martedì 22 settembre 2015

La Juventus e il controllo sui giovani italiani

Molte cose si possono dire del mercato bianconero targato Marotta-Paratici, tra luci splendenti e piccoli coni d'ombra. Di sicuro, non si può dire che trascuri i talenti nostrani...

di Nicolò Vallone






Annus Domini 2010. La Juventus post-Calciopoli scalpita e sgomita per ritrovare la piazza d'onore nel firmamento calcistico italiano, ma la compagine societaria targata Cobolli Gigli - Blanc non è riuscita nell'intento. Né mai avrà ulteriori opportunità di riuscirci. Dopo le annate altalenanti con mister Ranieri, e quella iniziata alla grande e finita in esonero con Ferrara allenatore, infatti, la storica proprietà decide che è arrivato il momento di impadronirsi della situazione con mano ferma: tabula rasa, si riparte da Andrea Agnelli alla presidenza e da una coppia di dirigenti proveniente da un'esperienza di alto profilo alla Sampdoria, la "premiata ditta" Beppe Marotta - Fabio Paratici. 
La prima guida tecnica del nuovo corso è affidata a Gigi Delneri; vengono epurati alcuni tra gli elementi della rosa maggiormente deludenti l'anno prima (leggi Diego). Ma il risultato è un altro fallimento: la Juve non si qualifica per nessuna coppa europea, e la giustificazione fornita a inizio 2011 da Agnelli, secondo cui si tratta di un rischio calcolato in quanto è stato effettuato un mercato di quantità che ne garantirà uno di qualità la stagione successiva, fatica comprensibilmente a convincere una tifoseria ormai esasperata. Ma i fatti gli danno ragione: complici l'arrivo a Torino di un emergente fuoriclasse della panchina da sempre in orbita bianconera, Antonio Conte, e l'azione efficace sia emotivamente sia economicamente del gioiello Juventus Stadium, Marotta e Paratici danno vita a un'operazione continua a lungo termine di ingegneria finanziaria destinata a creare più di un ciclo, il primo dei quali  ̶  solo parzialmente conclusosi quest'estate con la triplice cessione Pirlo-Vidal-Tevez  ̶  ha dato finora alla Vecchia Signora 4 scudetti di fila, la decima Coppa Italia, una finale di Champions e un rinnovato status di regina indiscussa del calcio italiano. 
Tanti gli ingredienti della ricetta: un amalgama di attenzione al bilancio, investimenti tecnicamente funzionali, tattica mandata a memoria, affiatamento tra i giocatori, senza dimenticare il generale appiattimento del livello della Serie A, tanto amaro da constatare quanto oggettivo. In questo calderone, è presente anche un fattore di successo che merita di essere osservato con la lente d'ingrandimento: l'attenzione per i giovani. In particolare, giovani italiani.

Gli artefici del "nuovo corso" juventino.

