di Marco Maria Capponi
Visitando di recente la Spagna, un Paese che personalmente
adoro e dal quale, al di là di quello che si dice sui giornali, avremmo molto
da imparare, mi sono accorto che lì alcune parole contengono al loro interno un
significato più grande di quello reale, come se stessero cercando di dirci
qualcosa che travalica il contesto ed assume dei connotati maggiori, di
insegnamento, di massima o di semplice poesia. All’aeroporto, ad esempio, le
destinazioni dei voli si chiamano “destinos”: quando lo ho letto per la prima
volta, sono rimasto quasi incantato nel vedere come un termine tanto importante
venisse scomodato per dire qualcosa di così banale. Allo stesso modo, “ritorno”
in spagnolo si dice “vuelta”: “ida y vuelta”, questa è la dicitura che chiunque
utilizzi treni RENFE (l’equivalente di Ferrovie dello Stato) troverà scritta
sul suo biglietto. E’ curioso come la stessa parola, “vuelta”, significhi anche
“giro ciclistico”. La gara viene intesa come un “ritorno”: qualcosa che si
ripete, certo, ma anche il tragitto che ci riporta a casa. La Vuelta a España
è, per i corridori e per gli appassionati, il ritorno a quell’emozione che solo
il ciclismo sa darci, alla fatica della salita, all’ultima pedalata in montagna
quando le gambe non girano e si è sul punto di mollare, ma poi ci si
incoraggia: “Ancora l’ultima”; “e poi l’ultimissima”; “e un’altra”; “e un’altra
ancora”. Fino alla vetta. Alla vittoria. Alla maglia rossa. Sarà il ritorno di
Valverde e Nibali, che l’hanno già vinta, rispettivamente nel 2009 e 2010. Ma
sarà anche il ritorno di Froome, “solo” due secondi posti per lui. Sarà una
sfida all’ultima pedalata, in un percorso spettacolare come non mai. La Vuelta
a España 2015 sarà emozione pura.
Uno sguardo alla gara
Prima di conoscere i protagonisti della gara, è opportuno
dare uno sguardo d’insieme al percorso, per scoprire quali insidie i ciclisti
dovranno affrontare, e chi sarà più in grado di farlo. L’edizione 2015 della
Vuelta è l’ottantesima della gara: un anniversario importante, per il quale gli
organizzatori hanno deciso di regalare al pubblico un percorso di difficoltà
impressionante. Scordatevi di vedere un velocista in maglia rossa all’arrivo di
Madrid del 13 settembre: la gara è roba per scalatori; ma attenzione: forse,
non per scalatori puri; tra poco sveleremo il perché. Le tappe che i corridori
dovranno affrontare sono 21, così divise: 6 pianeggianti, 8 di media montagna,
5 (5!) di alta montagna, 1 cronometro a squadre e 1 cronometro individuale.
Giusto per farsi un’idea della difficoltà, guardiamo come la seconda tappa, che
viene subito dopo la crono squadre a Marbella, presenti il primo arrivo in
salita, a Caminito del Rey.
Prima settimana piuttosto semplice, come da tradizione delle
grandi corse a tappe; saranno giorni di studio, di arrivi in gruppo, di fughe e
di sprint, anche se qualche passaggio di media montagna potrebbe dare il via a dei
timidi attacchi per testare lo stato di forma dei pretendenti alla generale e
definire (quanto meno psicologicamente) le gerarchie. Facciamo un esempio: al
Giro d’Italia 2015, tra i quattro grandi favoriti, soltanto Contador e Aru
hanno preso l’iniziativa durante la prima settimana di gara. Staccato Uran
Uran, il solo Porte poteva inserirsi nella sfida tra lo spagnolo e il sardo. Ma
Porte è rimasto sempre dietro, ultimo del gruppo e sulla difensiva. Alcuni
commentatori la consideravano una geniale strategia: fai lavorare gli altri e
poi vinci quando conta. In realtà, era mancanza di condizione: l’australiano
non ha portato a termine la gara, dopo una serie di prestazioni deludenti senza
alcuna personalità.
