domenica 9 agosto 2015

Parabola di un re guerriero alla corte degli Agnelli

Un futuro con il Bayern di Guardiola ma un pezzo di cuore lasciato a Torino. Scopriamo cosa ha significato Vidal per la Juventus.

di Nicolò Vallone






<<La pressione di Vidal, che va a rubare il pallone… grande caparbietà del cileno! Gira per Marchisio, zona tiro, cerca Vucinic, al limite, Vucinic, prova a piazzare…  c’è ancora la Juve in attacco, con Vidal, il destro… Rrrrete! Vidal! […] Il controllo di petto e poi il destro che beffa Mirante>>. 
Con queste parole il telecronista Maurizio Compagnoni, in un’assolata domenica di fine estate, raccontava in diretta il battesimo al gol di Arturo Vidal con la maglia della Juventus. Era la prima giornata del campionato 2011-12, un Juve-Parma 4-1 esordio ufficiale della Vecchia Signora nell’avveniristico Juventus Stadium, divenuto quel giorno teatro del nuovo dominio juventino sul calcio italiano; un dominio orchestrato da Antonio Conte prima e Massimiliano Allegri poi, e interamente coordinato dietro le quinte dall’ad Beppe Marotta e dal ds Fabio Paratici. Una delle prime mirabili intuizioni della sapiente coppia dirigenziale era stata proprio quella di portare a Torino, nel cruciale mercato estivo del 2011, l’inesauribile centrocampista cileno classe ‘87, prelevato dal Bayer Leverkusen per circa 12 milioni di euro e blindato con un contratto da 2 milioni e mezzo stagionali fino al 2016. In pochi si aspettavano che la Juve si sarebbe aggiudicata lo Scudetto già in quella stagione, battendo la concorrenza del Milan di Ibrahimovic (e Allegri), e nessuno poteva prevedere che questo mastino sudamericano sarebbe stato l’autentico trascinatore – e a tratti il goleador – della nuova armata bianconera nei 4 anni successivi. Perché non solo di mastino si tratta: alla grinta che lo contraddistingue e che gli ha fatto meritare in patria l’appellativo di Guerrero, infatti, si affiancano intelligenza tattica, padronanza tecnica e propensione all’inserimento in zona gol, tutte caratteristiche emerse nelle 4 stagioni trascorse in Germania e portate alla massima efficacia nelle altrettante annate in bianconero.

Top 10 gol di Vidal con la maglia della Juve.

Il rapporto tra Vidal e l’ambiente juventino va subito a gonfie vele. Ai compagni infonde carica in campo e buonumore fuori, col suo carattere scanzonato e un po’ fuori dalle righe che durante questi anni gli ha causato anche qualche problema disciplinare, soprattutto nei ritiri con la Nazionale. I tifosi vengono rapiti e caricati dal suo mix di furia e qualità, avvertendone la potentissima aura agonistica che garantisce alla squadra di schiacciare l’acceleratore un po’ di più degli avversari: a 6 mesi dal suo arrivo alla Juve, è già diventato Re Artù. Ma la vera prova di forza è la conquista dell’allenatore: dopo le prime settimane di utopico 4-2-4 Conte, tecnico integralista e testardo per eccellenza, ridisegna la formazione con un 3-5-2 pur di poter schierare titolare il cileno. A Pirlo e Marchisio del resto non si può rinunciare, ma l’aggiunta di Vidal è altrettanto irrinunciabile per andare a formare l’ossatura della linea mediana più forte d’Italia: Andrea a insegnare calcio in cabina di regia, Claudio a cucire elegantemente i reparti e Arturo a martellare con intensità ed efficacia in fase sia difensiva che offensiva. Un cocktail di centrocampo roccioso ed esplosivo, cuore di una corazzata capace di vincere lo scudetto senza perdere una partita. E il ventricolo che pulsa più forte in questo cuore bianconero proviene dal Sudamerica.

Sono 7 in totale le reti messe a segno da Vidal nella prima stagione alla Juve, tutte in campionato: alla prima già citata contro il Parma, fanno seguito una al Cesena (su rigore: è l’inizio di una prolifica tradizione dal dischetto per il cileno), una alla Fiorentina, una spettacolare al Napoli, due alla Roma di Luis Enrique e infine una al Novara. Di particolare rilievo quella rifilata alla trentesima giornata ai partenopei, giunti allo Stadium in piena lotta per la Champions; la Juve vince 3-0 e Vidal segna il secondo gol, quello della sicurezza, a un quarto d’ora dal termine: doppio passo “spezzagambe” ai danni di Campagnaro al vertice dell’area e diagonale terra-aria sotto l’incrocio scagliato con il sinistro, in teoria suo piede debole! Per la Juventus sono 3 punti sinonimo di -2 dal Milan, poi sorpassato la settimana successiva; per Re Artù è la dimostrazione definitiva delle sue capacità con la palla tra i piedi. Capacità così evidenti che nell’estate 2012 gli viene proposto il numero 10 lasciato da Alex Del Piero, emigrato in Australia. Lui cambia numero, ma non si permette di accaparrarsi la maglia di Pinturicchio: si limita a passare dal 22 (lasciato al neoacquisto Asamoah) al 23, col quale è identificato tuttora.