Dopo ogni insuccesso calcistico italiano recente, il mantra che riecheggia dai salotti tv ai bar sport è "bisogna puntare sui nostri giovani". Sacrosanto: il boom di acquisti stranieri di bosmaniana matrice nell'ultimo ventennio ha sicuramente chiuso le porte a molti talenti nostrani, portando le società a preferire spesso e volentieri nomi esotici non sempre destinati a carriere sfavillanti ai ragazzi dei nostri vivai (argomento già sfiorato da Fuori dagli Schemi, all'epoca della controversa affermazione di Sacchi sull'eccessivo numero di giocatori di colore nelle formazioni Primavera italiane). Senza la pretesa di instaurare un inarrivabile modello Barça basato sulla cantera, il club degli Agnelli si è premurato di rendere l'attenzione al mercato dei giovani un aspetto fondante della sua gestione, che abbinata ed integrata con campagne acquisti mirate più alla necessità tecnica che al nome altisonante ha contribuito a determinare il vantaggio competitivo juventino sotto il profilo tecnico. Non certo per filantropia (non lo si potrebbe neanche pretendere, in un business come il calcio): disporre di un parco giovani ampio e di qualità garantisce un tesoretto in termini sia strettamente sportivi che economici, visto che la possibilità che un nuovo campione sbocci in casa propria e contribuisca in prima persona alle prestazioni della squadra senza bisogno di acquisti milionari è sempre dietro l'angolo, e se invece tale possibilità non si realizza appieno si può sempre monetizzare con le cessioni, realizzando quasi certamente piccole plusvalenze; le due cose possono pure coincidere, come nel caso di Pogba qualora venisse venduto a peso d'oro massiccio l'estate prossima come si vocifera da tempo: per qualche anno pedina importante nello scacchiere tattico, poi fonte di ricavi multimilionari da reinvestire. Giusto per fornire un esempio della politica juventina nel regime Marotta-Paratici: in cambio di Tevez, i dirigenti bianconeri hanno rinunciato a qualsiasi incasso monetario da parte del Boca Juniors, preferendo prendere in prestito biennale l'ala 18enne Vadalà e sborsare 3 milioni per l'opzione di acquisto per il 2017/2018 dei tre promettenti centrocampisti Bentancurt (opzione fissata a 9,4 milioni), Cristaldo (8,2 milioni) e Cubas (6,9 milioni). 

Attualmente la Juventus FC controlla 58 giocatori nati negli anni '90, prestati in giro per l'Italia e per l'Europa, il cui valore complessivo supera i 60 milioni di euro; tra di essi, spiccano Nicola Leali e Federico Mattiello. Tali numeri sono frutto non solo di un vivaio capace di far crescere i talenti durante tutta la trafila delle giovanili, ma anche di un'oculata rete di osservatori e di un potere contrattuale consolidato con il ruolo di "regina d'Italia" recentemente riacquisito, che permette alla società di accaparrarsi alcuni tra i più fulgidi prodotti dei settori giovanili nostrani ed esteri (si veda il già citato Pogba, che dopo 3 anni al Manchester United fu preso a parametro zero nel 2012 causando le ire di Sir Alex) e di collocarli provvisoriamente in piazze di fiducia. Per restare nell'esempio di Leali e Mattiello: il portiere classe '93, cresciuto nel Brescia, dopo gli esordi da professionista nel campionato cadetto con le rondinelle è stato acquistato dalla Juve nel 2012 per quasi 4 milioni e girato in prestito nelle successive stagioni a Lanciano, La Spezia (Serie B), Cesena e attualmente Frosinone (Serie A); il terzino sinistro classe '95, in bianconero dall'età di 14 anni dopo aver mosso i primi passi in provincia di Lucca, è stato fatto esordire lo scorso anno in Prima Squadra da Allegri per poi essere mandato in prestito semestrale a gennaio al Chievo, dove un gravissimo infortunio lo ha subito allontanato dai campi fino al completo recupero avvenuto appena una settimana fa: data la situazione, il prestito clivense è stato rinnovato per il 2015-16.

Il viale del tramonto sembra ancora lontano per Buffon, ma la Juve ha già il 
sostituto.

Dei 58 atleti sopracitati, gli italiani sono 35: un tasso alto ma non altissimo, che però cresce se si considerano anche i giocatori venduti negli ultimi due anni e quelli divenuti ormai parte integrante della Prima Squadra, che vanno ad impreziosire e realizzare in maniera completa questa politica societaria. Come spiegare il focus sui calciatori nostrani? L'italianità è un elemento cardine della brand identity bianconera: tradizionalmente la Juve ha intrecciato legami più stretti con la Serie A che con le coppe europee, ed è attualmente l'unica delle tre storiche "grandi" del nostro calcio a non aver accondisceso alle lusinghe degli investitori stranieri, ancorandosi saldamente a una proprietà tutta italiana.

