domenica 16 agosto 2015

Le gabbie mentali

Si parla troppo a sproposito di Fabio Fognini: che cosa realmente gli impedisce di stazionare stabilmente in Top 10?

di Federico Principi






Italia: Paese di arte, letteratura, cucina e belle donne. Patria di pizza e spaghetti (quelli che in Ferrari sanno fare molto bene, vero Niki Lauda?), di Dante e dei "Promessi Sposi". E di calcio. Da una pennellata di Giotto fino a quelle sulle punizioni calciate da Baggio e Del Piero. La sagra del luogo comune potrebbe continuare all’infinito, fino alla mafia siciliana.

Ma non c’è lo sport, inteso come tale in tutto e per tutto, nella visione d’insieme dell’immaginario collettivo nazional-popolare. C’è il calcio, vissuto con passione ma con derivazioni decisamente insane; e ci sono gli altri sport, con rispettiva differente tradizione, ma che il fruitore medio adotta a cuore ogniqualvolta un atleta del Bel Paese si prenda le vette mondiali nella propria disciplina.

Il caso più clamoroso è ovviamente quello dell’esplosione mediatica dello sci alpino a seguito del dominio di Alberto Tomba, e molti sospettano che l’interesse verso il motomondiale andrà verticalmente scemando a partire dal giorno del ritiro di Valentino Rossi. Che, pur essendo in testa al Mondiale 2015, non è purtroppo molto lontano.

Francesca Schiavone ha riportato il tennis su indici di ascolto piuttosto rilevanti rispetto alla media delle annate precedenti al suo magico successo al Roland Garros del 2010. La contemporanea creazione di un canale monotematico come Supertennis, e il suo progressivo miglioramento in termini di qualità del palinsesto e degli incontri trasmessi, hanno innegabilmente riportato qualcosina di tennis anche verso i timpani delle orecchie dei calciofili, o semplicemente dei meno informati. Ecco così spiegato, quindi, che raramente potrai trovare un ragazzo o un uomo che non abbia (anche solo marginalmente) sentito parlare dell’ormai leggendario doppio Errani/Vinci, o dei saliscendi, soprattutto caratteriali, di Fognini.

Errani e Vinci completano, a Wimbledon, il Career Grand Slam. Si separeranno qualche mese più tardi per motivi ancora non chiariti.

Il ragazzo di Sanremo è quindi un argomento che si è issato fino ad essere dibattuto perfino negli spogliatoi del post-calcetto settimanale. Dopo Serie A, calciomercato, serate in discoteca da programmare e immancabili commenti a qualsiasi tipo di ragazza, il carattere di Fognini (che a molti ricorda Balotelli, ma è solo un’immagine distorta) riempie le corde vocali della gente anche in ambienti lontani e meno affini al tennis in generale. Merito dei suoi risultati sul campo, che lo hanno indiscutibilmente portato ad essere il miglior giocatore italiano degli ultimi 35 anni di tennis maschile, e che lo pongono ormai sotto i riflettori più luminosi. Con un pubblico, quello più specifico e competente in materia tennistica, che lo conosceva ovviamente già da parecchio tempo, e che da anni ormai si aspetta la definitiva compiutezza del suo talento. Destinata, forse, a non arrivare mai.