Il 2012-13 è la vera consacrazione per Arturo Vidal. La Juventus, ormai non più rivelazione ma certezza, si conferma – almeno in Italia – un mulino che macina gioco e sforna inserimenti a ritmi frenetici. A incrementare il tasso qualitativo della mediana bianconera è arrivato nel frattempo il giovane Pogba, che grazie alla “cura Conte” limita ben presto la propria sregolatezza per lasciar spazio al genio: si tratta di un’iniezione di imprevedibilità nella manovra juventina che giova a tutti i centrocampisti. Un po’ dunque per l’arricchita propensione di squadra al gioco avvolgente e corale, un po’ perché un reparto offensivo basato su Vucinic e Giovinco non garantisce quantità industriali di gol, e un po’ perché Pirlo gli cede il ruolo di rigorista, il centrocampista cileno vede sempre più da vicino la porta. A fine stagione è proprio lui il top scorer della Juve, con i suoi 14 sigilli tra campionato (10), Coppa Italia (1, l’unico della sua carriera nella nostra coppa nazionale) e Champions League (3, tra cui uno all’esordio contro il Chelsea nell’eroico 2-2 di Stamford Bridge). Sono 5 le marcature dagli 11 metri, tra cui quella che vale il secondo scudetto consecutivo, in casa contro il Palermo in una data significativa per questi colori, il 5 maggio. Ad esse si affianca una raffica di gol da autentico rapace d’area, con la splendida eccezione di un destro velenoso da 30 metri che apre le danze nel derby di ritorno col Torino poi vinto 2-0. Se a queste reti si uniscono gli innumerevoli recuperi in difesa – alcuni ai limiti del miracolo – e le rapide combinazioni palla a terra coi compagni, si delinea nitida l’idea di un giocatore davvero a tutto campo, padrone di un centrocampo sulla carta tra i migliori d’Europa.


Il "gol dello zoppo" a Stamford Bridge, anch'esso col piede debole, il sinistro.

Se una mezzala è il tuo miglior bomber, ciò può essere interpretato come un dato emblematico di un calcio totale e moderno, ma potrebbe anche mascherare una preoccupante inconsistenza del pacchetto offensivo (si veda il tragico quarto di finale contro il Bayern Monaco). Ed ecco che per la stagione 2013-14 gli uomini agli ordini di Andrea Agnelli regalano a mister Conte il tanto agognato top player, Carlitos Tevez, affiancato da una spalla di caratura internazionale come Llorente. Il 3-5-2 della Juve cambia i suoi connotati, perde in dinamismo per divenire più pragmatico: il peso offensivo è maggiormente sorretto dagli attaccanti, dall’argentino in particolare, nuovo numero 10 pronto a far sognare i supporter della Signora, ma a tratti scade nella dipendenza dal singolo e nella prevedibilità. Le conseguenze sono nettamente diversificate tra le due principali competizioni: strapotere in campionato con record di 102 punti, con annessa terza stella sul petto; eliminazione alla fase a gironi in Champions League e successivo tonfo in semifinale di Europa League contro il Benfica, con annessa finale in casa sfumata. In tale appiattimento, Vidal non si scompone e non guarisce dal vizio del gol; anzi, pur sempre con qualche fallo di troppo a macchiarne le prestazioni, l’intensità e la padronanza del suo gioco non diminuiscono, e sotto i suoi colpi la rete si gonfia come mai prima, ben 18 volte: 11 in campionato, 5 in Champions, di cui 3 al Copenhagen nella sua finora unica tripletta in carriera, e 2 in EL. Anche il suo portafoglio si gonfia, visto il rinnovo contrattuale fino al 2017 con uno stipendio di 4 milioni all’anno. Proprio in occasione dell’hattrick europeo contro i danesi, va a segno per la prima volta di testa, mettendo in mostra anche in fase realizzativa un fondamentale per lui prezioso nello svolgimento del mestiere di onnipresente mediano: a dispetto di una statura nella norma, un’elevazione sopra la media permette al cileno di arrivare spesso e volentieri prima dell’avversario sulle palle aeree. Giusto per non farsi mancare nulla.

Tripletta europea col Copenhagen.