Certo, non sempre gli investimenti sui giovani portano ai risultati sperati: i tifosi ricordano amaramente gli sforzi sostenuti 3 anni fa per riscattare dal Parma il prodotto del vivaio Sebastian Giovinco, una spesa di 11 milioni "ricompensata" da un contributo sul campo mai del tutto soddisfacente, fino alla partenza a parametro zero della Formica Atomica alla volta di Toronto. Inoltre, i tifosi ben si ricordano di quando, nella stessa estate del riscatto di Seba, la Juventus non affondò il colpo decisivo per Marco Verratti, messosi in mostra in Serie B nel magnifico Pescara di Zeman e col tempo divenuto per distacco il miglior regista italiano under-30: il club bianconero, che nel ruolo vantava un Pirlo sì in gran spolvero ma con fisiologici limiti d'eta, non se la sentì di fare un altro investimento di prospettiva sopra i 10 milioni nella stessa finestra di mercato, e il talento abruzzese fu comprato per circa 12 milioni dal Paris-St. Germain, squadra di cui fa tuttora le fortune. Del resto, gli incidenti di percorso sono da considerare quando si persegue un obiettivo e si manda avanti una progettualità concreta, ma a fronte del fallimento Giovinco e del rimpianto Verratti si può annoverare un pacchetto di operazioni da promozione a pieni voti per lo staff dirigenziale di corso Galileo Ferraris. Ecco i casi più significativi, dal reparto offensivo a quello difensivo.


Poker di attaccanti  

La stagione 2013-2014, ultima in panchina di Conte prima dell'inatteso addio, è stata caratterizzata non solo dall'acquisto di Tevez e Llorente, dal record di punti in campionato e da una doppia delusione europea firmata Galatasaray-Benfica, ma anche dall'avere contemporaneamente tra le mani i cartellini dei quattro attaccanti italiani più promettenti del momento: Immobile, Gabbiadini, Berardi e Zaza. Un quartetto acquisito in modi e contesti diversi negli anni, un poker che Marotta & co. in parte hanno fatto fruttare in termini economici, in parte hanno portato alla base e in parte hanno lasciato a scaldare ancora i motori in vista di un matrimonio da consumarsi l'anno prossimo.

Il poker di attaccanti che gravitano (o sono gravitati) in orbita Juventus.

Il centravanti campano Ciro Immobile, classe 1990, è l'unico tra costoro ad essere stato ereditato dalla gestione pre-2010, essendo un prodotto della Primavera: la Juve infatti l'aveva prelevato 18enne dal Sorrento per 80.000 € e 2 anni più tardi lui lanciò un segnale al mondo dei professionisti siglando una tripletta nella vittoriosa finale del Torneo di Viareggio 2010 contro l'Empoli. Nonostante le buone premesse, i nuovi dirigenti bianconeri decisero di non puntare subito forte su questo attaccante fisico e veloce allo stesso tempo, non eccellente in nessun fondamentale ma abile nei movimenti a smarcarsi soprattutto quando lanciato in profondità. La prima scelta fu di mandarlo a farsi le ossa in Serie B: difficile il primo anno al Siena, succursale bianconera nel primo decennio del Duemila soppiantata  ̶  dopo il crack Monte Paschi  ̶  dal Sassuolo, fantastico il secondo nel già citato Pescara zemaniano, dove costituì un'accoppiata iper-prolifica con Insigne e si guadagnò una chiamata in Serie A. 

