Il golpe di Novak Djokovic: ecco tutto ciò che gli ha consentito di
rovesciare la dicotomia Federer-Nadal.
di Federico Principi
Il sottoscritto, che si
appresta a scrivere un corposo articolo su un argomento delicato dal punto di
vista sportivo, si premura anzitutto di fornire alcuni dati personali che,
almeno per quanto riguarda l'introduzione, risultano essenziali. Innanzitutto
il suo anno di nascita è il 1992, e nonostante fin da piccolo abbia quasi da
subito palesato un viscerale interesse per le discipline sportive, non riuscirà
tuttavia prima del 2005 ad appassionarsi a quello che ad oggi, invece, risulta
essere il proprio preferito sport. Sarà in ogni caso fortunato, perché ha
comunque fatto in tempo ad assistere alla definitiva esplosione di Rafael
Nadal, alle migliori stagioni di Roger Federer, e (verrebbe da dire "soprattutto") alle ultime battute dietro ai microfoni di due spassosissimi e
competenti personaggi che hanno marcato un segno vistosamente profondo nella
storia del tennis italiano e mondiale. Se non avete capito di chi stia
parlando, vi sono due alternative: o non siete sufficientemente appassionati
dello sport inventato dal diavolo, o non siete abbastanza stagionati. Vi do un
indizio, anzi vi do direttamente i nomi: Rino Tommasi e Gianni Clerici. Forse
ora, anche se non abbiate seguito tennis a sufficienza, vi saranno venuti in
mente.
Sappiate ora che i due
mattacchioni (che oltre ad essere dei veri e propri showman decisamente più
giovanili della loro anagrafica età, erano decisamente competenti in materia)
erano soliti inventare frasi, locuzioni, definizioni poi diventate celebri
nella storia del giornalismo sportivo nostrano. La preferita, almeno per quanto
mi riguarda, rimane senza ombra di dubbio: "È
uscito dalla trincea senza l’elmetto". Pronunciata scientificamente da
Tommasi ogni volta che un qualsiasi giocatore, anche il più blasonato, si
presentava a rete con un attacco avventato, debole, corto e fuori posizione, e
veniva facilmente e giustamente passato.
Solo a Gianni Clerici è ammesso impazzire in diretta in questo modo.
Ce n'è un'altra che riguarda
più strettamente questo nostro articolo. Riferita forse a livelli un gradino
inferiori rispetto ai tennisti di vertice: “Il
computer non capisce un tubo di tennis". Il "computer" sarebbe il famoso
ranking, che oggi ha un metodo assolutamente scientifico di compilazione e che
in passato tanti problemi ha invece creato, con Guillermo Vilas che tuttora
rivendica uno status di "numero uno" mai ufficialmente riconosciutogli. Metodo
tuttavia contestato, oltre che dalla fantastica coppia di telecronisti-giornalisti
italiana, soprattutto dai follower
del tennis femminile. Troppe sono state le giocatrici al vertice assoluto della
classifica senza Slam all'attivo, e l’apice dell’esasperazione è stato con ogni
probabilità toccato dal biennale regno Wozniacki 2010-2011, annate nelle quali
la danese non è andata oltre la modica cifra di tre semifinali Slam in due
stagioni.
Rino Tommasi e Gianni
Clerici erano già stati allontanati da Sky prima dell’edizione 2011 di
Wimbledon. Quando in finale arrivano Rafael Nadal (numero uno) e Novak Djokovic
(numero due), il serbo è già sicuro prima dell’ultimo atto che, anche qualora
beccasse un triplo 6-0, il giorno dopo avrebbe comunque scavalcato il toro di
Maiorca nella Cima Coppi del tennis. Chissà cosa avrebbero detto i due
vecchietti di fronte all'eventualità di un successo di Nadal. Lo spagnolo aveva
appena vinto il Roland Garros, era ancora detentore dello US Open, e se avesse
conquistato Church Road anche nel 2011 avrebbe realizzato una mostruosa
statistica di 5 Slam vinti degli ultimi 6 disputati. Perdendo contemporaneamente
la vetta della classifica mondiale: “Il
computer non capisce un tubo di tennis".
