Pennetta e Vinci in finale allo US
Open. Basterebbe dire questo.
Ecco il rispettivo percorso nelle eroiche semifinali e
cosa ci si può aspettare dall'ultimo atto di stasera.
di Federico Principi
Un'equipe di esperti
aveva convocato un simposio alla vigilia del torneo per stabilire chi sarebbe
riuscita a fermare Serena Williams nella corsa verso il Grande Slam, firmando
un'ipotetica impresa che (questa sì, senza luoghi comuni) sarebbe rimasta
realmente nei libri di storia. Sono usciti diversi nomi, i più credibili dei
quali erano probabilmente quelli di Azarenka, Halep e Kvitova, visto il ritiro
della Sharapova: le prime due si sono affrontate, con la rumena a prevalere, la
ceca ha invece dovuto soccombere alla distanza di fronte al ritmo, troppo alto
e troppo costante nel lungo periodo, della Pennetta.
Sotto per 6-4 3-1, la Pennetta riesce a mandare K.O. al terzo set Petra
Kvitova.
Non era immaginabile
neanche da Cassandra una finale tutta italiana, men che meno che sarebbe stata
la piccola Robertina Vinci a sbarrare la strada a Serena verso lo storico, e a
questo punto irripetibile, traguardo. Scongiurato il Grande Slam
dell'americana, Pennetta e Vinci insceneranno il derby pugliese
Brindisi-Taranto che varrà un major. Che tornerà in Italia dopo la scalata al
Roland Garros compiuta da Francesca Schiavone nel 2010.
Quando alla vigilia di
un match o di un torneo si legge in un'intervista che un giocatore "punta alla vittoria finale",
si sorride con un pizzico di ironia e quasi di disprezzo. A meno che
l'intervistato non rientri nella cerchia di 3-4 nomi maschili e 4, forse 5, del
circuito femminile. Figurarsi se qualcuno, in una discussione tra amici, avesse
indicato Vinci e Pennetta come serie candidate alla vittoria dello Slam
newyorkese: il rischio del ricovero di urgenza in neurologia sarebbe stato
molto forte. E invece la finale azzurra è solo l'ennesima di una lunga lista di
situazioni in cui lo sport ha dimostrato che, anche per interpreti non di
primissimo livello, credere in grandi obiettivi non è mai sbagliato.
Dopo la vittoria contro
la Sharapova dello scorso marzo ad Indian Wells, la Pennetta aveva mestamente
dichiarato di essere comunque vicina al ritiro. Roberta, dopo aver fallito
l'ingresso nelle prime 10, era precipitata in stato di forte involuzione
soprattutto nella prima parte del 2014, compromettendo anche le proprie
ambizioni di classifica. E chissà se avrà anche lei assistito nella propria
mente al transito di pensieri di abbandono. Vederle in finale Slam, una contro
l'altra, spalanca il cuore del popolo italiano, anche e soprattutto se consideriamo
il periodo delle loro carriere: il destino ha voluto riservare alle vecchiette
un'ultima, splendida chance.
La caduta della Williams
Si è sbriciolata da
sola Serena, ingarbugliata dal tennis complesso e totalmente inusuale della
Vinci. Fin dai primi game è sembrata una partita fattibile per Roberta, ma era
prevedibile che l'americana sarebbe salita di rendimento soprattutto con il
rovescio, portandosi a casa il primo parziale. Prigioniera dei propri demoni,
Serena si è progressivamente disunita, perdendo convinzione e fluidità di
esecuzione. La Vinci proseguiva imperterrita e senza strappi nelle sue trame di
gioco, con la scioltezza tipica dell'underdog.
La Williams, dal canto suo, non ha compiuto un'operazione che richiedeva un
pensiero elementare: colpire più forte, banalmente, imponendo la propria
violenza alla strategia riflessiva di Roberta e tentando di impedirgliela. La
partita si è trasferita ben presto nel ritmo di gioco dettato dalla Vinci, che
a quelle medie di velocità si trova perfettamente a suo agio, capace di
sprigionare una varietà di soluzioni che, se il match si svolge senza superare
un certo livello di rapidità del gioco, la rendono pressoché imbattibile.