Nel massimo campionato il copione si ripetè: la prima stagione Immobile giocò nel Genoa, che a gennaio 2012 ne aveva acquisito la metà del cartellino per 4 milioni di euro, senza suscitare particolare entusiasmo; l'anno successivo, passato al Torino che rilevò la quota di compartecipazione del club genoano, arrivò il titolo di capocannoniere del torneo con 22 reti. Tale performance gli valse la convocazione ai Mondiali brasiliani, dove però deluse le attese, specialmente a livello di varietà nelle soluzioni tecniche. L'attenuante dell'essersi trovato in un contesto di squadra imbarazzante e del non aver avuto tutto sommato un gran minutaggio nei 3 match disputati dagli azzurri non bastarono: il giocatore aveva ormai 24 anni, la sua occasione internazionale non aveva fatto troppo ben sperare in ottica Champions League e last but not least il Borussia Dortmund aveva individuato in lui l'erede di Lewandowski. Il 18 giugno 2014 l'ufficialità: Immobile riscattato dal Torino per 8 milioni. Il resto è storia recente: 19,4 milioni versati dal Borussia nelle casse granata per un attaccante mai trovatosi a proprio agio in Germania, tanto da essere girato in prestito quest'estate al Siviglia. Considerando complessivamente costi e ricavi sostenuti per questo centravanti dalle prestazioni altalenanti (al netto degli esigui ingaggi), la Juventus ha guadagnato quasi 12 milioni di euro.

Questa compilation dei 22 gol con cui Immobile si laureò capocannoniere nel 2013-14 al Torino mostra chiaramente quali siano le sue potenzialità fisiche e tecniche in una squadra che riesca a dargli la massima profondità possibile.

Manolo Gabbiadini (ne avevamo parlato in questo articolo), classe '91, è un prodotto del vivaio dell'Atalanta, spesso definito il miglior settore giovanile d'Italia, con la cui maglia segnò a 20 anni la sua prima rete in Serie A. Del quartetto d'attaccanti in esame, è attualmente il giocatore che gode di più solida reputazione nell'opinione pubblica italiana: i motivi sono molteplici, e spaziano dalla versatilità, dall'umiltà, dalla costanza alla padronanza tecnica e balistica. Anche lui spazia parecchio: nato punta centrale, ha mostrato fin dagli inizi da professionista un'adattabilità fuori dal comune che lo ha portato a rivestire i ruoli di seconda punta (quello probabilmente più calzante) e addirittura ala. 

La Juve è entrata nella sua vita calcistica a fine agosto 2012, quando spese 5,5 milioni per la comproprietà e lo girò in prestito al Bologna. Dopo una buona annata in rossoblù, l'altra metà della compartecipazione passò dall'Atalanta alla Sampdoria di Mihajlovic, che ne ha segnato per la successiva stagione e mezzo la consacrazione nel nostro calcio. Val la pena rievocare quanto successo il 14 dicembre 2014, quando la Samp fece visita ai bianconeri allo Stadium: proprio Manolo, con un interno a giro delizioso dal limite dell'area, impose il pari all'allora capolista interrompendone una striscia di 25 vittorie casalinghe di fila. 

A posteriori, si può definire il preludio della separazione: appena si è aperto il mercato di gennaio 2015, il Napoli si è avventato su Gabbiadini acquistandolo a titolo definitivo per 13,5 milioni di euro. Considerando l'equa spartizione degli incassi tra le società detentrici del cartellino e il costo originario di 5 milioni e mezzo, la Juventus ha guadagnato da questo completo e solido attaccante poco più di 1 milione. In questo caso non si può parlare di massima valorizzazione del proprio patrimonio tecnico: alla società è andato bene poter iscrivere una pur minima plusvalenza a bilancio approfittando di una mossa decisa come quella del club partenopeo. Il campo dirà se per il "dopo Tevez" sia stata una mossa saggia rinunciare a Gabbiadini per investire quasi 40 milioni sul classe '93 Dybala. A conforto e spiegazione della scelta marottiana interviene il fatto di avere ancora a disposizione gli altri due elementi del poker  ̶   Zaza e soprattutto Berardi  ̶  che permettono di effettuare certe scelte con cuore più leggero.

  Gabbiadini nell'annata appena trascorsa, quella della consacrazione e della cessione al Napoli: si può apprezzare in particolare il suo sinistro da fermo, più unico che raro.

