimoniare le sue qualità. Ma
il controllo del corpo che mostrava nel giocare a basket, traslato appieno
anche sul campo di football, la sua precisione nel correre le tracce e,
soprattutto, la sua serietà, hanno avuto un ruolo decisivo nel suo
reclutamento.
Sage aveva
notato quanto questo dipendesse anche dal modo in cui la madre, in mezzo a
tutte le ristrettezze economiche del caso, lo aveva cresciuto, mai dando nulla
per scontato e ponendo l’accento sul
lavoro con l’obiettivo di migliorarsi. Affare fatto, dunque,
ed ecco che Doctson si trasferisce in Wyoming. La sua prima stagione si
conclude con 35 ricezioni per 393 yard e 5 TD (leader di squadra in ricezioni
da TD e yard di media su ricezione, 11.2). Il destino, però, lo poneva ancora
una volta di fronte al suo passato
e al suo futuro, ed ecco che - guarda caso - la prima meta della sua carriera collegiale
arriva proprio contro gli Horned Frogs, per giunta contro una probabile, futura
stella NFL come Jason Verrett, suo diretto marcatore in partita.
Ritorno al futuro
La sua
avventura a Wyoming, però, dura solo una stagione, e non per ragioni sportive.
La madre telefona a Josh annunciandogli che il nonno, sua figura paterna di
riferimento, era malato terminale. Il ragazzo si struggeva all’idea di stare
lontano da lui, e l’unica cosa da fare in quel momento era tornare indietro,
continuando gli studi in una università più vicina a casa. Certo è che le
offerte, ancora una volta, non abbondavano, tanto è vero che Doctson era
convinto di continuare il suo percorso in college minori come North Texas o
Texas State.
Ecco però che
il fato torna a bussare alle sue porte, questa volta sotto forma di Rusty
Burns, coach dei wide receiver di TCU che lo chiama al telefono, proponendogli
di trasferirsi in quella che è stata anche casa sua durante l’infanzia. A
rendere ancora più facili le cose c’era la presenza della madre, che nel
frattempo era diventata Vice Chancellor of Marketing and Communication. In base
alle regole NCAA, però, Josh fu costretto a rimanere fermo un anno, e poté
tornare in campo per la stagione 2013. La vera svolta professionale per Doctson
è arrivata nel 2014, quando coach Patterson ha ingaggiato i co-offensive
coordinator Sonny Cumbie e Doug Meacham, che hanno installato un nuovo sistema
di gioco, decisamente up-tempo e vicino ai giocatori, in modo da creare un
attacco esplosivo, imprevedibile e che potesse esaltare le caratteristiche del
personale a disposizione.
Il QB Trevone
Boykin ha sviluppato un’intesa speciale con Doctson, aiutandolo a raccogliere
numeri eccellenti: in tre anni a Forth Worth, le stats del numero 9 recitano
179 ricezioni (secondo all-time nell’ateneo), 2794 yard guadagnate (primo) e 29
TD (primo), oltre a vari record stagionali. TCU, intanto, diventava una delle
squadre offensivamente più efficaci dopo gli anonimi anni del dopo Dalton, in
cui erano arrivati anche 87esimi per punti a partita (25 a gara), finendo
secondi e settimi nelle ultime due stagioni.
Gli occhi su di lui
Nel frattempo,
come è ovvio che fosse, anche il resto degli Stati Uniti aveva iniziato ad
accorgersi del ragazzo, che certamente faceva del suo per notarsi. É finito al
primo posto della famosa top 10 di Sportscenter con la ricezione da TD a una
mano contro Minnesota,
E in rete si
sprecano video di highlights in cui si vede il nostro saltare in testa al
marcatore di turno per andare a prendere il pallone, magari proprio con una
mano sola.
È chiaro che
il lavoro ha aiutato molto, ma anche Madre Natura ci ha messo il suo zampino,
creando uno specimen fisico a tutti gli effetti. Come se non bastassero gli
highlights, c’è anche una puntata di Sport Science a testimoniarlo.
Doctson ha
trasformato TCU in un must-see della NCAA, non fosse altro per la curiosità di
vedere che cosa il ragazzo avrebbe aggiunto ogni sabato alla sua già abbondante
carrellata di mix collegiali su internet. I vari mock non lo fanno scendere più
in là della metà alta del secondo giro, ma già giovedì sera potrebbe sentire il
proprio nome chiamato da Goodell, magari proprio da una squadra texana, i
Texans, o i Bengals, due tra le compagini bisognose di aiuto nel ruolo di WR
(tra l’altro, non so voi, ma l’idea di una coppia Doctson - Hopkins/AJ Green è
qualcosa di esaltante). Oppure a Tennessee, per costituire un asse altrettanto
intrigante con Mariota. Quel che è sicuro è che il ragazzo ha tutti i mezzi,
fisici, atletici e caratteriali per sfondare anche al piano superiore. E se,
adesso che conoscete la sua storia, non vi è venuta voglia di tifare un po’ per
lui, a prescindere da chi lo sceglierà, “non vogliamo neanche conoscervi”.
Articolo a cura di Michele Serra