L'ha fatta Vettel, in positivo. L'ha
fatta la Mercedes, in negativo.
Tutte le variabili emerse da Singapore, una gara che potrebbe
riaprire il Mondiale.di Federico Principi
Si potrebbe scrivere un
trattato sulle più grandi dimostrazioni di forza compiute nello sport negli
ultimi anni. Da ascrivere senza dubbio, in ordine sparso: Barcellona-Real 5-0
della Liga 2010-11; la finale del Roland Garros 2008 in cui Federer porta a
casa appena 4 giochi contro un intoccabile Nadal; i nove titoli mondiali
consecutivi di Sebastian Loeb; le dieci vittorie consecutive di Marquez nel
2014; le sei Olimpiadi consecutive a medaglia di Zoeggeler; Phelps e Bolt vari.
Quando a Singapore nel
2013 Vettel sovrastò i limiti fisici di un'automobile, dominando il Gran Premio
e rifilando un secondo al giro a chiunque, fu facile per l'opinione pubblica
(di stampo ferrarista) indicare la genialità di Newey, con il famoso taglio di quattro degli otto cilindri ad ogni curva di cui avevamo già parlato, come vero
ed unico parametro decisivo per il successo di quella come di tante altre
corse. Nessuno aveva probabilmente tenuto conto che non solo Vettel aveva in
ogni caso seppellito il compagno Webber in tutte le sessioni che contavano
(anche nelle simulazioni di qualifica nelle FP2 e FP3), ma che la prova di
forza della Red Bull sul circuito cittadino di Marina Bay in quella stagione fu
probabilmente la più marcata della sua quinquennale storia di successi, se ci
infiliamo anche il Campionato 2009.
Giro perfetto di Vettel nel 2013.
Über alles
In pochi avevano
inoltre notato che perfino nella nefasta stagione 2014, con tutti i problemi di
consumo benzina ed adattamento al nuovo "break by wire", il tracciato
asiatico era stato uno dei pochi ad aver permesso a Sebastian Vettel di
mostrare i tubi di scarico all'agguerrito compagno di squadra Daniel Ricciardo.
E che in realtà rimase sostanzialmente un unicum di una stagione nella quale è
stato il solo australiano a spezzare il monopolio Mercedes approfittando di
sporadici passaggi a vuoto, anche e soprattutto dovuti a problemi di affidabilità.
Ricciardo che in ogni caso si impose regolarmente su Vettel, con poche
eccezioni.
Il mezzo meccanico non
è più lo stesso, ma la rivalità è finalmente tornata in scena. Ed era facile
aspettarselo, vista la conformazione della pista e le caratteristiche peculiari
di Ferrari e Red Bull: telai entrambi eccezionali, con un leggero vantaggio di
guidabilità della lattina austriaca sulla Rossa, che a sua volta rispondeva con
una migliore potenza (poco influente a Singapore) ma soprattutto una miglior
erogazione della coppia del motore di Maranello rispetto al Renault. Che si
traduceva in miglior trazione in uscita dalle curve, favorita inoltre dallo
stile di guida di Vettel assolutamente unico (acceleratore leggermente aperto
anche in fase di frenata) che gli consente di avere un motore molto più
reattivo in fase di accelerazione. Casomai era la debacle Mercedes a risultare
totalmente impronosticabile, ma ne riparleremo.
Se la gran parte dei
meriti del successo sia da attribuire a vettura o pilota, poco importa. Resta
in ogni caso impressa la perfetta costruzione del weekend di un professionista
che sapeva di non poter fallire un'occasione simile. Vettel in questa stagione
è mancato unicamente in Bahrain: troppo poco per chi qualche tempo fa era
pronto con la matita blu a segnalare ogni sua sbavatura, e non erano poche. Il
tedesco ha finalmente raggiunto la propria maturità, migliorando gli attributi
del proprio killer instinct soprattutto in situazioni di bagarre. Era inoltre già
imbattibile quando partiva davanti, e a Singapore lo ha confermato.
