lunedì 21 novembre 2016

Great Expectations

I Lakers hanno trovato le fondamenta su cui ricostruire.

di Michele Serra























Da  quando nel 2012 Mitch Kupchak ha ipotecato il futuro della franchigia nel nome di un presente fatto di lustrini e paillettes più o meno brillanti, i Los Angeles Lakers hanno via via perso quell’aura mistica che li rendeva LA squadra NBA, quella più riconoscibile in tutto il mondo e immune a qualsiasi processo di ricostruzione. Questo perché non c’era mai stato bisogno di ripartire da zero, ma solo di rinfrescare la squadra - perenne contender ad eccezione di alcune sporadiche annate - in genere pescando tra i free agent: le scelte al draft, quando c’erano, erano piuttosto basse, e non si sono mai tramutate in solidi giocatori di rotazione, mentre la fila per giocarsi il titolo ad Hollywood nella squadra di Shaq, Kobe e Gasol (per rimanere nel nuovo millennio) era motivazione abbastanza grande per attirare l’attenzione dei migliori giocatori disponibili sul mercato anno dopo anno.  

Il fallimento dell’esperienza Nash-Howard-Kobe, e la sfilza di infortuni patiti da quest’ultimo hanno accelerato il declino di una squadra crollata inesorabilmente nell’arco di tre stagioni. Se non altro, la protezione delle scelte coinvolte nelle trade per il play dei Suns e il centro dei Magic è servita da paracadute, tanto che la sofferenza della franchigia e della fan base non possono essere considerate vane. Tra prime e seconde scelte, Kupchak e la dirigenza paiono aver trovato finalmente i giocatori su cui impostare il nuovo corso agli ordini di Luke Walton, emergente coach tornato alla base - dove aveva giocato fino al 2012 - dopo due anni di apprendistato alla corte di Steve Kerr e dei Warriors, con cui si è laureato campione NBA. 

La squadra ha iniziato la stagione con un record di 7-5 e finalmente inizia a vedersi la luce in fondo a quel tunnel fatto di scelte dirigenziali sciagurate, figlie di una programmazione inesistente e di una visione fin troppo antica della NBA, che dal 2010 - anno dell’ultimo titolo di LA - ad oggi è cambiata incredibilmente, lasciando a piedi chi non aveva il coraggio di seguirla. 


Top player

Posto che il tempo per capire quanto un giocatore giovane possa valere tra i pro è piuttosto lungo, chi sembra davvero aver fatto svoltare la squadra da subito è proprio Walton. Una volta ingaggiato, da lui nessuno si sarebbe aspettato neanche lontanamente dei risultati concreti in termini di vittorie e sconfitte, in questa stagione. L’obiettivo era, ed è tutt’ora, quello di creare una nuova cultura grazie alle idee maturate a Golden State e di portarle in uno spogliatoio precedentemente dominato da un’ex stella che non si rassegnava all’idea di aver perso il tocco magico e da un allenatore ormai fuori moda per la NBA attuale e che per giunta non sapeva minimamente rapportarsi con i giovani. 

I giocatori sono entusiasti di coach Walton (che ogni tanto li sfida in partitella o in uno contro uno in allenamento) e dei suoi metodi di lavoro, e farebbero di tutto per lui, come ha dichiarato Lou Williams, uno di quelli che ha maggiormente beneficiato della cura Walton. 

un punto di vista puramente tattico, l’ex giocatore dei Lakers vuole tanto movimento del pallone e dei giocatori off-the ball, per tenere la difesa sulle spine e cercare di costruire tiri aperti e/o in ritmo. La squadra produce tanti punti (107 di Off.Rating, buono per il decimo posto nella Lega), ma c’è ancora tanto lavoro da fare, chiaramente, a partire dalla questione dei passaggi. Walton ha recentemente dichiarato di voler arrivare a circa 300 a partita, quanti se ne facevano agli Warriors. I Lakers ad oggi mettono a referto 285 passaggi a partita, 26esimi in questa classifica. Di contro, sono 12esimi per percentuale di isolamenti giocati a partita, situazione in cui sono però i migliori della Lega, con 1.13 punti per possesso, segno che c’è parecchio da fare in termini di costruzione del gioco, ma gli uomini con punti nelle mani non mancano. E allora quali sono i punti di forza nell’attacco dei gialloviola? Innanzitutto, la velocità di esecuzione. Sono quarti per possessi a partita (102.8, contro i 97.9 dello scorso anno, sedicesimi), e sono molto efficaci in transizione (1.15 punti, top 10, e 66.4% di efg , terzi). Ma soprattutto quest’anno tutti i giocatori sono attivi lontano dalla palla, in particolar modo con i cosiddetti pin-down, i blocchi portati lontano dalla palla, che sono uno dei cardini dell’attacco di Golden State, e non solo (e infatti sono 10.4 gli screen assist a partita, decimi in questa classifica)