Il linguaggio del corpo
di Serena è stato piuttosto negativo nell'arco di tutto il torneo. Comprensibile
la pressione da sopportare per le responsabilità dettate dalla volontà di
compiere un'impresa leggendaria, ma si tratta pur sempre di partite di tennis e
per di più disputate tutte contro giocatrici di livello inferiore. La sconfitta
della Halep di qualche ora prima ha paradossalmente irrigidito ancor di più
Serena, che a quel punto non avrebbe mai dovuto perdere l'opportunità di
completare il Grande Slam per colpa di un'italiana. Nel suo gioco di pressione
da fondocampo la Williams è sembrata solo in rare occasioni realmente convinta
dei propri colpi, riducendosi in inaccettabili errori dettati dalla tensione
che ha impedito all'americana di caricare con successo le palle con poco peso
della tarantina. Fino a compiere l'errore più grave: abbassare il proprio
livello di gioco a poco più di un palleggio, nel quale la Vinci sguazzava con
la stessa comodità di un feto nell'utero materno.
Al minuto 9:33 il punto più clamoroso dell'incontro: che dimostra come
la Williams, che ha diminuito la propria velocità dei colpi, consenta alla
Vinci di esprimere al massimo la completezza del proprio repertorio. Fino a
chiudere il match con due demi-voleé nell'ultimo game, rispettivamente ai
minuti 12:32 e 12:58.
Alla fine, guardando le
statistiche, potrebbe sembrare che a prevalere (come avrebbe dovuto essere nell'ordine
naturale delle cose) sia stata proprio Serena: il saldo vincenti/errori
gratuiti è di +10 per l'americana e di -1 per Robertina, che in aggiunta ha
anche totalizzato ben 8 punti in meno (93-85). Il tennis è bello e crudele allo
stesso tempo anche per questo. In quasi tutti i punti importanti, che pesano di
più nella realtà ma non nelle fredde statistiche, la lucidità della Vinci ha
fatto da contraltare ai tremori di Serenona: non è certo sembrata centrata come
invece lo è il suo estroverso coach Mouratoglou ai microfoni di Eurosport.
I numeri del match.
L'altra metà del destino
Roberta Vinci dovrà
guardarsi bene dai comodini che in semifinale quella specie di Robin Soderling
perfettamente impersonificato in Flavia Pennetta ha scagliato sulla Halep,
inerme.
La rumena aveva già
mostrato nel corso del torneo, e non è una novità, una condizione fisica
sufficiente per una medaglia olimpica nel triathlon. Croce e delizia del suo
tennis, a volte Simona tende ad affidarsi eccessivamente alla sua frequenza di
pedalata, rallentando il braccio e diminuendo le percentuali di rischi. Sono
stati 10 i vincenti della Halep in 16 game: con una Pennetta con un ritmo così
elevato, da sempre dotata anche lei di una varietà di soluzioni invidiata da
quasi tutte le giocatrici, la rumena aveva bisogno di più aggressività nello
scambio. Ci ha provato ad inizio secondo set, portandosi avanti 3-1 dopo una
serie di punti giocati in pressione, finendo poi per rintanarsi di nuovo. Nel
gioco e nel punteggio, fino alla sconfitta.
Dal minuto 3:07 la Halep libera i cani nel terzo game del secondo set.
Tre vincenti (sui 10 totali del match) tutti condensati in un solo gioco. Ma è
solo un momento isolato.
Ben altra Halep era
stata quella, più aggressiva, che si era ritrovata di fronte Vika Azarenka nei
quarti di finale. È finita tuttavia per essere inghiottita nel vortice di
vincenti dell'azzurra, sia da fondocampo che attraverso efficaci palle corte,
che Flavia ha costruito per tutto il match, dominandolo. Con una sicurezza che
rasentava il nirvana, uno state of mind catartico. Una Pennetta con
caratteristiche fin troppo simili a quelle di una macchina industriale: quando
è andata a rispondere per chiudere il match, ha palesato la stessa disinvoltura
con cui approccerebbe ad uno delle migliaia di allenamenti. Continuando a
picchiare.
Dal minuto 7:00, l'ultimo game della partita dove Pennetta è ormai
"on fire".