E invece è accaduto che
Novak Djokovic, forte della ormai assoluta inossidabilità di fronte al gioco
pesante ed arrotato del mancino di Manacor, si impose per la quinta volta
consecutiva in pochi mesi negli scontri diretti: la prima nella storia dei loro
confronti Slam. Legittimando quello che pareva già essere nell'aria, e che solo
i più nostalgici sostenitori dell’ormai quinquennale duopolio Rafa-Roger stavano
tentando di negare con forza sempre decrescente: come affermato da Paolo
Bertolucci all’epoca, “Djokovic ha alzato
l’asticella". Nole è il nuovo, universalmente riconosciuto, numero uno del
Mondo.
Il cambio della guardia.
Una macchina progettata da Igor Cetojevic
Igor
Cetojevic non è un ingegnere, né un designer e nemmeno un architetto. Non è
stato tennista, per lo meno ad alti livelli, e nemmeno tecnico, coach,
allenatore o come volete voi: ma nonostante tutto ha rivoluzionato le gerarchie
e la storia del tennis mondiale. La più classica delle sliding doors: <<Per pura
coincidenza, quel giorno del 2010 un nutrizionista serbo di nome Igor
Cetojevic, facendo zapping al televisore di casa sua a Cipro, si imbatté nel
mio incontro all’Australian Open. Il dottor Cetojevic capì subito: c'era
qualcos'altro che non andava in me, e secondo lui era l’alimentazione>>.
Novak Djokovic si riferisce, narrandolo nel suo libro “Serve to win", al match di Melbourne 2010 perso al quinto set
contro Tsonga, l’ennesimo episodio di crollo psico-fisico durante una sua
partita. Nole dice di aver toccato il fondo della propria carriera proprio quel
giorno, precisamente quando commette un doppio fallo sullo 0-40 con Tsonga già
avanti 3-1 nel set decisivo. Mentre lancia la pallina in aria, mancando la
seconda di servizio, non sa che 12 mesi più tardi sarà solamente all’inizio
della propria egemonia. Pochi mesi dopo lo Slam australiano del 2010, Nole
incontra Cetojevic: <<Mi spiegò che a suo
avviso le intolleranze alimentari non erano solo la causa del mio tracollo
fisico, ma influenzavano anche il mio stato mentale. Disse che poteva aiutarmi
a elaborare un nuovo regime alimentare, quello giusto per il mio corpo>>.
Le analisi del sangue
danno a Djokovic un risultato tanto inaspettato quanto, per lui, scioccante.
Cetojevic sentenzia, senza troppe discussioni: "Se vuoi che il tuo corpo reagisca nel migliore dei modi, dovrai
smettere di mangiare pane. Elimina anche il formaggio e riduci il consumo di
pomodori". Nole è sbigottito, cresciuto in un Paese (la Jugoslavia) molto
chiuso nelle proprie abitudini, anche culinarie, ed affezionato alla pizzeria di
famiglia ubicata nelle prossimità del primo campo da tennis della sua vita.
Dovrà, o meglio vorrà, modificare il proprio programma alimentare per
migliorare la propria salute e la propria carriera. Forse neanche il
nutrizionista sa esattamente, in quel momento, quali reali effetti avrà questa
sua diagnosi sugli equilibri tecnici ed economici del circuito tennistico
mondiale.