Una delle migliori
prestazioni in qualifica che si ricordino: Vettel sul giro secco è sempre stato
un maestro, ancor di più in un tracciato come Singapore che esalta alla
perfezione il suo stile di guida. Nell'inverno scorso ha probabilmente risolto
o comunque enormemente mitigato i suoi problemi di conciliazione con il
"break by wire" che lo avevano strangolato nel 2014. È quindi tornato
ad essere estremamente efficace nella gestione delle frenate, importante banco
di prova a Marina Bay (vedere sotto per i problemi Mercedes). Il feeling
perfetto tra pilota e vettura in fase di trazione, di cui abbiamo parlato
prima, si è aggiunto nel contributo a fare la differenza. In mezzo a tutto
questo, la ciliegina sulla torta: con la quarta power unit evoluta portata a
Monza, i tre gettoni spesi sembrerebbero aver consentito anche alla Ferrari di
possedere un extra-boost di potenza utilizzabile per pochissimi giri
nell'intero arco del weekend. Naturalmente i giri veloci del Q3 sarebbero i primi
a beneficiarne.
Spettacolare on board della pole. La Ferrari torna in pole position
dopo più di tre anni.
Il delitto perfetto è
proseguito in partenza (delle quali ha leggermente fallito solo a Silverstone
in tutta la stagione) e nella gestione dei due stint con le super-soft. Innanzitutto
va chiarito un concetto che nel corso della gara si è delineato in modo
piuttosto limpido: da una parte la Ferrari ha evidenziato una miglior capacità
di velocità nella ricerca immediata della temperatura ideale degli pneumatici,
dall'altra la Red Bull ha mostrato una miglior attitudine a contenere il
degrado gomme. La Rossa ha quindi risolto l'annoso problema della carenza di
temperatura nei primi giri di un treno di pneumatici? Forse no, ma in ogni caso
sono venuti in soccorso sia le alte temperature di Singapore, sia le nuove disposizioni Pirelli sulle pressioni minime, ora più alte, che consentono
quindi agli pneumatici di essere maggiormente caldi. Anche in questo caso,
rimandiamo a qualche riga sotto per le analisi sui problemi delle Mercedes.
Bastano pochissime curve a Vettel per fare il vuoto.
Diametralmente opposte
tra loro, per diversi motivi, le impostazioni sul passo nelle prime due parti
di gara effettuate da Vettel. Tenendo conto delle considerazioni fatte sopra ed
emerse chiaramente durante la corsa, il tedesco ha come al solito acceso il
cervello.
- Nel primo stint Sebastian
ha deciso di fare immediatamente il vuoto. Forse ha utilizzato per uno o due
giri l'over-boost? Sta di fatto che ha guadagnato tre secondi netti dopo il
primo passaggio e 1.3 secondi nel secondo, proseguendo poi fino al sesto giro
nell'incremento progressivo del gap nei confronti di Ricciardo.
Il gap massimo Vettel-Ricciardo registrato nel primo stint è questo
(5.4 secondi), al termine del quinto giro.
A partire dalla sesta
tornata, una pericolosa inversione di tendenza. Il sesto giro è il primo nel
quale Ricciardo fa segnare un tempo migliore, rosicchiando progressivamente
decimi fino al tredicesimo. La prima sosta era programmata intorno al giro 16,
anticipata per via del regime di Virtual Safety Car installato al tredicesimo passaggio
a seguito del contatto Massa-Hülkenberg. In quel momento il distacco era
passato dai 5.4 secondi del quinto giro ai 3.7 prima della sosta, destinati a
diminuire se lo stint si fosse prolungato ulteriormente come da previsione.
Il giro prima del pit stop Ricciardo aveva ridotto a 3.7 secondi il
ritardo da Seb.
L'idea nella testa di
Vettel era probabilmente quella di fare il vuoto per scongiurare l'ipotesi di
un possibile undercut di Ricciardo:
spiegando per i neofiti, un distacco intorno ai due secondi era potenzialmente
pericoloso se l'australiano avesse deciso di fermarsi un giro in anticipo
rispetto a Sebastian. Sfruttando la gomma nuova per un giro in più e facendo
registrare parziali record, al rientro in pista del tedesco si sarebbe potuto
potenzialmente assistere al sorpasso grazie alla strategia. Ipotesi
completamente annullate dal contemporaneo rientro ai box, ovvio e inevitabile,
per colpa di Hülkenberg e della Virtual Safety Car.