Tutti i giocatori sono coinvolti, e ad essere liberati per la conclusione possono anche essere protagonisti inaspettati, tipo Mozgov, che qui riceve il blocco da Nick Young e segna il piazzato.




Tutti i giocatori sembrano aver beneficiato dell’arrivo di Walton, in primis Julius Randle. Fin dall’arrivo dell’ex assistente degli Warriors, in tanti hanno iniziato ad azzardare paragoni tra lui e Draymond Green, cresciuto esponenzialmente dai primi anni di NBA e diventato un’arma totale su entrambi i lati del campo. In attesa di capire che tipo di giocatore diventerà Randle, va detto che l’ex Kentucky ha tutto per diventare una vera point forward, capace - dopo un rimbalzo difensivo preso - di dare via al contropiede, concludendo a canestro o servendo un compagno. In questo inizio di stagione, Randle ha già mostrato di saper fare entrambe le cose, ed anche a difesa schierata le sue letture sono notevoli, come si vede in questo passaggio schiacciato a terra per Russell.




Non è un caso che Randle sia secondo in squadra per numero di passaggi a partita effettuati (43.2) ed assist a partita (3.8), dietro solo a Russell. Un difetto del numero 30 di LA - che nel frattempo ha anche dimostrato di poter essere un difensore competente nonostante gli orrori mostrati lo scorso anno - è la sua mancanza di confidenza con la mano destra. Quando si butta a testa bassa in penetrazione, il difensore sa che concluderà a sinistra; altrimenti, piuttosto che tirare con la mano debole, Randle si prenderà un tiro scoordinato con la amata mancina, precludendosi però la possibilità di segnare, come vediamo qui sotto.




Il ragazzo di Dallas comunque tira con un eccellente 78% al ferro, mentre il resto del suo gioco offensivo latita ancora. Ma su questo, così come sullo scarso uso della mano destra, ci sarà tempo di lavorarci. 

La stagione di D’Angelo Russell, invece, procede ancora per alti e bassi. Il ragazzo ha tantissimo talento offensivo, la partita contro i Nets ne è stata una riprova, ma ancora non convince in termini di letture, e a volte è fin troppo aggressivo nel cercare un tiro quando altre soluzioni sarebbero preferibili.
Tra i giocatori con almeno 50 possessi giocati col p&r, Russell ha la media punti per possesso più bassa (0.59), e nel 21.8% dei casi perde palla: solo 5 giocatori, tra quelli coi requisiti di cui sopra, hanno fatto peggio. 
Russell, come detto, ha comunque del talento innato, che gli permettono di fare cose come questa:






e questa, con l’unica differenza che questo è un tiro mal consigliato, perché preso senza grosso ritmo e senza nessun giocatore a rimbalzo. Per fortuna di LA è andato a bersaglio, ma la sostanza non cambia.





In difesa, invece, il lavoro da fare per renderlo un giocatore presentabile è ancora lungo. Off the ball si distrae facilmente, e a volte è fin troppo aggressivo nei raddoppi dal lato debole, che i Lakers portano con buona frequenza contro attaccanti di un certo livello (si è visto per esempio contro Paul George, Boogie Cousins, Brook Lopez ed Anthony Davis, addirittura triplicato). 

Da segnalare anche un sorprendente Nick Young, che tira con il 57% di Efg (Effective Field Goal %, la statistica che riunisce tiro da 2 e da 3, attribuendo più valore a quest’ultimo), miglior dato in carriera. Inserito nel sistema di Walton, Young è un attaccante più controllato e molto più efficace, perché si risparmia conclusioni affrettate ed è diventato uno tiratore da spot-up (il 58% delle sue conclusioni sono arrivate senza aver messo il pallone per terra) e il maggior movimento di palla della squadra gli libera più spazi per il tiro (il 39.5% dei suoi tiri sono definiti “open” da NBA.com, contro il 34 dello scorso anno). Ancora più incredibile è lo sforzo che sta facendo nell’altra metà campo: ad un passo dal taglio, l’ex Wizards è stato convinto da Walton ad impegnarsi maggiormente in difesa se avesse voluto mantenere il posto in squadra. Questa transizione lo ha portato a diventare un titolare più che affidabile (anche se la sua utilità a lungo termine è da vedere).


