Analisi
degli aspetti positivi e negativi della prima partita stagionale della
Nazionale italiana di Antonio Conte.
di AER
di AER
L'Italia
si è presentata al primo appuntamento stagionale in una situazione
ambientale e tecnica non facile. Il commissario tecnico riesce con
fatica a calibrare dichiarazioni e scelte tecniche senza cadere in
isteria e confusione. Gli stessi problemi da lui annunciati qualche
tempo fa (e analizzati da noi in un pezzo precedente a questo) sembrano
condannarlo ad una continua e inesorabile ricerca degli uomini
giusti.
Antonio
Conte sta pagando a caro prezzo la presa di coscienza della
differenza tra essere un allenatore ed essere un selezionatore, la
difficoltà del passaggio tra due modi di vedere il proprio gruppo di
giocatori sta determinando profondamente le sue scelte. L'ex
allenatore della Juventus sembra non digerire la necessità di
anteporre la gestione delle risorse tecniche e umane alla
programmazione tecnica, punto di svolta cruciale per ogni commissario
tecnico.
Tutto
questo, però, come ha influenzato il gioco degli azzurri durante i
90 minuti contro Malta?
Proviamo
a riflettere su cosa funziona, cosa potrebbe funzionare e cosa va
adeguatamente modificato nel gioco della Nazionale italiana.
Apparente flessibilità
Il tipo di partita era
ampiamente pronosticabile e prevedibile. Malta si schiera con tutti
gli uomini dietro la linea del pallone, con una linea difensiva molto
bassa e con distanze molto corte tra i giocatori. Un'impostazione
molto elementare che mira a togliere contemporaneamente la profondità
agli attaccanti azzurri e chiudere le vie centrali. L'unica
intepretazione costruttiva lasciata ai calciatori è quella di
scegliere con sensibilità quali recuperi palla cercare di
trasformare nei tre o quattro contropiedi quantitavimente
prestabiliti prima del match.
Il 3-5-2 si è trasformato in un 4-3-3. |
Conte sorprende
apparentemente tutti schierando gli azzurri con un 4-3-3 e
dimostrando teoricamente una flessibilità che in pratica viene meno.
I numeri, infatti, in questo caso possono ingannare.
Il 4-3-3 proposto
contro Malta non è altro che una ramificazione del 3-5-2 al quale il
tecnico è così fedele: contro la difesa bassa e statica di Malta si
può fare a meno di uno dei tre difensori e si può aggiungere un
altro attaccante che non fungerà, insieme all'altro attccante
esterno, da ala ma insieme costituiranno una “doppia seconda
punta”. A dare ampiezza alla squadra ci penseranno i due terzini
che quindi dovranno stare leggermente più bassi – rispetto al
3-5-2 – in fase di attacco per essere un appoggio per il possesso
palla. Questa è la soluzione di Antonio Conte alla difesa prolungata
di Malta.
Disposizione delle linee di difesa e centrocampo in fase di possesso. |
Anche la scelta di
Verratti è legata al tipo di partita: Conte, nel ruolo di mezzala
preferisce un giocatore più verticale nei movimenti, ma la
possibilità di avere un attaccante in più, anzi una seconda punta
in più (importante differenza), gli permette di rinunciare con meno
dolore a più verticalità – nei movimenti - nel ruolo di mezzala e
di migliorare la circolazione del possesso palla (cosa che l'Italia
avrebbe dovuto fare e farà per gran parte della partita).
La scelta di Verratti è
di carattere puramente gestionale: Conte sa che l'Italia dovrà avere
quasi esclusivamente il controllo del pallone e l'aggiunta di
Verratti a Pirlo ha lo scopo di consolidare il possesso palla.
La stessa scelta di
Pirlo è confortata dai presumibili ritmi bassi della partita.
I movimenti degli attaccanti
Una delle soluzioni più
interessanti, consequenziali alla scelta di schierare due seconde
punte, è stata proprio quella di usarle come vere seconde punte.
Cerco di spiegarmi meglio.
