sabato 12 settembre 2015

Nella storia

Pennetta e Vinci in finale allo US Open. Basterebbe dire questo.
Ecco il rispettivo percorso nelle eroiche semifinali e cosa ci si può aspettare dall'ultimo atto di stasera.

di Federico Principi






Un'equipe di esperti aveva convocato un simposio alla vigilia del torneo per stabilire chi sarebbe riuscita a fermare Serena Williams nella corsa verso il Grande Slam, firmando un'ipotetica impresa che (questa sì, senza luoghi comuni) sarebbe rimasta realmente nei libri di storia. Sono usciti diversi nomi, i più credibili dei quali erano probabilmente quelli di Azarenka, Halep e Kvitova, visto il ritiro della Sharapova: le prime due si sono affrontate, con la rumena a prevalere, la ceca ha invece dovuto soccombere alla distanza di fronte al ritmo, troppo alto e troppo costante nel lungo periodo, della Pennetta.

Sotto per 6-4 3-1, la Pennetta riesce a mandare K.O. al terzo set Petra Kvitova.

Non era immaginabile neanche da Cassandra una finale tutta italiana, men che meno che sarebbe stata la piccola Robertina Vinci a sbarrare la strada a Serena verso lo storico, e a questo punto irripetibile, traguardo. Scongiurato il Grande Slam dell'americana, Pennetta e Vinci insceneranno il derby pugliese Brindisi-Taranto che varrà un major. Che tornerà in Italia dopo la scalata al Roland Garros compiuta da Francesca Schiavone nel 2010.

Quando alla vigilia di un match o di un torneo si legge in un'intervista che un giocatore "punta alla vittoria finale", si sorride con un pizzico di ironia e quasi di disprezzo. A meno che l'intervistato non rientri nella cerchia di 3-4 nomi maschili e 4, forse 5, del circuito femminile. Figurarsi se qualcuno, in una discussione tra amici, avesse indicato Vinci e Pennetta come serie candidate alla vittoria dello Slam newyorkese: il rischio del ricovero di urgenza in neurologia sarebbe stato molto forte. E invece la finale azzurra è solo l'ennesima di una lunga lista di situazioni in cui lo sport ha dimostrato che, anche per interpreti non di primissimo livello, credere in grandi obiettivi non è mai sbagliato.

Dopo la vittoria contro la Sharapova dello scorso marzo ad Indian Wells, la Pennetta aveva mestamente dichiarato di essere comunque vicina al ritiro. Roberta, dopo aver fallito l'ingresso nelle prime 10, era precipitata in stato di forte involuzione soprattutto nella prima parte del 2014, compromettendo anche le proprie ambizioni di classifica. E chissà se avrà anche lei assistito nella propria mente al transito di pensieri di abbandono. Vederle in finale Slam, una contro l'altra, spalanca il cuore del popolo italiano, anche e soprattutto se consideriamo il periodo delle loro carriere: il destino ha voluto riservare alle vecchiette un'ultima, splendida chance.


La caduta della Williams
Si è sbriciolata da sola Serena, ingarbugliata dal tennis complesso e totalmente inusuale della Vinci. Fin dai primi game è sembrata una partita fattibile per Roberta, ma era prevedibile che l'americana sarebbe salita di rendimento soprattutto con il rovescio, portandosi a casa il primo parziale. Prigioniera dei propri demoni, Serena si è progressivamente disunita, perdendo convinzione e fluidità di esecuzione. La Vinci proseguiva imperterrita e senza strappi nelle sue trame di gioco, con la scioltezza tipica dell'underdog. La Williams, dal canto suo, non ha compiuto un'operazione che richiedeva un pensiero elementare: colpire più forte, banalmente, imponendo la propria violenza alla strategia riflessiva di Roberta e tentando di impedirgliela. La partita si è trasferita ben presto nel ritmo di gioco dettato dalla Vinci, che a quelle medie di velocità si trova perfettamente a suo agio, capace di sprigionare una varietà di soluzioni che, se il match si svolge senza superare un certo livello di rapidità del gioco, la rendono pressoché imbattibile.


