sabato 1 agosto 2015

Allenare una squadra di pallavolo

Un vero giocatore di scacchi preferisce una bella partita ad una vittoria. (F. Arrabal)

di Matteo Maria Maltinti






Durante il mio viaggio negli Stati Uniti ho avuto il piacere di conoscere altri sport, parlare con altri tecnici, riflettere su cosa sia esattamente allenare e ancora più nello specifico cosa significhi fare l'allenatore di pallavolo.
Ovviamente ho trascorso troppo tempo negli aeroporti ad attendere aerei e troppi pomeriggi nel giardino di Harward fingendo di leggere e guardando in realtà bionde californiane e non.

Questo ha prodotto una serie di riflessioni delle quali alcune tecniche, altre probabilmente semplici speculazioni di pensiero.
Allenare è un lavoro? Sono partito da qui, la risposta è assolutamente indefinita, è un lavoro in quanto mi pagano, a me come ad altri del resto, più o meno e ogni quanto sono variabili che farebbero impazzire qualunque matematico ma delle quali non mi va di occuparmi.
L'etimologia, scienza quantomeno interessante, ci dice che l'origine più prossima della parola allenare è il latino labor, la fatica. Quindi è faticoso allenare? No, non almeno nella sua primaria accezione di vita quotidiana in palestra, almeno non per me, sono faticosi i rapporti sociali che si possono creare o non creare, sono faticosi i compromessi che dobbiamo talvolta accettare o i litigi che dobbiamo affrontare per non accettare i precedenti.
Quindi non so se è un lavoro. Però occupa ore, occupa weekend, occupa spazio nei pensieri.

È più lavoro di un metalmeccanico forse. Diverso da un avvocato probabilmente.
Da questo tipo di riflessioni poi ho deviato ancora e sono giunto al punto di provare due sentimenti forti, uno di assoluta invidia per tecnici di altri sport.
L'altro di tipo "etico" parola enorme ma in certe ore della notte non me ne vengono di migliori.

Partiamo dall'invidia, il nostro viene definito sport di situazione, per persone intelligenti. Cosi vi risponderà qualunque tecnico.
Analizziamolo.
Non possiamo fermare la palla. Questo è certamente un grande problema. I giocatori di basket possono, quelli di calcio idem, i tennisti no, altri non hanno una palla con cui giocare quindi il campo delle situazioni si riduce. 
Inoltre alcuni non sono propriamente giochi, nessuno dice "gioco ad atletica leggera" , "gioco a nuoto". Ma dicevamo la palla "non ferma" non aumenta in realtà le situazioni, semplicemente rende più complicata l'analisi. Le situazioni sono molte ma non cosi imprevedibili e inclassificabili forse.
La nostra area di competenza in metri quadri è decisamente ridotta. 
Calcio 100 per 64 per 22 atleti indicativamente 290 metri quadri per atleta
Basket 26 per 14 per 10 atleti indicativamente 36 metri quadri per atleta
Pallavolo 18 per 18 per 12 atleti 27 metri per atleta. Ovviamente ricordando la rete.
Questo mi induce a pensare che non abbiamo tutte queste opzioni. Che ogni cosa può essere incasellata. Che ogni piccola sfumatura di gioco può avere una risposta predefinita. 
Per questo invidio gli allenatori di basket, quelli di calcio. Perchè possono sfidare le convenzioni.
Perchè possono sentirsi rivoluzionari, sognarsi come Il Che a bordo campo, cavalcare la poderosa mentre propongono nuovi schemi, disdegnare l'adattamento alla tattica avversaria.

Tirare passare, da tre, pressing, tutti dietro, tutti avanti, improvvisare, cantare, gridare, urlare. 
Calcio, Zeman, champagne, Rocco, Herrera, Mourinho. 
Ecco il Sistema basket allo stato puro, con regole tutte sue, eppure giocano e vincono.




Oppure il Foggia di Zeman e certamente nei campetti di periferia ci sono spesso allenatori visionari, si tratta solo di avere la fortuna di poterli osservare o di avere un amico che ne racconti le gesta in una classica serata invernale da irish pub, dove la nebbia d'Irlanda confonda i ricordi con la verità.
Quindi mi sono chiesto dove stanno le innovazioni per noi allenatori di pallavolo.

I cecoslovacchi inventarono il bagher sul finire degli anni cinquanta, poi l'attacco di seconda linea, poi il movimento e la difesa delle squadre orientali.

Poi le statistiche.


Questi sono i primi Stati Uniti che io mi ricordo dal vivo.

Possiamo ancora inventare qualcosa?
Oppure possiamo semplicemente accelerare? Colorare con matite differenti? 

Il baseball altro sport decisamente strano dentro il campo, fatto di numeri (suggerisco Moneyball da guardare) è incredibilmente incastrato da aver prodotto leggende riguardo ai numeri, ai record, questo poi di conseguenza ha portato a racconti, emozioni, leggende, perchè la memoria tende ad enfatizzare qualunque evento si leghi strettamente ad emozioni forti, piacevoli o spiacevoli che siano, ognuno di voi ricorda perfettamente alcune serate della propria vita.

Sono giochi ma sono spazi aperti per i sogni.
Ecco io mi sento un allenatore incastrato. Da un gioco che è una scacchiera. Puoi muoverla, ribaltarla, ma hai sempre 6 pedoni e delle caselle. C'è spazio per qualcosa di completamente nuovo? Me lo sono chiesto, non ho trovato risposta. 
Da questo incastro nelle caselle sono precipitato nella questione etica.
Il nostro è un gioco dove la ripetizione porta alla perfezione. 
Si anche Jordan era cosi, anche James lo è. Ma Messi lo è? Avrà ripetuto per milioni di volte la stessa finta? No io credo di no. Credo che il talento talvolta possa vincere sul lavoro. In altri giochi, nella pallavolo credo sia più complicato.
E piu sono giovani gli atleti e più il lavoro paga e per fare quel lavoro talvolta abbiamo sottratto qualcosa a quegli atleti, la questione etica appunto sta tutta qui, il baratto che gli abbiamo proposto è effettivamente favorevole? Lo aiuta davvero a diventare un essere umano migliore?
Il bambino bravo della squadra del campetto ripete lo stesso noioso passaggio in verticale mille volte? No gioca, credo. Noi dobbiamo ripetere, solo chi ripete più volte in allenamento spesso vince. Allora è davvero un gioco? Che cosa conta davvero? Quindi gli allenatori aiutano a giocare meglio o scelgono cosa far ripetere?

Abbiate pazienza sono giorni confusi di un allenatore in viaggio. Adesso fermo sul divano per qualche giorno.
E ovviamente inquieto. Perché fermo penso troppo, nonostante il tentativo di stordirmi con pessimi film americani.
Mi sono posto queste domande perché come ogni cosa che occupa molte ore della nostra vita ho pensato che allenare meritasse riflessioni. Non è solo un piacere come può essere leggere un libro.

Quindi ho scritto queste righe, perché spero che fra i lettori ce ne sia qualcuno che vuol discutere, magari litigare, magari dire tranquillamente che sono cazzate, perché il punto non è mai allenare, ma finire qualcosa consapevoli di aver fatto mezzo passo, avanti sempre sarebbe chiedere troppo, va bene anche di lato, il tango ci insegna che anche indietro talvolta può essere divertente.



Articolo a cura di Matteo Maria Maltinti

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