- Completamente
opposta, come dicevamo prima, la strategia di guida di Vettel nel secondo
stint. Per ben nove giri si crea un kartistico trenino a tre davanti,
perfettamente rientrante nei piani del tedesco della Ferrari, dal quale è
escluso lo sfortunato Kvyat che aveva effettuato il pit stop un giro prima
dell'installazione della Virtual Safety Car, ritrovandosi alle spalle delle
lente (per una volta) Mercedes che lo "tapperanno".
Il trenino Vettel-Ricciardo-Raikkonen, racchiuso in un secondo e mezzo.
Il ritmo del tedesco era talmente basso che perfino le Mercedes, lentissime in
questo weekend, erano riuscite a non perdere contatto.
I tifosi Ferrari
avranno probabilmente tremato, pensando ad un malfunzionamento del secondo
treno di gomme super-soft, o maledicendo la Safety Car e l'azzeramento dei tre
secondi e mezzo di distacco precedente. In Mercedes era salita l'acquolina in
bocca: Hamilton aveva avvertito il box che stranamente Vettel non stava aumentando
il ritmo, qualche passaggio più tardi l'ingegnere di pista di Rosberg
comunicava al suo pilota che «i tre
davanti non stanno andando via, ci sono ancora possibilità per migliorare la
nostra posizione». Vettel aveva
invece perfettamente studiato la situazione: sapeva che poteva tranquillamente
rallentare il gruppone senza timore di essere passato da Ricciardo, sia a causa
della conformazione della pista, sia perché dispone di più cavalli rispetto
alla lenta e non evoluta power unit Renault della Red Bull. Sfruttando a suo
favore questa consapevolezza, ha optato per un lungo periodo di
"tappo" per motivi strategici molto chiari: sapendo che la sua
Ferrari ne aveva di più in prestazione ma di meno in materia di durata gomme
rispetto alla RB11 di Ricciardo, ha risparmiato le proprie coperture per
prolungare lo stint, rendendo il più veloce possibile la strategia (ormai
certa) delle due soste.
Dopo un numero
accettabile di giri nei quali ha conservato al massimo il battistrada, Vettel
ha improvvisamente cambiato ritmo al ventisettesimo giro. Come un fulmine ha
rifilato due secondi pieni a Ricciardo solo in quel passaggio, aumentando poi
progressivamente il gap. In questo modo ha potuto realizzare perfettamente i
suoi intenti: come nel primo stint aveva più passo rispetto a Ricciardo in
fatto di prestazione secca, ma questa volta non avrebbe corso il rischio di un
consistente deterioramento della gomma prima della sosta, avendola risparmiata
nei primi nove passaggi. Non solo, ma sputando aria calda su Ricciardo, che era
vicinissimo, e disturbandogli la stabilità aerodinamica per quel lungo lasso di
tempo, ha finito per aumentare il degrado del proprio rivale, rendendo vano il
grande punto di forza di cui l'australiano poteva disporre: la miglior capacità
di contenere il consumo gomme.
Chiarissimo: dal giro 27 Vettel inizia a martellare e fa il vuoto.
Vettel ha inoltre
realizzato un altro obiettivo importante: il gap accumulato, tangibile nella
grafica appena proposta, ha azzerato le possibilità che Ricciardo potesse di
nuovo tentare l'undercut sul tedesco.
Ha fallito invece un ulteriore obiettivo, molto meno dipendente da lui, di
permettere al compagno Raikkonen di tentare a sua volta lo stesso tipo di
attacco sull'australiano della Red Bull, eventualmente "tappandolo"
nella parte finale di gara. Il ritmo del finlandese, come spiegherà lui stesso
nel post-gara, non era tuttavia sufficiente per stare con i primi due e ben
presto lo stesso Ricciardo ha scavato un gap incolmabile anche con un eventuale
undercut di Kimi.
Nelle fasi centrali Raikkonen non ne ha abbastanza per stare con
Ricciardo.
È infatti proprio in
questa parte finale di secondo stint che il pubblico (e forse anche gli stessi
protagonisti in pista) si è reso conto che l'esito finale sarebbe stato
esattamente quello. Con l'invasione di pista, il conseguente nuovo ingresso
della Safety Car e la nuova tranche di soste tutte in contemporanea, le
posizioni si sono inevitabilmente congelate. Impensabile a quel punto
immaginare un sorpasso in pista: solo un errore umano o un problema tecnico
avrebbero tolto la vittoria a Sebastian Vettel.