La particolarità dalla Vuelta 2015, a differenza delle corse
“cugine”, Giro e Tour, sta nel fatto che il grosso della fatica arriverà alla
seconda settimana, quella dei tapponi pirenaici. In 6 giorni, si correranno
quattro tappe di alta montagna, intervallate da due di pianura per far
rifiatare gli atleti. Su tutte, segnaliamo quella del 2 settembre, 138 km da Andorra
la Vella a Cortals d’Encamp. Sei gran premi della montagna, di cui quattro di
prima categoria, uno di seconda e uno di categoria H, il più difficile. Si
tratta della Collada de la Gallina, 1000 metri di dislivello, 12 chilometri,
con pendenza massima al 13%. Il profilo della tappa è di quelli che spezzano le
gambe, un continuo saliscendi in cui i distacchi presi in montagna vanno poi
difesi in discesa. L’arrivo in salita, da capogiro al Cortals d’Ecamp, potrebbe
già dare una prima idea su chi andrà a conquistare la generale. Sempre in
settimana, le tre tappe 14, 15, e 16 presenteranno tutte e tre arrivi in salita
di notevole difficoltà: su tutti si segnala quello della sedicesima tappa ad
Alto Ermita de Alba: 7 km, 800 metri di dislivello, con una pendenza massima al
21,67% (no, non è uno scherzo: quasi come lo Zoncolan!). Solo in due occasioni
si va sotto il 10%. Lì, i grandi scalatori saranno chiamati a fare la
differenza: arrivare per primi ad Alto Ermita de Alba potrebbe essere una bella
ipoteca per la vittoria della generale.
Sopra, il profilo
dell’undicesima tappa da Andorra la Vella a Cortals d’Encamp
Sotto, profilo
altimetrico della salita di Alto Ermita de Alba, massima pendenza della Vuelta
Potrebbe, ma non è sicuro che lo sia: perché proprio in
principio di terza settimana arriva il bello della gara, quella tappa per cui,
in premessa, avevamo detto che questa Vuelta è per scalatori, ma non per
scalatori puri. Una crono di 38,7 km a Burgos, non eccessivamente lunga ma
abbastanza per cambiare le sorti di una corsa a tappe. Per un cronoman buono in
salita, la tappa di Burgos è l’ideale per recuperare secondi preziosi sui
ciclisti che hanno dominato in montagna, e magari ridefinire le classifiche. Anche
qui, ci viene in aiuto un precedente del Giro d’Italia: quest’anno, su una
crono diversa, da Treviso a Valdobbiadene, lunghissima (60 km) si è definita la
corsa in maniera netta, consegnando la rosa a Contador, fortissimo a
cronometro, a scapito di Fabio Aru, tutt’altro che uno specialista. A mio
avviso, quella tappa è stata disegnata in maniera troppo decisiva. Quella
spagnola dovrebbe, almeno sulla carta, cambiare la classifica senza “regalare”
la vittoria a nessuno. Come se non bastasse, comunque, l’organizzazione della
gara ha sancito un’ultima chiamata per gli uomini di classifica, alla ventesima
e penultima tappa sulla Sierra madrilena: quattro gpm di prima categoria, in
una tappa al termine della quale chi avrà la maglia rossa sarà verosimilmente
il campione di Madrid.
La salita di Alto Ermita de Alba: dal
minuto 6:55 iniziamo a vedere i punti di massima pendenza, con un tratto di
curva al 20%.
Aru-Nibali ovvero: Capitano,
mio capitano
E veniamo dunque ai corridori che prenderanno parte alla
competizione. Sfatando la tradizione per la quale la Vuelta sarebbe la
figliastra del dio del ciclismo per quanto riguarda le corse a tappe, il
parterre dei ciclisti sarà di quelli che fanno venire l’acquolina ad
appassionati e non. Purtroppo, e questo lo dico con sommo dispiacere, a scapito
del Giro d’Italia, che rimane comunque, forse soltanto per una questione
affettiva, la corsa a cui sono maggiormente legato e che seguo con più
passione.