Il lucano Simone Zaza, classe '91, è un centravanti da giocata in profondità, simile per certi versi a Immobile, ma meno pesante e più guizzante: capace di gol altamente spettacolari, fa della grinta la sua arma vincente, anche se alla lunga risulta piuttosto estemporaneo. Cresciuto anche lui nel settore giovanile atalantino, esordì nella massima serie in maglia orobica non ancora diciottenne, prima di passare alla Sampdoria e iniziare il più classico dei pellegrinaggi in prestito tra Lega Pro e Serie B. La stagione della svolta fu la 2012-13, ad Ascoli in Serie B: segnando 18 volte in 35 presenze, Zaza salì alla ribalta suscitando l'interesse della Vecchia Signora "acchiappagiovani", che nell'estate 2013 lo comprò a titolo definitivo a 3,5 milioni di euro e lo girò in compartecipazione al neopromosso Sassuolo per 2,5 milioni. Dopo una stagione da 9 reti, i neroverdi lo riscattarono al prezzo di 7,5 milioni; la Juve però ottenne un diritto di recompra fissato a 18 milioni, esercitato quest'estate per integrarlo in organico come quinto attaccante della rosa, al termine di un'annata in cui ha trovato la doppia cifra in campionato e le prime soddisfazioni in Nazionale. Del poker in esame, lui è quindi l'unico ad aver trovato un posto in bianconero. Ma le reali intenzioni della società sembrano essere quelle di trarne il maggior vantaggio economico possibile, remunerando gli 11,5 milioni complessivamente spesi finora per lui  ̶  ingaggio escluso  ̶  per arrivare in condizioni di equilibrio finanziario all'autentico gioiellino del quartetto che stiamo analizzando...

Forse Zaza ha segnato in carriera gol ancora più belli dei 5 qui riportati, ma val la pena osservare questo video perché offre un perfetto campionario di tutti i modi in cui questo imprevedibile centravanti riesce a segnare quando è in forma.

Domenico Berardi, calabrese classe 1994, è con ogni probabilità il più grande prospetto offensivo del calcio italiano. Si può dire che per certi versi è un enfant prodige, sia perché è di gran lunga il più giovane del poker di talenti preso fin qui in esame, sia per come fu scoperto dal calcio professionistico quando aveva 16 anni e non aveva mai trovato un tesseramento (andato a trovare a Modena suo fratello maggiore che studiava lì, dopo una classica "partitella tra amici" fu segnalato agli osservatori del Sassuolo da uno degli amici del fratello, sbalordito dalle sue capacità di altissimo livello) sia perché la genialità è uno dei suoi marchi di fabbrica. Una genialità che si accompagna sì a un carattere difficile, ma anche a una propensione al sacrificio per la squadra che fa ben sperare per la sua maturazione: agli ordini di mister Di Francesco si è specializzato nel ruolo di ala mancina, capace di dribblare, crossare e concludere a rete con naturalezza, senza paura di affrontare i contrasti e senza disdegnare il gioco aereo, non lesinando neppure i recuperi difensivi, che lo portano a spendere molte energie in nome dell'equilibrio tattico. Imparare a fare tutto questo ai ritmi richiesti dal calcio europeo, e magari poterlo fare in una grande, dove dunque sarebbe meno costretto in incarichi di ripiegamento e più libero di convertire il proprio argento vivo per infiammare la fase offensiva, potrebbe costituire la chiave per la sua auspicabile esplosione definitiva. Magari anche in Nazionale. 

