giovedì 19 febbraio 2015

Tutt'altro che banali


Tottenham-Fiorentina per associazione di idee mi rimanda ad una di quelle sfide molto anni 90’ di Coppa UEFA. Le squadre si sono affrontate soltanto in un paio di amichevoli, ma come si fa a non ritornare con la mente alle gloriose trasferte delle nostre in Gran Bretagna? La Lazio a Stamford Bridge, il Genoa ad Anfield Road e così via.

Proprio con i grifoni gli Spurs condividono l’origine. In quel di Tottenham nasce un club di cricket, gli Hotspur, gli impulsivi, dal soprannome di Henry Percy, nobile inglese, nemico giurato di francesi e scozzesi contro i quali aveva combattuto, nonché governatore di Bordeaux. Sostenitore di Enrico IV nella sua scalata al trono, in seguito lo osteggerà, morendo per questo in battaglia: un dardo lo colpisce in bocca mentre tenta di liberarsi dell’ingombrante elmo. Il sovrano, nutrendo nonostante tutto un certo affetto per lui, gli concede la sepoltura; secondo voci popolari però, Henry è ancora vivo. Dopo la riesumazione, il re ordina di infilzarlo su una picca nella pubblica piazza e, in seguito, di squartarne il corpo, da sciorinare in tutta l’Inghilterra come deterrente contro eventuali ribellioni. Shakespeare lo inserisce anche nel suo celeberrimo Enrico IV.
Dal 1882, per iniziativa di alcuni studenti della Grammar School del quartiere, si inizia anche a giocare a calcio. E’ una storia paternalista e socialista assieme quella dell'accademia. Sorta secondo la tradizione nel 1456, è legata dal 1631 a Sarah Seymour duchessa di Somerset, che con le sue donazioni apre le porte dell’istruzione anche ai giovani meno abbienti. Non solo: finanzia la costruzione di un ospizio per vedove. La sua bontà d’animo le varrà l’onore più bramato da qualsiasi britannico: la sepoltura a Westminster Abbey, precisamente nella cappella di San Michele, in cui le è dedicato anche un monumento. Si sposerà tre volte e il suo secondo marito, John Seymour, è antenato di quell’Algernon Seymour che ristrutturerà la scuola nel 1910. Nel 1938 la struttura cresce, con l’edificazione di una succursale da 450 posti nei pressi di White Hart Lane, oggetto di un bombardamento nel 1945.




 Il nome Tottenham appare comunque solo nel 1884, per distinguersi dai London Hotspur. Gli anni passano e nel 1901 arriva la prima vittoria in FA Cup, pur non partecipando al campionato nazionale. Le stagioni seguenti sono abbastanza infami e la questione ripescaggio post-bellico scava un solco definitivo tra Arsenal e Tottenham: nella ricomposizione della Division One del 1920, i vertici della federazione preferiscono i Gunners, sesti in seconda divisione, agli Spurs, ultimi nella massima serie. Nonostante ciò, nel 1921 arriva la seconda FA Cup. Un’altra guerra incombe però minacciosa sull’Europa. Tutto da rifare, rose, campionati, strutture. La squadra fallisce la qualificazione alla prima divisione, perciò è affidata ad Arthur Rowe, ex stella indigena del club, nato proprio nel quartiere.
Non è un personaggio da bypassare: se Rinus Michels nel 1974 propone QUEL tipo di calcio, deve più di qualcosa a quest’uomo. E’ l’inventore del push and run, lo scarico e la corsa nello spazio, pared tuya mia, uno-due, chiamatelo come volete. E’ un concetto scontato oggi, ma non all’epoca. D’altronde il buon Arthur ha passato svariati anni in Ungheria, l’avanguardia calcistica per eccellenza. Parte a malincuore dalla terra magiara col fragore dei carrarmati di Hitler nelle orecchie, con la promessa solenne di debellare quell’orrore, ragion per cui si arruola nell’esercito. Sul campo, quello verde, non quello brullo e sanguinoso della battaglia, ottiene la promozione in Division One, che vince da neopromosso nel 1950. In rosa c’è anche un ragazzo destinato a fare le fortune del calcio d’oltremanica, si chiama Alf Ramsey e ne risentiremo parlare sedici anni dopo circa.
Gli anni successivi sono di magra, anche se le attese e le delusioni dei tifosi verranno ripagate con interessi da titolo di stato greco dall’epopea dorata di mister Bill Nicholson: double Coppa di Lega/FA Cup (1961), Coppa delle Coppe (1963), ancora FA Cup (1967), Coppa di Lega (1971 e 1973) e Coppa UEFA (1972). Tottenham gli dedicherà uno dei più popolari pub di Londra, oltre che naturalmente un’intera via.





Altre vittorie giungono sotto l’egida di Keith Burkinshaw: trionfo in FA Cup nel 1981 ed affermazione tre anni dopo in Coppa UEFA. Una compagine arcigna quella, guidata spiritualmente dai due argentini Ardiles e Villa.




