Lo
stile di guida di Sebastian Vettel: ecco perché il tedesco, dalla particolare
tecnica, ritorna al successo dopo un anno di crisi.
di Federico Principi
«Era piovuto già il venerdì e mi ricordo che quasi tutti erano rimasti
ai box. Gerhard [Berger] e io ci eravamo
chiesti cosa stessero facendo tutti quanti, e abbiamo deciso di far correre i
nostri piloti. Monza è una pista molto speciale soprattutto sotto la pioggia,
perché lì alle spalle del bosco le pozzanghere non defluiscono. Quindi l’acqua
ti torna sempre indietro. Un pilota deve sapere esattamente dove si raccoglie
l’acqua, dove ha grip e dove no».
Nelle migliori favole
che iniziano con “era una notte buia e tempestosa”, di solito vi è il canonico
lieto fine. Nella vita reale non sempre è così, ma la storia raccontata da
Franz Tost assomiglia di più ad una composizione dei fratelli Grimm che non ad
uno spaccato della realtà:
«Le previsioni meteo parlavano già di una buona probabilità di pioggia
per il giorno dopo. Quando poi il sabato abbiamo raggiunto la pole, è stata la
conferma che il venerdì avevamo fatto ogni cosa nel modo giusto. (…) Solo quando poi domenica ha ricominciato a
piovere, poco dopo la partenza – si doveva partire dietro la safety car – ho
pensato: se adesso Sebastian è davanti e continua a piovere, se non facciamo
errori catastrofici nel team, allora può addirittura vincere la gara. Infatti
stimavo già Sebastian e sapevo che, quando è davanti, se può sfruttare il
vantaggio di avere strada libera, senz’altro lo fa. (…) Ho pensato che potevamo arrivare senz’altro
fra i primi tre. Che poi si sia riusciti a vincere è stato naturalmente
fantastico».
“Un gara perfetto”. Decisamente migliorato il suo italiano nel corso degli anni.
Il più forte di tutti?
Gran Premio di Italia
2008, Monza. È questo lo scenario della favola narrata dal team principal della
Scuderia Toro Rosso. Da poco compiuti 21 anni, Sebastian Vettel era il pilota
di punta della squadra italiana che dal 2006 aveva soppiantato la storica e
simpatica Minardi, perfino rimpianta da alcuni. Il tedesco era nell’orbita del
Red Bull Junior Team capeggiato da Helmut Marko, che come per tutti gli altri
ragazzini aveva per lui progettato il canonico apprendistato presso la scuderia
satellite prima di affidargli le chiavi della vettura più potente del papà. La
Red Bull Racing, dove solo i migliori talenti tra quelli scelti da Marko hanno
il privilegio di salire, sempre previa scuola guida in Toro Rosso: dopo Vettel
anche Ricciardo e Kvyat, chissà chi dei due (se non entrambi) tra Sainz e
Verstappen. O magari Luca Ghiotto, leader del Campionato GP3, recentemente
contattato per un test al simulatore.
Il weekend lombardo lo
ha consacrato alla leggenda come il più giovane vincitore di un Gran Premio nella
storia della Formula 1. L’inno italiano che suona per secondo lo avevamo
sentito tante volte, forse troppe nei primi anni Duemila. Non era certo
riferito alla Minardi, né alla Toro Rosso che ancora non c’era e che a Monza ha
ottenuto la sua unica vittoria. Era la Ferrari dell’era Schumacher, idolo da
bambino di Vettel, che tanti avevano già messo in futuro sulla Rossa durante le
celebrazioni di quell’annacquato pomeriggio brianzolo. Associando la sua
immagine all’Inno di Mameli, probabilmente.
Podio Monza 2008. Ivan Capelli al minuto 0:30: «È nata una stella».
Sette anni più tardi
Vettel si è reso protagonista del suo più bel successo con la tuta rossa
addosso. Il grande problema dei tifosi della Ferrari è che quello del Gran Premio di Ungheria è soltanto il secondo della sua carriera a Maranello: di mezzo
quattro anni di dominio con le Red Bull disegnate da Newey e due titoli
soffiati a Fernando Alonso all’ultima gara, veri e propri bocconi amari mai
digeriti dagli appassionati del Cavallino né dall’asturiano. Che dalla padella,
ovvero una Ferrari seconda forza, è passato direttamente alla brace di una
McLaren-Honda che a fatica passa il taglio delle Q1.
