Un futuro con il Bayern di Guardiola ma un pezzo di cuore lasciato a Torino. Scopriamo cosa ha significato Vidal per la Juventus.
di Nicolò Vallone
<<La pressione di Vidal, che va a rubare il pallone… grande
caparbietà del cileno! Gira per Marchisio, zona tiro, cerca Vucinic, al limite,
Vucinic, prova a piazzare… c’è ancora la
Juve in attacco, con Vidal, il destro… Rrrrete! Vidal! […] Il controllo di
petto e poi il destro che beffa Mirante>>.
Con queste parole il telecronista Maurizio
Compagnoni, in un’assolata domenica di fine estate, raccontava in diretta il
battesimo al gol di Arturo Vidal con la maglia della Juventus. Era la prima
giornata del campionato 2011-12, un Juve-Parma 4-1 esordio ufficiale della
Vecchia Signora nell’avveniristico Juventus Stadium, divenuto quel giorno teatro
del nuovo dominio juventino sul calcio italiano; un dominio orchestrato da
Antonio Conte prima e Massimiliano Allegri poi, e interamente coordinato dietro
le quinte dall’ad Beppe Marotta e dal ds Fabio Paratici. Una delle prime
mirabili intuizioni della sapiente coppia dirigenziale era stata proprio quella
di portare a Torino, nel cruciale mercato estivo del 2011, l’inesauribile centrocampista
cileno classe ‘87, prelevato dal Bayer Leverkusen per circa 12 milioni di euro e
blindato con un contratto da 2 milioni e mezzo stagionali fino al 2016. In
pochi si aspettavano che la Juve si sarebbe aggiudicata lo Scudetto già in
quella stagione, battendo la concorrenza del Milan di Ibrahimovic (e Allegri),
e nessuno poteva prevedere che questo mastino sudamericano sarebbe stato
l’autentico trascinatore – e a tratti il goleador – della nuova armata
bianconera nei 4 anni successivi. Perché non solo di mastino si tratta: alla
grinta che lo contraddistingue e che gli ha fatto meritare in patria
l’appellativo di Guerrero, infatti,
si affiancano intelligenza tattica, padronanza tecnica e propensione
all’inserimento in zona gol, tutte caratteristiche emerse nelle 4 stagioni
trascorse in Germania e portate alla massima efficacia nelle altrettante annate
in bianconero.
Top 10 gol di Vidal con la maglia della Juve.
Il rapporto tra Vidal e l’ambiente juventino va subito a
gonfie vele. Ai compagni infonde carica in campo e buonumore fuori, col suo
carattere scanzonato e un po’ fuori dalle righe che durante questi anni gli ha
causato anche qualche problema disciplinare, soprattutto nei ritiri con la Nazionale.
I tifosi vengono rapiti e caricati dal suo mix di furia e qualità, avvertendone
la potentissima aura agonistica che garantisce alla squadra di schiacciare
l’acceleratore un po’ di più degli avversari: a 6 mesi dal suo arrivo alla
Juve, è già diventato Re Artù. Ma la
vera prova di forza è la conquista dell’allenatore: dopo le prime settimane di
utopico 4-2-4 Conte, tecnico integralista e testardo per eccellenza, ridisegna
la formazione con un 3-5-2 pur di poter schierare titolare il cileno. A Pirlo e
Marchisio del resto non si può rinunciare, ma l’aggiunta di Vidal è altrettanto
irrinunciabile per andare a formare l’ossatura della linea mediana più forte
d’Italia: Andrea a insegnare calcio in cabina di regia, Claudio a cucire
elegantemente i reparti e Arturo a martellare con intensità ed efficacia in
fase sia difensiva che offensiva. Un cocktail di centrocampo roccioso ed
esplosivo, cuore di una corazzata capace di vincere lo scudetto senza perdere una partita. E il ventricolo che
pulsa più forte in questo cuore bianconero proviene dal Sudamerica.
Sono 7 in totale le reti messe a segno da Vidal nella prima
stagione alla Juve, tutte in campionato: alla prima già citata contro il Parma,
fanno seguito una al Cesena (su rigore: è l’inizio di una prolifica tradizione
dal dischetto per il cileno), una alla Fiorentina, una spettacolare al Napoli,
due alla Roma di Luis Enrique e infine una al Novara. Di particolare rilievo
quella rifilata alla trentesima giornata ai partenopei, giunti allo Stadium in
piena lotta per la Champions; la Juve vince 3-0 e Vidal segna il secondo gol,
quello della sicurezza, a un quarto d’ora dal termine: doppio passo
“spezzagambe” ai danni di Campagnaro al vertice dell’area e diagonale
terra-aria sotto l’incrocio scagliato con il sinistro, in teoria suo piede
debole! Per la Juventus sono 3 punti sinonimo di -2 dal Milan, poi sorpassato
la settimana successiva; per Re Artù è la dimostrazione definitiva delle sue
capacità con la palla tra i piedi. Capacità così evidenti che nell’estate 2012
gli viene proposto il numero 10 lasciato da Alex Del Piero, emigrato in
Australia. Lui cambia numero, ma non si permette di accaparrarsi la maglia di
Pinturicchio: si limita a passare dal 22 (lasciato al neoacquisto Asamoah) al
23, col quale è identificato tuttora.