La Juve si interessò a lui nell'estate 2013, quando appena maggiorenne contribuì alla storica promozione del Sassuolo in Serie A; la stessa estate dell'affare-Zaza. Marotta e Paratici sgominarono la concorrenza di rivali del calibro del Manchester United, attraverso uno scambio di comproprietà: metà Luca Marrone al Sassuolo in cambio di metà Domenico Berardi alla Juve; ma a una condizione: il talento calabrese sarebbe rimasto in neroverde con la formula del prestito secco per aiutare la squadra a salvarsi insieme a Zaza. Il sì della Vecchia Signora sancì definitivamente il rapporto privilegiato tra le due società, testimoniato dagli sviluppi successivi della vicenda relativa al cartellino di Berardi: per il 2014-15 venne rinnovata la compartecipazione per quest'ultimo e Marrone fu riscattato dalla Juve per 5 milioni di euro, mentre quest'estate, dopo due stagioni da 16 e 15 gol per lui, in un momento di necessità da parte del team bianconero di rinnovarsi con materiale giovane e di qualità, al Sassuolo è stato consentito di riscattarlo interamente sborsando 10 milioni di euro, ma con una recompra per l'anno prossimo fissata a 18 milioni per la Juventus, che nel 2016 potrà quindi trovarsi in casa un ventiduenne con le stimmate del fuoriclasse pagato nel complesso 13 milioni. Un affare che, specialmente se sarà abbinato a una cessione remunerativa di Zaza, costituirà a tutti gli effetti un colpaccio: niente di meglio per fugare gli spettri del sacrificio Gabbiadini e rendere globalmente un successo la catena di operazioni legata al poker di attaccanti.

La più sfavillante performance di Berardi in Serie A. Stagione 2013-2014, Sassuolo-Milan 4-3: il giovane calabrese trova spazi ovunque nella mollissima difesa rossonera, segna una "quadripletta" e condanna all'esonero Allegri, che - allora nessuno l'avrebbe mai immaginato - diventerà probabilmente il suo allenatore l'anno prossimo.


"Il Gattuso dai piedi educati"  

Le cessioni di Pirlo e Vidal hanno lasciato perplessi i più: a detta di molti, la Juve ha perso troppa qualità a centrocampo per sperare di essere competitiva come lo scorso anno. Se per la perdita del miglior regista italiano di tutti i tempi si può constatare un effettivo vuoto qualitativo  ̶  ma bisogna anche considerare che il suo talento è pressoché irreplicabile, inoltre quando era fuori per infortunio è stato sostituito alla grandissima da Marchisio  ̶ , per quanto riguarda il cileno possiamo essere sicuri che nel giro di una stagione non verrà più rimpianto, o almeno non quanto lo è adesso: si è ormai guadagnato un posto da titolare Stefano Sturaro, versione 2.0 di Ringhio Gattuso che come incontrista ha dimostrato di essere già pronto per i grandi palcoscenici europei; manca ancora qualcosa in termini di velocità di pensiero col pallone tra i piedi, ma i suoi 22 anni di età lasciano ampi margini di miglioramento, vista la validità già in essere negli altri fondamentali della mediana d'interdizione.

Questo concentrato ligure di personalità, avviato in tenera età a un percorso da floricoltore ma che ben presto preferì un altro tipo di prati, iniziò a perseguire il sogno di diventare calciatore professionista nel lontano 2008, quando dai Giovanissimi della Sanremese passò agli Allievi del Genoa. Nonostante un lungo periodo di inattività a causa di un paio di delicati interventi chirurgici alle tibie, tornò più grintoso di prima e divenne un caposaldo della Primavera genoana. L'esordio tra i professionisti avvenne con la stagione 2012-13, in prestito al Modena in Serie B: complice altri guai fisici e un improbabile impiego come esterno offensivo da parte del tecnico Novellino, chiuse l'esperienza emiliana con appena 8 presenze. Nonostante ciò, o forse proprio per questo, un grande allevatore di giovani come Gasperini lo rivolle alla base per lanciarlo appena ventenne nel massimo campionato. L'impatto fu ottimo: 16 gettoni conditi da un gol, il primo in assoluto tra i pro. L'intensità e la consistenza delle sue prestazioni misero in moto la macchina di mercato bianconera: non disponendo di un poker di talenti come per gli attaccanti, per lui nell'estate 2014 la Juve non attivò un prestito o una recompra, formule sostitutive della vecchia comproprietà (definitivamente abbandonata quest'anno dal nostro calcio per delibera della Lega di A), bensì un acquisto a titolo definitivo, a una cifra che tra costi fissi ed eventuali bonus si attesta tra i 6 e i 9 milioni, circa 5 in meno di quelli spesi a suo tempo per un ventiquattrenne Vidal dal Bayer Leverkusen. 