Vettel nel frattempo è
tornato agli antichi splendori: probabilmente, in rapporto alle potenzialità
della macchina, il tedesco è stato il pilota più costante dell’intero
campionato. Fallito un solo Gran Premio, il Bahrain, con ben 4 uscite di pista
e un’ala rotta, concluso con un deludente quinto posto dopo l’ebbrezza della
prima fila sullo schieramento, il tedesco ha sempre ottenuto il massimo
risultato possibile. Sarebbe bello un confronto ad armi pari con Hamilton, ma
nonostante i 42 punti di distacco non sembrerebbero un gap teoricamente
incolmabile, la differenza di prestazione (soprattutto in piste veloci o che
prevedono l’utilizzo delle gomme hard) è troppo favorevole alla Mercedes
dell’inglese e di Nico Rosberg. Vettel di cui proprio pochi mesi fa era stato
messo in discussione il talento, nonché la complessiva competitività: in crisi
nel confronto col compagno Ricciardo, qualcuno avrà rivendicato i quattro
titoli vinti dal tedesco in precedenza. La realtà è che Seb era stato messo in
difficoltà dal suo stesso, unico e diverso dagli altri, stile di guida: segreto
delle vittorie, principale imputato del 2014. Ecco come i cambiamenti tecnici e
di regolamento hanno scandito i risultati della carriera di Sebastian.
L’onnipotenza Newey-Vettel
Il 1994 è uno di quegli
anni spartiacque. Quelli dove, per intenderci, c’è un “prima” e un “dopo”. La Williams
veniva dalle due stagioni probabilmente più dominanti della storia della
Formula 1: Adrian Newey (eccolo qua che compare) ripesca una soluzione tecnica
del recente passato, mai effettivamente efficiente fino in fondo ma solo nella
sua versione originaria. Sulle Williams è semplicemente devastante: stiamo
parlando delle sospensioni attive. Progettate per la Lotus 99T del 1987,
guidata da Senna e Nakajima, riuscivano grazie alla propria “intelligenza” a
tenere immutata l’altezza del telaio da terra, limitando il rollio e il
beccheggio. Particolarmente efficiente su circuiti sconnessi o irregolari (Montecarlo),
questa soluzione sarà ripescata come asso nella manica della Williams di
Mansell prima e di Prost poi.
Spettacolare collaudo delle sospensioni attive.
Torniamo quindi al
1994. Per arrestare la dittatura tecnologica della vettura di Newey vengono
banditi rispettivamente ABS e controllo di trazione. Oltre alle sospensioni
attive, naturalmente. La vettura inglese, scorbutica già nelle stagioni
precedenti quando il sistema delle sospensioni non era in funzione, va
riprogettata da capo. Tutto ciò, in una serie di fatali conseguenze, porterà
alla morte di Ayrton Senna, nuovo pilota Williams: il brasiliano, lamentatosi
del piantone dello sterzo e del fatto che la vettura fosse ancora su misura di
Prost (10 cm più basso di Ayrton), pagherà a caro prezzo la saldatura a mano di
un elemento volto ad allungare il piantone stesso. Senna aveva tuttavia precedentemente
contestato la validità di una vettura che fin dalle prime gare aveva messo in
discussione il suo titolo di assoluto favorito per il campionato: la Benetton
B194, guidata da Michael Schumacher. Memorabile la scena di Ayrton, ritirato
per un incidente alla prima curva al Gran premio del Pacifico, attentissimo al
rumore proveniente dalla macchina di Schumacher, ascoltato a bordo pista in
ogni passaggio. Il talentuoso carioca sospettava che la scuderia di Flavio
Briatore montasse ancora i dispositivi vietati dai nuovi regolamenti, ed il
controllo di trazione in particolare. Ma non era (forse) così.