Partiamo da casa Astana, quella che interessa di più per
ovvie ragioni di bandiera. Dopo il Giro d’Italia, l’impressione era che la
corsa italiana fosse cosa di Aru, il Tour de France del detentore in carica
Nibali e si lasciava qualche spiraglio per dare la Vuelta a Landa Meana. Alla
fine, alla partenza di Puerto Banùs ci saranno sia Aru, sia Nibali sia Landa
Meana. Il primo per vincere, giovanissimo, la sua prima corsa a tappe, dopo due
ottimi podi al Giro nel 2014 e 2015. Il secondo, per riscattare una stagione
negativa, risollevata soltanto dalla splendida vittoria in solitaria di La Toussuire-Les Sybelles. Il terzo, per
aiutare la squadra a vincere, e far parlare ancora di sé, prima dell’eventuale
passaggio ad una squadra nella quale, col suo talento, potrà essere il leader
indiscusso.
Nelle gerarchie iniziali, Aru è l’uomo di classifica, e
Nibali quello designato a dare spettacolo con le vittorie di tappa e a mettersi
al servizio del compagno. Ma si sa, non si può chiedere ad un campione che è
riuscito, in carriera, a mettere a segno lo storico “triplete”
(Vuelta-Giro-Tour) di rinunciare a qualsiasi velleità di vittoria.
L’impressione è che le prime tappe dure definiranno chi dovrà fare cosa, e
spiegheranno quale dei due fuoriclasse azzurri correrà per la maglia rossa. Il
team manager di Astana Martinelli ha dichiarato, in un certo politichese, che
la stessa dicitura di “capitano” non è che una trovata giornalistica: ma è
molto improbabile pensare che non stia bollendo niente nella pentola del team
kazako. Vista la presenza di Froome per il Team Sky, con cui Nibali ha un
rapporto tutt’altro che idilliaco, e considerata anche la cronometro
individuale, nella quale Nibali è ben più specialista di Aru, si potrebbe
riproporre la sfida del Tour, mai troppo viva vista l’enorme differenza di
condizione e pedalata sulla Grande Boucle tra il keniano naturalizzato
britannico e lo Squalo dello stretto (rispettivamente vincitore e quarto
classificato).
La vittoria di Fabio Aru al Sestriere:
dal minuto 8:30 fino alla fine del video possiamo apprezzare la splendida
progressione del Cavallino sardo, ma anche il grosso lavoro fatto in suo
supporto da Mikel Landa Meana, che si è comportato da gregario vero in grado di
pensare prima al bene della squadra che alla gloria individuale.
A nessuno, forse, è venuto in mente un parallelismo, di
sicuro romantico ma anche un po’eretico (almeno per ora!) tra la coppia
Aru-Nibali e quella Coppi-Bartali. Nel 1940, sulle Dolomiti, il campione
toscano, che aveva già vinto tutto ed era capitano della Legnano, scese dalla
sua bicicletta per aiutare il giovane compagno di squadra piemontese,
posizionato prima di lui in classifica generale ma in evidente difficoltà sulla
montagna. Alla fine, Coppi vinse il Giro, che Bartali corse completamente da
gregario. Nell’arco di qualche anno, sarebbe nata la storica rivalità tra i
due, forse la più bella della storia dello sport italiano. Alla Vuelta 2015,
Nibali potrebbe essere chiamato a fare altrettanto.
Una scena del film “Gino
Bartali-L’intramontabile” (2006) in cui Bartali (Pierfrancesco Favino) torna
indietro ad aiutare il compagno di squadra Coppi (Simone Gandolfo) in
difficoltà sulle Dolomiti. Sarà lo stesso per Aru e Nibali alla Vuelta?