L'ascesa improvvisa

Come un cantante pop inizialmente nell'orbita delle case discografiche minori, Fabio Fognini conosce il successo e l’esplosione mediatica a seguito di un paio di tormentoni estivi che rimbalzano da un orecchio all'altro. Sperando che non venga ricordato come Luca Dirisio per un solo pezzo, nel suo caso il leggendario "Calma e sangue freddo" a lungo in classifica a "Top of the pops" in Italia. Il grande pubblico scopre il ligure nell’estate del 2013: Stoccarda, Amburgo, Umago, tre settimane di fuoco concluse con l’unica sconfitta estiva, in finale in Croazia da un ritrovato Tommy Robredo che di lì a pochi giorni avrebbe dato un bel straight sets a Roger Federer (mai battuto prima) allo US Open. Fognini infrange la maledizione del "18": niente a che vedere con la famosa barzelletta di Proietti, ma sia Seppi (pochi mesi prima) che i più anziani e ormai inattivi Gaudenzi e Camporese avevano ottenuto un "best ranking" personale esattamente identico, e comunque già di tutto rispetto, superato da Fabio. Segue una prima parte di stagione 2014 che imperversa seguendo la stessa onda: quarto turno all’Australian Open fermato solo da Djokovic, altro titolo 250 a Viña del Mar e altra finale sudamericana a Buenos Aires inchinandosi al cospetto del martello Ferrer. Una spedizione, quella argentina del primo turno di Davis, che lo vede assoluto protagonista, vincitore (con una certa autorevolezza) di tutti e tre gli incontri in cui è chiamato a portare la bandiera. Memorabile inoltre la vittoria su Murray nei quarti della competizione a squadre, che sposta gli equilibri in favore di una selezione italiana che dopo la sconfitta nel doppio pareva ormai spacciata. Il famoso "best ranking" tocca, il 31 marzo del 2014, quota 13.

Il punto più alto della recente storia del tennis maschile italiano (di singolare): Fabio Fognini vince il blasonato ATP 500 di Amburgo nell’estate 2013.

In questo arco di tempo inferiore a 12 mesi Fognini ha compiuto un grande salto in avanti. Merito suo, o forse più del suo nuovo coach José Perlas, chi lo sa. Uno capace di far vincere Roland Garros a Moya e Costa, a convincere Almagro a dimagrire e di conseguenza entrare in Top 10, dovrebbe saperci fare. Perlas ha messo in riga Fabio, tirandolo a lucido atleticamente come mai prima in carriera e spronandolo a mettere a frutto tutto il talento che papà Fulvio e mamma Silvana gli hanno fornito. E che probabilmente non è mai riuscito ad esprimere fino in fondo. 

La facilità di braccio di Fognini è qualcosa di raramente visibile: non va tuttavia confuso il "talento" con la "tecnica" (vedere anche alla voce Kyrgios, braccio sciolto e naturale ma tecnica grezza), quest’ultima ampiamente sviluppabile anche da chi di doti innate ne ha pochine. Fabio ha un solo punto debole, il servizio (di cui parleremo approfonditamente più avanti), ma ha abilità e semplicità di esecuzione in tutti gli aspetti del gioco. Difetta forse leggermente nei colpi al volo, pur essendosi trasformato in doppista di assoluto successo ma senza il classico serve and volley che il bon ton (ormai in disuso) della specialità prevede. <<Nel no-ad faccio rispondere sempre lui: Fabio sbaglia una risposta all’anno>>: chiarissime le parole del compagno Simone Bolelli, con il quale condivide l’Australian Open di questa stagione, nella cui finale contro Herbert/Mahut il ligure ha dato l’impressione di essere assoluto padrone del campo nel momento in cui si accendeva. Tutto l’arsenale di colpi di cui dispone Fognini lo ha in poco tempo elevato allo stato di mina vagante, pericoloso per chiunque nella giornata in cui gli oroscopi lo danno in forma.

Lo Slam australiano: dal minuto 0:32 due punti consecutivi risolti entrambi con deliziosi pallonetti millimetrici di Fabio.

<<Non mi importa se mi date del presuntuoso, credo di valere un posto tra i primi 10>>. Maggio 2013, questa è la dichiarazione. Di mezzo c’era stata la semifinale di Montecarlo, dopo due match capolavoro contro Berdych e Gasquet, ma non ancora la fruttuosa estate. Fognini era stato lungimirante, conscio del proprio potenziale espresso soprattutto in allenamento e che ha portato in competizione solo qualche mese più tardi. In molti si sono interrogati sull’eventualità che un giocatore italiano, dopo Barazzutti nei tardi anni Settanta, avesse finalmente le carte in regola per far parte di quel ristretto club di élite.