Il documentario ufficiale di Ayrton Senna: a 1.57:12 il passaggio che
dimostra i sospetti forse infondati del tre volte Campione del Mondo
sull’irregolarità della Benetton.
La realtà era forse
un’altra: la Benetton montava probabilmente un sistema di aiuto della partenza,
il Launch Control, dato che era stato trovato un file nei computer con lo
stesso identico nome. Facendo due più due, osservando le partenze a fionda
delle due vetture della scuderia che poi Schumacher avrebbe condotto sul tetto
del mondo, si potrebbe ipotizzare che almeno questo sistema (in realtà vietato)
era stato comunque portato in pista. Senna tuttavia si poteva probabilmente
sbagliare quando parlava di controllo di trazione: la realtà, difficile da
digerire per l’orgoglioso brasiliano, consisteva nel fatto che la Benetton era
stata progettata da due mostri sacri (poi passati in Ferrari) Ross Brawn e Rory
Byrne per calzare a pennello con il particolare stile di guida di Schumacher.
Il tedesco non staccava praticamente mai il piede destro dall’acceleratore,
frenando con il sinistro: una manovra assolutamente inconsueta a quei tempi.
Con gli scarichi bassi, rilasciando una buona quantità di gas anche in fase di
frenata per via del fatto che dava dei leggerissimi colpetti all’acceleratore
in contemporanea al dosaggio del freno, Schumacher creava carico aerodinamico
nel posteriore che lo teneva incollato a terra. Manovra che i compagni di
squadra Lehto e Verstappen non avevano nel proprio bagaglio tecnico, e che di
conseguenza li portava ad accusare distacchi abissali sul giro nei confronti
del loro capitano.
Si vede benissimo al minuto 0:17 come Schumacher, prima del famoso
tornantino del Canada, solleciti l’acceleratore anche in staccata e quindi in
scalata. La grafica mostra questa tecnica di guida anche nell’ingresso delle
curve successive al tornantino.
Perché andare a
ripescare pillole di storia della Formula 1? Perché Sebastian Vettel, forse per
spirito di emulazione verso il proprio idolo o semplicemente (e più
realisticamente) perché era ed è tuttora un fenomeno, è l’unico pilota moderno
con caratteristiche di guida molto simili a quelle di Michael Schumacher. Uno
stile che non ha mai abbandonato, nonostante abbia debuttato in Formula 1 nel
2007 con il traction control, vietato nuovamente pochi mesi dopo. Vettel riesce
a controllare la vettura con freno e acceleratore premuti in contemporanea, e
di conseguenza ha il gas aperto con largo anticipo rispetto a tutti gli
avversari, anche per via del fatto che il suo stile prevede frenate aggressive
e violente accelerazioni, e di conseguenza meno percorrenza.
Dal 2006 in Sauber-BMW, prove libere a Suzuka (debutterà in gara poco
meno di una anno più tardi), passando per il 2009 in Red Bull, fino ad arrivare
alla stagione in corso 2015 in Ferrari: le grafiche freno-acceleratore mostrano
inequivocabilmente come lo stile di guida di Sebastian Vettel sia rimasto
sostanzialmente immutato per ben 9 stagioni.
Sebastian Vettel
approda definitivamente in Red Bull nel 2009, dopo un anno e mezzo di praticantato
in Toro Rosso e la vittoria a Monza già precedentemente raccontata
romanticamente. Alla lattina ritrova proprio quel Newey che grazie alla
semplificazione aerodinamica prevista nel regolamento proprio a partire dalla
stagione 2009, ritornerà ad occupare un posto in vetta alle classifiche dei
progettisti, forse più importanti di quelle dei piloti nella Formula 1 moderna.
Il telaio Red Bull inizierà immediatamente a fare scuola e tuttora, nonostante
le difficoltà delle ultime due stagioni (riconducibili anche e soprattutto alla
mancanza di prestazione della power unit Renault), sui tracciati più guidati la
lattina è ancora temuta dai primi della classe.