La caduta del muro
Non era la prima volta,
nell'era ibrida 2014-2015, che la Mercedes mancasse la pole. Almeno stando al
team ufficiale, perché il propulsore aveva comunque spinto Massa lo scorso anno
in Austria quando aveva fatto registrare il miglior tempo in qualifica. E non
era neanche la prima volta che i piloti capeggiati da Toto Wolff assistessero
al podio dal paddock, e non direttamente da là sopra: in Ungheria in questa
stagione la prima Mercedes all'arrivo era quella di Hamilton, sesta.
Lo so, c'entra poco con Singapore, ma un on board è sempre tanta roba.
Questo è proprio quello della pole di Massa a Zeltweg 2014.
La clamorosa novità del
weekend di Singapore è invece ben più grave e preoccupante per i tedeschi: per
la prima volta le frecce d'argento non sono state il punto di riferimento
velocistico, da quando la Federazione ha rivoluzionato i regolamenti
introducendo le power unit ibride. Lente in qualifica, lente sul passo gara,
mai competitive per i primi quattro posti occupati di prepotenza e senza
discussioni da Ferrari e Red Bull fin dal venerdì mattina. Che poi Rosberg sia
finito davanti a Kvyat è un fatto tanto immeritato quanto casuale, da
ricondurre esclusivamente alla sfortuna del russo di cui parleremo più avanti.
Era preventivabile, ma
anche auspicabile, che la supremazia della W06 fosse ridimensionata sul
tortuoso tracciato esotico. Il più vicino Gran Premio comparabile, quello di
Ungheria, aveva infatti rimesso in carreggiata le stesse due scuderie che hanno
poi dominato a Singapore: vetture che in materia telaistica poco hanno da
invidiare al team Campione del Mondo, che fra i muri di Marina Bay non poteva nemmeno
far valere più di tanto la possenza della cavalleria del motore. Ma di certo
nessuno poteva lontanamente figurarsi nella mente Hamilton e Rosberg così
lontani dai leader della gara.
Si saranno chiesti in
molti, banalmente, che cosa sia successo nell'arco di due sole settimane per
far sprofondare le prestazioni di una macchina che a Monza aveva distanziato il
più immediato rivale di 25 secondi. Non bastava il cambio di tracciatura, agli
antipodi di quella lombarda, per spiegare un crollo così violento che forse
solo una vettura estrema come la Williams di inizio stagione poteva soffrire
nel passaggio da una pista ultra-veloce ad una lenta e cittadina. La risposta
giusta al quesito non la hanno saputa dare neanche gli stessi membri del team,
né tanto meno i due piloti: o forse semplicemente non hanno voluto svelare i
propri punti deboli, lasciando intendere che fosse soltanto un'isolata battuta
d'arresto. Eppure di mutamenti a livello tecnico ce ne sono stati, e
analizzandoli approfonditamente si scopre il perché tutto a Singapore si sia
incastrato nella maniera peggiore possibile.
Durante il Gran Premio
di Monza sono emersi principalmente due aspetti che abbiamo approfonditamente
analizzato nel nostro post-gara: le evoluzioni delle power unit Mercedes e
Ferrari e la polemica sulle regolazioni illegali delle frecce d'argento sugli
pneumatici di entrambe le vetture. Chi pensava che tutta la disquisizione
riguardo quei due temi si sarebbe fermata a quel weekend, e che le circostanze
sarebbero andate avanti per inerzia e senza mutamenti sostanziali, si sbagliava
enormemente.
- La power unit
Mercedes evoluta (numero tre), al contrario della Ferrari, ha fin da subito
evidenziato una fragilità strutturale che andrà risolta col tempo, e che
difficilmente lo sarà quando tra meno di una settimana si tornerà in pista a
Suzuka. Rosberg era tornato alla seconda power unit (rompendola in gara) dopo
la rottura della terza nelle prove libere a Monza: non fidandosi quindi di
questa terza unità, in Mercedes hanno addirittura montato la quarta e
teoricamente ultima sulla macchina del tedesco, auspicando di risolvere i problemi
sulla terza e riproponendola nel finale di campionato, riveduta e corretta in
fatto di affidabilità. Con il rischio (non così irrealistico) di dover montare
anche a Stoccarda una quinta unità e scontare le famigerate penalità di dieci
posizioni in griglia. Nel frattempo anche con la quarta power unit lo stesso
Rosberg aveva rischiato di non prendere parte alla gara, con la sua vettura che
almeno un paio di volte si è spenta durante il giro di allineamento. Peggio è
sicuramente andata ad Hamilton, ritirato per colpa di una perdita di aria
compressa che impediva alla farfalla dell'acceleratore di essere completamente
aperta. Costringendolo ad un inevitabile telegrafico team radio di
rassegnazione: «Ho perso potenza,
ragazzi».