Ricordo di aver
assistito alla sola semifinale dell’intero Australian Open dell’anno successivo,
il 2011. Ero in gita scolastica a Madrid e per caso sfruttai un’ora libera per
fermarmi in un bar sportivo. Federer contro Djokovic: non avevo mai visto il
serbo così superiore al re delle nostre epoche. Nonostante un vantaggio di 5-2
nel secondo set, Roger non diede mai l’impressione di poter scardinare quella
versione inedita di Nole. Che vinse comodamente in 3 set, senza neanche
esultare più di tanto. Mi precipitai da un mio amico, egualmente appassionato,
tifoso di Federer: <<Giovanni, Djokovic ha
vinto 3 set a zero, è stato spaventoso>>. <<Federer è quasi finito>>, il suo laconico e stizzito commento, ma
non ci stavo: <<Gio, fidati, non ho mai
visto Djokovic così impressionante fisicamente. Recuperava qualsiasi palla>>.
Il mondo è pieno di maestri del "te l'avevo detto", parlare "a posteriori" è
uno degli sport preferiti in particolare dagli italiani. Per una volta, la
storia ha dato ragione anche al sottoscritto.
Gli highlights non rendono perfettamente l’idea di quanto Roger
raramente sia in controllo delle operazioni.
Igor Cetojevic aveva
costruito un ingranaggio perfetto, come Adrian Newey e le sue Red Bull. Chissà
cosa sarebbe stato di Sebastian Vettel senza il geniale progettista britannico,
che per assecondare lo stile di guida del giovane tedesco ripescò la vecchia soluzione degli "scarichi soffianti". E come si sarebbe invece sviluppata la carriera da
trequartista di Andrea Pirlo, se Carletto Mazzone avesse deciso di tenerlo come
riserva di Roberto Baggio senza arretrarlo sulla linea mediana, sfruttando
contemporaneamente il talento di entrambi. Chissà se Djokovic, senza Cetojevic,
sarebbe ugualmente riuscito a mettere in crisi le carriere dei due mostri
sacri: e non tanto quella di Roger, ma soprattutto quella di Rafael Nadal,
ossessionandone i quotidiani pensieri.
La differenza sul campo
Terminata la
progettazione della vettura del 2011, assicurato che la prima gara in Australia
abbia dato riscontri eccezionali, con il secondo Slam conquistato dopo tre anni
esatti di astinenza, si tratta solo di vedere quali potranno essere i risultati
di questa nuova macchina dotata di una cilindrata nettamente superiore a
quella, incompiuta e inaffidabile, delle stagioni precedenti. Difficile
descrivere con originali aggettivi o definizioni quello che Novak Djokovic compia
nella stagione che lo innalza al vertice della piramide tennistica, e forse
sportiva: tre Slam su quattro, record assoluto di cinque Masters 1000, due sole
sconfitte subite fino alla prima settimana di settembre.
Il 2011 ci consegna un
Djokovic trasformato: nel fisico, nelle prestazioni atletiche, e di conseguenza
anche nell'approccio tattico e nella fiducia nei propri colpi. Non tanto nel
rovescio, suo marchio di fabbrica: dopo la straordinaria vittoria del suo
secondo Masters Series, Montreal 2007 (battendo Roddick, Nadal e Federer,
rispettivamente classificati numero 3, 2 e 1, impresa storica), si parlava già
del suo colpo bimane come vero e proprio punto di forza dell’armamentario serbo. <<Il mio colpo preferito è il rovescio
lungolinea>>, dirà in una piccola intervista di presentazione sul sito
dell’ATP. Il nuovo corso prevede invece un leggero accorciamento della
preparazione, ed un lieve abbassamento del gomito, nell'esecuzione del dritto:
apparentemente impercettibili dettagli, che tuttavia uniti ad una base atletica
straordinariamente migliorata producono differenze sensazionali rispetto al
passato. Soprattutto per via del fatto che è ormai un colpo, il dritto, che pur
non essendo ipoteticamente il migliore dell'arsenale di una limitata quantità
di giocatori, risulta comunque (in particolare sulla terra) quello con il quale
ogni tennista produce ormai la grande maggioranza del proprio gioco, in queste
evoluzioni moderne di questo magnifico sport.
A più riprese si può notare, specialmente nel punto che inizia al minuto
1:48, come Djokovic cerchi immediatamente (con successo) di comandare lo scambio
manovrando col suo nuovo, più sicuro e penetrante, dritto.