Newey riscopre nel 2010
una vecchia soluzione, la cui paternità è da attribuire al progettista della Renault
dei tempi di Prost, Jean-Claude Migeot, nel 1983. Gli scarichi soffianti (o
soffiati), che espirano l’aria calda del gas di scarico sul retrotreno e, nel
caso della Red Bull, sul diffusore, generando carico e stabilità nel
posteriore. Una manna dal cielo per Sebastian Vettel, abituato a tenere la
farfalla del gas aperta in anticipo rispetto alla concorrenza: pur tenendo giù
il piede destro, Seb sa benissimo che la vettura rimarrà incollata a terra e
potrà schizzare in uscita di curva molto presto rispetto a tutte le altre. Come
la Benetton del suo idolo Schumacher.
Il suono “gracchiante” degli scarichi soffianti.
Banditi dalla FIA a
metà 2011, non senza polemiche, gli scarichi soffianti contribuiranno in ogni
caso in maniera decisiva a portare al boss Mateschitz quattro titoli mondiali
in due stagioni. Seguirà un terzo anno di trionfi, forse il più sofferto, e si
arriverà quindi al 2013. Senza scarichi soffianti, ovviamente, ma sempre con
Newey: che naturalmente non ha ancora esaurito il proprio genio creativo. Il
progettista presenta alla FIA una mappatura elettronica del motore che prevede
il taglio di 4 cilindri in contemporanea, tutti della stessa bancata, a seconda
del verso della curva che i piloti Red Bull vanno ad affrontare. La Federazione
aveva già precisato che ogni costruttore potesse tagliare potenza
contemporaneamente a 4 cilindri (degli 8 totali), ma nessuno aveva seguito la
linea di Newey di un depotenziamento totale di un’intera bancata. Si tratta di
un modo differente per generare soffiaggio e carico aerodinamico sul posteriore
in tutte le fasi della curva. La grande abilità di Vettel risiedeva, quindi,
nel cambiare ogni volta manualmente la bancata da utilizzare in relazione al
tracciato: un giochino che richiedeva costanza, riflessi e concentrazione. Che
lo costringerà ad interminabili sedute al simulatore, ripagate però dal record
assoluto di 9 vittorie consecutive. E, ovviamente, dal quarto titolo mondiale.
La crisi del 2014
L’alba della stagione
di Formula 1 2014 è caratterizzata da quella che viene unanimemente definita
come “la più grande rivoluzione tecnica
della storia”. Motori ibridi, con l’unità termica che ritorna ai fasti
della sovralimentazione, 1.6 cm³ a 6 cilindri. La parte elettrica è decisamente
più incisiva di quello che fino alla stagione precedente era il sistema del
KERS: 160 cavalli, stimati. Reso obbligatorio all’asse posteriore dell’impianto
frenante il nuovo “break by wire”, con funzione di bilanciamento elettronico della ripartizione di frenata. Il vecchio KERS aveva invece creato qualche piccolo, e non
eccessivo, problema di bilanciamento della vettura e della frenata stessa, pur
portando in dote solamente un’ottantina di cavalli interamente gestiti dal
pilota attraverso un bottoncino sul volante.
Belgio 2013: Alonso, molto lucido, decide di usare tutto il KERS (nella
grafica con disegno della batteria) alla fine del rettilineo del Kemmel per
difendersi da un Hamilton col DRS aperto, appena scavalcato.
Diminuisce
drasticamente il quantitativo massimo di carburante per la gara: il valore si
attesta sui 100 kg, controllati da un flussometro (o debimetro) che oltre i
10.000 giri al minuto limita il consumo di benzina a 100 kg/h. La conseguenza
in gara è una notevole diminuzione dell’aggressività e una sostanziale modifica
dello stile di guida: shortshift
(ovvero cambiata effettuata prima del regime ideale, nel quale si attiva il
cosiddetto “bip” avvertito nel casco dai piloti) nei primi 3-4 rapporti, per
limitare l’afflusso di carburante che a marce basse è sicuramente superiore ai
rapporti più alti. E poi il famoso coasting
scuola Le Mans, consistente semplicemente nel togliere il piede
dall’acceleratore al termine di rettilinei medio-lunghi, almeno una cinquantina
di metri prima dell’inizio della fase di frenata, sfruttando comunque la già
acquisita velocità di punta senza consumare benzina per una frazione di secondo
prima di attivare il pedale del freno.