Chris Froome ovvero: In
corsa per la storia
Soltanto due volte, nel corso della storia, un ciclista è
riuscito a mettere a segno nello stesso anno il “doblete” Tour-Vuelta: Anquetil
nel 1963, Hinault nel 1978. Entrambi hanno terminato la carriera a quota 5
Tour. Di Tour ne ha vinti “solo” 2, invece, Chris Froome, britannico del Team
Sky, che proverà ad essere il terzo a riuscire nell’impresa. Il percorso è
disegnato, tecnicamente, nella maniera a lui più congeniale: la parte difficile
è concentrata nella seconda settimana, lasciando un minimo di riposo in più
nella terza; fondamentale per un corridore che aveva dimostrato un grande calo
fisico alla fine del Tour, dopo averlo dominato durante le prime tappe. Ancora,
la crono individuale è uno dei suoi cavalli di battaglia, ed è collocata in un
momento strategico della gara: dopo il secondo giorno di riposo, a tapponi
pirenaici finiti. Potrà essere l’occasione buona per recuperare gli svantaggi,
o per creare il vuoto tra sé e i diretti inseguitori.
Froome ha partecipato tre volte alla Vuelta, collezionando
due secondi e un quarto posto: gli manca ancora però la consacrazione
definitiva. Questa è l’occasione migliore, anche se la sua stagione sembrava
inizialmente essere impostata per terminare subito dopo il Tour. Potrebbe
pagare l’eccessiva stanchezza dopo la Grande Boucle; se non assoluta, quanto
meno relativa, sui diretti rivali della Movistar.
Guardando alla dinamica della pedalata di Froome, ci
accorgiamo da subito di quanto sia differente da quella degli scalatori suoi
diretti avversari. Il campione del Team Sky si segnala infatti per uno stile di
ciclismo “a mulinello”, brutto da vedere ma particolarmente efficace, basato su
una frequenza molto alta di pedalate continue, come se stesse facendo girare i
pedali a vuoto in discesa. Quando Froome aziona il mulinello, e quindi lancia
l’azione d’attacco, quasi mai gli avversari riescono a tenergli testa, tanto
che i suoi principali denigratori hanno sospettato, tra le tante cose, che le
sue biciclette siano truccate con dei piccoli motorini nel telaio.
Tra tutte le rivalità di questa Vuelta, quella più accesa,
almeno sulla carta (e non solo dal punto di vista ciclistico!) è quella con
Vincenzo Nibali. Durante la diciannovesima tappa del Tour, quella vinta dallo
Squalo di Messina, il corridore italiano avrebbe approfittato di un guasto
meccanico di Froome per lanciare l’attacco ed andare a vincere la tappa. Le
accuse del britannico, molto aspre e rivolte anche sul personale, sono a mio
avviso infondate, perché Nibali era più avanti di lui e non era tenuto, essendo
in gruppo, a girarsi per vedere cosa stesse succedendo alla maglia gialla.
Non ci siamo scordati di Nibali. Per analizzare
una sua progressione, guardiamo questo video, che ha generato la forte
antipatia tra il siciliano e Froome. Possiamo vedere che, quando il britannico
si ferma per un guasto, Nibali sta parlando con un compagno, ed è inoltre più
avanti nel gruppo per accorgersene. Il suo attacco non è antisportivo.
Movistar ovvero: In
due per abbattere il campione
I due grandi giri a tappe del 2015 hanno fatto emergere una
singolare statistica: le squadre che presentavano alla partenza due potenziali
uomini di classifica hanno conquistato il secondo e il terzo gradino del podio,
senza però portare a casa la generale. Così, al Giro l’arrivo di Milano ha
premiato con la rosa Contador Velasco su Tinkoff Saxo, mentre si sono piazzati
alle sue spalle Aru e Landa Meana, entrambi di Astana. Stesso discorso per il
Tour de France: in gialla a Parigi, Froome del Team Sky, seguito dal duo
Quintana-Valverde di Movistar.