C'è poi il capitolo del
servizio. Vero e proprio cruccio dell’annata 2010: alla vigilia del Masters
1000 di Montecarlo, Djokovic annuncia la fine della propria breve (ma
ugualmente nefasta) collaborazione con Todd Martin, che affiancava lo storico e
fedele coach Marian Vajda il quale, in seguito, a partire dal 2014 sarà
accoppiato con il leggendario Boris Becker. L’americano, ex numero 4 al Mondo,
aveva tentato di modificare il colpo di inizio scambio del serbo: <<Ci siamo separati senza rancori. Ha tentato
di cambiare il mio servizio, ma le cose alla fine si sono complicate troppo e
ora tornerò al vecchio servizio>>. Necessità sottolineata a fine settimana,
dopo la sconfitta per duplice 6-2 patita da un giocatore come Verdasco che ad
oggi riuscirebbe a malapena a fare il solletico a Nole: <<Voglio migliorare il servizio. Chiunque può vedere come il mio
servizio non stia funzionando. Ho perso equilibrio, ho perso ritmo, e non è
facile ritrovarli. Dovrò lavorare tantissime ore in campo sperando di ritrovare
questo colpo>>.
"Il duro lavoro paga
sempre", classico luogo comune, al quale Djokovic avrà forse smesso di credere
a metà 2010 quando si arrende ad un giocatore, Berdych, che raramente in carriera
lo ha fatto soffrire. Il servizio non funziona ancora nella semifinale
Wimbledon che avrebbe dovuto portare Nole a giocarsi il titolo con Nadal nell'ultimo
atto, dopo che Berdych stesso aveva estromesso un Federer reduce da 7
consecutive finali sull'erba più famosa del mondo. Otto i doppi falli commessi
da Djokovic, il più triste dei quali sul set point per il ceco nel tie-break
del secondo set, e tutti in momenti delicati. Ritroverà la scioltezza del
movimento proprio nella nuova stagione 2011, tornando alla vecchia
preparazione: la testa della racchetta sale in contemporanea al lancio palla,
movimento chiamato "sincrono" dai tecnici e che a posteriori potremmo con pochi
dubbi qualificare come quello naturale e fluido del campione di Belgrado. Todd
Martin aveva invece spezzato questa meccanica, abbassandogli la testa della
racchetta al momento del lancio per tentare di sfruttare la teorica maggiore
spinta derivante da quello che viene invece chiamato "movimento asincrono". La
perdita di ritmo e timing, di cui ha parlato Nole dopo Montecarlo, è la
conseguenza di questo esperimento decisamente fallito.
Sopra, Djokovic al lavoro con Todd Martin: la testa della racchetta
sale in ritardo rispetto al braccio sinistro che lancia la pallina. Timing
asincrono.
Sotto, Nole nel 2011 ha già di nuovo modificato il proprio servizio
riportandolo ai fasti del 2008: la testa della racchetta sale quasi in
contemporanea al braccio sinistro che lancia la pallina. Risulta nettamente più
fluido questo movimento sincrono.
Che cosa può
maggiormente agevolare dal punto di vista tattico una così marcata crescita
atletica? Naturalmente, ed è fin troppo scontato dirlo, la capacità di reggere
con sicurezza ed autostima gli scambi lunghi, lenti, faticosi, interlocutori.
Djokovic a partire dal 2011 si può concedere di scambiare alla propria velocità
di crociera, con la consapevolezza che raramente un punto prolungato possa
concludersi nelle mani del suo avversario. Non è più costretto a forzare in
situazioni con poco margine, tentare di uscire quasi disperatamente con il
rovescio lungolinea: la nuova capacità fisico-aerobica lo tranquillizza, gli
fornisce grande confidenza in se stesso e gli permette di costruirsi con molta
più calma e margine il punto, senza esagerare, centrando una costante
profondità di palla che sarà un vero e proprio martello pneumatico per tutti
gli avversari. Emblematico in tal senso risulta l'uso della palla corta,
smodato ed eccessivo fino al 2010, perfettamente calibrato invece nel nuovo,
più attendista, approccio tattico.