Qualche occhio più
esperto avrà già fatto i suoi calcoli, notando una evidente difficoltà di
compatibilità dello stile di guida di Vettel con i nuovi regolamenti. Come già
detto in precedenza il tedesco è l’unico a tenere costantemente l’acceleratore
aperto: il vantaggio della farfalla del gas di scarico aperta e conseguente
effetto di carico aerodinamico con i vecchi scarichi soffianti è totalmente
cancellato. Il nuovo regolamento prevede infatti un unico scarico rivolto più
in alto, con il palese scopo di uccidere sul nascere qualsiasi tentativo di
aggiramento volto a creare effetto suolo al posteriore attraverso gli scarichi
bassi.
Ma soprattutto la
farfalla aperta significa consumo benzina. Molto più semplice di quanto sembri.
Vettel ha trovato grandi difficoltà in particolare sul passo gara: per
assecondare il suo stile di guida, al quale non riesce a rinunciare, è tuttavia
costretto ad effettuare il coasting
in anticipo o più frequentemente rispetto a tutti gli altri e soprattutto al
compagno di squadra. Rallentando, ovviamente, il proprio passo gara.
Ok, la definizione è bassa, ma non trovavo un video migliore dove
catturare l’immagine. Un video che mostrasse, come in questo caso, che Vettel
non rinuncia neanche nel 2014 al suo stile di guida naturale. Il freno è attivo
(“ON”) e nonostante tutto Sebastian tiene anche una contemporanea discreta
pressione sull’acceleratore (11%).
Il passaggio che vi
proponiamo è decisamente eloquente nell’ambito delle difficoltà avute da Vettel
nel 2014, e di come Ricciardo sia stato regolarmente più veloce del Campione
del Mondo, più duttile nell’interpretare le nuove macchine o semplicemente più
adatto per caratteristiche naturali. Durante il Gran Premio della Cina nel
primo stint Vettel si ritrova secondo dietro un irraggiungibile Hamilton,
precede di poco Alonso sfruttando errori in partenza commessi da Nico Rosberg
che lo relegano (per ora) nelle retrovie. Dopo il primo pit stop lo spagnolo
della Ferrari sopravanza Seb grazie all’undercut, fermandosi un giro prima. Nel
frattempo arriva di gran carriera Rosberg che con il suo missile sopravanza le
due Red Bull con la stessa facilità di un prototipo che svernicia due GT. A
questo punto Vettel si trova direttamente davanti al suo compagno di squadra: la
prima grafica qui sotto mostra innanzitutto come il tedesco abbia consumato più
carburante in assoluto rispetto a Ricciardo (42,25 kg contro i 42,08 di Daniel)
e soprattutto che l’australiano abbia un consumo medio sul giro più basso
rispetto a Vettel, che invece è al limite. Nonostante i due siano appaiati,
Ricciardo ha quindi più margine per spingere avendo consumato meno benzina fino
a quel momento. La progressione che fa su Vettel è quindi ben visibile nella
seconda grafica che vi mostriamo qui sotto, nella quale si nota come il passo
gara in quel momento sia clamorosamente favorevole all’australiano, che
recupera più di un secondo al giro. A quel punto arriverà il famoso team radio già ascoltato nel precedente
Gran Premio del Bahrain: «Sebastian, let
Daniel through». Sebastian, fai passare Daniel che è più veloce di te.
Sopra, le differenze di consumo tra Vettel e Ricciardo, piuttosto
favorevoli all’australiano nonostante i due siano appaiati.
Sotto, lo stile di guida dell’australiano (che verte per natura ad una
minore propensione al consumo) gli permette di avere più carburante disponibile
per poter spingere. La progressione di guadagno sul giro a scapito di Vettel
(-0.9, -2.0, -1.2) è notevole, considerando lo stesso mezzo meccanico. Arriverà
il famoso “team radio” a Seb.