Minuto 59:23: «Lost power, guys». Da lì inizia l'agonia di Hamilton,
facilmente sorpassato da tutti, fino al ritiro.
Fin troppo semplice
citare il famoso aforisma secondo cui "squadra
che vince non si cambia": un motore già dominante aveva bisogno di
tutte quelle evoluzioni (sette gettoni in un colpo solo) in contemporanea,
nonostante fossero gli ultimi sette disponibili e tutti su una power unit (la
terza) che non era nemmeno l'ultima disponibile da regolamento? I rischi
maggiori dovrebbe, in caso, correrli chi sta inseguendo, estremizzando concetti
tecnologici e rischiando in materia di affidabilità pur di tentare un recupero
in classifica mondiale. È avvenuto esattamente l'inverso, con il team Mercedes
che, per colpa del delirio di onnipotenza di qualcuno (tutti probabilmente), si
è incartato da solo, depotenziando (a questo punto giustamente) i motori in
nome dell'affidabilità, fino a rimettere in discussione la vittoria del
Mondiale Piloti che sembrava ormai ristretta ai due piloti del team stesso.
- Non c'è ovviamente
solo qualche problema alla power unit (e comunque di diverse entità fra di
loro) a frenare la volata mondiale delle Mercedes, né basterebbe il
depotenziamento per giustificare un secondo e mezzo di ritardo da Vettel in
qualifica, quando in Mercedes hanno palesemente aumentato soltanto in Q3 i
cavalli della power unit. Può sembrare un caso, ma da quando si sono
intensificati i controlli sulla pressione delle gomme (ovvero dopo i fatti del Belgio) le Mercedes siano prima state beccate con pressione irregolare, e non
sanzionate per mancanza di regolamento chiaro, e successivamente nel Gran
Premio successivo abbiano subito un verticale calo di prestazioni. Può
sembrare, ma non è certamente un caso, e vi spieghiamo perché.
Il telaio della
Mercedes ha una caratteristica che a seconda dei casi può essere un gran
vantaggio o una gran condanna. I più informati sostengono che già da almeno due
anni il progetto delle vetture porti a sviluppare una gran quantità di calore
nel posteriore. Come tutti gli aspetti sportivi di qualsiasi disciplina, anche
questa circostanza si porta appresso conseguenze più o meno favorevoli: da una
parte la Mercedes non ha alcuna difficoltà a mandare in temperatura le gomme,
riuscendo a scaldarle con grande rapidità al contrario della Ferrari che
necessita tracciati molto caldi in questo senso. A questo vantaggio si va ad
aggiungere anche la necessità di calore che l'MGU-H ha per poter rendere al
meglio ed esprimere il massimo potenziale della parte elettrica della power
unit. Il grosso svantaggio invece, palesato fin dal 2013 - dove le Mercedes
cuocevano gli pneumatici in pochissimi passaggi in gara, dopo aver realizzato i
migliori tempi in qualifica - è che in piste calde il degrado termico delle
gomme va ad aumentare sensibilmente, fino a creare situazioni di inferiorità
che hanno ad esempio in Malesia regalato alla Ferrari la più facile vittoria
della sua stagione.
Possibile che per tutta
la stagione abbiano girato con pressioni degli pneumatici più basse del
consentito, compresa Monza ovviamente, per poi essere costretti ad alzarle a
livelli regolamentari per evitare sanzioni a Singapore? Sì, possibile. Perché
sembra che alla base della decisione di assoluzione dopo il GP lombardo ci sia
la verifica effettuata dai commissari sulle telemetrie di Hamilton e Rosberg,
che hanno evidenziato il fatto che dopo "alcuni giri" le pressioni
degli pneumatici erano salite a livelli regolamentari, visto che ovviamente gli
stessi pneumatici si erano nel frattempo scaldati. Scenario ovviamente
irripetibile a Singapore, dove le regole sulle pressioni sono diventate assolutamente
chiare e ferree.