I limiti tecnici

"The only limit is the one you set yourself". Red Bull ha colonizzato i due sport più seguiti al mondo, il calcio e la Formula 1, e sponsorizzato qualsiasi tipo di evento, compreso il lancio nel vuoto di Felix Baumgartner. Raramente, forse addirittura mai, lo vediamo invece nei pannelli a lato dei campi durante i tornei ATP. Il loro slogan potrebbe invece servire a Fognini: leggerlo ogni tanto al cambio campo potrebbe ricordargli che la tanto agognata Top 10 non sarebbe una chimera, se solo si accettassero le proprie debolezze e si lavorasse duramente per spostare l’asticella sempre più in alto. Senza porsi limiti, appunto.

Avevamo accennato al servizio. La meccanica di Fognini è decisamente incompiuta: è ridotta al minimo, e in qualche caso perfino assente, la famosa "pausa", quella susseguente al lancio palla nella quale si carica maggiormente la batteria, in attesa della fase di scarico dove il tennista esplode in avanti e libera tutti i cavalli nel quadrato del servizio avversario. Il piano di ribaltamento delle spalle è inoltre decisamente ridotto rispetto alla media dei giocatori di vertice, e ci allarghiamo anche oltre la top 100, diminuendo la possibilità di produrre spinta e velocità. Fabio alza poco la spalla destra al momento di impattare, difetto che lo accomuna al connazionale Andreas Seppi, e che al di là del paladino intervento di qualcuno nel difendere a spada tratta la scuola italiana, altro non è che l’ennesima conferma di un movimento azzurro che ha prodotto troppi giocatori deboli nel colpo di inizio gioco: Fognini e Seppi già detti, Errani, Volandri, Starace (incisivo solo con il kick), la Pennetta di qualche anno fa. <<È la prima cosa che perdo quando sono stanco>>: i microfoni a bordo campo non registrano per fortuna solo le irripetibili imprecazioni di Fabio, ma a volte anche qualche utile considerazione tecnica. Il match nel quale gli è scappato questo commento è stata la recente semifinale di Amburgo contro Pouille: un incontro condotto con autorevolezza e rara solidità, un’analisi schietta e improvvisa frutto di un poco frequente momento di lucidità. Che fotografa perfettamente la situazione: i colpi più deboli e meno sicuri sono proprio i primi ad abbandonare qualsiasi giocatore, a qualsiasi livello, quando l’intensità psico-fisica cala. Fognini non fa eccezione, e il suo servizio è la prima vittima quando il motore non riesce a raggiungere i regimi massimi.

Sopra, dal minuto 2:43 iniziano gli slowmotion del servizio di Fognini.
Doveroso il paragone con il Maestro, sotto: non vi dico neanche il nome ovviamente.
Resta in ogni caso ben visibile la differenza tecnica, che si traduce in un’incommensurabile differenza di resa del colpo in partita.

Compare recentemente su "Il tennis italiano" un articolo di Gianluca Carbone, Maestro Nazionale FIT: nella specifica fattispecie si erge Fognini a modello “di come ci si deve muovere su un campo da tennis", attribuendo le due vittorie sulla terra contro Nadal al fatto che Fabio faccia "meno passi per colpire la palla". Non ha tuttavia avuto il tempo, essendo andato in stampa quasi un mese prima, di vedere l’emorragia di errori di rovescio sempre contro Rafa ma nella recente finale di Amburgo, derivanti proprio da una spiccata tendenza ad avvicinare la palla con pochi passi. L’autore dell’articolo si lancia infine in un paragone decisamente ambizioso ma forse non altrettanto azzeccato, affermando che Fabio sia l’unico equiparabile a un vero mostro degli spostamenti come il grande Nikolay Davydenko.

Costui era Davydenko: autentico robot, mai scomposto sulla palla.