Non sarà soltanto la
nuova normativa sulle limitazioni di carico di carburante a ridurre le
prestazioni di Vettel, dato che altrimenti sarebbe in difficoltà soltanto sul
passo gara. Anche nelle qualifiche del sabato Seb pagava troppo spesso un gap a
volte piuttosto marcato rispetto a Ricciardo. Sintomo che il feeling con le
nuove vetture ha anche altre radici di natura tecnica. Il team manager della
Red Bull, Chris Horner, spiega come la mancanza di carico aerodinamico al
posteriore (prerogativa invece delle stagioni precedenti) gli abbia tolto le
care vecchie sensazioni vincenti di sicurezza nel retrotreno. A ciò si aggiunge
il nuovo sistema “break by wire”, mal digerito da Sebastian che con i freni
tradizionali faceva invece la differenza su tutti gli avversari. «In scalata Sebastian ha bisogno di un
retrotreno stabile per il suo particolare stile di guida. Con tutti i nuovi
sistemi, al momento non è così», spiegava Helmut Marko proprio dopo il Gran
Premio di Cina. Aggiungendo un ulteriore elemento di difficoltà per il Campione
del Mondo: «Il team sta lavorando a
Milton Keynes per preparare un nuovo telaio RB10 per Seb. Non capivamo perché
il consumo delle gomme di Vettel fosse così maggiore rispetto a Ricciardo».
Il confronto con
Ricciardo ha ucciso la permanenza di Vettel in Red Bull, incastrando
perfettamente i tasselli del puzzle del mercato piloti con la contemporanea
partenza di Alonso dalla Ferrari. Il tedesco ha probabilmente pagato un certo
calo di motivazioni dopo i quattro titoli consecutivi, decisivo nella
riluttanza ad apprendere completamente il funzionamento di queste nuove vetture
radicalmente diverse da tutte quelle guidate non solo da Vettel, ma dalle
ultime generazioni di piloti. In questo probabilmente si andrebbe a collocare
invece perfettamente la maggiore abitudine di Ricciardo (sotto contratto con la
più modesta Toro Rosso fino a pochi mesi prima) nel mettere insieme nel miglior
modo possibile una vettura problematica, quale la Red Bull fino al 2013
decisamente non era.
La nuova Ferrari SF15-T
è stata ribattezzata “Eva” da Sebastian. Abituato ormai ad affibbiare sensuali
nomi femminili alle sue monoposto, in una sorta di simbiosi erotica con la
macchina. A Maranello hanno compiuto uno dei più considerevoli progressi tecnici
della loro storia in un solo inverno: la nuova power unit ha subito un
incremento notevole delle prestazioni nell’ordine di potenza ed efficienza dei
consumi, arrivando addirittura ad essere in Malesia il costruttore con la più
alta velocità di punta. Vettel ha così mantenuto intatte le proprie caratteristiche
di guida, senza aver più riscontrato litigi con il carburante. Il tedesco ha
quindi potuto tenere giù il piede, e al netto dei risultati sembrerebbe proprio
lui (come già detto in precedenza) il migliore e più costante pilota della
stagione in corso, in relazione al mezzo meccanico.
La partenza in Ungheria è il fiore all’occhiello di una stagione quasi
perfetta.
L’ultima
vittoria di Budapest è stata perentoria, sotto tutti i punti di vista. Dalla
qualifica, nella quale ottiene il massimo (ovvero il terzo tempo dietro le
Mercedes), alla partenza fionda, passando per il ritmo infernale con le soft
con cui semina Rosberg, fino ad arrivare alla freddezza con cui gestisce il
ritorno del figlio di Keke nel finale, dopo la safety car. Anche se il prossimo
Gran Premio del Belgio vedrà con ogni probabilità il ritorno al vertice delle
Mercedes, e Ferrari, Williams e Red Bull sfidarsi per ottenere quello che resta.
Forse, vista la storica predilezione di Raikkonen nei confronti di Spa, Vettel
per una volta dovrà realmente guardarsi dalle ambizioni del compagno di
squadra. Ma potrebbe essere soltanto un caso isolato.
Articolo a cura di Federico Principi
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