La più probabile delle
ipotesi è quindi che le gomme posteriori delle due Mercedes si siano
surriscaldate, costrette a girare fin dai blocchi di partenza alle stesse
pressioni delle altre scuderie, le quali tuttavia non hanno la stessa tendenza
ad essere così aggressive sugli pneumatici. Addirittura in qualifica si poteva
ascoltare l'ingegnere di Rosberg parlare proprio di pressioni di gonfiaggio con
il suo pilota, segno che perfino nel giro secco ci sono stati problemi.
Evidenziati anche da Jacques Villeneuve su Sky: da metà giro in poi, al sabato,
la Mercedes tendeva a scivolare sempre di più, mancando i punti di corda. E lo
stesso Hamilton ha indicato nelle gomme, dopo le prove ufficiali del sabato, il
vero problema che causava una prestazione così scadente. Il caldo esotico altro
non era che l'asso di briscola per chiudere tutto quanto il cerchio.
Confronto del giro da qualifica tra Vettel ed Hamilton. L'inglese
scivola in continuazione, girando costantemente più lontano dai punti di corda
rispetto ad un bilanciatissimo Seb.
- Meno gravi, forse, ma
altrettanto degni di nota i problemi con l'assetto e con i freni. Sia Rosberg
al venerdì che Toto Wolff dopo la gara hanno spiegato ai microfoni che il calo
della performance fosse addebitabile ad un'incapacità di trovare il giusto
set-up su entrambe le vetture. Difficile credere che fosse esclusivamente
quello il problema, decisamente più plausibile invece la volontà di nascondere
la polvere sotto al tappeto, evitando di fornire agli avversari reali
informazioni sulla cartella clinica della W06. Che ha sofferto indubbiamente -
e non è certo una novità del 2015 ma un cruccio che riemerge dai problemi
simili già avuti l'anno passato - di noie ai freni, fondamentali a Singapore,
sollecitati sia per via della conformazione della pista, che per le alte
temperature. E raffreddati ai box con il ghiaccio, come mai visto prima.
Impressionante testimonianza video dell'incandescenza dei freni
Mercedes, spremuti perfino oltre il proprio limite.
Promossi e bocciati di Fuori Dagli
Schemi
L'obiettività è il
nostro forte, soprattutto quando siamo chiamati alle valutazioni. Il weekend di
Singapore ha come sempre approvato la validità delle prestazioni di qualcuno,
tirando giù dalla torre qualcun'altro.
PROMOSSI:
- La sfortuna di Kvyat: Eccezionale. Luciano Salce e Paolo
Villaggio difficilmente avrebbero potuto caricare una così massiccia dose di
sfiga al protagonista di un'eventuale pellicola di Fantozzi alle corse
automobilistiche. Per la prima volta il russo può giocarsi le primissime
posizioni senza dover sperare (come accaduto a Budapest) nelle sventure dei
piloti Mercedes. Riesce tuttavia nell'impresa di fermarsi un giro prima della
prima neutralizzazione della corsa, perdendo così la posizione su entrambe le
meno competitive Mercedes, ed esattamente tre giri prima la seconda finestra di
Safety Car, pagando dazio anche nei confronti di Bottas. Qualche divinità ha
voluto fargli pagare con gli interessi il jackpot beccato in Ungheria, con un
secondo posto artigliato più per gli errori altrui che per la propria competitività.
- Sebastian Vettel e Daniel Ricciardo: Sono tornati ed hanno
dettato legge. Corsa impeccabile per entrambi, approfonditamente analizzata
nella prima parte dell'articolo.
- Max Verstappen: Il demonio di nome Giuditta di benignana
memoria, dei tempi de "Il piccolo
diavolo", sembra essersi impossessato di questo bulletto minorenne che
gioca a fare il grande. Ha polverizzato il compagno di squadra fin dal sabato,
ritrovandoselo alle spalle nelle battute finali nonostante Verstappen stesso
non sia riuscito a partire dalla piazzola come tutti gli altri. Sorpassi
capolavoro sulle due Lotus e su Maldonado in particolare, preparato almeno tre
curve prima e compiuto sotto il tunnel dell'hotel, un punto impensabile. Fa
benissimo a disubbidire al vergognoso e sconcertante ordine di scuderia nel
finale, di cui riparleremo.
Qualche immagine saliente della rocambolesca gara di Verstappen.