Proprio la squadra spagnola sarà chiamata in questa Vuelta a
sfatare la statistica, arrivando a Madrid con un suo uomo in maglia rossa. I
pretendenti sono gli stessi che hanno combattuto per il Tour: Nairo Quintana,
colombiano, classe 1990, un Giro e due secondi posti al Tour, che quest’anno ha
trionfato nella generale della Tirreno-Adriatico vincendo una tappa spettacolare
da Esanatoglia al Monte Terminillo; e Alejandro Valverde, atleta di casa,
precisamente murciano, molto più esperto del compagno (lui è del 1980, dieci
anni di più), un palmares nella Vuelta da fare invidia: 9 le partecipazioni,
una vittoria nel 2009, e poi tanti piazzamenti che non lo hanno fatto mai
scendere sotto il quinto posto, ad eccezione del 2002, anno in cui si ritirò
dalla corsa.
Le caratteristiche dei due ciclisti sono molto diverse, ma
perfettamente compatibili con la ratio della Vuelta 2015: se Nairo Quintana è
lo scalatore puro, capace di lanciare degli attacchi brucianti e di prendere un
ritmo di pedalata impossibile da seguire per gli avversari (ne sa qualcosa
Alberto Contador!), Alejandro Valverde è uno dei rari interpreti della
duttilità applicata al ciclismo. Valido in montagna, lo spagnolo è anche un
fuoriclasse nello sprint, ed ha buone capacità da cronoman: caratteristiche
queste che lo rendono un inquilino pericoloso in tutte le prove, dalle
classiche di un giorno alle grandi corse a tappe. Non a caso, il
trentacinquenne della Movistar ha trionfato nell’edizione 2014 dell’UCI World
Tour, la competizione annuale che assegna dei punteggi a seconda dei
piazzamenti nelle varie prove dell’anno, dai tre grandi giri, alle gare in
giornata, alle corse a tappe di durata inferiore. E, come se non bastasse, è il
leader della classifica provvisoria anche nel 2015, davanti a Chris Froome.
Un attacco di Nairo Quintana, alla quinta
tappa della Tirreno-Adriatico 2015. Vediamo come il ciclista, a partire dal
minuto 0:40, esca dalla scia del gruppo e parta con una progressione
potentissima e molto ritmata, da scalatore puro.
Apprezziamo le doti di sprinter di
Alejandro Valverde, alla Freccia-Vallone vinta nel 2015. Tra le sue qualità, a
partire dal minuto 15:00 non solo quella di scalatore, ma anche una grandissima
potenza nelle volate.
Il lavoro che la Movistar dovrà svolgere in questa Vuelta
parte dal definire fin dalle prime tappe dei ruoli specifici: inizialmente, il
team aveva detto Valverde per la generale e Quintana per le tappe. Ma
l’ingresso in gare di Froome, e soprattutto di un Froome non al massimo della
condizione, potrebbe aver scombinato tutto: quindi, il colombiano dovrebbe
correre per portare a casa la maglia rossa, con l’atleta di casa a fare da
gregario di lusso, senza però togliersi lo sfizio di provare a portare a casa
qualche tappa, soprattutto in quei terreni in cui il compagno non è specialista
puro. La strategia sarà probabilmente molto offensiva, di logoramento del
campione in carica del Tour, che potrebbe trovarsi attaccato su più lati,
principalmente in quei momenti di fine corsa in cui ha dimostrato di soffrire e
non poco. Chiaramente, questo tipo di tattica presenterebbe Quintana come
sfidante numero uno alla partenza di Puerto Banùs, pronto a prendersi quella
rivincita del Tour che stava per riuscirgli dopo una rimonta sublime nelle
ultime tappe ma che è mancata per pochissimo.
Insomma, in definitiva, sarà la Vuelta dei grandi campioni:
21 tappe tutte da vivere col fiato sospeso, da sud a nord lungo le strade della
Spagna. Come coronamento di questo pezzo, azzardo un pronostico: il mio
personalissimo euro di scommessa lo proverò su Nairo Quintana…il 13 settembre
tireremo le somme.
Articolo a cura di Marco Maria Capponi