Particolarmente florido è poi il 1991, quello dell’FA Cup contro il Nottingham Forest, ma soprattutto anno della madre di tutte le partite per ogni cuore Spurs che si rispetti: la semifinale contro l’Arsenal vinta 3 a 1, con la punizione di Gascoigne da trenta metri e la papera di Seaman su Lineker. Il Daily Telegraph, grazie all’opinionista ex Gunner Alan Smith, ha organizzato in occasione dell’ultimo derby un incontro tra quattro protagonisti di quel match, due per parte: lo stesso Smith e Paul Davis per l’Arsenal, David Howells e Steve Sedgley per il Tottenham. Uno di quegli splendidi salotti con tanto di colazione all’inglese che solo il giornalismo d’oltremanica può ricreare, per sviscerare ricordi e aneddoti. La gara si gioca all’ora di pranzo, Sedgley non rinuncia comunque ad uova e bacon per colazione. E’ la prima semifinale della storia disputata a Wembley perchè il seguito è troppo numeroso, ben 90 mila persone. E’ affiorato come, all’insaputa di tutti sino a quel momento, il grande George Graham avesse studiato una marcatura a uomo per Gazza; lui, croce e delizia, protagonista controverso della storia. L’Arsenal entra in campo con una divisa apposita, segnale che lui interpreta male, quasi come una sorta di sprezzante superiorità nei loro confronti. Oltretutto è stato poco tempo prima operato d’ernia, ma ciò non gli impedisce di scrivere una pagina storica del torneo.




La rivalità con i cugini resta inconciliabile, come dimostra il trasferimento di Sol Campbell, giunto a parametro zero ad Highbury dopo otto anni da leader a White hart lane. In un’intervista di fine 2001 garantisce la propria permanenza a nord di Londra, per poi smentirsi un paio di mesi più tardi; lo soprannomineranno Giuda e verrà subissato dai fischi al suo primo ingresso da rivale nel tempio del Tottenham.     




Si arriva quindi ai giorni nostri, passando per l’inglesissimo undici di Harry Redknapp, carnefice di Milan e Inter, con Bale e Lennon sulle fasce e Crouch centravanti boa.


Oggi Pochettino ha salde le redini dello spogliatoio, lui, proveniente dalla più affascinante e stravagante scuola calcistica e filosofica del mondo: quella di Marcelo Bielsa. 





Certo, il buon Mauricio non chiederà mai ad un ragazzino di arrampicarsi su un albero per spiare gli allenamenti degli avversari, resta comunque un manager estremamente meticoloso. Non ha paura di sconfessare le scelte societarie, dato che Stambouli, Capoue, Paulinho, Fazio, Chiriches e Soldado riscaldano ormai stabilmente la panchina. Ha saputo valorizzare diversi giovani del vivaio ed oggi schiera un 4-2-3-1 che riprende alcuni principi del maestro. In fase offensiva i centrali di difesa tendono ad allargarsi, per occupare in ampiezza il campo, con uno dei mediani che talvolta si abbassa a ricevere palla. Il pressing degli attaccanti è sempre altissimo, con una punta, Harry Kane, il cui movimento favorisce gli inserimenti.




Particolari sono i movimenti di mediani e trequartisti. Questi ultimi costituiscono un corpo unico, mai slegato, atto a favorire fraseggio e inventiva dei fantasisti; se poi lo spettro delle mezzepunte annovera Lamela, Eriksen Dembele, Chadli e Townsend, il compito è indubbiamente meno arduo. Lo spostamento in blocco della trequarti propizia l'avanzata di uno dei due mediani sulla fascia scoperta, trasformando il modulo in un 4-1-4-1; in alternativa al centrocampista, ha libertà di corsa il terzino. Ma aldilà delle varianti offensive, di alto livello già nelle scorse stagioni, Pochettino sta cercando di incidere anche sulla difesa con un sistema dal sostrato ancora più bielsista. I cinque di centrocampo, una volta caduta la prima linea di pressione, indietreggiano insieme, disegnando un pentagono perfettamente geometrico, con i mediani schermo dei difensori centrali e le mezzepunte qualche metro più avanti degli incontristi: una volta recuperata palla, in questo modo si può subito verticalizzare. L’elevato numero di uomini nella propria trequarti mi induce a pensare che forse Pochettino avrà letto L’arte della guerra di Sun Tzu, che suggerisce di attaccare e difendere le zone dove può realmente essere arrecato un danno: una scarsa protezione delle vie centrali sarebbe letale, meglio concedere le fasce, dove oltretutto a marcare l’avversario ci pensa anche la linea di bordo campo. Il vero dramma per l’allenatore argentino però, sono gli errori individuali, come cattive letture, marcature fallaci ed appoggi approssimativi (Dier e Vertonghen, per quanto quest’ultimo sia imperioso di testa, non sono di certo Thiago Silva e Pique).

                              
Il frugoletto con la testolina cerchiata è proprio Harry Kane. Un Giuda anche lui.

L’impresa per la Viola è difficile, ma non impossibile. Sarà importante riuscire ad esaltare le caratteristiche di Borja Valero e Pizarro, forse svantaggiati dal pressing dei londinesi. Vincere a White Hart Lane è arduo, negli ultimi tre scontri nessuna italiana vi ha segnato. Però, cari amici e tifosi viola, ricordate quando Batistuta zittì il Camp Nou? Chi l’avrebbe pronosticato.

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