Il 2012-13 è la vera consacrazione per Arturo Vidal. La
Juventus, ormai non più rivelazione ma certezza, si conferma – almeno in Italia
– un mulino che macina gioco e sforna inserimenti a ritmi frenetici. A
incrementare il tasso qualitativo della mediana bianconera è arrivato nel
frattempo il giovane Pogba, che grazie alla “cura Conte” limita ben presto la
propria sregolatezza per lasciar spazio al genio: si tratta di un’iniezione di
imprevedibilità nella manovra juventina che giova a tutti i centrocampisti. Un
po’ dunque per l’arricchita propensione di squadra al gioco avvolgente e corale,
un po’ perché un reparto offensivo basato su Vucinic e Giovinco non garantisce
quantità industriali di gol, e un po’ perché Pirlo gli cede il ruolo di
rigorista, il centrocampista cileno vede sempre più da vicino la porta. A fine
stagione è proprio lui il top scorer della Juve, con i suoi 14 sigilli tra
campionato (10), Coppa Italia (1, l’unico della sua carriera nella nostra coppa
nazionale) e Champions League (3, tra cui uno all’esordio contro il Chelsea
nell’eroico 2-2 di Stamford Bridge). Sono 5 le marcature dagli 11 metri, tra
cui quella che vale il secondo scudetto consecutivo, in casa contro il Palermo
in una data significativa per questi colori, il 5 maggio. Ad esse si affianca
una raffica di gol da autentico rapace d’area, con la splendida eccezione di un
destro velenoso da 30 metri che apre le danze nel derby di ritorno col Torino
poi vinto 2-0. Se a queste reti si uniscono gli innumerevoli recuperi in difesa
– alcuni ai limiti del miracolo – e le rapide combinazioni palla a terra coi
compagni, si delinea nitida l’idea di un giocatore davvero a tutto campo, padrone
di un centrocampo sulla carta tra i migliori d’Europa.
Il "gol dello zoppo" a Stamford Bridge, anch'esso col piede debole, il sinistro.
Se una mezzala è il tuo miglior bomber, ciò può essere
interpretato come un dato emblematico di un calcio totale e moderno, ma
potrebbe anche mascherare una preoccupante inconsistenza del pacchetto
offensivo (si veda il tragico quarto di finale contro il Bayern Monaco). Ed
ecco che per la stagione 2013-14 gli uomini agli ordini di Andrea Agnelli
regalano a mister Conte il tanto agognato top player, Carlitos Tevez,
affiancato da una spalla di caratura internazionale come Llorente. Il 3-5-2
della Juve cambia i suoi connotati, perde in dinamismo per divenire più
pragmatico: il peso offensivo è maggiormente sorretto dagli attaccanti, dall’argentino
in particolare, nuovo numero 10 pronto a far sognare i supporter della Signora,
ma a tratti scade nella dipendenza dal singolo e nella prevedibilità. Le conseguenze
sono nettamente diversificate tra le due principali competizioni: strapotere in
campionato con record di 102 punti, con annessa terza stella sul petto; eliminazione
alla fase a gironi in Champions League e successivo tonfo in semifinale di
Europa League contro il Benfica, con annessa finale in casa sfumata. In tale
appiattimento, Vidal non si scompone e non guarisce dal vizio del gol; anzi, pur
sempre con qualche fallo di troppo a macchiarne le prestazioni, l’intensità e
la padronanza del suo gioco non diminuiscono, e sotto i suoi colpi la rete si
gonfia come mai prima, ben 18 volte: 11 in campionato, 5 in Champions, di cui 3
al Copenhagen nella sua finora unica tripletta in carriera, e 2 in EL. Anche il
suo portafoglio si gonfia, visto il rinnovo contrattuale fino al 2017 con uno
stipendio di 4 milioni all’anno. Proprio in occasione dell’hattrick europeo contro i danesi, va a segno per la prima volta di
testa, mettendo in mostra anche in fase realizzativa un fondamentale per lui
prezioso nello svolgimento del mestiere di onnipresente mediano: a dispetto di
una statura nella norma, un’elevazione sopra la media permette al cileno di
arrivare spesso e volentieri prima dell’avversario sulle palle aeree. Giusto
per non farsi mancare nulla.
Tripletta europea col Copenhagen.