I movimenti codificati
dei giocatori sono uno dei fondamenti del progetto tattico di
Conte, in particolare sono codificati i movimenti che coinvolgono i
due attaccanti. L'attacco a tre con due seconde punte ha la funzione
di attacco a due “delocalizzato”: se il possesso palla si
sviluppa sulla parte sinistra del campo, i movimenti tipici dell'
“attacco a due” (uno viene e uno va, esca, velo, incrocio)
coinvolgono l'attaccante centrale e l'attaccante esterno sinistro
(Pellè-Eder), lo stesso accade quando la palla si trova sul lato
destro (Pellè-Gabbiadini). Questi movimenti, però, non coinvolgendo tutto il fronte d'attacco - ma soltanto una parte - finiscono per essere
eseguiti in spazi stretti e con coefficiente di difficoltà maggiore.
Eder arretra per creare lo spazio alle sue spalle che viene attaccato molto bene da Pellè con un perfetto movimento. La punta centrale fallirà un'ottima occasione. |
Ci sono, però, delle
perplessità che derivano anche dall'interpretazione di questa
interessantissima soluzione tattica.
La prima riguarda
l'attaccante del lato debole. Eder e Gabbiadini, a seconda del caso,
quando la palla occupava la parte di campo opposta alla loro, sono
apparsi molto confusi e indecisi tra attaccare l'area, stringere al
centro o allargarsi.
Un'altra perplessità è
quella di non avere avuto soluzioni alternative. Eder e Gabbiadini
non si sono mai allargati per ricevere il pallone. Come al solito è
il bilanciamento e l'alternanza di più “buone soluzioni” a
rendere efficace una fase offensiva.
La manovra offensiva
Quello che sicuramente
fa male ad un allenatore che si propone di esprimere un buon calcio e
di vincere convincendo è avere dei giocatori pigri e svogliati. La
scelta di schierare Pellè e continuare ad insistere su di lui come
prima scelta in attacco nonché di giocatore fondamentale va in
questo senso. L'attaccante del Southampton ha evidenti limiti tecnici
che rendono molto discutibile la sua titolarità in Nazionale, queste
affermazioni meriterebbero sicuramente un discorso più ampio ma non
ci soffermeremo.
Tuttavia va
sottolineata la sua maturità tattica, qualità che ha sicuramente acquisito - o almeno sviluppato - nei suoi anni giocati all'estero. È
un calciatore molto intelligente ed è lui, con i suoi movimenti, a
dettare quelli dei suoi compagni di reparto. Inoltre la sua capacità
di smarcarsi molto facilmente avrà sicuramente convinto Antonio
Conte a renderlo il perno della manovra: la chiave principale per
aprire la cassaforte maltese.
La possibilità di
servire Pellè, con il conseguente movimento di uno degli altri due
attaccanti, è stata la soluzione più ricercata dagli azzurri.
Anche la sua scelta di
tempi e spazi dei movimenti è molto buona, questo gli ha permesso
non solo di venire incontro al portatore di palla per attirare almeno
un diretto marcatore ma anche di allargarsi portando fuori posizione
uno dei centrali e creando spazio attaccabile dall'attaccante esterno
o dalla mezzala di riferimento.
Due movimenti di smarcamento laterale, in profondità, di Pellè. Entrambi con i tempi giusti.
Quello che non ha
funzionato è stato quello che è successo dopo il movimento, lo
smarcamento, il controllo di palla e la protezione della stessa da
parte di Pellè. L'attaccante leccese sicuramente non ha le doti
tecniche per servire i compagni costantemente con precisione e
tempismo e anche in questo caso variare le soluzioni sarebbe stata un'idea migliore.
Alla ricerca dell'ampiezza
Conte conosce
perfettamente il valore e la sacralità dell'ampiezza nel calcio
moderno. Per compensare l'attrazione dei due attaccanti esterni nei
confronti dell'area di rigore, il c.t. ha deciso di tenere Darmian (di più) e Pasqual (di meno) abbastanza alti e larghi.
Darmian e Pasqual volutamente molto alti e molto larghi per allargare la difesa avversaria che però resta molto stretta centralmente. Dovevano essere serviti più spesso. |
I terzini, come già
accennato, avevano anche la responsabilità di contribuire al
consolidamento del possesso palla offrendo sempre una linea di
passaggio e preservando la superiorità numerica al centro del campo.