- Carico aerodinamico della Williams: La mancanza di
competitività sui tracciati di Spa e Monza doveva avere un senso. L'estate ha
visto gli uomini di Sir Frank apportare numerose evoluzioni aerodinamiche, con
l'obiettivo (a questo punto estremamente chiaro) di incrementare il carico
sulla vettura. Il dragster insuperabile del finale del 2014 e della prima parte
di questa stagione ha lasciato spazio a una vettura più maneggevole, che ha
estremamente migliorato la propria efficienza sui circuiti lenti dopo i
disastri di Montecarlo e Ungheria. Compensando tuttavia questa maggiore competitività
sul misto con una minore efficienza in materia di punte di velocità,
inarrivabili fino a qualche mese fa.
- Lewis Hamilton: Alla fine di un weekend difficile, stava
comunque compiendo il solito lavoro: piazzarsi davanti al compagno di squadra in
griglia e distanziandolo mano a mano in gara. L'unico piccolo particolare è che
quattro monoposto stavolta erano molto più competitive della sua. Sereno nel
post-gara, non sembra turbato dei grossi problemi di Singapore, confidente in
un immediato recupero della leadership già da Suzuka.
- Alexander Rossi: Ha pagato per correre, rifornendo di
ossigeno le misere e tapine casse della Manor e spodestando Roberto Merhi, che
stava vincendo per 6-5 la Coppa Costruttori interna, che ci rifiutiamo di
accorpare al mondo della Formula 1. Il principale inseguitore del predestinato
Vandoorne in GP2 ha immediatamente fatto in modo che il più navigato Stevens
leggesse gli adesivi del suo posteriore. Chilometri di esperienza per il
ragazzo che merita probabilmente qualche occasione di livello superiore.
Il battesimo di Rossi in Formula 1. Sono particolarmente fissato con
gli on board, lo so.
BOCCIATI:
- Quelli che hanno impedito a Vettel di portare la bandiera sul
podio: Quanto è bella quella bandiera gialla con il Cavallino. Siete
solo degli invidiosi. Tutto questo rigido rispetto del protocollo non fa altro
che allontanare sempre di più i tifosi passionali dalla Formula 1.
- Box della Toro Rosso: Quello del penultimo giro verrà
probabilmente ricordato come il peggiore ordine di scuderia della storia della
Formula 1. Ex aequo, forse, con quello dato ad Hamilton nel GP di Ungheria
dello scorso anno, anche quello giustamente inascoltato. Motivato a fine corsa
con l'improbabile scusa (e molto probabilmente neanche una constatazione reale)
che Sainz fosse più performante di Verstappen e avrebbe potuto più facilmente
passare Perez. La realtà ci dice che quando Il teenager olandese aveva pista
libera, distanziava il compagno spagnolo e mostrava un passo in quel momento
superiore. Lo stesso boss Franz Tost a fine gara assolverà Verstappen, mettendo
in discussione l'opportunità di quell'ordine decisamente grottesco.
«Dobbiamo invertire le posizioni.» «NO!»
- Kimi Raikkonen: Podio ok, ma il confronto con il compagno
di squadra è impietoso. Otto decimi di ritardo in qualifica, non impensierisce mai
Ricciardo per la seconda posizione. La Ferrari era competitiva per una
potenziale doppietta, ma Raikkonen spiegherà nel post-gara di aver lottato con molti
problemi di bilanciamento. Bocciato anche l'occhiale da sole in un orario in
cui il sole se ne è già andato da un pezzo: tamarro da discoteca.
- Carlos Sainz: Forse lo spagnolo comincia a sentire la
pressione del compagno di squadra. Era partito bene Carlos, ma il miracoloso quarto posto di Verstappen in Ungheria ha invertito l'inerzia psicologica, oltre che
le sorti della sfida interna in termini di punti. Il botto in qualifica è
probabilmente frutto di questa pressione, e nonostante il compagno-avversario
praticamente non parta, Sainz riesce a ritrovarselo davanti. Patetica (ma
inevitabile) scenetta nel post-gara: intervistato, gli è stato chiesto se lui
al posto di Verstappen avrebbe ubbidito all'ordine di scuderia. Da buon ruffiano,
Carlos Junior non poteva non dire di essere un uomo-squadra e che avrebbe
risposto "sissignore". A
parole siamo bravi tutti.