Il linguaggio del corpo di Serena è stato piuttosto negativo nell'arco di tutto il torneo. Comprensibile la pressione da sopportare per le responsabilità dettate dalla volontà di compiere un'impresa leggendaria, ma si tratta pur sempre di partite di tennis e per di più disputate tutte contro giocatrici di livello inferiore. La sconfitta della Halep di qualche ora prima ha paradossalmente irrigidito ancor di più Serena, che a quel punto non avrebbe mai dovuto perdere l'opportunità di completare il Grande Slam per colpa di un'italiana. Nel suo gioco di pressione da fondocampo la Williams è sembrata solo in rare occasioni realmente convinta dei propri colpi, riducendosi in inaccettabili errori dettati dalla tensione che ha impedito all'americana di caricare con successo le palle con poco peso della tarantina. Fino a compiere l'errore più grave: abbassare il proprio livello di gioco a poco più di un palleggio, nel quale la Vinci sguazzava con la stessa comodità di un feto nell'utero materno.

Al minuto 9:33 il punto più clamoroso dell'incontro: che dimostra come la Williams, che ha diminuito la propria velocità dei colpi, consenta alla Vinci di esprimere al massimo la completezza del proprio repertorio. Fino a chiudere il match con due demi-voleé nell'ultimo game, rispettivamente ai minuti 12:32 e 12:58.

Alla fine, guardando le statistiche, potrebbe sembrare che a prevalere (come avrebbe dovuto essere nell'ordine naturale delle cose) sia stata proprio Serena: il saldo vincenti/errori gratuiti è di +10 per l'americana e di -1 per Robertina, che in aggiunta ha anche totalizzato ben 8 punti in meno (93-85). Il tennis è bello e crudele allo stesso tempo anche per questo. In quasi tutti i punti importanti, che pesano di più nella realtà ma non nelle fredde statistiche, la lucidità della Vinci ha fatto da contraltare ai tremori di Serenona: non è certo sembrata centrata come invece lo è il suo estroverso coach Mouratoglou ai microfoni di Eurosport.  

I numeri del match.


L'altra metà del destino
Roberta Vinci dovrà guardarsi bene dai comodini che in semifinale quella specie di Robin Soderling perfettamente impersonificato in Flavia Pennetta ha scagliato sulla Halep, inerme.

La rumena aveva già mostrato nel corso del torneo, e non è una novità, una condizione fisica sufficiente per una medaglia olimpica nel triathlon. Croce e delizia del suo tennis, a volte Simona tende ad affidarsi eccessivamente alla sua frequenza di pedalata, rallentando il braccio e diminuendo le percentuali di rischi. Sono stati 10 i vincenti della Halep in 16 game: con una Pennetta con un ritmo così elevato, da sempre dotata anche lei di una varietà di soluzioni invidiata da quasi tutte le giocatrici, la rumena aveva bisogno di più aggressività nello scambio. Ci ha provato ad inizio secondo set, portandosi avanti 3-1 dopo una serie di punti giocati in pressione, finendo poi per rintanarsi di nuovo. Nel gioco e nel punteggio, fino alla sconfitta.

Dal minuto 3:07 la Halep libera i cani nel terzo game del secondo set. Tre vincenti (sui 10 totali del match) tutti condensati in un solo gioco. Ma è solo un momento isolato.

Ben altra Halep era stata quella, più aggressiva, che si era ritrovata di fronte Vika Azarenka nei quarti di finale. È finita tuttavia per essere inghiottita nel vortice di vincenti dell'azzurra, sia da fondocampo che attraverso efficaci palle corte, che Flavia ha costruito per tutto il match, dominandolo. Con una sicurezza che rasentava il nirvana, uno state of mind catartico. Una Pennetta con caratteristiche fin troppo simili a quelle di una macchina industriale: quando è andata a rispondere per chiudere il match, ha palesato la stessa disinvoltura con cui approccerebbe ad uno delle migliaia di allenamenti. Continuando a picchiare.

Dal minuto 7:00, l'ultimo game della partita dove Pennetta è ormai "on fire".