Guardare a 4:47: fa ancora impressione la stabilità del corpo di Nole,
che non cede un centimetro di campo in uno scambio durissimo e molto lungo.
Alla fine sarà proprio Nadal a tentare una soluzione definitiva, ma fuori
equilibrio e con esiti negativi.
Chi ne fa maggiormente
le spese in questo senso è colui che sembrava lanciatissimo a monopolizzare il
tennis mondiale a seguito del crepuscolo di Federer, e che invece dovrà tentare
in tutti i modi di arginare il ciclone-Djokovic: è proprio Rafael Nadal la
principale vittima di questo terrificante tsunami. Le abilità sia offensive che
difensive di Nole sembrano decisamente salite di livello, e per Nadal diventa molto
più difficile sfondare su quella diagonale, la sinistra, che Andy Roddick
definì "La tortura cinese". Quella porzione di campo, in un confronto contro il
maiorchino, era solo ed esclusivamente di proprietà dello spagnolo. Djokovic
approfitta delle sue marziane abilità col colpo bimane, della sua novella
freschezza fisica e della sua innata elasticità muscolare, alimentata anche da
lunghe sedute quotidiane di stretching, spesso vicine all'ora giornaliera: tutto
ciò favorisce la propensione all'anticipo sulla palla, migliorando le già
eccezionali percentuali e soluzioni in risposta al servizio che diventa forse
l’arma principale del tennis di Nole. Anticipo che sarà inoltre fondamentale
per arginare il mortale spin del dritto mancino di Rafa: se guardate gli
scontri diretti Nadal-Davydenko sul duro, troverete un bel 6-1 per il russo,
vero e proprio erede di Agassi nell’anticipo. Arrivando ad una semplice
conclusione: lo spagnolo soffre chi riesce a non far salire le sue terribili
rotazioni.
Si aggiunge un altro
elemento: la recente sfida di Montecarlo, che con un periodico 6-3 ha mandato
in onda l’ennesimo confronto diretto favorevole per Djokovic, ha visto il serbo
distribuire equamente tra incrociato e lungolinea i propri rovesci. Una
statistica a dir poco notevole, che ci porta a due inattaccabili deduzioni:
Nole da quella parte ha una tale fiducia che gioca il suo colpo migliore
praticamente ad occhi chiusi, visto che, soprattutto in fasi di manovra
prolungate come quelle a cui si assiste spesso tra i due campioni, il diagonale
dovrebbe sicuramente essere una scelta più sicura e quindi compiuta più di
frequente. Ma soprattutto la seconda conclusione ci porta a pensare che con
quel rovescio lungolinea Djokovic riesca anche a spostare lo scambio sull’altra
diagonale, la destra, dove in linea teorica (ma anche pratica) è sicuramente
più avvantaggiato.
Sarà quindi Nadal, dopo 7
confronti diretti consecutivamente persi, a dover prendere adeguate
contromisure: racchetta più pesante in testa, servizio al corpo utilizzato con
maggiore reiterazione, ma soprattutto un allenamento mirato al miglioramento
del dritto lungolinea che porterà tante soddisfazioni ancora in terra iberica.
Nadal insisterà con meno frequenza sulla diagonale sinistra nei match contro il
più quotato rivale, tentando di trovare prima possibile varchi giusti per
piazzare dritti mancini lungolinea vincenti. Nell’ormai lontano 2006 Nole, dopo
una severa lezione subita al Roland Garros, si lanciò in un’allora
avveniristica considerazione: <<Di sicuro
Nadal è il più forte su questa superficie, ma non è imbattibile. Avevo il
controllo della partita, non devo fare cose paranormali per poterlo battere
sulla terra>>. Ci riuscirà 6 volte, a partire proprio dal 2011, fino al
simbolico ed umiliante quarto di finale a Parigi di questa stagione: un Rafa
forse definitivamente arreso, che alza bandiera bianca con un doppio fallo
nell'ultimo punto. Aveva ragione Djokovic, con qualche anno di anticipo.