Francamente questa analisi appare azzardata e semplicistica. Fare meno passi per avvicinare la palla non sempre è sinonimo di coordinazione e perfetta capacità di economia di energie, e probabilmente nel caso di Fognini rientriamo nel campo della pigrizia. La ricerca della palla è un fattore sempre più determinante nel tennis moderno, e nonostante tutto il talento di Sanremo non sembrerebbe rientrare nei vertici di ipotetiche relative classifiche. Giocatori come Ferrer e Nishikori, tanto per citarne due di livello superiore ma della stessa taglia fisica, fanno spesso la differenza proprio in questo determinato settore tecnico, spesso anche a discapito dei top player. Senza scomodare i Fab Four (Federer, Nadal, Djokovic, Murray, elenco valido per i neofiti) che sono decisamente di un’altra categoria. Fabio Fognini trae raramente giovamento da questa sua carenza di passi, ritrovandosi invece spesso la palla addosso nel momento di spostarsi per giocare il dritto anomalo e colpendola ad una distanza conseguentemente errata. Si fa sorprendere troppo spesso dai rimbalzi non perfetti, soprattutto sulla terra battuta, sintomo che la palla non è frequentemente cercata in modo attivo. La recentissima sconfitta contro Monfils a Montreal altro non è che l’ennesimo primo turno stagionale su campi duri: zero vittorie su cemento nel 2015. Non è mai stata la sua superficie, e sono proprio i campi più veloci il luogo dove la palla va cercata in modo rapido, maniacale. Qualità che manca a Fabio, sinceramente imparagonabile ad un vero e proprio maestro dei movimenti laterali come Davydenko.

Gli errori di Fognini contenuti in questo video (in particolare nel punto che inizia al minuto 3:10) sono proprio il risultato di una cattiva ricerca della palla.

Per concludere, non è possibile lasciare per strada la notevole rigidità di gambe con cui esegue una buona percentuale di colpi. Un fisico così elastico e allo stesso tempo potente dovrebbe garantire una spinta nelle gambe, e successivamente nell'impatto con la palla, decisamente di primo livello. La mancanza invece di grande carico accumulato nella parte inferiore altro non fa che ribadire quanto sia tuttavia assolutamente straordinario il suo braccio, capace di generare grande velocità nei colpi nonostante le gambe siano raramente piegate allo scopo di caricare la palla. Che, nonostante tutto, viaggia lo stesso. Ma potrebbe farlo ancora di più.


Cosa c’è nella sua mente?

Prima di parlare dell’universo psicologico di Fabio Fognini, è doveroso farsi il segno della croce.

Possiamo iniziare. Con la più classica delle frasi che un qualsiasi insegnante avrà sicuramente rivolto ad una buona percentuale di genitori incontrati nei colloqui, riferita al rispettivo figlio: <<Ha le potenzialità, ma non si applica>>. Ecco forse il primo errore che l’opinione pubblica commette, banalmente, nel valutare le mancate opportunità della carriera. Sarebbe forse più opportuno, e viene ovviamente fatto, riferire questa mancanza di abnegazione a colleghi che rispondono al nome di Gulbis o Tomic, tanto per non scomodare Safin ormai inattivo. E invece Fognini viene in questo senso equiparato a Mario Balotelli, ma non è così.

Un grande punto in comune che i due fenomeni mediatici italiani appena citati hanno è sicuramente l’allergia alle critiche. O per lo meno lo danno a vedere ai microfoni. Tanto Supermario nei confronti di Marocchi dopo Roma-Milan, quanto Fabio a danno di Scanagatta: perfino la sorella Fulvia si è scatenata in modo feroce e ingiustificato su Twitter, difendendo Fognini in maniera piuttosto patetica dopo la penosa scenata nei confronti del rispettabilissimo giudice di sedia Lahyani, nel match perso a Madrid 2014 contro Dolgopolov. Fabio sembra tuttavia un ragazzo decisamente più motivato al lavoro quotidiano rispetto al suo connazionale di colore, ma i suoi problemi sono altri. Una fragilità psicologica che spieghiamo meglio qui in basso.