La strategia del club di Agnelli ha previsto in un primo momento di lasciare il giovane centrocampista ancora per una stagione al Genoa, in prestito secco, ma a gennaio 2015 l'emergenza juventina a centrocampo gli è valsa la chiamata anticipata: un toccasana per la sua carriera e per l'annata bianconera, che ha permesso alla squadra di sopperire alle assenze sia in campionato sia in Champions League e al giocatore di ritagliarsi uno spazio nelle gerarchie di Allegri e nel cuore della tifoseria. Come Berardi, Sturaro sta ancora aspettando la prima convocazione del ct Conte, dopo essere stato al servizio dell'Under 21 di Gigi Di Biagio fino agli Europei di categoria a giugno, deludenti a dire il vero. Non c'è da dubitare comunque che l'inizio di campionato, difficile in apertura per una raffazzonata Juventus ma positivo per il ragazzo di Sanremo, costituisca un buon viatico per un'apertura delle porte della Nazionale in vista degli Europei "maggiori" del 2016 in Francia.

La partita dell'Etihad Stadium è il saggio più probante delle qualità e delle potenzialità di Sturaro (numero 27, scarpette arancioni): gli evidenti limiti che ancora presenta in fase di possesso vengono via via limati dal giovane "guerriero" con enorme personalità dopo gli erroracci iniziali, mentre costanti fin da subito sono la precisione e l'intensità della sua fase d'interdizione. 


"Il nuovo Scirea" 

Ancora nessuna presenza ufficiale con la Vecchia Signora, ma il suo posto in rosa è stata una decisa mossa societaria, e l'impressione è che una volta conquistata una maglia da titolare non la mollerà più. Perché lui, il difensore toscano classe '94 Daniele Rugani, ha tutti i connotati del predestinato: i paragoni sono spesso scomodi, quando non controproducenti, ma mai come in questo caso appare azzeccato il parallelo con un grande del passato. Rugani viene infatti associato a Gaetano Scirea, compianta leggenda bianconera, passato alla storia per la correttezza e l'eleganza che l'accompagnarono nella sua carriera di libero tra gli anni Settanta e Ottanta. I punti in comune tra i due non si fermano alla juventinità e alla posizione sul terreno di gioco, ma si estendono all'atteggiamento e all'interpretazione del ruolo: proprio come Scirea, Rugani mostra delle capacità prima mentali che fisiche nel contrastare gli avversari. Non che al ragazzo manchi la prestanza atletica: il suo corpo alto e asciutto sembra plasmato da uno scultore greco; ma la sua abilità nell'anticipare, sovrastare o bloccare gli avversari a seconda delle situazioni si basa su una lucidità cognitivo-sensoriale robotica e al contempo elegante, che rende la sua statuaria struttura corporea un utile strumento per applicare la tecnica difensiva e non il mezzo a priori su cui modellarla. Tutto ciò è reso possibile dall'estrema serietà nel lavoro e nell'allenamento, sotto l'aspetto sia fisico che mentale, suo carattere distintivo extra-campo. Queste le rilevazioni qualitative che lo sovrappongono al suo illustrissimo punto di riferimento. Il dato quantitativo che esemplifica quanto detto, e legittima certi accostamenti, è quello relativo alle statistiche della scorsa stagione: in forza all'Empoli, Rugani è stato l'unico giocatore di movimento in Serie A a giocare ogni singolo minuto delle 38 giornate di campionato; se già questo è notevole, risulta ancor più significativo ai fini della nostra analisi il fatto che in tutto il torneo non è stato mai ammonito! E se taluni commentatori sostengono, forse a ragione, che qualche cartellino giallo fisiologico sia da apprezzare in quanto segnale positivo di "malizia" e presenza agonistica, qui non si tratta affatto di un difensore troppo molle, ma di uno perennemente in anticipo sulle intenzioni rispetto a chi si trova a marcare.