Ha vinto di testa, come
molto spesso avviene in questo sport. Imponendo la propria personalità e il
proprio ritmo, senza farsi ingabbiare nella petulanza del palleggio della
Halep. Che, in un palcoscenico come una semifinale Slam, al cospetto della numero 2 del ranking, avrebbe forse
condizionato la fluidità di gioco di molte giocatrici meno solide di Flavia in
materia di nervi. Alla fine è stata la rumena ad andare in confusione,
accortasi troppo tardi di dover adottare adeguate contromisure senza poi effettivamente
riuscirci.
Ultimo atto
Non è mai facile approcciare
ad un derby, figuriamoci quando il montepremi succulento è costituito da un
trofeo Slam. Poche settimane fa assistevo di nuovo su Supertennis al sanguinoso
derby argentino tra Coria e Gaudio, che si giocarono il Roland Garros del 2004,
e tra i quali non correva già buon sangue. Più che ai derby delle sorelle
Williams, o al match tra Nadal e Ferrer a Parigi nel 2013, quella tra Pennetta
e Vinci potrebbe assomigliare più a quella ormai celebre tenzone sudamericana,
nonostante i rapporti personali tra le due siano invece buoni. Memorabili gli
incitamenti della Pennetta ad una Vinci in grossa difficoltà nel match contro
la Panova, nella finale di Fed Cup del 2013.
Si saranno allenate
migliaia di volte insieme, una contro l'altra, frequentandosi fin dai tempi del
circuito juniores italiano. Essendo quasi coetanee (la Pennetta è arrivata a 33
anni, la Vinci è di un anno più giovane) si conosceranno a perfezione. Facile
prevedere il più classico dei giochini della psicologia all'inverso, quell'"io so che tu sai che io so"
che lo stesso Federer ha ad esempio utilizzato ieri sera, buttandosi con grande
anticipo verso destra ogni volta che Wawrinka giocava un dritto dalla propria
destra. O che ci fecero vedere Valentina Vezzali e Giovanna Trillini nella
finale del fioretto ad Atene 2004: concittadine di Jesi, si guardarono in
faccia per l'intera durata del primo assalto, senza mai affondare l'arma.
Roberta Vinci dovrà
semplicemente riprodurre in scala 1:1 l'intensità e la strategia che hanno
lentamente strangolato la numero uno al mondo. Flavia è però più abituata a
fronteggiare quel tipo di tennis, e si focalizzerà sui precedenti e sulle
milioni di esercitazioni di allenamento che hanno compiuto insieme. La Pennetta
è avanti 5-4 nei precedenti e si è aggiudicata gli ultimi due, ultimo dei quali
proprio allo US Open due anni fa. La sensazione è che la partita dipenda più da
lei, dalla sicurezza con la quale disinnescherà le ragnatele della Vinci
imponendo la propria superiore velocità e pesantezza di palla ed una maggiore
condizione atletica. Non avrà probabilmente paura di sfidare Robertina sulla
diagonale del rovescio, ottenendo palle basse e senza peso sulle quali è però
più preparata e più capace di generare spinta rispetto a Serena, apparsa tesa e
rigida di gambe oltre che di testa. E che infatti cercava spesso il dritto
della Vinci per ottenere un colpo più pulito.
Qualche estratto del loro ultimo confronto diretto. Si giocava sempre a
Flushing Meadows, ma "solo" per un posto in semifinale.
L'impresa più grande tra le due è stata probabilmente
compiuta da Roberta, che ha quasi certamente consumato una quantità di energie
nervose (e forse anche fisiche) superiore alla Pennetta. Come direbbe efficacemente
Paolo Bertolucci, «ha rigiocato il match
di nuovo stanotte». Questo potrebbe essere un altro elemento a fornire
un'ulteriore spinta alla Pennetta, a patto che la portata superiore
dell'impresa della Vinci non le dia quella fiducia extra, che potrebbe però
sentire anche Flavia dopo la performance di altissimo livello fatta registrare
ieri. Il fatto che entrambe sentano il momento come una situazione
assolutamente irripetibile (disputare una finale Slam non contro Williams o
Sharapova, ma rispettivamente contro Pennetta e Vinci) potrebbe invece
stimolare negativamente i nervi delle due azzurre, generando una partita di
basso livello tennistico. Vedere chi riuscirà ad isolarsi di più da certi
pensieri "extra-campo", concentrandosi solo ed esclusivamente su ogni
singolo punto, sarà molto interessante.
Articolo a cura di Federico Principi
Nessun commento:
Posta un commento