Ha vinto di testa, come molto spesso avviene in questo sport. Imponendo la propria personalità e il proprio ritmo, senza farsi ingabbiare nella petulanza del palleggio della Halep. Che, in un palcoscenico come una semifinale Slam, al cospetto della numero 2 del ranking, avrebbe forse condizionato la fluidità di gioco di molte giocatrici meno solide di Flavia in materia di nervi. Alla fine è stata la rumena ad andare in confusione, accortasi troppo tardi di dover adottare adeguate contromisure senza poi effettivamente riuscirci.


Ultimo atto
Non è mai facile approcciare ad un derby, figuriamoci quando il montepremi succulento è costituito da un trofeo Slam. Poche settimane fa assistevo di nuovo su Supertennis al sanguinoso derby argentino tra Coria e Gaudio, che si giocarono il Roland Garros del 2004, e tra i quali non correva già buon sangue. Più che ai derby delle sorelle Williams, o al match tra Nadal e Ferrer a Parigi nel 2013, quella tra Pennetta e Vinci potrebbe assomigliare più a quella ormai celebre tenzone sudamericana, nonostante i rapporti personali tra le due siano invece buoni. Memorabili gli incitamenti della Pennetta ad una Vinci in grossa difficoltà nel match contro la Panova, nella finale di Fed Cup del 2013.

Si saranno allenate migliaia di volte insieme, una contro l'altra, frequentandosi fin dai tempi del circuito juniores italiano. Essendo quasi coetanee (la Pennetta è arrivata a 33 anni, la Vinci è di un anno più giovane) si conosceranno a perfezione. Facile prevedere il più classico dei giochini della psicologia all'inverso, quell'"io so che tu sai che io so" che lo stesso Federer ha ad esempio utilizzato ieri sera, buttandosi con grande anticipo verso destra ogni volta che Wawrinka giocava un dritto dalla propria destra. O che ci fecero vedere Valentina Vezzali e Giovanna Trillini nella finale del fioretto ad Atene 2004: concittadine di Jesi, si guardarono in faccia per l'intera durata del primo assalto, senza mai affondare l'arma.

Roberta Vinci dovrà semplicemente riprodurre in scala 1:1 l'intensità e la strategia che hanno lentamente strangolato la numero uno al mondo. Flavia è però più abituata a fronteggiare quel tipo di tennis, e si focalizzerà sui precedenti e sulle milioni di esercitazioni di allenamento che hanno compiuto insieme. La Pennetta è avanti 5-4 nei precedenti e si è aggiudicata gli ultimi due, ultimo dei quali proprio allo US Open due anni fa. La sensazione è che la partita dipenda più da lei, dalla sicurezza con la quale disinnescherà le ragnatele della Vinci imponendo la propria superiore velocità e pesantezza di palla ed una maggiore condizione atletica. Non avrà probabilmente paura di sfidare Robertina sulla diagonale del rovescio, ottenendo palle basse e senza peso sulle quali è però più preparata e più capace di generare spinta rispetto a Serena, apparsa tesa e rigida di gambe oltre che di testa. E che infatti cercava spesso il dritto della Vinci per ottenere un colpo più pulito.

Qualche estratto del loro ultimo confronto diretto. Si giocava sempre a Flushing Meadows, ma "solo" per un posto in semifinale.

L'impresa più grande tra le due è stata probabilmente compiuta da Roberta, che ha quasi certamente consumato una quantità di energie nervose (e forse anche fisiche) superiore alla Pennetta. Come direbbe efficacemente Paolo Bertolucci, «ha rigiocato il match di nuovo stanotte». Questo potrebbe essere un altro elemento a fornire un'ulteriore spinta alla Pennetta, a patto che la portata superiore dell'impresa della Vinci non le dia quella fiducia extra, che potrebbe però sentire anche Flavia dopo la performance di altissimo livello fatta registrare ieri. Il fatto che entrambe sentano il momento come una situazione assolutamente irripetibile (disputare una finale Slam non contro Williams o Sharapova, ma rispettivamente contro Pennetta e Vinci) potrebbe invece stimolare negativamente i nervi delle due azzurre, generando una partita di basso livello tennistico. Vedere chi riuscirà ad isolarsi di più da certi pensieri "extra-campo", concentrandosi solo ed esclusivamente su ogni singolo punto, sarà molto interessante. 


Articolo a cura di Federico Principi

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