Un calciatore di tale valore non può certo sbucare dal nulla, e soprattutto non può passare certo inosservato agli sguardi attentissimi della dirigenza bianconera. Fiore all'occhiello dell'eccellente vivaio empolese, nel quale aveva compiuto tutta la trafila delle giovanili sin dalle elementari, Rugani era a malapena maggiorenne quando la Juventus lo acquisì in comproprietà per aggregarlo alla propria Primavera, spendendo 1 milione. Le sue prestazioni nelle fasi decisive della Coppa Italia di categoria fecero capire che a 19 anni era già pronto per giocare tra i professionisti. Marotta e Paratici decisero di mandarlo in prestito in Serie B proprio a Empoli, ambiente ideale per lui, che lo aveva cresciuto fino all'anno prima e dove c'era un progetto serio per la promozione: l'obiettivo fu centrato con il secondo posto alle spalle del Palermo, con Sarri a lanciare subito titolare quel ragazzino che comandava la difesa come un veterano. Il resto è storia recentissima: al suo primo anno in A, la stagione dei record descritta poco sopra ha indotto la Juve a pagare 3,5 milioni già nel mercato invernale per riscattarlo, bruciando sul tempo la concorrenza dell'Arsenal e garantendosi le sue prestazioni a partire dalla stagione successiva, cioè quella attualmente in corso. Nel frattempo, due settimane fa è giunta anche la prima chiamata da Conte in azzurro, sebbene non sia sceso in campo (comprensibile, non avendo ancora visto il campo neppure con Allegri). Il "nuovo Scirea" è costato complessivamente 4 milioni e mezzo di euro.

Numero 24 sulla schiena, schiena dritta, testa alta e... buona visione con Rugani, autentico artista della difesa tanto in B quanto in A.

Questo lungo dossier non offre certo una spiegazione esaustiva del mercato della Juventus e del suo processo di assunzione e consolidamento dello status di padrona  ̶  si passi il termine "poco bello"  ̶  del calcio italiano. Ha semplicemente la pretesa di far luce su un aspetto della sua strategia che dovrebbe essere parte integrante della filosofia di qualsiasi società di livello, specialmente in un periodo di magra per il movimento di cui si fa parte. In conclusione, si è tentato di dimostrare cosa voglia dire per una società giocare d'anticipo: d'anticipo sull'età dei giocatori, acquisendo il controllo anche parziale dei loro cartellini quando sono ancora degli importanti prospetti e possono essere comprati a basso prezzo; d'anticipo sulla concorrenza, per arrivare sempre un attimo prima degli altri; e d'anticipo sui valori espressi dalla neonata riforma Tavecchio, che obbliga le squadre non solo al tetto di 25 elementi in rosa ma anche ad averne almeno 4 cresciuti in Italia e almeno 4 cresciuti nel proprio vivaio. Il tutto con un occhio di riguardo alla nazionalità italiana. Che sia un esempio e un buon auspicio!

Piccolo "contenuto extra": ecco la vittoria più recente della Primavera bianconera, calderone di giovani italiani del '97 e del '98 pronti ad entrare prepotentemente nel calcio che conta e proseguire la virtuosa tradizione juventina. Segnatevi col pennarello indelebile nomi come Audero, Clemenza, Vitale, Romagna, Udoh...


Articolo a cura di Nicolò Vallone


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