Minuto 7:20: tuttora sobbalzo ancora dalla sedia rivedendolo. Dopo uno
scambio serrato, Djokovic conclude con un vincente di rovescio a seguito di un
dritto molto spinto e carico di Nadal. In questo punto si vede tutta la
coordinazione e la stabilità, specialmente su quel colpo, di un Nole che riesce
a controllare perfettamente la pesantezza del gancio mancino di Rafa.
La storia
La carriera di Djokovic
è quella di un predestinato, di un ragazzino che veniva preso in giro dal
compagno di allenamento Ernests Gulbis perché sempre e costantemente
concentrato sul tennis. “Se vuoi
diventare il numero uno, devi lavorare", ripeteva Nole allo svogliato e
talentuoso lettone. Inutile rimarcare quale sarà l’andamento delle rispettive
carriere.
Con Gulbis si allenava a Monaco di Baviera, da teenager, grazie a grossi
sacrifici economici del padre Srdjan. Elargizioni di cui non aveva invece avuto
bisogno quando Jelena Gencic, con Nole che aveva appena 4 anni, lo invitò al
campo di allenamento per provare i primi colpi. La talent scout aveva qualche
buon nome nel proprio curriculum, tra i quali spiccavano Monica Seles e Goran
Ivanisevic, e capì immediatamente il giacimento petrolifero che le era capitato
nelle mani in quei giorni estivi del 1991. Nole si sposterà successivamente in
Italia, dopo Monaco, per essere seguito da colui che è probabilmente il nostro
miglior tecnico, Riccardo Piatti: lo storico coach di Ljubicic abbandonerà
abbastanza in fretta il giovane serbo, non certo per mancanza di lungimiranza sui
suoi risultati ma per qualche problema di gestione della esigente famiglia di
Djokovic. Piatti, ovviamente, sapeva che quel ragazzo sarebbe comunque
diventato un fuoriclasse.
Se ne accorsero anche
gli appassionati nell'estate del 2006: vince all’ATP di Amersfoort sul campione
olimpico Nicolas Massu, vera e propria belva da combattimento, e la settimana
dopo torna in finale ad Umago ritirandosi contro Wawrinka per un malessere non
ben identificato. Uno di quelli che scompariranno dopo il cambio di dieta: “La
schiena, le anche, l’influenza aviaria, l’anthrax, la SARS, la tosse, il
raffreddore”, fu questo
il poco elegante elenco di mali del serbo fatto da Andy Roddick in conferenza
stampa a New York nel 2008, prima del loro incontro.
A 19 anni ecco qui il primo
titolo ATP: nei tornei di massimo livello sarà estremamente precoce, secondo
solo a Nadal per quello che riguarda i giocatori dell’ultima generazione.
Il definitivo ingresso nel tennis di vertice avviene in
quella che diventerà la terra preferita di caccia del serbo durante la
carriera: le quattro settimane di Indian Wells e Miami del 2007 lo vedranno in
finale in entrambi i tornei, trionfatore in Florida. Poi semifinali a Roland
Garros e a Wimbledon, fermato sempre da Nadal, e la vittoria, storica, del
secondo Masters Series: a Montreal, come già detto, elimina in sequenza
crescente i primi 3 della classifica mondiale. Roddick, Nadal, Federer. Spreca
qualche chance in finale allo US Open contro lo svizzero, pagando forse il
dazio emozionale e di esperienza che la prima finale Slam a 20 anni (e non
contro uno qualsiasi) impone. Ma si prenderà la rivincita, estromettendo a
sorpresa Roger dall'Australian Open 2008 ed andando ad alzare il trofeo in
finale su Tsonga: un crescendo di successi che culmina, per il momento, nel
proprio apogeo.