Questa doppia funzione ha finito per rendere le posizioni di Darmian
e Pasqual larghe ma non il necessario e alte ma non quanto serviva.
Naturalmente, per
differenti caratteristiche e attitudine, i due hanno interpretato il
ruolo diversamente. Non è un caso che la maggior parte dei pericoli
creati dall'Italia siano nati da sovrapposizioni o da azioni avanzate
di Darmian - sicuramente il migliore in campo - atte ad allargare la
difesa di Malta.
Anche questo principio
tattico poteva essere sviluppato in maniera più funzionale per
allargare la difesa avversaria con maggiore frequenza e con più
intensità. Naturalmente la proiezione offensiva degli esterni andava
accoppiata con i movimenti degli attaccanti esterni e delle mezzali
per creare superiorità numerica oltre che allargare le distanze tra
i giocatori di Malta.
L'ingresso in campo di
Candreva, nato da una necessità casuale – l'infortunio di
Gabbiadini – ma coinciso con una necessità organica – avere un
uomo in più per allargare il raggio d'azione – è stato a questo
proposito decisivo per la vittoria degli azzurri. Da un suo cross,
infatti è scaturito il gol vittoria – contestato – di Pellè:
cambio di gioco dalla sinistra di Pasqual verso il lato destro dove
Candreva ha controllato e crossato in mezzo.
I problemi
Il piano tattico di
Antonio Conte è stato praticamente perfetto in linea teorica
(specificamente alle scelte tattiche), non nascondiamoci: Pellè
perno del gioco che con i suoi movimenti portava fuori uno o più
difensori centrali, terzini alti e larghi per cercare di allargare la
difesa, attaccanti esterni molto stretti per sfruttare gli spazi
creati tra i difensori avversari, un Verratti in più per controllare
e consolidare il possesso palla.
In un sistema di gioco
così codificato basta, però, che una di queste soluzioni si inceppi
o non funzioni bene per vanificare tutte le altre. L'Italia è
riuscita ad essere pericolosa solo ed esclusivamente quando i
movimenti risultavano armonici e in sincronia. Non sempre questo è
accaduto.
Sono anche i tempi
delle giocate a risultare determinanti: molte volte gli attaccanti
esterni si trovavano già in posizione, con il movimento concluso, quando ancora doveva partire il passaggio dei compagni. Inoltre
Verratti e Bertolacci si sono dimostrati perennemente bloccati dai
movimenti dei compagni e dai compiti esclusivamente di sostegno
affidati a loro. E ancora: i due esterni, Pasqual e Darmian, si
trovano già troppo alti o ancora troppo bassi nel momento in cui
ricevevano palla.
La stessa ricerca
costante, ossessiva, del velocizzare la circolazione del pallone e
dell'accelerare i ritmi è la chiave fondamentale del gioco di Conte.
La condizione fisica ancora precaria non ha aiutato.
Se c'è una colpa
attribuibile al piano tattico di Conte è quella di non aver creato i
presupposti per garantire al gioco dell'Italia quell'alternanza di
soluzioni necessaria a mettere in difficoltà gli avversari.
Ritorniamo, così, al solito discorso del bilanciamento delle
situazioni da proporre.
Non si tratta di avere un piano B da attuare - è già un grande passo avanti per la storia della Nazionale averne uno di piano e così articolato e complesso, oltretutto - ma di arricchire il repertorio tattico di soluzioni alternative. Lo stesso effetto si otterrebbe integrando calciatori di livello tecnico più alto e più abili a livello decisionale, in grado cioè di dare più varietà e qualità alle giocate individuali.
Un'analisi costruttiva
e lucida sulla nazionale di Conte deve necessariamente partire dal
presupposto che ci vuole tempo e allenamento - cioè svariate partite
– per costruire un gioco organizzato che forse la Nazionale non ha
mai avuto e non si può avere la pretesa classica italiana del “tutto
e subito”. A questo bisogna aggiungere anche che le risorse
tecniche gestibili sono sicuramente importanti e interessanti ma non
tali da permettere un'assoluta dimostrazione di forza degli azzurri.
Bisogna sempre inventarsi qualcosa o qualcuno per avere la meglio
sull'avversario e in questo l'Italia e il suo
allenatore/selezionatore devono migliorare.
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