Fognini non accetta di parlare con Scanagatta: atteggiamento sicuramente rivedibile.

Condivide inoltre con Balotelli una brutta abitudine, cementificata e cronicizzata nel corso degli anni ed ormai quasi impossibile da esorcizzare: Fognini quando si innervosisce entra in un vortice negativo. Il suo equilibrio psicologico è troppo sottile e facilmente alterabile, portandolo a lamentarsi di qualsiasi circostanza esterna che sfugga al suo controllo. Il braccio, le gambe e la testa sono strettamente collegati, e un crash mentale porta inevitabilmente a pensare in negativo, disunendo i movimenti del corpo e la tecnica di esecuzione dei colpi. Questo inarrestabile atteggiamento di disappunto nei confronti di giudici di sedia, giudici di linea, avversari, membri del team avversario, spettatori, non porta altra conseguenza che la distrazione da tutto ciò che dovrebbe invece rappresentare il centro del mondo di ogni giocatore professionista, dilettante, amatoriale, durante il match: le dimensioni del campo, le proprie scelte tattiche, il gioco dell’avversario. Argomenti che passano in secondo piano nella mente di Fabio durante le lunghe sceneggiate.

Nonostante viva anche piuttosto sporadicamente particolari momenti di fiducia nel corso dei match, Fognini tende comunque troppo spesso a regalare uno o due punti per ogni game: questa incostanza risulta poco visibile negli incontri con giocatori di livello inferiore, abbagliata da colpi spettacolari e in ogni caso da successi nei match singoli. Ma tutto ciò non aiuta assolutamente Fabio ad acquisire quella continuità, quell’automaticità e quella regolarità necessarie per sfidare ad armi pari i top player. Più si sale di livello, meno gli errori vengono perdonati. Anzi, decisamente puniti.

La precarietà della stabilità mentale del Fognini agonista crea un’altra nefasta conseguenza, con esiti terrificanti in uno sport così complesso: non è forse una grande novità sostenerlo ora, ma il tennista ligure non ha per nulla grandi capacità di rovesciare partite e situazioni di gioco approcciate, o semplicemente carburate, nella maniera meno corretta. Personalmente ho trovato abbastanza sconcertante, proprio a tal proposito, la prestazione, e poi anche il risultato, offerti in un match contro Carlos Berlocq al 250 di Buenos Aires pochi mesi fa. Fabio ha una caratteristica peculiare sul suo servizio: oltre ai problemi tecnici già analizzati in precedenza, è uno dei giocatori più veloci in assoluto tra un punto e l’altro. Paragonabile agli ugualmente istintivi Paire o Kyrgios, questo atteggiamento frettoloso ha la grossa controindicazione di non offrire tempo necessario per riflettere su cosa non stia andando per il verso giusto. Si dice nella psicologia comune del tennis che sia necessario accogliere con positività ogni punto appena trascorso, anche gli errori commessi, ed avere il tempo per resettare tutto e proseguire con fiducia ed autostima. Fognini difficilmente riesce a compiere questa manovra mentale, senza quindi risolvere la particolare complessa situazione che in quel momento sta vivendo in campo, trascinando invece il problema esistente più a lungo possibile. A volte direttamente fino alla stretta di mano di fine incontro.

Non imitatelo.