Il grave errore in qualifica di Sainz, commentato da Vanzini-Gené.
- Comportamento delle Manor in regime di Safety Car: Il box
della Manor ha qualche problema, probabilmente, in fatto di masochismo. Durante
il secondo regime di Safety Car, quando Rossi si attardava a sdoppiarsi, si
sospettava che potesse essere dovuto all'inesperienza. Sembrava tuttavia strano
che dal muretto non lo avessero avvertito. Quando poi è uscito il cartello "Safety Car in this lap", entrambe
le Manor si trovavano ancora nel gruppone, doppiate. A quel punto non solo
hanno danneggiato la gara di chi concorreva per le prime posizioni, a partire
da Raikkonen, ma hanno escluso ogni possibilità (vicina allo 0%, ma non si sa
mai) di andare a punti. Chissà mai che, se ancora accodate al gruppo e a pieni
giri, non avessero potuto approfittare di incidenti e ritiri altrui, che in un
circuito cittadino possono sempre capitare.
- Nico Hülkenberg: La stagione del mio pupillo sembra terminata
nel momento in cui Raikkonen ha messo nero su bianco la propria permanenza in Ferrari
anche per il 2016. Per una volta, dopo l'involuzione post-Ungheria, stava
facendo meglio di Perez prima di carambolare addosso a Massa in maniera
incredibile. Non che il botto fosse scandalosoin sé per sé, in una situazione
di bagarre, ma di certo la dinamica è stata piuttosto inusuale per due piloti
di quel livello di esperienza. Ognuno ha proseguito la propria traiettoria,
immaginando la vettura dell'altro come quelle ghost car che spesso puntavo nei videogiochi per migliorare i miei
tempi. Alla fine il tedesco è stato riconosciuto colpevole e retrocesso di tre
posizioni sulla griglia di Suzuka: effettivamente Massa non poteva scomparire
dalla sua posizione, Hülkenberg doveva allargare la traiettoria.
Il contatto Hülkenberg-Massa, visto da tutte le angolazioni.
- Will Stevens: Prenderle da un ragazzino debuttante non è
facile, soprattutto se dopo dodici gare in più dovresti essere decisamente più
abituato alla monoposto. Ci aveva illuso con mezzo secondo rifilato a Rossi in
qualifica, ma Stevens paga dazio anche nei confronti dell'americano dopo aver
ceduto per 6-5 il duello rusticano con Merhi.
- Sistemi di controllo in pista: Quatto quatto, uno
spettatore ha realizzato il sogno di ogni appassionato: farsi una bella
passeggiata comodo a bordo pista, assistendo ai propri beniamini darsele di
santa ragione. In realtà, come dimostra il video qui sotto proposto, si era
pure fatto una breve corsetta giusto per essere sicuro di evitare rischi, dopo
aver attraversato longitudinalmente la pista. Peccato che qualcuno (stewards?)
si sia addormentato in quel momento, lasciandolo comodamente entrare e poi
uscire da una fessura che sembrava comparsa così all'improvviso. O forse lo
steward che doveva controllare era tifoso di Ricciardo, e cercava un modo
facile per creare una finestra di Safety Car per far riavvicinare l'australiano
a Vettel. Urgono chiarezza e severi provvedimenti.
Video integrale dell'invasione di pista. L'autore è stato identificato.
- McLaren-Honda: Siamo stanchi noi, figuriamoci due Campioni
del Mondo come Alonso e Button. L'unico weekend dove la McLaren avrebbe potuto
raccogliere qualcosa di sostanzioso, in una pista dove il motore ha
un'incidenza molto limitata, arriva un nuovo sconcertante doppio ritiro,
entrambi per problemi al cambio. Lo spagnolo era in nona posizione al momento
del suo abbandono, in piena zona punti come il compagno che lo seguiva in
classifica. Non c'è molto altro da aggiungere in questo triste panorama, che
ben presto potrebbe perfino privarsi della classe dell'ex ferrarista: è
spuntata fuori una clausola secondo cui Alonso potrebbe liberarsi a fine
campionato in caso di scarsa competitività della vettura. Qualcuno ha
ipotizzato un suo impiego in Red Bull, difficile, perché in Austria sono ben
coperti. Ma sarebbe effettivamente suggestivo.
Articolo a cura di Federico Principi
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