A pochi mesi dai Mondiali brasiliani, Vidal rientra a buon
diritto nella top 5 mondiale dei centrocampisti. La sua forma fisica è
smagliante, a livello psicologico ed emotivo guida i compagni, il ventaglio
delle sue giocate, sia in interdizione sia in costruzione sia in finalizzazione,
ha raggiunto la sua massima estensione: senza picchi particolari di eleganza,
è la carriera di Re Artù ad arrivare al suo picco più alto. Ma quando a 27 anni
sei al massimo dello splendore, il rischio della decadenza è dietro l’angolo, e
un grave infortunio al ginocchio rischia di precludere la partecipazione di
Vidal alla rassegna iridata. Un’operazione-lampo gli permette di far parte
della spedizione del Cile in Brasile, ma al prezzo di un girone d’andata della
stagione successiva “a mezzo servizio”…
Ed eccola, l’annata appena passata, quella del passaggio-toccasana
al 4-3-1-2 e del quasi-Triplete. È qui che il trono di Re Artù inizia a
traballare. Non certo in termini di impiego nella formazione titolare: al
contrario, il nuovo allenatore Allegri gli ritaglia un nuovo ruolo da
trequartista che permette di schierare contemporaneamente i Fantastici 4 del
centrocampo juventino senza sconquassare gli equilibri. Certo, un ruolo da
trequartista atipico, visto che – per quanto gli assist all’attivo non siano
pochi – l’unica carenza nel vasto bagaglio di Vidal è la vocazione
all’invenzione geniale e allo smarcamento delle punte davanti alla porta,
tipica del fantasista puro, ragion per cui la Juve spesso segna meno di quanto
potrebbe per colpa di un mancato ultimo passaggio; ma comunque il giocatore
cileno e tutta la formazione bianconera sembrano gradire il nuovo assetto,
grazie al quale il campo viene occupato più capillarmente e le forze gestite
meglio, quindi non sorgono problemi tattici particolari. I problemi del numero
23 non sono dunque di collocazione. Sono invece le prestazioni a preoccupare
non poco. Nonostante la fiducia incondizionata e talvolta forzata del mister,
infatti, appare vistoso il calo di lucidità che lo accompagna per tutta la
prima metà di stagione. Un calo che si traduce in interventi sempre più in
ritardo (a volte lo salva una certa immunità di cui sembra godere presso gli
arbitri italiani), in minor incisività in zona gol nonostante la posizione più
avanzata sul terreno di gioco (il bottino sarà di 7 centri in campionato e 1 in
Champions) e che si pone all’evidenza in maniera inquietante in occasione del
derby d’andata, più precisamente nel coast
to coast di Bruno Peres che vale il momentaneo pareggio torinista: sulla
propria trequarti difensiva, Vidal accenna a uno dei suoi poderosi recuperi
difensivi “di routine” ma, proprio quando sta per agguantare il terzino
granata, blocca inspiegabilmente la propria rincorsa lasciando via libera
all’avversario verso la porta di Storari. È un campanello d’allarme difficile da
ignorare. Come se non bastasse, ad inizio autunno 2014 salgono alla ribalta anche
i gossip sulle intemperanze fuori dal campo: si parla di sbornie e risse in
discoteca, con conseguenti multe da parte della società. Insomma, lo specchio
di un giocatore in crisi fisica e mentale.
Gol di Bruno Peres nel derby.
Uno sprint di primavera in cui l’ormai 28enne cileno tiene
botta nella tempesta di infortuni che affligge la mediana bianconera – sprint
caratterizzato anche da un imperioso stacco di testa che porta al gol-scudetto
a Marassi contro la Samp – non basta per mantenerne abbastanza alte le
quotazioni presso la dirigenza. Ad aggravare la situazione, a giugno, in piena
Copa America peraltro nel suo Cile, ecco l’ennesimo “colpo di testa”: incidente
stradale in stato di ebbrezza, pugno a un poliziotto e addio patente. La
consapevolezza che con ogni probabilità il giocatore ha superato l’acme della
sua carriera, la constatazione di un principio di declino psicofisico e la
necessità di monetizzare con una cessione eccellente ma non troppo dannosa
inducono Marotta ad accettare di trattare col Bayern, rimasto nel frattempo
orfano di Schweinsteiger emigrato a Manchester. Il 23 luglio 2015, per una
cifra che sfiora i 40 milioni, viene ufficializzato il trasferimento del
centrocampista, che se ne va a Monaco per trovare nuovi stimoli, inserirsi nel deutsches tiki-taka di Guardiola e
scaldare il cuore dei tifosi bavaresi, lottando come sempre e mostrando loro
quanto più possibile il cuore mimato con le mani, segno di esultanza indirizzato
tante volte ai al pubblico italiano in questi anni. Pur rimanendo, ipse dixit,
“per sempre juventino nell’anima”.
Gol scudetto di quest'anno con la Samp, suo ultimo con la maglia della Juve.
E mentre in corso Galileo Ferraris si mette così a bilancio
una macroscopica plusvalenza, il popolo juventino spera di colmare con
l’esplosione di Sturaro o di Pereyra il vuoto tecnico e affettivo lasciato da Arturo
Erasmo Vidal Pardo, il Re Guerriero venuto da Santiago.
Articolo a cura di Nicolò Vallone
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