Queste implicazioni psicologiche hanno un’incidenza assolutamente decisiva in negativo per far sì che Fabio Fognini non abbia mai espresso fino in fondo il proprio potenziale, senza mai entrare realmente a far parte della più prestigiosa tavola rotonda dove i primissimi hanno un posto riservato ciascuno. L’opinione pubblica parla troppo spesso di "braccio" e di "tecnica", anche ad esempio in relazione su chi potrebbe essere il numero uno del futuro o sul perché un determinato giocatore sia ad alti livelli o abbia vinto un determinato incontro. Chi gioca, e soprattutto chi è professionista, sa bene che non è così: Juan Carlos Ferrero si sbilancia perfino in una rischiosa quantificazione percentuale di importanza dei vari settori del gioco, ma potrebbe essere realistica. La tecnica avrebbe il 5% di incidenza, niente a che vedere con il fisico (45%) né tantomeno con la mentalità (50%). Qualità, quest’ultima, dove è superfluo ribadire che Fognini sia decisamente carente. Perfino il maestro per eccellenza, Roger Federer, in gioventù otteneva risultati modesti in proporzione al proprio smisurato talento e alla preparazione tecnica: soltanto a seguito di un percorso psicologico terminato con successo, lo svizzero farà incetta di record diventando un punto di riferimento anche sotto il profilo mentale. Se Ferrero abbia o meno ragione, non è certo in questa sede che si può contraddire, visto che un classificato 4.3 FIT (il sottoscritto) ha decisamente meno esperienza di un vincitore Slam, vecchio numero uno al Mondo. E la sensazione è che lo spagnolo non abbia esattamente tutti i torti.

Le conseguenze sul campo sono decisamente visibili. Dopo aver raggiunto il “best ranking” nel marzo 2014, Fognini si è esibito in una preoccupante serie di sconfitte, delle quali molte assolutamente impensabili fino a quel momento. Sospetto più che fondato, e confermato da Perlas, che il ligure non abbia psicologicamente retto la nuova situazione di trovarsi sotto nuovi e più luminosi riflettori, di essere uno "da battere", diversamente e più consistentemente responsabilizzato. Quando si ha più da perdere, le pressioni sono decisamente maggiori. Visibili sul campo anche alcuni atteggiamenti sconcertanti, che tutto creano fuorché giovamento a Fabio: già detto delle clamorose proteste a Lahyani (<<Se perdo questo set, avrai problemi>>), imbarazzante l’ultimo game, volutamente perso, contro Stepanek a Cincinnati 2013. Infantile la scenata contro Tsonga a Montecarlo 2014, in un match fin lì sotto controllo: un errore di un giudice di linea fa uscire completamente Fognini dalla partita.

Fognini compie un doppio fallo (entrambi di piede) appositamente sul match point: momento di grande disagio.

Per Nadal, amico in realtà di Fabio nonostante la recente polemica ad Amburgo, il ligure sarebbe un bravo ragazzo che in ogni caso <<a volte non si comporta bene. L'importante è che si renda conto di quello che sta facendo>>. Rafa che diede consigli tattici a Fognini prima del match di quest’ultimo contro Berdych, a Montecarlo 2013, che evidentemente il campione di Maiorca non ha molto a cuore. Nadal, disteso sul lettino dei massaggi, interruppe la propria seduta al passaggio del tennista italiano: <<Fermati un secondo Fabio, devi giocare contro Berdych. Allora, servigli al corpo: è lento negli spostamenti, ma se gli servi sugli angoli risponde benissimo. Con una palla in pancia invece farà più fatica a rispondere>>. Vinse ovviamente Fognini in due set, illuminato dal suo nuovo coach molto molto part-time.

Rafa che parlerà di Fabio anche dopo la terribile conduzione del match del ligure contro Tsonga: <<Per un punto perso non puoi prendere una scusa per tutto il resto del match. Non importa cosa sia successo prima, se tu non combatti e perdi a nessuno importa perché hai perso. Quello che resta è che tu hai perso una partita, con gli anni si ricorderà solo questo>>. Lectio magistralis. Nadal abituato invece a reagire in modo diverso alle presunte ingiustizie subite, come nel caso di due incontri del 2010 contro Soderling (a Wimbledon) e Berdych (al Master). Dopo reiterate e forse giustificate proteste, senza ottenere nulla, Rafa si isola dal passato e gioca il punto successivo meglio di un match point: caricandosi come avesse vinto la partita. Guardare per credere.