Contributi inaspettti

Buona parte del merito per questo inizio oltre le aspettative, però, va ascritto sorprendentemente alla panchina. La second unit dei Lakers segna 50 punti a partita, tranquillamente il miglior dato della Lega, con un net rating di 18.9. Lou Williams sembra tornato ai livelli di due anni fa, quando si è laureato sesto uomo dell’anno. Anche in quanto veterano del gruppo, Williams ha preso in mano il secondo quintetto di LA garantendo punti veloci in più modi e facendo registrare massimi in carriera per punti (15.6), efg% (52.9) e percentuale da 3 (39.3%), il tutto in soli 22 minuti di utilizzo a partita. É anche un eccellente giocatore di pick and roll, con i suoi 0.95 punti per possesso - davanti a top del ruolo come Kyrie, Westbrook e John Wall. Discorso simile va fatto per Jordan Clarkson. Il ragazzo da San Antonio ha firmato un contratto da 50 milioni in 4 anni, in estate, ma nonostante ciò ha saputo reinventarsi come sesto uomo, approfittando delle sue eccellenti doti offensive. La sua zona di campo preferita sembra essere il mid-range (tira 19-36 in quest’area), quella che ormai è diventata terreno minato nella NBA attuale, mentre la percentuale da 3 (31%) e al ferro (51, sotto la media di Lega, fissata al 54) dimostrano che, anche in questo caso, ci sono ampi margini di miglioramento, non solo in termini percentuali, ma anche nella selezione di tiro.

Quello che rende tale la second unit dei Lakers è anche il lavoro svolto nella metà campo difensiva. Deng e Mozgov non hanno ancora dato molto da questo punto di vista. Mozgov concede il 47% al ferro su 12 tentativi a partita, non esattamente dati da rim protector; l’ex Bulls invece concede al diretto marcatore il 50% dal campo, e anche in attacco latita (36% di efg). Al contrario, tutti gli elementi del secondo quintetto hanno un buonissimo def.rating (ampiamente sotto il 100 eccetto Clarkson) e la squadra sta avendo minuti di qualità da Brandon Ingram, Larry Nance Jr. e Tarik Black. Ingram, che pure sta comprensibilmente faticando nella metà campo offensiva, ha braccia lunghissime per intromettersi sulle linee di passaggio e disturbare i tiri; Nance, pur non essendo molto alto, ha grande atletismo e mobilità che gli consentono di cambiare sui blocchi e rimanere con i piccoli avversari, mentre Tarik Black, pur se anch’egli non molto alto, garantisce difesa del ferro (42% concesso agli avversari su poco meno di 8 tentativi a partita), rimbalzi (13 di media per 36 minuti) ed è titolare del miglior def.rating di squadra tra i giocatori con almeno 100 minuti in campo (94.3). 

Qui, un esempio di quanto detto sopra, con Indiana che muove il pallone senza trovare un tiro comodo, grazie al movimento continuo e ai raddoppi portati con puntualità da tutti i membri del quintetto.





Anche qui, ci sono tante cose da sistemare, come la comunicazione tra compagni che più volte manca, specie in transizione, dove LA concede 1.15 punti per possesso (quinti a parimerito con altre tre squadre), con il 67% di efg (terzi). Qui vediamo come, in tutta tranquillità, concedano un tiro spalancato ai Pelicans sul finire dl quarto, tiro per loro fortuna sbagliato. A voi capire perché abbiano lasciato Solomon Hill completamente indisturbato.





Molte di queste mancanze sono dettate da inesperienza, errori di gioventù e semplice necessità di assimilare i dettami di Walton. Pensare che una squadra così giovane possa mantenere un livello di rendimento così sorprendente forse è troppo: adesso l’importante è far crescere bene le nuove leve, e per contare vittorie e sconfitte ci sarà tempo.
Se i Lakers sapranno continuare su questa falsariga, però, questo momento potrebbe essere più vicino di quanto ci si potesse aspettare. 


Articolo a cura di Michele Serra

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