Semifinale Melbourne 2008: la prima grande impresa
Slam della vita.
Dall'estate del 2005 nessuno si era più infilato nel letto
matrimoniale dove dormivano comodamente ed amorosamente Roger e Rafa. Nole si è
tuttavia innamorato di quelle prime due posizioni del ranking, ed ha la chance
per centrare questo ulteriore step di crescita. La semifinale del Masters
Series di Amburgo 2008 è lo spareggio per il secondo posto: nonostante da più
di tre anni Nadal sia ormai quasi inavvicinabile sulla terra battuta, Djokovic
pare crederci sul serio. Non sa, o forse non vorrebbe, che di fronte ha
probabilmente un Rafa nel miglior periodo della carriera: di certo quello
all'apice fisico ed atletico. Parte avanti Nole, 3-0 nel primo set, ma cede
7-5. Grande reazione nel secondo parziale, ma quando Nadal preme il bottoncino
magico (simile a quello delle Mercedes di Formula 1) che solo lui sulla terra aveva,
nel set decisivo non c’è più storia. Nole perde progressivamente fiducia ed
attitudini positive: lo spagnolo ricaccia il serbo nel “limbo” della terza
posizione. “Vade retro". Certo, che
bel limbo…
Nadal non ha la minima
intenzione di cedere la piazza d’onore dietro al maestro Federer: ancor di meno
in un match sulla terra…
È come se a quel punto
qualcosa si spezzasse nell'autostima di Djokovic, e nella consapevolezza di
avere le carte in regola per pranzare con i migliori e dare loro del "tu". Fino
al torneo di Miami dell’anno successivo i risultati non sono più così costanti
ed esaltanti, e qualcuno comincia a sospettare che il nuovo arrivato Murray sia
perfino più competitivo potenzialmente rispetto al serbo per minacciare quei
due bravini lassù. Riprende una buona marcia dopo la vittoria su Federer a
Miami nel 2009 (quella dell’unica racchetta rotta da Roger negli ultimi 10
anni), ma perde comunque dal coetaneo scozzese in finale. Una buona stagione
nei Masters 1000 sulla terra lo vede arrendersi sempre e solo al re Nadal, ma le
tre sfide non sono esattamente uguali. L'ultima, a Madrid, lascia un segno
decisamente profondo e negativo nella mente di Djokovic: 4 ore di gioco e
tie-break decisivo al terzo set, match point annullati da un Rafa invincibile.
Di quando e come Djokovic
si riprenderà, con gli interessi, ne abbiamo già parlato più che
approfonditamente. Se è vero, come dice Nole seguendo un vecchio detto, che "noi siamo quello che mangiamo", il periodo d’oro ha una leggera flessione in
coincidenza di un pezzo di cioccolato ingerito dal serbo dopo l’Australian Open
2012, vinto dopo 5 ore e 50 minuti di guerra contro una vecchia conoscenza, un
mancino spagnolo già più volte citato nell'articolo. Nole si è voluto concedere
questo piccolissimo vezzo, più che meritato, ma sarà proprio dopo
quell'edizione del torneo di Melbourne che vivrà due annate un pochino più
travagliate. Ma il salto di qualità, sotto tutti gli aspetti, compiuto
nell'inverno tra 2010 e 2011 sarà sempre e comunque decisivo per considerarlo
favorito praticamente in ogni occasione.
Soffre un colpo di coda
di Nadal, che soprattutto nel 2013 si presenta estremamente agguerrito e
competitivo. Il maiorchino si prende il solito Roland Garros ed anche lo US
Open: a partire dal torneo di Pechino di quella stagione, tuttavia, inizierà un
lento ed inesorabile periodo di discesa che lo porterà dov’è oggi. Di misura
dentro le prime dieci posizioni. Proprio a Pechino 2013 Rafa conosce la prima
sconfitta stagionale su campi duri, e Nole ristabilirà la propria egemonia negli
scontri diretti ad eccezione del Roland Garros dell’anno successivo.