Nadal ha forse ragione: il punto andava probabilmente ripetuto. Già sotto di un set, è costretto a fronteggiare una palla break: guardate che reazione ha nel punto successivo alla contestazione.

Per giustificare i nervosi atteggiamenti di Fognini è stata perfino scomodata una leggenda come McEnroe: mai paragone fu così fuori strada. John aveva bisogno di discutere con gli arbitri e perfino con gli avversari, e per un perverso meccanismo mentale personale traeva carica agonistica che gli accendeva la luce e lo conduceva nel giusto (per lui) stato mentale per affrontare le proprie sfide, soprattutto le più complicate. Anche se non alzò mai un dito quando dall’altra parte della rete c’era Bjorn Borg: il rispetto verso lo svedese era troppo, una forma di culto religioso. Fognini a seguito di discussioni molto simili, nella forma, a quelle del talento mancino di New York, perde invece quasi completamente il filo della partita. Si disunisce, come i famosi cavalli che rompono il passo, e a quel punto il suo talento diventa quasi totalmente ininfluente.

"You cannot be serious": la palla era probabilmente buona.

La fragilità psicologica del ragazzo sanremese è ormai proverbiale e, ci mancherebbe pure, celebre all’interno del circuito ATP. Con i propri demoni interiori Fognini dà grande sicurezza ai propri avversari: anche qualora stia conducendo un incontro, nel gioco o nel risultato, il suo opponente ha sempre quella energia mentale di riserva, consistente nella speranza, o addirittura nella certezza, che l’insicurezza e la rabbia di Fabio possano finalmente uscire fuori anche in un match dove inizialmente non si palesano. Agevolazioni impossibili da ricevere invece da vere e proprie macchine da guerra come Nadal, Djokovic, Hewitt di un tempo, lo stesso Federer, forse anche Ferrer: se uno di questi giocatori si trova in vantaggio, il suo avversario sa che per ribaltare la situazione dovrà vincere cinque partite in una. Consapevolezza che scoraggia decisamente il malcapitato di turno. Così qualcuno approfitta anche dell’instabilità di Fognini, contestando chiamate o comunque compiendo qualsiasi tipo di gesto al solo intenzionale scopo di irritare i sensibili nervi del tennista italiano: che puntualmente casca nella trappola.

Non sappiamo, anche se ne abbiamo il fondato sospetto, se le lamentele del tennista di Sanremo facciano parte della categoria di tutto che ciò che Julio Velasco ha magistralmente registrato come "cultura degli alibi", e di cui abbiamo parlato in un precedente articolo di pallavolo pubblicato proprio da noi di Fuori Dagli Schemi. Di certo se così fosse, sarebbe decisamente complicato perseguire quell’obiettivo di cui parliamo già nel sottotitolo, e che Fognini stesso ha detto di avere le carte in regola per poter raggiungere. Bollato frettolosamente da una frangia degli appassionati come "sopravvalutato", ci pensa un discreto intenditore come Nick Bollettieri a legittimare le personali sensazioni del ragazzo: <<Fognini ha il talento per diventare un Top 10 e vincere tornei di primo livello>>.

<<Non accettare alibi significa non accettare motivazioni, per le quali una cosa non si può fare, diverse dalla propria responsabilità>>, diceva Velasco in una ormai celebre conferenza stampa. Impossibile pensare che Perlas non abbia fatto un simile discorso a Fabio, difficile stabilire se il ragazzo abbia recepito o non se ne sia convinto fino in fondo. O forse la cronicizzazione di determinati problemi è talmente radicata che questi ultimi risultano ormai impossibili da estirpare. Soprattutto, in un ormai quarantennale periodo di assenza di tennisti italiani di primo livello, ci auguriamo decisamente di no.


Articolo a cura di Federico Principi








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