A pochi mesi dai Mondiali brasiliani, Vidal rientra a buon diritto nella top 5 mondiale dei centrocampisti. La sua forma fisica è smagliante, a livello psicologico ed emotivo guida i compagni, il ventaglio delle sue giocate, sia in interdizione sia in costruzione sia in finalizzazione, ha raggiunto la sua massima estensione: senza picchi particolari di eleganza, è la carriera di Re Artù ad arrivare al suo picco più alto. Ma quando a 27 anni sei al massimo dello splendore, il rischio della decadenza è dietro l’angolo, e un grave infortunio al ginocchio rischia di precludere la partecipazione di Vidal alla rassegna iridata. Un’operazione-lampo gli permette di far parte della spedizione del Cile in Brasile, ma al prezzo di un girone d’andata della stagione successiva “a mezzo servizio”…
Ed eccola, l’annata appena passata, quella del passaggio-toccasana al 4-3-1-2 e del quasi-Triplete. È qui che il trono di Re Artù inizia a traballare. Non certo in termini di impiego nella formazione titolare: al contrario, il nuovo allenatore Allegri gli ritaglia un nuovo ruolo da trequartista che permette di schierare contemporaneamente i Fantastici 4 del centrocampo juventino senza sconquassare gli equilibri. Certo, un ruolo da trequartista atipico, visto che – per quanto gli assist all’attivo non siano pochi – l’unica carenza nel vasto bagaglio di Vidal è la vocazione all’invenzione geniale e allo smarcamento delle punte davanti alla porta, tipica del fantasista puro, ragion per cui la Juve spesso segna meno di quanto potrebbe per colpa di un mancato ultimo passaggio; ma comunque il giocatore cileno e tutta la formazione bianconera sembrano gradire il nuovo assetto, grazie al quale il campo viene occupato più capillarmente e le forze gestite meglio, quindi non sorgono problemi tattici particolari. I problemi del numero 23 non sono dunque di collocazione. Sono invece le prestazioni a preoccupare non poco. Nonostante la fiducia incondizionata e talvolta forzata del mister, infatti, appare vistoso il calo di lucidità che lo accompagna per tutta la prima metà di stagione. Un calo che si traduce in interventi sempre più in ritardo (a volte lo salva una certa immunità di cui sembra godere presso gli arbitri italiani), in minor incisività in zona gol nonostante la posizione più avanzata sul terreno di gioco (il bottino sarà di 7 centri in campionato e 1 in Champions) e che si pone all’evidenza in maniera inquietante in occasione del derby d’andata, più precisamente nel coast to coast di Bruno Peres che vale il momentaneo pareggio torinista: sulla propria trequarti difensiva, Vidal accenna a uno dei suoi poderosi recuperi difensivi “di routine” ma, proprio quando sta per agguantare il terzino granata, blocca inspiegabilmente la propria rincorsa lasciando via libera all’avversario verso la porta di Storari. È un campanello d’allarme difficile da ignorare. Come se non bastasse, ad inizio autunno 2014 salgono alla ribalta anche i gossip sulle intemperanze fuori dal campo: si parla di sbornie e risse in discoteca, con conseguenti multe da parte della società. Insomma, lo specchio di un giocatore in crisi fisica e mentale.

Gol di Bruno Peres nel derby.

Uno sprint di primavera in cui l’ormai 28enne cileno tiene botta nella tempesta di infortuni che affligge la mediana bianconera – sprint caratterizzato anche da un imperioso stacco di testa che porta al gol-scudetto a Marassi contro la Samp – non basta per mantenerne abbastanza alte le quotazioni presso la dirigenza. Ad aggravare la situazione, a giugno, in piena Copa America peraltro nel suo Cile, ecco l’ennesimo “colpo di testa”: incidente stradale in stato di ebbrezza, pugno a un poliziotto e addio patente. La consapevolezza che con ogni probabilità il giocatore ha superato l’acme della sua carriera, la constatazione di un principio di declino psicofisico e la necessità di monetizzare con una cessione eccellente ma non troppo dannosa inducono Marotta ad accettare di trattare col Bayern, rimasto nel frattempo orfano di Schweinsteiger emigrato a Manchester. Il 23 luglio 2015, per una cifra che sfiora i 40 milioni, viene ufficializzato il trasferimento del centrocampista, che se ne va a Monaco per trovare nuovi stimoli, inserirsi nel deutsches tiki-taka di Guardiola e scaldare il cuore dei tifosi bavaresi, lottando come sempre e mostrando loro quanto più possibile il cuore mimato con le mani, segno di esultanza indirizzato tante volte ai al pubblico italiano in questi anni. Pur rimanendo, ipse dixit, “per sempre juventino nell’anima”.

Gol scudetto di quest'anno con la Samp, suo ultimo con la maglia della Juve.


E mentre in corso Galileo Ferraris si mette così a bilancio una macroscopica plusvalenza, il popolo juventino spera di colmare con l’esplosione di Sturaro o di Pereyra il vuoto tecnico e affettivo lasciato da Arturo Erasmo Vidal Pardo, il Re Guerriero venuto da Santiago.


Articolo a cura di Nicolò Vallone




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