Il Roland Garros: ovvero
l’ultimo tassello mancante. Quasi un’ossessione per il serbo: negato da uno
strepitoso Federer nell'annata di grazia 2011, sbarrata la strada da Rafa nei
tre anni successivi. Nel 2013 sarà estremamente sanguinosa la sconfitta che
Nole dovrà digerire, dopo essere stato avanti 4-2 nel quinto set ed aver ceduto
il contro-break anche per colpa di una banale invasione commessa a punto praticamente
fatto. Perderà 9-7. Perfino più difficile da accettare, forse, soccombere in
una finale contro un giocatore teoricamente inferiore: Stan Wawrinka a tratti è
assolutamente devastante, ma il miglior Djokovic non dovrebbe in ogni caso
cedere. E invece in finale nello Chatrier nel 2015 va in campo una versione di
Nole tesa, insicura, quasi spaventata dalla posta in palio: il dritto non
funziona, non penetra e Stan ha tempo e spazio per picchiare. Djokovic celebra
la vittoria del primo set con un urlo più simile ad uno scampato pericolo che
ad una reale convinzione che la partita si stia incanalando dalla sua: è il
segnale che, nonostante la superiorità sul resto del mondo, qualche insicurezza
a livello Slam si sia manifestata forse un po’ troppo spesso. E sovente proprio
contro Wawrinka, giocatore del quale evidentemente soffre la pesantezza di
palla da ambo i lati, e che gli porta via l’unico major mancante.
Minuto 22:19: Djokovic costruisce perfettamente il punto, ma al momento
della benedizione frana addosso alla rete. Il punto, e poi il game del
contro-break, saranno di Nadal. Uno dei motivi, forse il più clamoroso, per i
quali Nole è ancora all’asciutto di successi sulla terra del Philippe Chatrier.
Digerisce al meglio la
grossa delusione parigina, presentandosi nell'altra capitale europea degli
Slam, Londra, senza match all'attivo sull'erba. Programma stagionale
discutibile, ma che alla luce della vittoria finale del torneo più famoso del
mondo, come fai a contestare? Certo, con qualche match sui prati di Halle o del
Queen’s forse Djokovic non avrebbe rischiato grosso contro Anderson, offrendo
palle break al quinto set contro un giocatore di quasi due metri che fin lì lo
aveva bombardato di aces. In finale contro Roger sfodera una delle migliori
prestazioni della carriera, aiutato dall'erba spelacchiata di fine torneo, ma
estremamente solido ed aggressivo. La profondità di palla, la costanza in
risposta, la regolarità nel martellare sul rovescio il vecchio re ormai
spodestato: qualità enormemente progredite con il cambio di alimentazione, di
stile di vita e di attitudine nei confronti del tennis, rese ormai automatiche
in campo.
Nonostante un torneo non esaltante, Djokovic controlla Federer: il
serbo aveva sofferto negli ultimi precedenti sul veloce contro lo svizzero, ma
stavolta è decisamente ingiocabile.
Novak Djokovic è convinto
che il matrimonio con Jelena Ristic e la nascita del figlio Stefan gli abbiano
cambiato la vita, rendendolo un uomo migliore. Si sente più rilassato e
fiducioso nei propri mezzi, maturo e stabile psicologicamente. Come se non
bastasse… non avrebbe neanche bisogno di ulteriori input positivi, lui che già
di per sé è una macchina da guerra. Gli avversari, nel frattempo, non tengono
più il suo ritmo: in molti sospettano che i tramonti di Federer e Nadal, uniti
al contemporaneo latitante ricambio generazionale, siano fattori decisivi per
spianare la strada al proseguimento della sua dittatura. La vettura invincibile
disegnata da Igor Cetojevic è destinata quindi per altri anni ad ulteriori,
ripetuti e dominanti, successi.
Articolo a cura di Federico Principi